di Romano Maria Levante
Per celebrare nel nostro sito il trentennale della caduta del Muro di Berlino, oltre all’articolo “Berlino, il Muro infranto, a trent’anni dalla sua caduta, alla Sala da Feltre” pubblicato oggi nella data fatidica del 9 novembre, ripubblichiamo, sempre oggi in questo sito, il presente articolo uscito nel ventennale, il 12 gennaio 2010 , e il seguito, “Berlino, il culmine del viaggio della memoria di Monteleone, al Palazzo Esposizioni” , del 14 gennaio 2010, nonché l’altro nostro articolo del 9 novembre 2009, “Berlino, la caduta del Muro, rievocata nel ventennale, al Palazzo Incontro”. Questi 3 articoli furono pubblicati alle date indicate del 2009 e 2010 in “cultura.inabruzzo.it” (non più raggiungibile).
cultura.inabruzzo.it, 12 gennaio 2010 – Postato in: Eventi
La mostra “La linea inesistente” espone a Roma, al Palazzo delle Esposizioni dal 12 dicembre al 24 gennaio 2010, 70 fotografie di Davide Monteleone, scattate lungo il confine di un tempo tra Est e Ovest dov’era calata la Cortina di ferro. Una divisione oggi scomparsa, ma quella linea virtuale al posto del filo spinato del tempo della guerra fredda che schierava i paesi dell’Est del Patto di Varsavia contro quelli dell’Ovest della Nato. ha suggerito a Monteleone foto comparative dell’Est e dell’Ovest, con la natura, gli insediamenti, la vita insomma: un modo per celebrare la pace dove c’era la minaccia delle guerra. La mostra è promossa dalla “Fondazione italianieuropei” con “Contrasto”, cui si deve anche il Catalogo.
Avevamo considerato con interesse la mostra, fotografica e non solo, sulla “linea inesistente” come seguito ideale di quella sul Muro di Berlino, organizzata dalla Provincia di Roma nel ventesimo anniversario della caduta di quel pezzo di “Cortina di ferro” all’interno della città. Era un’occasione per un approfondimento, connotato per noi irrinunciabile di una rivista culturale, anche se “on line”, anzi soprattutto perchè tale: il tempo non la consuma come fa con certa carta stampata e neppure lo spazio, è raggiungibile da ogni punto del “web” che non ha confini. Quindi persistenza ed accessibilità in ogni momento, come la memoria.
Le ragioni contingenti e quelle sottostanti di un evento epocale
Ma è stata proprio la memoria a spostare la nostra attenzione dall’approfondimento culturale alla partecipazione emotiva, dal desiderio di documentare all’ansia di rivivere. Di questo dobbiamo dare merito alla “Fondazione italianieuropei” che l’ha promossa e a “Contrasto” che l’ha organizzata. Per la prima c’è un merito speciale, con il sottoporsi a una sorta di “catarsi” immergendosi nella tragedia che è stata la divisione dell’Europa in due con metà di essa sotto il tallone della dittatura comunista – per alcuni “album di famiglia” – quando oltre alla perdita delle libertà civili sono svanite le prospettive di benessere e di sviluppo
Una “catarsi” alla quale partecipa meritoriamente anche l’Istituto Gramsci, depositario di una documentazione sterminata su quello che fu il comunismo visto dall’interno, “ex ore suo” si potrebbe dire. Citiamo ancora una volta questa espressione e qui vogliamo rivelarne l’origine, fa parte della nostra vicenda professionale: la trovavamo negli anni ’60 nelle rassegne stampa che faceva preparare l’Avv. Guiglia in Confindustria, dedicate alle notizie dirette dai paesi comunisti, dalle quali emergeva già l’abisso in cui quelle popolazioni venivano sprofondando sempre più.
La nostra memoria è stata sollecitata subito dalla ricostruzione di Silvio Pons, direttore dell’Istituto Gramsci, che parte dalle ragioni contingenti del dissolvimento del sistema sovietico, ponendo in rilievo le grandi personalità che hanno dato la spinta decisiva o non si sono opposte: “Animati da mentalità e obiettivi diversi, Lech Walesa, Giovanni Paolo II, Gorbaciov ci appaiono ancora oggi gli eroi e i protagonisti della rappresentazione, non diversamente da come apparvero ai contemporanei”. Per precisare: “Ciascuno di quei personaggi presentò un’innegabile statura carismatica e ciascuno di essi contribuì ad una soluzione pacifica, interpretando a suo modo aspirazioni e speranze che intersecavano la vecchia cortina di ferro”
Ma Pons non si ferma a questa constatazione, guarda alle ragioni sottostanti: “E tuttavia, il ruolo delle personalità non può bastare per capire la nostra storia. La profondità delle forze all’opera va cercata altrove. La crisi del comunismo aveva radici intrecciate nell’economia, nella società, nella cultura e nell’ambiente internazionale”.
Come mai è esplosa, anzi implosa nel momento storico vissuto venti anni fa? “La guerra fredda non era la stessa di trent’anni prima e non aveva più la centralità posseduta in passato, anzitutto per le generazioni più giovani. E lo stesso si può dire per il comunismo. Anche l’Europa era cambiata attraverso processi di integrazione e politiche di distensione che avevano consolidato il suo nucleo prospero e democratico, promuovendo nel contempo forme di collaborazione economica che erodevano silenziosamente i confini tra i due blocchi”.
C’è un altro riconoscimento che ci piace sottolineare e del quale va pieno merito a Pons e alla Fondazione promotrice della mostra: “In un rapporto non sempre facile con le logiche della distensione, la questione dei diritti umani aveva assunto un peso e una centralità nella cultura europea, anzitutto grazie al coraggio dei dissidenti dell’Est, creando a sua volta un linguaggio volto a negare l’eredità della divisione del continente e a delegittimare i regimi comunisti”
Abbiamo voluto fare un’ampia citazione testuale perché meglio di così non si poteva spiegare una rivoluzione epocale, sulla quale torneremo più avanti precisandone ulteriormente i termini; e che documenteremo alla fine del viaggio riportando preziose testimonianze provenienti dal “National Security Archive” di Washington che fanno rivivere l’ ansia soprattutto dei governanti, dato che i popoli erano ebbri di entusiasmo da una parte all’altra della Cortina di ferro: il timore del bagno di sangue che ha sempre macchiato rivolgimenti simili, dalla Rivoluzione francese del 1789 al Risorgimento italiano del 1848, alla Rivoluzione russa del 1917, date anch’esse ricordate da Pons.
Le immagini di Monteleone dov’era la Cortina di ferro
Il viaggio del giovane, già esperto fotografo, è anche un viaggio nella propria fresca memoria, è nato nel 1974 a Potenza “in un mondo già diviso”, e ha utilizzato un Atlante del 1976 per tracciare “un percorso automobilistico il più vicino possibile alle frontiere che dividevano due mondi: l’Est e l’Ovest”. Il programma: “Ho il desiderio di attraversare l’Europa, da Trieste a Stettino, per percorrere quei confini un tempo invalicabili”. Riecheggia, nel suo programma, il suono della dichiarazione che fece Winston Churchill a Fulton, il 5 marzo 1946: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico, una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi Stati dell’Europa Centrale ed Orientale”.
Ora le due città non sono più i terminali di una barriera, ma di un viaggio che, nelle parole di Andrea Péruzy, Segretario generale di Italianieuropei e di Roberto Koch, direttore di “Contrasto”, “è fatto di sguardi, annotazioni, evidenze, letture e studi, conferme e scoperte. Soprattutto, è fatto di tappe”. Le percorreremo anche noi sulla scorta delle immagini, con ogni tappa “segnata da un dittico, due scatti che guardano uno a Ovest e uno a Est, per scoprire come sono oggi i paesaggi ‘oltre’ e ‘al di qua’ della Cortina, chi abita quelle terre, quale innovazione o involuzione sociale possa essere avvenuta nei luoghi un tempo sorvegliati e inaccessibili”
Si è trattato per l’autore, e lo sarà anche per noi, di “un viaggio nello spazio, certo, ma anche nel tempo per cercare di ritrovare le tracce e i segni di un storia che a volte sembra essere stata cancellata troppo in fretta, come un intoppo della coscienza che è necessario rimuovere per procedere oltre”.
Ed è questo il maggior pregio dell’iniziativa – dire mostra ci sembra limitativo – perché, oltre al ben documentato Catalogo, resta nello spazio e nel tempo per chi compirà il viaggio con le immagini che evocano ricordi, sottraendosi alla rimozione che Italianieuropei meritoriamente respinge.
La prima parte inizia nel novembre 2008, il programma è semplice: “Circa un mese di viaggio fermandomi ogni 100 chilometri per guardare, idealmente, da questa linea immaginaria ormai scomparsa, una volta a Est e una a Ovest”. Il proposito: “Scrutare differenze, similitudini, cambiamenti; volgere lo sguardo verso i desideri e verso i nemici di un tempo”. Il risultato: “Due sole immagini per rappresentare i confini che cadono, le assurde divisioni, i paesaggi immutati”. Ogni dittico di immagini reca l’indicazione delle coordinate geografiche, latitudine e longitudine.
In effetti, la galleria fotografica offre campi lunghi e pochi primi piani, con un denominatore comune all’Est e all’Ovet, la desolazione e la solitudine: ed è bene che oggi sia così, non lo è stato ieri quando in queste terre di confine c’erano reticolati, barriere, sorveglianza armata.
Il viaggio inizia in Italia aTrieste, citata da Churchill come inizio della Cortina di ferro nella sua celebre allocuzione. due campi lunghi con il mare, i lampioni e le persone in lontananza, appare l’assurdità della separazione. Per il resto non c’è ricerca di effetti particolari, cioè simboli di costrizione negli scatti dell’Est rispetto a quelli dell’Ovest, tutto è immediato, spontaneo, anzi in qualche caso i simboli sono rovesciati.
Come nella due località di Gencsapati in Ungheria e Cizov nella Repubblica Ceca dove le immagini dell’Ovest sono reti e filo spinato, mentre all’Est una sfera sospesa in alto e tenuta da cavi come una mongolfiera nel primo, un bel tronco d’albero nella seconda. A Chely , sempre nella Repubblica Ceca, ad Est una strada oscura che sarebbe inquietante se non ci fosse un festone in alto con la scritta “Love story”, mentre a Ovest delle statue rassicuranti, questa volta religiose, Cristo, la Madonna e gli angeli. A Nuova Bystrice le finestre di due edifici gemelli, cambia solo il colore delle fasce di muro che dividono i vari piani.Così nelle immagini da Trstenik. Due scatti pittoreschi a Breclav, le T-shirt esposte a Ovest e le sfere allineate all’aperto a Est in una grande pallottoliere variopinto nel riposante ambiente montano.
In Slovenia, all’Ovest abbiamo una grande curva di una strada deserta sotto un cielo limaccioso, mentre a Est, a Strstenik, un’immagine fiabesca, la statua seducente di una ninfa tra nanetti e altre fontane e arredi da giardino, in un clima festoso.
$e proprio si vogliono ricercare dei simboli possiamo vederli nelle immagini dall’Austria: a Pamhagen una cabina a Est, ricordo delle postazioni poliziesche cui si contrappone una strada diritta a Ovest; e soprattutto a Jennersdorf il bosco cupo e ingiallito segno di oscurità e stagione finita rispetto al controluce dell’arbusto in fiore che si staglia nel cielo simbolo di crescita e di vita. A Retz un’immagine dell’Est con una donna seduta in una sconsolata solitudine, il viso incorniciato da un cappellino rosso sotto un cartello con un’effige di bionda vaporosa e la scritta “L’amour” di un improbabile “night club”, mentre per l’Ovest un panorama boscoso sotto un cielo nuvoloso che si schiarisce all’orizzonte.
Sono solo impressioni personali dalle immagini che riguardano l’Est non tedesco. La Germania è l’approdo dopo i 4.200 chilometri dell’ex Cortina di ferro. Anche qui ci colpiscono subito immagini alla rovescia: reti di sbarramento all’Ovest a Nordhalben e Eschwege, laddove a Est c’è un bosco ridente e una strada che sembra una pittura. Invece a Modlareuth reti di sbarramento da entrambe le parti.
Un rovesciamento dei ruoli senza barriere, tutt’altro, a Meiningen, dove il Mc Donald e la baita di montagna sono a Est mentre a Ovest troviamo la baracca, sia pure con deliziose tendine, e addirittura una Trabant, la bistrattata auto utilitaria dell’Est, su una specie di piedistallo di pietre ricoperte di frasche.
Per il resto, omologazione assoluta che l’autore ha voluto sottolineare con gli scatti paralleli in molti casi uguali. Così a Schwiegershausen i tralicci in cemento a forma di A, a Weilrod un bosco di cui muta solo il colore del sottobosco, tornano le foglie secche a Est, erba verde a Ovest, a Tanger una strada tra gli alberi, con assoluta identità nella pavimentazione e nei tronchi che la delimitano
Finora non abbiamo parlato di figure umane, perché non ce ne sono, con due eccezioni. A Lubmin a Est un primo piano di signora impellicciata e sorridente, a Ovest un’immagine molto diversa di bagnanti in costume che escono dall’acqua; e l’altra figura umana già citata fotografata a Retz in Austria.
Sono veri ritratti quelli che spiccano in due cartelli, rispettivamente a Est e a Ovest, mezzi busti in divisa con tanto di berretto militare. Guardiamo dove ci troviamo: Checkpoint Charlie: siamo a Berlino, già queste immagini evocano un clima, stiamo per entrare nella Bernauer Strasse, dove iniziò la costruzione del Muro. Di qui le immagini diventano una vera galleria di volti e atmosfere.
Ma Monteleone si ferma, questa parte del suo viaggio è finita, darà un rapido sguardo, come questo al Checkpoint, poi ripartirà per tornare nell’imminenza del ventennale della caduta del Muro, nella città che è stata l’epicentro del grande rivolgimento nell’Europa orientale. Abbiamo modo così di riepilogare le vicende seguendo ancora la lucida ricostruzione del direttore dell’Istituto Gramsci.
Le vicende che hanno preceduto la caduta del Muro nello storico 1989
Volgendo lo sguardo all’indietro, venti anni non sono tanti neppure nella vita di una persona, figurarsi nel respiro della storia, ci si può sorprendere di aver vissuto un momento epocale quasi senza rendersene conto, pur se la partecipazione al tripudio è stata unanime e immediata.
Non ci si è resi conto del pericolo corso, dinanzi agli esiti sanguinosi di rivolgimenti anche meno profondi ed estesi di quello che ha sconvolto l’intera Europa orientale; e neppure si è valutato fino in fondo l’eccezionale significato che assume un rovesciamento così repentino, quando processi di questa natura si sviluppano progressivamente e, se precipitano, ripetiamo, ciò avviene nel sangue.
Il nuovo corso di Gorbaciov era promettente ma la sua cautela non gli aveva fatto rinnegare la “dottrina Breznev” della sovranità limitata dei paesi del blocco sovietico, che aveva soffocato in spietate repressioni i movimenti di liberazione in Polonia e Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968 con la tragica Primavera di Praga, conclusa addirittura con esecuzioni capitali, sinistro monito per tutti; oltre che in Polonia nel 1981 e, trent’anni prima, nella Germania Est nel 1953.
Quindi le stesse notizie sulle dissidenze sempre più attive in quei paesi, anche se aprivano alla speranza, non facevano prevedere nulla di cosi radicale e insieme rapido. Ma il 1989 è un anno diverso dagli altri, molteplici sono le tessere del mosaico, le componenti del domino della libertà.
L’accelerazione del processo viene dalla Polonia, non per altro vi è la forte influenza delle due personalità citate da Pons oltre a Gorbaciov: Lech Walesa e papa Karol Wojtila. Si inizia tra marzo e aprile con un inedito negoziato tra sindacato e governo, apparentemente innocuo ma è l’inizio della valanga: l’opposizione viene legalizzata e si presenta alle elezioni, le vince, capo del governo il suo Mazowieski, primo leader non comunista. Cautela e ancora cautela ci si aspettava, anche Dubcek con la Primavera di Praga ci aveva provato ed era finita male, chissà quanto tempo sarebbe trascorso per fare nuovi passi in avanti e tanto più per trasmettere i fermenti agli altri paesi dell’Est.
Ma il 1989 è un anno speciale, abbiamo detto. Ebbene, a settembre l’Ungheria apre i suoi confini con la Repubblica Federale Tedesca, cadono i reticolati e il filo spinato, in centinaia di migliaia cercano la libertà; manifestazioni spontanee si susseguono. A quel punto, scrive Pons, “l’ennesima crisi dell’Est europeo si trovò dinanzi a un bivio drammatico. Come era accaduto in passato, la soluzione passava necessariamente per Mosca. Ma questa volta il risultato venne rovesciato”.
Non ci fu l’intervento diretto sovietico come in passato e neppure un sostegno indiretto ai regimi entrati in una crisi profonda anche per la spinta popolare che acquistava sempre più forza e consapevolezza. Cadute le frontiere ci fu anche la caduta del Muro preceduta di pochi giorni da un tentativo in extremis di concedere il “diritto di viaggio” all’estero senza particolari motivazioni.
Nessun intervento da nessuna parte, né a Est né a Ovest, “il cambiamento dall’alto e la spinta dal basso si combinarono in un circolo virtuoso”, sono parole di Pons, che prosegue: “In poche settimane, tutti i regimi comunisti implosero e gli europei orientali se ne liberarono in una successione di ‘rivoluzioni di velluto’ (la celebre formula fatta propria da Vaclav Havel) a Budapest, Praga, Sofia e, infine, nell’unico avvenimento cruento, a Bucarest”: con l’esecuzione, è il caso di ricordare, di Ceausescu e signora dopo un processo- lampo segreto senza alcuna garanzia.
In Cina, invece, erano proseguite le repressioni del passato, venivano soffocati nel sangue i movimenti studenteschi nella piazza di Tiananmen, ne resterà sempre il simbolo nella figura inerme con un sacchetto di plastica in mano che affronta impavido la colonna di carri armati riuscendo per un momento ad arrestarla; ascritta nell’olimpo dei grandi eroismi di tutti i tempi.
Si era in giugno sempre del 1989, il cattivo esempio non fu seguito in nessun paese dell’Est europeo: “Tiananmen, osserva il direttore dell’Istituto Gramsci, divenne un monito anziché un’opzione. L’idea di usare la forza venne certamente accarezzata da alcuni leader politici e militari nel blocco comunista e il rischio di un eccidio fu probabilmente sfiorato nella Germania Orientale. Ma lo scenario di un bagno di sangue non si ripeté, malgrado i tristi precedenti del passato, o proprio in ragione di essi. Il movimento non violento europeo e il suo impulso libertario non vennero arrestati. Così l’’89 portò alla riunificazione della Germania in meno di un anno. Così preparò il crollo dell’Unione Sovietica e la dissoluzione della sua compagine imperiale, anch’esso avvenuto pacificamente due anni dopo”.
Il sonno della ragione genera mostri
Per dimostrare che tutto questo era ben lungi dal doversi ritenere scontato bastano le parole di Erich Honecker, il capo della Repubblica democratica tedesca, pronunciate solennemente a Berlino nel gennaio dello stesso 1989: “Il Muro esisterà ancora fra cinquanta e anche fra cento anni , fino a quando le ragioni della sua esistenza non saranno venute meno”.
E’ un convincimento così radicato che persisterà, pur nelle mutate condizioni, davanti al tribunale di Berlino tre anni dopo. Da quasi un anno era stata approvata la legge che rendeva pubblici e visibili da parte dei perseguitati i documenti della Stasi, la spietata polizia segreta, e i verbali degli interrogatori, per cui la pentola era stata scoperchiata.
Eppure ecco un passaggio oltremodo significativo dell’autodifesa di Honecker: “Giunto alla fine della mia vita, ho la certezza che la Rdt non è stata costituita invano… Un numero sempre maggiore di persone dell’Est si renderà conto che le condizioni di vita nella Rdt li avevano deformati assai meno di quanto la gente dell’Ovest non sia deformata dal capitalismo e che nelle scuole i bambini della Rdt crescevano più spensierati, più felici, più istruiti, più liberi dei bambini delle strade della Repubblica federale. I malati si renderanno conto che nel sistema sanitario della Rdt, nonostante le arretratezze tecniche, erano dei pazienti e non oggetti commerciali del marketing di medici. Gli artisti comprenderanno che la censura, vera o presunta, della Rdt non poteva recare all’arte i danni prodotti dalla censura del mercato… Gli operai e i contadini si renderanno conto che la Rft è lo Stato degli imprenditori e che non a caso la Rdt si chiamava ‘Stato degli operai e dei contadini’… Molti capiranno che anche la libertà di scegliere tra Cdu, Spd, Fdt è solo una libertà apparente”.
L’abbiamo riportato integralmente perché, assemblando tutti i luoghi comuni anticapitalisti e occultando maldestramente gli orrori del suo regime, mostra come il sonno della ragione genera mostri. E ci prepara al seguito e alla conclusione del viaggio nella memoria: l’ingresso a Berlino nel ventennale della caduta del Muro. Ci faranno da guida le fotografie di Monteleone e i brani del suo Diario che lo fanno diventare un viaggio nell’anima: sua e, per quanto ci riguarda, anche nostra.
Info
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Catalogo: Davide Monteleone, “La linea inesistente. Viaggio lungo la ex Cortina di ferro”, con un saggio di Silvio Pons e una selezione di documenti del National Security Archive di Washington D.C., Italianieuropei-Contrasto, novembre 2009, pp. 152, formato 20 x 30,5; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il secondo e ultimo articolo sulla mostra uscirà in questo sito il 14 gennaio 2010. Cfr. anche il nostro articolo, sempre in questo sito, “Berlino, la caduta del Muro, rievocata nel ventennale, al Palazzo Incontro” 9 novembre 2009.
Foto
Le immagini sono tratte dal Catalogo, si ringrazia l’Editore con i titolari dei diritti, in particolare l’Autore, per l’opportunità offerta; a parte l’apertura, sono inserite nell’ordine di citazione nel testo. In apertura, Germania, Ovest – 51° 34’43.04″ N – 10° 28’39.62″ E; seguono, Italia, Ovest – 45° 39′ 1. 63″ N – 13° 46′ 2 84 E, e Est – Trieste; poi, Ungheria, Ovest – 47° 6′ 51 85′ N – 16° 36′ 47. 95″ E, e Est – Gancspati; quindi, Repubblica Ceca, Ovest – 48° 46′ 25. 84″ N – 16° 53′ 10, 14″E, e Est – Breclav; inoltre, Slovenia, Ovest – 46° 37′ 42. 72″ N – 15° 54′ 21 38″ E, e Est – Trstenik; ancora,Austria, Ovest, 7° 41′ 6. 22″ N – 16° 54′ 44. 83 E, e Est – Pamhagen; continua, Austria, Ovest – 48° 51′ 21.99′ N – 16° 2′ 7 55″ E, e Est – Retz; infine, Germania, Ovest – 50″ 34′ 41. 64″ N – 10″ 24′ 47. 38″ E, e, in chiusura, Est – Meiningen.
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