di Romano Maria Levante
La mostra “De Chirico” espone al Palazzo Reale di Milano – nel quarantennale della scomparsa e nel centenario della svolta classicista e dopo cinquant’anni dalla grande antologica del 1970 – più di 100 opere provenienti da ben 59 musei e collezioni private, numero di prestatori che dà un’idea dell’imponente impegno organizzativo in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, presidente Paolo Picozza, e con l’appoggio di numerose gallerie d’arte e studiosi, curatore Luca Massimo Barbero. Otto sezioni tematiche raggruppano le opere in un itinerario riprodotto nel ponderoso Catalogo Electa, a cura dello stesso Barbero, arricchito dalla sua accurata ricostruzione, con saggi specifici per ogni sezione, delle diverse fasi dell’”opera e della vita” del grande Maestro. come culmine della celebrazione del 2019.
La nostra” trilogia” de Chirico si è dipanata nelle ricorrenze della scomparsa e della svolta, attraverso la documentata ricostruzione da parte di Fabio Benzi della “Vita e l’opera” del Maestro, seguita dalla mostra di Genova sulla “Metafisica continua” e dalla mostra di Torino sul “Ritorno al futuro” dell’arte contemporanea, con gli epigoni di de Chirico.
Il ciclo celebrativo sembrava concluso quando, alla fine dell’ultimo trimestre dell’anno, il colpo di teatro, la mostra di Milano intitolata semplicemente “De Chirico”, il botto finale dei fuochi d’artificio artistici dechirichiani che hanno illuminato l’intero 2019. Per cui alla trilogia si aggiunge un’ultima componente, il quarto petalo del “quadrifoglio”, l’asso finale nel “poker d’assi” giocato dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, il cui presidente, Paolo Picozza, la definisce “esposizione ambiziosa” dove “il presente e il passato coincidono nel racconto espositivo dell’opera e della vita di Giorgio de Chirico”.
L’”opera e la vita”, dunque, come “la vita e l’opera” nella ricostruzione di Fabio Benzi. Qui è il curatore della mostra Luca Massimo Barbero ad operare una ricostruzione parallela, nelle 8 sezioni della mostra, ciascuna introdotta nel sontuoso Catalogo da una sua dotta e documentata analisi, frutto di una ricerca altrettanto approfondita che rivela altri aspetti di un protagonista del ‘900 fonte di continue scoperte e sorprese sulla sua proteiforme espressione artistica.
Avevamo detto che de Chirico avrebbe definito la ricostruzione di Benzi “Il film della mia vita” perché l’itinerario esistenziale e artistico è accompagnato dalle illustrazioni con i dipinti che ne scandiscono i tanti momenti; ebbene, nella mostra è come se quel film venisse proiettato, con un diverso autore e regista ma con lo stesso protagonista assoluto del XX secolo dove – sono parole di Barbero – “solo due grandi gladiatori si sono contesi l’invenzione di un nuovo mondo: la realtà smisurata di Pablo Picasso e l’universo inventato e demoniaco di Giorgio de Chirico”, nei modi diversi ma convergenti definiti così da Ester Coen: “Picasso smonta per riassemblare, de Chirico assembla per smontare”, cioè, aggiunge Barbero, “de Chirico è in grado di trasporre in emblema, in immagine, tutta la recente tradizione”. E questo trattandosi di “un antesignano e un anticipatore”: parte da Giotto e crea le premesse per il surrealismo, mentre la sua pittura è “popolata di archeologi, manichini, cavalli al galoppo su spiagge di gesso e interni colmi di oggetti. Il mondo di de Chirico è abitato da gladiatori, impegnati in combattimenti farsa, dai corpi deformati come gomma fusa, colli ipertrofici, giochi tra animali preistorici e abitanti di Marte che si aggomitolano e s’imbrogliano l’uno l’altro”.
Una visione cinematografica della galleria di opere, questa di Barbero, che apre il “Film della mia opera”, direbbe il maestro, dopo la definizione del libro di Benzi “Il Film della mia vita”. Vita e opera, del resto, strettamente connesse, di cui Barbero ci dà una nuova, intrigante visione.
Partiamo dalle immagini delle opere esposte nelle 8 sezioni per risalire alla vita, seguendo l’approfondimento di Barbero, come siamo partiti dalla vita per commentare le opere seguendo la ricostruzione di Benzi nella prima parte della trilogia. Iniziamo dalle prime 2 Sezioni, per far seguire poi una visione d’insieme delle altre 6 sezioni, con una carrellata di un’opera a sezione, per delineare le successive tappe di un itinerario tanto movimentato nell’arte e nella vita.
Tra la mitologia e l’autobiografia, fino all’illuminazione metafisica
Le prime due opere della 1^ sezione, “La nascita di una mitologia familiare”, sono la “Lotta di centauri”, e il “Centauro morente”, del 1909, espressive dell’avvio del suo itinerario artistico ed esistenziale, tra Monaco dove, dopo la morte del padre, era approdato insieme alla madre e al fratello ma poi rimase solo, e Milano, dove i suoi due familiari si trasferirono perché in Italia c’erano migliori prospettive nel campo musicale nel quale cercava di affermarsi il fratello. Fu una fase con un forte influsso tedesco, che inizia già in Grecia dove nel suo apprendimento accademico fu fortemente influenzato da docenti formatisi in Germania, nelle Accademie d’Arte.
A Monaco trovò una nuova patria, legata al passato in senso classico ma radicata nel presente in senso romantico. Poté approfondire, nella loro terra, il pensiero filosofico di Nietsche e Schopenauer, la Germania era anche la nazione in cui nel 1892 c’era stata la “Secessione” nell’arte, imperava il simbolismo al quale Blocklin, cui si ispirò visibilmente, aveva dato un’ impronta, non più letteraria, ma riferita alla mitologia rivissuta in chiave contemporanea con una intensa drammaticità espressa nel linguaggio pittorico oltre che nel contenuto. Anche Klinger fu un suo ispiratore, specie per i due dipinti citati, scossi da una violenza ancestrale: lo scontro belluino nel primo, tra figure protese in una fisicità esasperata, il corpo quasi dissolto nel secondo sulla terra dove giace riverso in uno scenario che oggi definiremmo lunare nella sua asprezza e solitudine, c’è anche il riflesso autobiografico della morte del padre, ed è quasi un’anticipazione del terzo dipinto.
Quindi non vanno visti soltanto in chiave artistica, bensì anche in chiave personale. La lotta dei centauri richiama quella mitica tra loro e i guerrieri lapiti nella Tessaglia, la terra del suo luogo natale, Davos, il centauro morente ricorda il padre, per cui, osserva Barbero, “il tema mitologico sviluppa dunque anche una dimensione psichica che rende ogni dipinto un tassello della variegata vicenda biografica dell’artista”. Al mondo “olimpico” della patria di origine si sovrappone l’ideale romantico della terra di adozione, e non c’è cesura tra le due visioni, derivando anche la seconda dalla terra di Grecia culla della civiltà.
Il mondo primigenio, in una chiara trasposizione autobiografica, è in chiara evidenza nella terza opera, dello stesso 1909, “La partenza degli Argonauti”, dipinta all’arrivo a Milano. Dal cupo dramma dei centauri, ambientato negli stessi luoghi con il monte Polio a lui familiare, con il centauro morente, evocativo della grave perdita sofferta, a un’immagine che ne è quasi la conseguenza. La partenza ormai indifferibile dei fratelli, impersonati negli Argonauti – venendo meno i motivi della permanenza in Grecia rispetto ai richiami di altre terre per il loro futuro – “cela un’apparente quiete, incarna il senso del tempo dechirichiano, che è idillio e al contempo presagio del principio di una grande avventura”. E’ quella di Giasone alla conquista del vello d’oro, cui si richiama quella dei fratelli de Chirico, “esploratori pronti per nuove partenze”, nelle parole di Giorgio del 1918. “Il viaggio degli eroi verso l’ignoto diventava la metafora dell’avventura intellettuale dei due fratelli per terre straniere”, commenta Barbero. E ricorda la figura di Medea, protettrice di Giasone, interpretata dalla Callas nel celebre film di Pasolini, in cui il “presagio della tragedia, nel cinema come nella pittura dechirichiana, è dato da una dimensione meta-antica”.
Non solo nella tragedia, anche nei temi familiari torna la dimensione meta-antica, come nel “Ritratto del fratello Andrea”, 1909-10, l’intera figura è vista di profilo davanti a una finestra in atteggiamento teatrale, mentre sullo sfondo si intravede un piccolo centauro, quasi un “memento”. Il legame con il fratello è stato forte, soprattutto nella prima parte della vita con le comuni peregrinazioni nei trasferimenti da una città all’altra, da una nazione all’altra, e anche nell’arte con le anticipazioni del fratello nei suoi scritti di temi e motivi da lui sviluppati nelle sue opere. Si raffigurerà con lui nel 1924 in “Autoritratto con il fratello Andrea ‘I due Dioscuri’)”.
L’”Autoritratto (‘Et quid amabo nisi quod aenigma est’?)”, del 1911 , ci fa entrare ancora di più nella sua compenetrazione con il mondo tedesco, questa volta nel versante filosofico di Nietsche, la testa di profilo appoggiata alla mano come in una celebre immagine del filosofo, il profilo è dalla parte opposta, con la scritta sull’enigma che accentua l’identificazione. “Il dipinto – per Barbero – segna l’evidente superamento di una dimensione simbolica per un primo passo verso l’eterno enigma della metafisica, muovendo però dalla grande stagione della pittura rinascimentale”. Nello stesso anno “Ritratto della madre”, “a sancire la granitica presenza della centauressa anche in questi anni parigini”, che sono solo agli inizi, ma già entra in contatto con il poeta Apollinaire che avrà su di lui grande influenza, aggiungendosi a quella tedesca, da Nietsche a Shopenauer.
Mentre in un altro “Autoritratto”, del 1912-13, è di profilo come Nietsche, ma senza appoggiare la teta alla mano, forse perché il richiamo non serve più, al margine posteriore si staglia visibile per metà una grande torre conica da “Piazza d’Italia”: entriamo così nella dimensione metafisica.
E’ Torino, “la città che gli si apre come un teatro”, a impressionarlo fortemente, nella sosta di due giorni che vi fece nel 1911 in viaggio da Milano a Parigi, visitando l’Esposizione per il cinquantenario dell’Unità d’Italia; pur nel clima patriottico della celebrazione si fa fotografare sotto la statua di Nietsche che, come ebbe a scrivere, “fu il primo a sentire l’infinita poesia che si sprigiona da questa città tranquilla ed ordinata, costruita su una pianura adorna di dolci colline, di parchi romantici, di castelli e di palazzi solenni… E’ stato Nietsche che per primo indovinò l’enigma di quelle vie dritte, affiancate da case rette da portici”.
Questo mistero irrompe nei dipinti del 1912, “Les plaisirs du poete”,. e “La matinèe angoissante”, e del 1914, “L’enigma di una giornata” e “L’enigma del cavallo”, è l’esplosione della pittura metafisica con le “Piazze d’Italia” , dopo la “rivelazione” nella Piazza di Santa Croce a Firenze davanti alla statua di Dante evocata in “L’enigma di un pomeriggio d’autunno” dell’ottobre-novembre 1910, non presente in mostra. Nelle opere esposte ci sono tutte o in parte e in vario modo le ombre nette e le arcate profonde, le minuscole figure umane disperse nel deserto assolato, il treno sbuffante; al centro una figura statuaria o una fontana: c’è la sua Metafisica.
Apollinare scriverà nel 1913 quella che sembra una descrizione fedele dei quadri creati l’anno precedente: “Sono stazioni ornate da un orologio, delle torri, delle statue, delle grandi piazze deserte; all’orizzonte passano dei treni ferroviari”. L’artista ha voluto rendere “il senso profondo delle cose, che Briganti nel 1979 identifica “nel fantasma letterario della malinconia e della meditazione, in nostalgiche scenografie di sfuggenti spazi deserti, nel vuoto di favole e mitologie senza tempo, nell’assenza di vita e nel silenzio, nel fascino immaginato di un clima sentimentale che non ha riscontro nella realtà ma solo nella memoria”.
Gli “enigmi” della metafisica, tra malinconia e ansia dell’ignoto
A “Parigi la concretizzazione dei misteri”, il titolo della 2^ Sezione è misterioso esso stesso, trattandosi di un ossimoro, i misteri sono per loro stessa natura astratti e imperscrutabili, ma proprio per questo rende alla perfezione l’ “enigma” della metafisica, l’immaginario calato nella realtà.
La malinconia evocata da Briganti si trova negli scritti poetici di de Chirico, quando parla di “pensate d’amore e di malinconia/ la mia anima si trascina / come una gatta ferita/… Bellezza delle alte ciminiere rosse./ Fumo solido./ Un treno fischia. Il muro”; e pervade le sue opere di quegli anni. Alta ciminiera rossa, fumo, treno che fischia e muro in “La surprise”, 1913, con in più mezza statua e un cannone, che evoca ricordi familiari essendo l’unica arma citata dal padre anche perché era a difesa delle città sul mare dalle invasioni, e insieme memorie di una storia partecipata, la guerra greco-turca; due minuscole figure umane dalle lunghe ombre rendono la solitudine e l’abbandono, in una composizione di taglio verticale.
E’ una malinconia velata di nostalgia: giunge a Parigi il 14 luglio 1911, nel giorno della grande festa nazionale dei francesi, dopo la Grecia, la Germania e l’Italia, che hanno lasciato un segno dentro di lui, e anche se ha conosciuto attraverso Soffici la pittura di “Rousseau” il Doganiere, è un mondo nuovo nel quale è deciso a inserirsi esponendo i suoi quadri e frequentando gli ambienti artistici. Non si lascia influenzare – come invece avviene per la gran parte degli artisti approdati in Francia – né dai grandi del momento né dalle avanguardie, e questo viene apprezzato da Apollinaire che nel 1913 scrive di lui: “Non viene né da Matisse né da Picasso, e non deriva dagli impressionisti. Questa originalità è talmente nuova che merita di essere segnalata”.
Frequenta la sua casa e riceve in anteprima per una lettura privilegiata le sue poesie, tra cui il poema simbolico e autobiografico “Le poete assassinè” nel quale l’autore è impersonato nel protagonista, “il divinatore del tempo”, e ispira nel 1914 il “Portrait de Guillaume Apollinaire” in cui de Chirico lo raffigura con un bersaglio sulla tempia, punto in cui poi fu ferito in guerra; non fu premonizione, l’immagine era nel poema, Apollinaire la definì “opera singolare e profonda”. Alla sua morte, nel 1818, de Chirico scrisse di lui: “…un uomo macerato nel bagno caldo della malinconia universale. Di malinconie ne conosceva più di una; anzitutto quella del senzapatria”, da lui esule condivisa, con “le spirali della sua cronica malinconia di poeta dal destino triste”.
Allontaniamo la malinconia con l’arte, sottolineando come sia originale il posto della scultura nei dipinti di de Chirico. La scultura nella pittura in diverse modalità compositive, a partire dalla statua monumentale, è utilizzata in termini quanto mai innovativi, sebbene possa sembrare un residuo passatista, e proprio per questo è più intrigante. Cristina Beltrami osserva che, dopo la prima fase di “mitologia familiare”, “negli anni di elaborazione della pittura metafisica il monumento diviene l’elemento imprescindibile che connota le sue piazze assolate come italiane, e tocca dunque la nodale questione dell’appartenenza nazionale”. E aggiunge: “La scultura diviene poi il dispositivo visivo che crea i cortocircuiti logici degli anni ferraresi e muta in una presenza ironica, enigmatica certo, ma soprattutto beffarda, a partire dagli anni venti; momento in cui egli stesso si ritrae in un processo di pietrificazione”.
Tornando alle opere, c’è una torre conica bianca, come quella visibile a metà nell’“Autoritratto” prima citato invece della ciminiera rossa, ma sono presenti gli altri elementi con una fuga di arcate nell’ombra, in “Ariadne”, 1913. La malinconia si incarna nella statua di Arianna addormentata, distesa al centro con la testa reclinata e il braccio che la circonda, intorpidita dal dolore per l’abbandono da parte di Teseo che aveva aiutato a uscire dal labirinto, dopo l’uccisione del Minotauro: “Sonno e sogno – ha scritto Paolo Fossati – sono condizioni di malinconia, di nostalgia per una inafferrabilità…”. Arianna torna spesso nelle “Piazze d’Italia”, anche in atteggiamenti meno remissivi, del resto fu risvegliata da Bacco, e la coppia Bacco e Arianna è entrata nella leggenda superando l’abbandono di Teseo, ancora il mito, dunque, sull’onda dei versi immortali di Ovidio.
Scenario analogo, arcate sulla destra, muro nello sfondo con il treno sbuffante e in più una vela bianca, in “L’incertezza del poeta”, sempre del 1913, ma alla malinconia di Arianna abbandonata si sostituisce l’enigma del busto di statua femminile mutila di testa ed arti affiancata da banane, si distinguono tre caschi e una banana isolata. Barbero si richiama alla “disposizione delle cose” – altro motivo saliente della sua poetica artistica – che “grazie alle associazioni spaesanti e inattese degli oggetti, tocca le corde della psiche più profonda e rivela quel demone celato dietro l’apparenza delle cose sulla quale si reggerà l’impalcatura, visiva e teorica, della metafisica”. Lo stesso de Chirico, in uno scritto tra il 1911 e il 1913, aiuta a capire ciò che in apparenza è incomprensibile: “Sentimento africano. L’arco è là da sempre. Ombra da destra, a sinistra… Una vela; naviglio dolce dai fianchi così teneri. Treno che passa: enigma. Felicità del banano; voluttà di frutti maturi, dorati, dolci”.
In aggiunta a questa precisa descrizione, aiuta ad interpretare questo e altri dipinti sulla stessa linea compositiva quanto scriverà nel 1943 nel “Discorso sul Meccanismo del pensiero”: “Le immagini che passano nella nostra mente prendono la forma di immagini visive, tattili, uditive, olfattive e del senso del sapore… Cerchiamo ora di analizzare le immagini esistenti nel nostro spirito e raffiguranti dei concetti, dei sentimenti o delle idee metafisiche. La visualità cerebrale è molto più sviluppata delle visualità dei nostri occhi. La fantasia ci aiuta a creare queste immagini, o visioni, che a volte sono strane e poco assomigliano alla realtà. Sono immagini che piuttosto somigliano a un sogno e la loro chiarezza e la loro precisione variano come nei sogni”. Forse la “voluttà di frutti maturi, dorati e dolci”, come le banane, si associa a un sogno erotico, il busto femminile, sia pure statuario, ci ricorda un’antica vignetta della nostra adolescenza, con un analogo busto femminile mutilo e la scritta allusiva “parto ma ti lascio la parte migliore di me”.
L’anno successivo, in “Le printeps de l’ingénieur”, 2014, le arcate nell’ombra, bene in vista nei due dipinti del 2013 appena citati, pur se in primo piano e non sulla destra ma frontali, quasi “una quinta occlusiva”, scompaiono nel “senso nascosto delle cose” evocato da Fagiolo dell’Arco; perché irrompe il “quadro nel quadro” – che diventerà abituale in questo periodo – con un’immagine luminosa, definita “presenza fantasmica”, che evoca “una Grecia perduta, una primavera della vita e dell’esistenza incarnata da una dea, quando l’ingegnere – il padre – era ancora presente”. Resta la “mitologia familiare” al centro, fatta di leggende ancestrali e di memorie personali, ma in questo caso si aggiunge un senso claustrofobico, per il momento scacciato dalla luce della dea, ma che torneerà in modo sempre più pressante.
Barbero lo definisce “un dipinto rivelatore, grazie al quale si comprende la regia che sottenderà le prospettive metafisiche ferraresi, con un punto di vista infinitamente più prossimo all’osservatore”. E ne descrive gli elementi innovativi: “Non c’è più l’allungamento e lo spaesamento creato dall’ombra, l’inquietudine data dallo spazio aperto e silenzioso, ma sarà una contrazione di oggetti nello spazio concluso, dei contenitori che lasciano al massimo intuire una porzione di esterno ma senza alcun riferimento naturalistico”. Con questo risultato: “Tutto è inquietante presenza fantasmatica dalla quale i surrealisti attingeranno a piene mani”, con la particolarità che mentre “la metafisica è distaccata dalla vita, il surrealismo invece resta ancorato all’idea del sogno”, e in tal modo, secondo Fossati, “compie un passo indietro, torna a pasticciare fra arte e vita, a confondere modi e fini, mezzi e significati”.
Passa ancora un anno, ed ecco il dipinto che ebbe il potere di “folgorare” i surrealisti, “L’inquietudine de l’amie ou l’astronome”, 1915, mentre per de Chirico è l’ultima apertura all’esterno prima dell’incombente chiusura claustrofobica, e che apertura! La finestra degli “Autoritratti” e del “Ritratto della madre”, puro sfondo monocromatico, si accende del cielo azzurro con le nuvolette bianche orizzontali, mentre un edificio bianco a sinistra illumina maggiormente la scena. Questo, però, accentua ancora di più la ristrettezza dell’interno in cui ci sono una lavagna nera e un manichino diverso dai celebri “Trovatore” e simili, con una fenditura della testa a uovo nella parte della bocca che ritroviamo nel disegno dello stesso 2015 “Il poeta e il filosofo” e dell’anno successivo, “Il filosofo e il poeta” del 2016. L’“inquietudine”, resa visivamente da questo contrasto, sembra riferirsi all’”amico” al quale nel 1914 aveva dedicato il “Ritratto di Guillaume Apollinaire” e agli altri che sentiva vicini, arruolati e mandati al fronte; per “l’astronomo” l’apprensione che anche Ebdòmero – il personaggio altamente simbolico del suo romanzo del 1929 – proverà nel guardare la profondità del cielo, che attraverso la grande finestra entra con forza nel quadro.
La “Grande guerra” irrompe poco dopo nella vita di de Chirico, che lascia Parigi alla fine del 1915 per arruolarsi a Ferrara dove, destinato a un ufficio e non al fronte, troverà ispirazione per una nuova Metafisica, nella quale la “disposizione degli oggetti” e il senso claustrofobico degli interni chiusi e ristretti si aggiungerà a motivi contingenti, ispirati dal luogo e dai riferimenti alle rivendicazioni territoriali. Parleremo prossimamente della metafisica “ferrarese”, oggetto della 3^ Sezione della mostra, cui ne seguiranno altre 5, ora diamo una visione a volo d’uccello delle altre 6 Sezioni con un’opera-campione per ciascuna, per fornire un quadro preliminare d’insieme dell’itinerario artistico che intendiamo ripercorrere.
In sei opere presentiamo le prossime sei tappe dell’itinerario artistico
La 3^ tappa sarà dunque “Ferrara, l’officina delle meraviglie”, lo colpisce quella città “metafisica” con i negozietti soprattutto nel quartiere ebraico, che esponevano pane dalla forma speciale, biscotti anch’essi di tipo particolare e tanti oggetti. Nasce così la metafisica “ferrarese” in cui, oltre a quanto ora indicato, nelle composizioni si trovano anche squadre da disegno e listelli, fino a rappresentare strutture a sostegno del soggetto della composizione; entrano in scena i manichini, e i “quadri nel quadro”, che raffigurano officine, ville, carte geografiche evocative delle rivendicazioni territoriali, con incastellature lignee. Come “campione” di questo momento artistico presentiamo “Il Trovatore” del 1917, non esprime i contenuti “ferraresi”, ma è una vera pietra miliare replicata più volte, spesso con varianti nei decenni successivi.
Dopo Ferrara, nella 4^ tappa, gli “Anni venti”, con la svolta classicista delle Ville romane e non solo, dopo i manichini tornano le figure umane in carne e ossa, come “Ulisse “ e “Lucrezia, e l’artista si immerge nella rivisitazione dei Maestri antichi, anche con copie e “d’aprés”, utilizzando persino la tecnica d’epoca a tempera per una completa identificazione; anche nelle “nature morte” compaiono busti classici nei quali continua a esprimersi la nostalgia per la sua terra natale, culla della classicità. Il “campione” che presentiamo di questa fase è “Ottobrata” del 1924.
“La metafisica come ‘ritornante’” , è la 5^ tappa di un percorso, umano e artistico, in cui c’è “l’eterno ritorno” di un’ispirazione che non è mai svanita e accompagna la svolta classicista negli stessi anni, del resto anche in Picasso c’era una compresenza di cubismo e classicismo nello stesso periodo. Imperversano i manichini nelle varie personificazioni, dal “Figliol prodigo” ad “Ettore ed Andromaca” fino agli “Archeologi” e ai “Filosofi” con l’invenzione del torace imbottito di ruderi o libri, in una compenetrazione materica a simboleggiare quella intellettiva es esistenziale. Come “campione” abbiamo “”L’archeologo” del 1927, disteso mollemente con le colonne incorporate.
Nella 6^ tappa, “Le stanze dei giocattoli”, le altre “invenzioni” del “Tempio in una stanza” con anche rocce e alberi all’interno, speculare rispetto ai “Mobili nella valle” o nella spiaggia, composizioni che appaiono stravaganti ma alle quali ci sono spiegazioni chiare e rivelatrici. Siamo sempre negli anni ’20, c’è la compresenza nella stesso periodo dei cavalli rampanti e anche di figure umane con rotondità renoiriane, di certo è un decennio di straordinaria fecondità creativa. Abbiamo scelto come “campione” “Ma chambre dans le midi” del 1927, quanto mai eloquente.
“Un viaggio nell’enigma” è la 7^ tappa, anche se l’enigma ci accompagna nell’intero itinerario dechirichiano: però lui stesso, nei suoi copiosi scritti, fornisce elementi ai quali l’approfondimento critico di Benzi, nel suo “De Chirico. La vita e l’opera”, e di Barbero, nei propri saggi illustrativi nel Catalogo della mostra definibili “De Chirico. L’opera e la vita” aggiungono chiare chiavi interpretative. In questa penultima tappa del viaggio incontriamo nuovi protagonisti enigmatici, i”Gladiatori” e i “Bagni misteriosi”, il nostro “campione” è proprio l’opera “Gladiateurs (Gladiatori)” del 1928, tutto è di nuoco cambiato e siamo ancora negli anni ’20!
L’8^ e ultima tappa, “Gli artifici della pittura” ci porta alla “vexata quaestio” delle repliche delle opere metafisiche della prima ora, viene data una spiegazione legata alle sue concezioni dell’”eterno ritorno”, va alla ribalta la “Neometafisica” con toni brillanti e un’atmosfera “gioiosa” al posto della sospensione ansiosa della prima Metafisica. Inoltre, nell’immancabile compresenza di temi e di stili, la teatralizzazione degli “Autoritratti in costume” e non solo. L’ultimo ”campione” sono “Le Muse inquietanti”, che diede inizio a duplicazioni e repliche, dalla prima del 1919 per Breton, alle tante riproposizioni, quella che presentiamo è della fine degli anni ’50.
Nell’accingerci a compiere queste tappe nelle sei sezioni che seguono le prime due già commentate, rivolgiamo ai lettori il saluto con cui Barbero conclude la sua presentazione della mostra: “Benvenuti dunque nel palazzo incantato immaginato da de Chirico”. Il curatore si riferisce alla definizione data da Maurizio Calvesi nel 1992, dieci anni dopo la grande mostra di de Chirico a New York: “L’artista che meglio di ogni altro ha compreso e impersonato la condizione culturale del nostro secolo, portiere di notte di uno splendido palazzo i cui inquilini si sono ritirati a dormire”. Siamo già entrati in questo palazzo, vi troveremo ancora tante intriganti sorprese.
Info
Milano, Palazzo Reale, Piazza del Duomo, 12. Tutti i giorni apertura ore 9,30, chiusura lunedì ore 14,30, martedì, mercoledì, venerdì, domenica ore 19,30, giovedì, sabato ore 22,30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.. Biglietti, intero euro 14, ridotto 12, ridotto speciale 6, famiglie 1, 2 adulti euro 10, da 6 a 14 anni euro 6, gruppi euro 10, scuole euro 6. Info e prenotazioni tel. 02.92897740. Catalogo “De Chirico” a cura di Luca Massimo Barbero, Editore Marsilio/ Electa , settembre 2019, formato 23 x 32; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Questa narrazione della mostra di Milano è la quarta parte della rievocazione di de Chirico nel quarantennale della scomparsa, dopo la trilogia costituita dal libro di Fabio Benzi sulla “Vita e l’opera” e dalle mostre di Genova sul “Volto della metafisica” e di Torino sul “Ritorno al futuro” degli epigoni; a questo primo articolo sulla mostra di Milano ne seguiranno 2 che usciranno il 24 e il 26 novembre 2019 e concluderanno la celebrazione. Per le parti precedenti i nostri articoli sono usciti, sempre in questo sito, tutti nel settembre 2019 alle seguenti date: per la terza parte della trilogia, sulla mostra di Torino, il 25, 27, 29; per la seconda parte, sulla mostra di Genova, il 18, 20, 22; per la prima parte della trilogia, sulla ricerca di Fabio Benzi, il 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15, sempre nel settembre 2019. Cfr. i nostri articoli precedenti su de Chirico: in www.arteculturaoggi.com, nel 2016, “De Chirico, tra arte e filosofia nel trentennale della Fondazione” 17 dicembre; “De Chirico, e la Fondazione, la realtà profanata tra filosofia e pittura” 21 dicembre; sulle mostre: nel 2015, “De Chirico, a Campobasso la gioiosa Metafisica” 1° marzo, nel 2013 a Montepulciano, “L’enigma del ritratto” 20 giugno, “I Ritratti classici” 26 giugno, “I Ritratti fantastici” 1° luglio; in “cultura.inabruzzo.it: nel 2009 sulle mostre a Roma “I disegni di de Chirico e la magia della linea” 27 agosto, a Teramo “De Chirico e altri grandi artisti del ‘900 italiano” 23 settembre, a Roma “De Chirico e il Museo” 22 dicembre; nel 2010 a Roma “De Chirico e la natura”, tre articoli l’8, il 10 e l’11 luglio, e la mostra parallela, “L”Enigma dell’ora’ di Paolini, con de Chirico al Palazzo Esposizioni” 10 luglio (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, comunque forniti a richiesta); in “Metafisica”, “Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico”, n. 11/13 del 2013, a stampa “De Chirico e la natura. O l’esistenza? Palazzo Esposizioni di Roma 2010”, pp. 403-418, anche nell’edizione inglese dei “Quaderni”, “Metaphysical Art”, n. 11-13 del 2013, “De Chirico and Nature.Or Existence? The Exhibition at Palazzo Esposizioni Rome 2010”, pp. 371-386. Sugli artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com Ovidio 1, 6, 11 gennaio 2019, Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Impressionisti 5 febbraio, 12, 18, 27 gennaio 2016, Matisse 23 maggio 2015, Secessione 21 gennaio 2015, Pasolini 27 maggio, 15 giugno 2014, 11, 16 novembre 2012; in cultura.inabruzzo.it, nel 2010: Teatro del sogno 7 novembre e 1° dicembre, Paolini 10 luglio, Impressionisti 27, 29 giugno, Dada e surrealisti 6, 7 febbraio; nel 2009, Picasso 4 febbraio; fotografia.guidaconsumatore, Pasolini maggio 2011 (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
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Le immagini delle opere di de Chirico sono state riprese dal Catalogo, tutte meno 4 (perché in doppia pagina), si ringrazia l’Editore, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Le 4 immagini non riprese dal Catalogo sono tratte dai siti di seguito indicati, di cui si ringraziano i titolari per l’opportunità offerta con la loro disponibilità “on line”, pronti a rimuoverle su semplice loro richiesta: la n. 2 è tratta dal sito qkg.images.co.uk, la n. 3 da taorminainforma.it, la n. 12 da arte.it, la n. 13 da pinterest.cl. Le prime 9 immagini sono per le due sezioni iniziali della mostra, commentate nel presente articolo; le altre 6 immagini per ciascuna delle sei sezioni successive, commentate nei prossimi due rticoli. Tutte immagini diverse da quelle inserite negli altri 13 articoli della “trilogia de Chirico”, 15 ogni articolo, alle quali si rinvia per una visione più completa del “Film” della vita e dell’opera del grande Maestro. In apertura, “Autoritratto” 1912-13; seguono, “Les plaisirs du poète” 1912, e “L’enigma di una giornata” 1914; poi, “L’enigma del cavallo” 1914, particolare, e Le matinée angoissante” 1912; quindi, “La surprise” e “L’incertezza del poeta” , 1913; inoltre, “Le printemps de l’ingénieur” 1914, e “L’inquietudine de l’amie ou l’astronome”, 1915; ancora, – da qui le 6 immagini “campione” delle sei sezioni restanti – “Il Trovatore” 1917, e “Ottobrata” 1924; continua, “L’archeologo” e “Ma chambre dans le midi” , 1927; infine, “Gladiateurs (Gladiatori)” 1928 e, in chiusura, “Le Muse inquietanti” fine anni ’50.
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