di Romano Maria Levante
La mostra “Michelangelo a colori”, aperta a Palazzo Barberini dall’11 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, espone un serie di dipinti, accuratamente selezionati, a raffronto con i disegni di Michelangelo ai quali si sono ispirati, e anche tra loro. La mostra è curata da Francesca Parrilla e Massimo Pirondini, con il coordinamento scientifico e organizzativo di Yuri Primarosa e si avvale della collaborazione del Museo Gonzaga di Novellino. Catalogo di De Luca Editori d’arte.
Un’ulteriore sorpresa delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, per molti si tratta anche di una scoperta. La direttrice Flaminia Gennari Sartori ci regala un’altra “chicca” negli originali “cluster” espositivi con i quali ha innovato positivamente rispetto ai criteri tradizionali. E presenta così la sorpresa o comunque la dimostrazione pratica portata visivamente davanti ai visitatori: “Giocando sulla doppia rappresentazione dei principali temi sacri trattati dal Buonarroti ripresi puntualmente da pittori diversi è possibile cogliere lo stretto legame esistente tra le opere esposte, messe per la prima volta a confronto tra loro, e i disegni del grande artista toscano, esposti in riproduzione”.
I confronti di Venusti, Orsi, Pino, tra loro e con Michelangelo
Il primo confronto diretto, anche per gli addetti ai lavori, è tra l’”Annunciazione” di Venusti della Galleria Corsini e l’”Annunciazione” di Lelio Orsi del Museo Gonzaga di Novellino, prestito ottenuto per quella che viene definita “fruttuosa collaborazione”. Ambedue le opere richiamano il disegno dell’”Annunciazione” di Michelangelo, appartenente alla Pierpont Morgan Library di New York, ed esposto in un confronto di grande interesse sul piano artistico, storico e culturale.
Altro confronto molto significativo tra due ”Orazioni nell’orto”, di Venusti, anche questa volta con riferimento all’omonimo disegno di Michelangelo che si trova agli Uffizi, anch’esso esposto. Sempre di Venusti, anche La “Madonna del Silenzio” viene raffrontata ugualmente al disegno di Michelangelo della Horley Gallery, Weilbeck. Seguono i momenti della Passione di Cristo successivi all’Orazione nell’orto. “Crocifissione”, “Deposizione”, in un film cristologico che si dipana dinanzi agli occhi del visitatore nel continuo confronto tra i disegni di Michelangelo e i dipinti di artisti che vi si sono ispirati, ancora Venusti con Marco Pino, anche loro a confronto.
Yuri Primarosa rivela come tutto è nato dall’offerta della direttrice del Museo Gonzaga di Novellino di esporre l’”Annunciazione” di Lelio Orsi a Roma, alle Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Di lì, a cascata, l’idea di porla a raffronto con l’omonima opera di Venusti esistente nella Galleria Corsini, e poiché sono entrambe ispirate al disegno di Michelangelo, al raffronto tra loro si è aggiunto quello con l’opera del grande Maestro.
Perché a cascata? La risposta è semplice, da questo spunto è nato il progetto scientifico prima che espositivo, di considerare ulteriori opere ispirate ai disegni di Michelangelo, sia di Venusti, sia di altri artisti. “Elementare, Watson”, si direbbe, ma di certo è eccezionale che questo avvenga per la prima volta per il pubblico dei visitatori. Va aggiunto che i confronti sono illustrati con le nuove acquisizioni di natura storica e critica, documentaria e anche diagnostica ottenute proprio in rapporto con la mostra e la sua preparazione. Si è andati ben oltre, quindi, la normale curatela.
E’ interessante, dalle vite e dal percorso artistico di Venusti e Orsi, ricercare il rapporto con Michelangelo, che è l’elemento centrale del progetto espositivo e della sua realizzazione; ed evidenziare le rispettive peculiarità che ne fanno meglio apprezzare il confronto diretto.
Venusti e Michelangelo
Marcello Venusti, nato inteono al 1512, per la tendenza alle riproduzioni michelangiolesche, è stato definito “copista”, ma in lui c’è anche l’influenza di Raffaello nella dolcezza delle espressioni e nella sensibilità cromatica, tanto che Pasquale Coddè nel 1837 lo definì “il Raffaello di Mantova”.
Arriva a Roma dove incontrerà Michelangelo dopo l’avvento nel 1534 di papa Paolo III della famiglia Farnese, che promosse la rinascita delle arti dopo il “sacco di Roma” del 1527 che aveva inferto un grave colpo alla città rinascimentale di Clemente VII. Gli artisti che l’avevano lasciata per sfuggire alle violenze rientrano a Roma, tra loro gli eredi di Raffaello e Michelangelo subito impegnati nei cantieri di Castel Sant’Angelo e nella costruzione della nuova Basilica di San Pietro.
Venusti entrò nel gruppo di artisti sotto la guida di Perin del Vaga coordinatore dei progetti papali che conobbe mentre Perin era impegnato a realizzare la “Spalliera” del Giudizio Universale nella Cappella Sistina, su incarico di Paolo III. Lui stava riproducendo su un foglio di modeste dimensioni il grande affresco michelangiolesco rivelando un talento e un’attitudine per quel particolare lavoro artistico che non sfuggì al coordinatore papale; era il 1541-42, come risulta dalle due lettere dell’ambasciatore mantovano Nino Sernini rivolte al cardinale Gonzaga.
Nel 1549 dipinse la copia del “Giudizio Universale”, sempre in dimensioni ridottissime, su incarico del cardinale Farnese che intendeva conservare la memoria dell’opera di cui veniva chiesta l’eliminazione secondo i rigidi dettami della Controriforma che non tollerava l’esibizione di nudi e non solo; poi fu mantenuto l’originale del grande affresco, salvato ma “censurato” nelle parti del corpo ritenute invereconde con l’intervento di Daniele da Volterra, soprannominato “braghettone”.
Il dipinto lo riproduce com’era, ma Francesca Parrilla osserva: “Tuttavia, la versione venustiana mitiga la potenza della composizione michelangiolesca,, non solo per il piccolo formato, ma anche per la grazia e la gentilezza dei volti della Madonna e di Cristo, nei quali prevale un’espressione di dolcezza in contrasto con l’austerità delle fisionomie sistine”: è l’impronta di Raffaello. Altre differenze, non di stile ma di contenuto, sono: l’aggiunta in alto, al centro, dell’immagine del Padre eterno in volo e dello Spirito santo in forma di colomba; e in basso, a sinistra, del volto di Michelangelo, un omaggio del “copista” all’autore del grande affresco.
Ma quando ci fu l’incontro di Venusti con Michelangelo? L’accurata ricostruzione della Parrilla riporta quanto documentato nel 1959 da Johannes Widea che cita la corrispondenza del segretario vaticano Giovanni Francesco Brini, morto nel 1556, il quale lo definisce “mantovano dipintore deputato già da Paolo b[uona] m[emoria] à seguitar la Cappella nuova” con Michelangelo in età avanzata e non in buona salute. Tanto che sostituì Michelangelo come “perito estimatore” a Trinità dei Monti degli affreschi di Daniele da Volterra quando al rifiuto del Maestro nel 1553 scattò la clausola che poteva essere scelto chi gli era vicino, e i della Rovere lo scelsero come “suo allievo”.
Altri indizi si ricavano dalla lettera che nel 1557 Cornelia Colonnelli, vedova di Raffaello, scrisse a Michelangelo, nella quale si legge: “Io desidarei che per mezzo vostro messere Marcello ne facesse due, di quelli medesimi”, cioè dipinti ispirati ai disegni del Maestro che erano visibili soltanto ai suoi stretti collaboratori. Addirittura la Parrilla afferma: “Nei suoi ultimi anni, il rapporto del Buonarroti con la pittura sembra dunque passare prevalentemente attraverso Venusti, che certamente dovette assistere il maestro nei lavori del cantiere paolino, incarico che il vecchio artista aveva accettato controvoglia, anche perché non era ancora conclusa quella che considerò la ‘tragedia’ della sua vita: il sepolcro di Giulio II”.
Il primogenito di Venusti, come ha testimoniato il Baglione, “fu tenuto al fonte battesimale dal Buonarroti e chiamato Michelangelo in suo onore”, e alla morte del padre nel 1579 ereditò i suoi disegni e gli strumenti professionali, del resto era pittore e fu presente a fianco del padre negli anni ’60 e ’70 del ‘500. Da Michelangelo maestro di Venusti siamo a Michelangelo figlio di Venusti, che da allievo di Michelangelo (Buonarroti) diviene maestro di Michelangelo (Venusti). Potenza del nome e dell’arte!
Orsi e Michelangelo
Lelio Orsi nacque nel 1508, quattro anni prima di Venusti, a Novellara, il feudo del quale l’imperatore aveva investito i conti Gonzaga: alla morte del conte Alessandro I il dominio passò nelle mani della vedova Costanza, assistita dal cognato Giulio Cesare Gonzaga, ecclesiastico a Roma come “prelato domestico” del Papa con il quale, quindi, instituì proficui rapporti. Citando le complesse vicende successorie dei Gonzaga, Massimo Pirondini afferma: “Questi saranno per Lelio Orsi i committenti, i protettori, gli amici; per loro il pittore sarà il ‘genius loci’ artistico, l’abile diplomatico, il fidato consigliere di trame politiche e segreti personali, l’animatore dei festeggiamenti, dei grandi eventi, nonché della vita quotidiana della corte di Novellara”; la vicinanza con Mantova lo porta a lavorare all’inizio in tale città, già nel 1930 a 22 anni è definito “maestro” in un documento d’epoca.
Si trasferisce a Reggio Emilia intorno al 1535, lo prova la sua partecipazione a “un rusticano sabba” nel fregio della sala nel cuore della della canonica di un castello in un paesino del reggiano; poi importanti commissioni, come le decorazioni del Palazzo dell’Arte e della Lana e della Torre dell’orologio nella piazza principale con l’affresco “Apollo sul carro del sole”, andato perduto, ma di cui si conservano i disegni al Museo del Louvre. Siamo all’inizio degli anni ’40 del 1500, e pur se la derivazione è soprattutto da Giulio Romano, si avverte la conoscenza del “Giudizio Universale”, del quale circolavano delle stampe: è questo il primo contatto indiretto trovato con Michelangelo.
Torna a Novellara nel 1546, la reggente contessa Costanza lo protegge dall’accusa di complicità in omicidio, che cadrà nel 1522, è impegnato in importanti lavori di trasformazione della Rocca in una sede rinascimentale: si ricorda il “Camerino di Ganimede” in cui agli influssi di Giulio Romano aggiunge, con varianti, “l’idea, tutta romana e michelangiolesca, del giovane rapito dall’aquila, tratto senza alcun dubbio da una qualche derivazione o copia del celebre e perduto disegno, con il ‘Ratto di Ganimede’, donato nel 1533 dal Buonarroti a Tommaso de’ Cavalieri”.
Finora non si hanno indizi di soggiorni romani, ma con l’accresciuto ruolo di Alfonso Gonzaga anche nella Curia vaticana, si trovò ad assisterlo, accompagnandolo in viaggi come quello del 1553 a Venezia, e soprattutto assistendolo a Roma per moderarne gli eccessi del suo “bel vivere”. A Roma resterà stabile un anno, dal dicembre 1954, presso il conte Alfonso, forse impegnato anche nei lavori di ristrutturazione del palazzo, di cui si ha notizia di un disegno di Lelio Orsi.
Contatti con Michelangelo potrebbero essere avvenuti attraverso Tommaso de’ Cavalieri, amico del Buonarroti e consulente per le antichità di Alessandro Farnese, “compagno di baldorie” del conte Alfonso, interessato ai reperti tanto da far effettuare scavi nel giardino e nella propria vigna. Un dipinto di Orsi “La Leda e il cigno” si ispira visibilmente a un rilievo romano del II sec. d. C. A Roma non c’erano più Perin del Vaga e Giulio Romano, scomparsi da 7-8 anni, ma artisti della stessa generazione di Orsi, tra cui proprio Marcello Venusti. “ma su tutti – osserva Pirondini – sovrastava la presenza, silenziosa e immanente, del grande vecchio, Michelangelo, che da neppure un lustro sveva portato a compimento gli affreschi della Cappella Paolina; per tutti nuovo terribile oggetto di imprescindibile meditazione”. Orsi ne fu fortemente influenzato, anche attraverso Venusti che ebbe modo certamente di conoscere. Nella primavera del 1574 Orsi torna a Roma ma sembra per risolvere questioni economiche dei Gonzaga e non per impegni artistici.
Rispetto al grande Buonarroti, viene visto da Pirondini nel dipinto “San Giorgio” a Napoli un “michelangiolismo toccato da brillanti lumeggiature”, e da Briganti, in tanti dipinti di piccole dimensioni destinati ad opere religiose per devozione privata, un “michelangiolismo in miniatura”.
Oltre ai pochi riferimenti michelangioleschi che ci interessano in questa sede per introdurre l’opera in mostra derivata da un disegno del Buonarroti, aggiungiamo che Pirondini, citata la definizione di Longhi come “uno degli artisti più significativi della sua epoca”, lo descrive “fra onnivore sperimentazioni, inquiete e mutevoli esperienze, imprevedibili e personalissime invenzioni, il tutto filtrato e narrato con quella strana ‘Natura ed espressione’, con quel particolare umore emiliano…” tradotto nell’iscrizione che volle sulla sua tomba: “Laelio Urso in architectura magno in pictura maiori et in delineamentis optimo…”.
L’Annunciazione e la Madonna del Silenzio
L’”Annunciazione” di Marcello Venusti, 1550-55 e quella di Lelio Orsi, 1555-60 mostrano la chiara dipendenza dal disegno michelangiolesco della Perport Morgan Library di New York, esposto a confronto in riproduzione. L’ “Annunciazione” di Venusti, che si avvalse direttamente del disegno originale ottenuto dal cardinale Federico Cesi grazie a Tommaso de’ Cavalieri, è più vicina al disegno ispiratore sia nelle figure della Madonna e dell’Angelo, praticamente sovrapponibili, sia nell’atmosfera soffusa senza i forti contrasti che invece appaiono nel dipinto di Orsi, il cui Angelo che sembra balzare dalla finestra nella stanza – quindi è più un’irruzione che una magica apparizione – si differenzia nettamente anche come aspetto e atteggiamento da quello di Michelangelo e di Venusti. praticamente collimanti.
Il dipinto di Orsi è tornato a Novellara, e di qui è venuto a Roma, dopo un’odissea di secoli. Da Modena a Roma nel 1618 per arredare la residenza del cardinale Alessandro d’Este, ma già nel 1624 non figura più nella sua raccolta, forse perché donata a Maffeo Barberini divenuto papa nel 1623; dopo 55 anni risulta appartenere al collezionista padre filippino Sebastiano Resta il quale lo mette in vendita addirittura con un’autentica firmata da una serie di artisti dell’epoca che lo attribuisce al Cotteggio, l’autentica figura ancora nel retro dell’opera; solo dopo la vendita, a seguito di un viaggio in Emilia dove conosce direttamente le opere di Orsi e di Correggio, Resta si accorge dell’errore di attribuzione. Intanto il quadro ai primi del ‘700 è in Inghilterra nella collezione, che comprende altri quadri italiani, di John Churchill, duca di Marlboroogh, condottiero di epiche battaglie contro i francesi, ancora sotto il nome del Correggio. Fu rivenduto mentre apparteneva alla raccolta del 7° duca della dinastia, John Winston Spencer Churchill, nonno del celebre primo ministro inglese che porterà il suo paese alla riscossa nella 2^ guerra mondiale; forse alla metà dell’’800, dato che non figura più nell’inventario della sua raccolta datato 1851 e tanto meno negli elenchi delle due tornate d’asta presso Christie’s del 1886 quando fu alienata parte della sua raccolta dopo la sua scomparsa.
L’opera sparisce per ben un secolo, finché riappare nel 1950 nientemeno che a Roma, sul mercato antiquario, proveniente dall’Inghilterra e attribuita non più al Correggio ma a Venusti; Federico Zeri la attribuì a Orsi in uno scritto del 1952, L’odissea non è finita, l’opera viene acquistata dall’ambasciatore dell’Argentina presso la Santa Sede, Maximo Erchecopar.e trasferita a Buenos Aires, ma nel 1988 viene messa all’asta a Milano, aggiudicata a una galleria londinese, e poi ceduta nel 1991 al notaio italiano Carlo Veneri che la riportò a Reggio Emilia; alla sua morte la famiglia la vendette nel 2002 al comune di Novellara. In questo interminabile gioco dell’oca l’opera torna si torna alla casella iniziale dopo aver fatto il giro del mondo. Non foss’altro per questo, vederla a Palazzo Barberini a fianco a quella di Venusti suscita viva emozione, è un evento ececzxionale.
Della “Madonna del Silenzio” l’attribuzione a Marcello Venusti è ritenuta la più probabile, anche se in passato veniva citato “Prospero Bresicano e lo stesso Michelangelo o altri della sua scuola, per l’edizione delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica proveniente dalla collezione Falconieri, mentre per quella del Museo di Lipsia la firma dell’artista Venusti dovrebbe togliere ogni dubbio. Fanno parte di una serie di copie di piccolo formato ispirare al disegno di Michelangelo dell’Harley Gallery di Nottinghamshire, esposto in riproduzione, con il Bambino abbandonato sulle ginocchia della madre in un’anticipazione della Passione per il richiamo alla Pietà, mentre è come se con la sinistra togliesse un velo invisibile e con la destra tiene un libro, il piccolo san Giovannino con il dito sulle labbra invita al silenzio e alla meditazione dinanzi al mistero della fede.
La Passione di Cristo
Nell’intero ciclo della “Passione” troviamo sempre Venusti, in interessanti raffronti con altri artisti dell’epoca oltre che con le riproduzioni esposte dei disegni ispiratori di Michelangelo.
Per “L’Orazione nell’orto” il raffronto è fra tre dipinti riferiti allo stesso Marcello Venusti tra il 1565 e il 1570, mentre il disegno ispiratore di Michelangelo, del Gabinetto degli Uffizi, è appena abbozzato e molto oscuro rispetto alla nitidezza cromatica dei dipinti delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica e della Fondazione Marignoli di Montecorona di Spoleto, e alla chiarezza adamantina senza il profilo di Gerusalemme di sfondo del dipinto del Museo storico di Vienna, forse della bottega. E’ veramente stimolante cercare assonanze e differenze tra i dipinti dello stesso artista e il disegno di Michelangelo, questa volta appena delineato e fonte di ulteriore curiosità.
La “Crocifissione” è il momento successivo, l’opera di Venusti, “Cristo crocifisso vivo, con la Madonna, san Giovanni e Maria Maddalena ai piedi della croce” è riferita a due disegni di Michelangelo, “Cristo vivo sulla croce” del British Museum di Londra, e “la Madonna, san Giovanni Evangelista” del Louvre parigino, i cui motivi ispiratori sono riuniti, con l’aggiunta di altre figure, nel dipinto del Venusti, molto cromatico ed espressivo. Va sottolineato che a Michelangelo va il merito di aver riscoperto, nel disegno per la marchesa Vittoria Colonna, sua sodale, l’immagine di Cristo sulla croce senza altre presenze, visto nella sua nudità e nella sua solitudine, cui sono seguite molte versioni.
Questo disegno ha ispirato anche il “Cristo vivo sulla croce”, dall’identico titolo, attribuito a Marco Pino, 1770-80, un Crocifisso essenziale, impressionante su fondo nero, mentre nella Crocifissione” dello stesso Pino, della chiesa dei santi Severino e Sossio di Napoli, si affollano molte figure, pur se il richiamo michelangiolesco è ancora presente.
Dalla “Crocifissione” alla “Deposizione di Cristo”, ancora di Venusti, 1550-60, la torsione del busto di Cristo adagiato sul sepolcro da Giuseppe d’Arimatea e san Giovanni è michelangiolesca, come lo è la sproporzione delle braccia rispetto al petto nella vista di scorcio; oltre che per questi caratteri richiama il disegno di Michelangelo dell’Oxford Ashmolean Museum – una composizione ben diversa, a differenza dei disegni precedenti sostanzialmente collimanti – il viso urlante sulla destra. Dello stesso titolo l’opera di Jacopino dal Conte, 1560-70, chiaramente ispirata nel corpo abbandonato e statuario del Cristo non al disegno ma alla “Pietà Bandini” di Firenze.
Con due “Pietà” dipinte dal solito Venusti, 1570-79, e da Marco Pino, 1550-75, si conclude la galleria cristologia, questa volta l’aderenza al disegno michelangiolesco dell’Isabel Stewart Gardner Museum di Boston è completa in entrambe le opere, mentre un’ulteriore “Pietà” di Venusti in una chiesa di Palermo se ne distacca nella posizione delle braccia della Madonna e di Cristo e nell’assenza dei due angeli che aiutano a sollevare il corpo.
Un percorso istruttivo e stimolante
Non posiamo nascondere l’emozione, giunti al termine del percorso, breve ma intenso, per un itinerario che inizia con l’”Annunciazione” e termina nella “Pietà”, con i passaggi intermedi della Passione di Cristo, scandito da confronti suggestivi con i disegni michelangioleschi ispiratori e tra le opere di diversi artisti che ne sono derivate. Di più non si può chiedere all’approfondimento colto, fonte di scoperte che suscitano l’intimo coinvolgimento del visitatore, partecipe di una riscoperta nella quale, attraverso le comparazioni, può trovare, oltre alla normale condivisione, elementi personali di valutazione e di giudizio.
Info
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie. www.barberinicorsini.org; per informazioni, omunicazione@barberinicorsini.org. Catalogo: “Michelangelo a colori, Marcello Venusti, Lelio Orsi, Marco Pino, Jacopino del Conte”, a cura di Francesca Parrilla, con la collaborazione di Massimo Pirondini, De Luca Editori d’Arte, settembre 2019, pp.120, formato 21 x 24; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per gli autori citati, cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi. com, Tiziano 10-15 maggio 2013, Michelangelo (e Rafffaello) 12, 14, 16 febbraio 2013; in cultura.inabruzzo.it, “Roma. La grafica di Leonardo e Michelangelo a confronto” 6 febbraio 2012 (quest’ultimo sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Delle immagini riportate, 13 sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini alla presentazione della mostra, e 7 tratte dal Catalogo (le n. 2, 5, 16, 19-22), si ringrazia la Direzione e l’Editore, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; alcune opere, prima di essere riportate come singole, sono riportate affiancate per un confronto diretto. In apertura, “Annunciazione”, affiancata quella di Michelangelo, a sin., e di Marcello Venusti a dx, singolie Marcello Venusti 1555-60, e Lelio Orsi 1555-60; poi, “La Madonna del silenzio”, affiancati Michelangelo, a sin., Marcello Venusti a dx, singoli Michelangelo e Marcello Venusti post 1563; quindi, “La preghiera nell’orto”, affiancati Michelangelo, a sin., Marcello Venusti a dx, singoli Michelangelo, due di Marcello Venusti 1565-70 poi insieme a confronto diretto; inoltre, “Cristo vivo sulla croce” , affiancati Michelangelo al centro, Marcello Venusti a dx, Marco Pino, a sin., singoli Michelangelo, Marcello Venusti post 1550, Marco Pino 1570-80; ancora, “Deposizione di Cristo” , singoli Michelangelo, Marcello Venusti 1550-60, Jacopino del Conte 1550-60; continua, “Pietà”, singoli Michelangelo, Marco Pino 1570-75, Marcello Venusti 1570-79; infine, Marcello Venusti, “Giudizio Universale” 1541, copia da Michelangelo e, in chiusura, la Locandina della mostra.
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