di Romano Maria Levante
Sul fronte della cultura va sottolineata positivamente l’iniziativa “la cultura non si ferma” con cui il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo fornisce agli italiani “tutti in casa” i link per visite virtuali a Musei e non solo, fino all’offerta delle storie illustrate negli “albi” della mostra “Fumetti nei Musei” raggiungibili “on line” con un click, sul sito del Ministero, e alla giornata dantesca “Dantedì”, ringraziamo il ministro Dario Franceschini. Inoltre viene annunciata la visita virtuale “on line” aperta a tutti a partire dal 26 marzo alla grande mostra “Raffaello 1520-1483” nel 5° centenario, attraverso il sito e i social delle “Scuderie del Quirinale”, ringraziamo il presidente Mario De Simoni. L’Accademia di Santa Cecilia mette a disposizione Concerti registrati “in streaming” negli stessi giorni e ore di quelli consueti “in vivo” e visibili con facili collegamenti per l’intera settimana, lo comunica Giuseppe Maria Sfligiotti che li definisce “concerti in tempore belli”, lo ringraziamo. L’Associazione Civita ha lanciato il “contest di scrittura” #tiracconto da casa” per raccconti brevi di 1500 battute, “lo spazio interno che siamo chiamati ad abitare è quello delle nostre case ma anche l’interno di noi stessi”, grazie al presidente Gianni Letta. La messa mattutina di Papa Francesco dalla cappella di Santa Marta trasmessa in TV alle ore 7 su Rai1 è il messaggio consolatore quotidiano unito all’invocazione salvifica: se ne ha tanto bisogno in questa fase angosciosa, gli siamo grati oltre che devoti per la sensibilità umana congiunta all’ispirazione religiosa. Dopo questa premessa culturale e religiosa riteniamo doveroso commentare la drammatica situazione dell’emergenza sanitaria.
Non possiamo reprimere la spinta che ci preme dentro dalla prima fase dell’emergenza “coronavirus” dinanzi a un’evoluzione sempre più drammatica che sin dall’inizio abbiamo pensato aggravata dalla visione legata al quotidiano senza lungimiranza, sebbene l’esperienza cinese fosse stata molto istruttiva sulla via del rigore da intraprendere subito. Non è il senno del poi, né un’accusa al governo e al Comitato che ha indicato la linea seguita, ma la constatazione di una linea perdente con i risultati sotto gli occhi di tutti che finalmente si sta correggendo. Ne parleremo senza presunzione esternando ciò che riteniamo pensino tanti italiani, privi di intenti polemici, solo per fornire un contributo costruttivo. Si è in tempo a rettificare il tiro, e lo si sta facendo, non è sciacallaggio avanzare osservazioni, lo sarebbe tacere quando si hanno rilievi potenzialmente utili, che possono essere contrastati, non tacitati.
Tra l’alluvione di interventi di scienziati e virologi, specialisti di malattie infettive e di epidemie, ci è apparsa rivelatrice l’affermazione del prof. Massimo Galli, primario infettologo all’ospedale Sacco di Milano impegnato fino allo stremo nell’emergenza sanitaria, il quale all’intervistatore che lo definiva “in prima linea nella guerra al coronavirus” ha replicato che “in prima linea non siamo noi, ma tutti i cittadini, noi siamo nelle retrovie dove affluiscono i feriti spesso in condizioni disperate, di una guerra che si svolge nel territorio”. Affermazione rivelatrice perché fornisce una chiave interpretativa dei drammatici eventi che stanno sconvolgendo la vita di tutti. Prima linea e retrovie hanno ricevuto un grado di attenzione asimmetrico, ed è stata una grave anomalia, che ha scandito il mese nel quale l’assalto del “nemico” è risultato devastante.
La “guerra” nelle “retrovie”, gli ospedali
Le “retrovie” si sono mobilitate al di là delle capacità organizzative ed umane; non si è fatto per la prima linea, cosa che ha reso oltremodo gravoso fino alla insostenibilità l’impegno eroico delle retrovie. Gli ospedali sono stati rivoluzionati per moltiplicare le disponibilità ad accogliere i feriti che arrivavano dal “fronte” sempre più numerosi e in condizioni sempre più gravi, le terapie intensive sono state incrementate per quanto possibile con una ricerca inesausta utilizzando tutti gli strumenti, medici, infermieri e operatori sanitari hanno superato sé stessi con una dedizione strenua senza limiti.
Anche l’attenzione dei cittadini si è concentrata sulle “retrovie”, quasi che il problema fosse soltanto “la crisi del sistema sanitario nazionale”, finché nelle regioni più colpite non solo le terapie intensive pur potenziate si sono saturate, ma anche l’accoglienza ospedaliera è stata compromessa; i “feriti” gravi non sono potuti neppure entrare negli ospedali da campo, sia pure in barelle nei corridoi, sono morti a casa o nelle ambulanze ferme per ore in attesa che si liberasse un posto nell’ospedale stracolmo. Poco di tutto questo è stato percepito all’esterno, a parte la saturazione dei posti in terapia intensiva, per un malinteso e a nostro avviso inappropriato intento di rassicurare i cittadini.
Il “leit motive” è stato che il vero problema posto dal coronavirus riguardava la “tenuta del sistema sanitario nazionale per la concentrazione della necessità di terapie intensive in un tempo troppo ristretto per potervi far fronte”. Per cui la strategia seguita era di “rallentare il diffondersi del contagio in modo da alleggerire le terapie intensive” e metterle in grado di assistere tutti i bisognosi di tale supporto: tutto qui. Sarebbe come se la strategia bellica, nelle guerre convenzionali, fosse commisurata alle disponibilità degli ospedali da campo di curare i feriti e non alla forza del nemico da sconfiggere sul campo con ogni mezzoe soprattutto con le strategie giuste. E poiché la “prima linea” sono i cittadini, la loro mobilitazione doveva essere pari, se non superiore, a quella che c’è stata nelle “retrovie”, e la comunicazione nonché le misure del governo dovevano essere coerenti con questa esigenza vitale a cui richiamare proprio tutti con severità.
Non abbiamo dimenticato il paradossale rifiuto iniziale alla richiesta, pur sacrosanta, delle regioni Lombardia, Veneto e Friuli, di stabilire la quarantena per i ragazzi provenienti dalla Cina – dalla quale peraltro erano stati bloccati i voli – per impedire la probabile fonte di contagio, come la campagna a favore dei ristoranti cinesi. A parte questa non trascurabile falla, anzi in coerenza con essa, si è scelta la linea della rassicurazione, insistendo in modo ossessivo sul fatto che è un morbo non grave, quasi trascurabile, poco più dell’influenza, e soprattutto riguarda soltanto i più anziani, in particolare gli ottantenni per i quali, comunque, c’è la terapia intensiva; quindi se si riesce ad adeguarla alle esigenze – si ripete, dei più anziani – il problema si può superare.
In ogni “bollettino di guerra” quotidiano delle ore 18, tranne solo in quello del 23 marzo e successivi – quasi un positivo ripensamento – si è insistito in modo altrettanto ossessivo su questa “esclusiva” del rischio, anzi aggiungendo con uguale insistenza che sono gli “ottantenni con più patologie” la parte di gran lunga preponderante dei decessi; “soltanto l’1% inferiori a 50 anni e con altre patologie”. Altro “leit motiv” è stato il “morti con coronavirus e non per coronavirus”, sottolineando che “viene alterato un equilibrio comunque precario, è solo la goccia che fa traboccare il vaso”, quindi di per sé nessuna grave pericolosità per i sani anche se anziani. questo almeni si è pecepito.
La “guerra” nella “prima linea”, i cittadini sul territorio
E così possiamo passare alla “prima linea” dove si svolge la guerra contro il coronavirus, riferita invece impropriamente solo alle “retrovie”. Neppure per le retrovie, peraltro, il messaggio è adeguato, la “trasparenza” ha riguardato soltanto i dati – peraltro non del tutto specchio della situazione, come vedremo più avanti – finché i servizi giornalistici hanno alzato il velo su una realtà oscurata forse per il consueto intento rassicurativo. Si è visto in “Piazza pulita” su “La 7” cosa vuol dire essere ricoverati per il coronavirus, perdendo ogni contatto con i familiari fino al decesso in una terribile solitudine; com’è terribile la “terapia intensiva” e come può essere grave la malattia anche nel decorso fausto, e soprattutto come possa colpire i giovani in modo gravissimo, perfino mortale.
Eloquente la recente intervista a un “tronista” della trasmissione televisiva di “Amici”, giovane e sano, che ha narrato il suo calvario in ospedale, temeva di addormentarsi e non svegliarsi per il respiro quasi bloccato, sentiva i polmoni di vetro, e tanto altro. Si sono oscurate le morti di giovani e il dramma spaventoso della malattia, mentre si sono amplificati i casi “asintomatici” di tanti personaggi, protagonisti della politica, dello sport e dello spettacolo, trovati positivi ma senza sintomi, ripresi a casa e intervistati via Skype. E’ notizia del 24 marzo che nel bergamasco ben 1.800 trentenni sono stati colpiti da polmonite da coronavirus, e da ogni parte giungono notizie del drastico abbassamento dell’età dei colpiti dal morbo e ospedalizzati; si paga la rassicurazione percepita, con prevedibile leggerezza, dai giovani che si sono sentiti poco minacciati, quindi non hanno preso le precauzioni istintive quando si sa di rischiare la vita.
L’effetto non voluto ma forse prevedibile della linea operativa e non solo comunicativa è stato che i cittadini sul territorio – definiti dal primario “la prima linea nella guerra” – sono risultati di fatto, pur se limitatamente alla parte meno responsabile di loro, poco più che spettatori di qualcosa che non li riguardava personalmente, se non per un generico “senso di responsabilità” riferito, lo ripetiamo, prima alle esigenze del “sistema sanitario nazionale” e non a se stessi, poi ai più anziani, gli ottantenni ossessivamente indicati come gli unici sostanzialmente a grave rischio se con patologie aggiuntive. Tutti gli altri quasi al riparo da conseguenze serie, anche perché non si è detto nulla delle condizioni dei ricoverati giovani, amplificando la normalità dei positivi rimasti a casa.
Come poteva reagire la “prima linea” dinanzi al bombardamento di messaggi rassicuranti, come se il problema riguardasse quasi solo il “sistema sanitario nazionale” e, tra la popolazione, vogliamo ripeterlo ancora, gli ottantenni con patologie, e il virus fosse un Erode dei vecchi? E’ venuta fuori la ben nota caratteristica nazionale di essere refrattari agli appelli alla “responsabilità” collettiva per il bene comune, quindi tanti hanno mantenuto i comportamenti individuali consueti. Nel senso che non si sono sentiti “richiamati” per “combattere” al fronte, ma spettatori disinteressati; mentre i più anziani sono stati lasciati soli a “combattere”, con l’angoscia di essere esposti a un rischio mortale proprio perché in “prima linea” si sono sentiti praticamente abbandonati.
Torniamo a dire che non si doveva chiedere solo la pur doverosa ma volontaria solidarietà intergenerazionale, bensì l’ autodifesa dei singoli di ogni età per il grave rischio corso personalmente da tutti, ne sarebbe derivata anche la difesa collettiva. Diciamo con questo che si sarebbero dovuti nascondere i dati per ottenere la mobilitazione di coloro che in effetti non corrono rischi? Assolutamente no, ma la quotidiana, ripetiamo di nuovo fino all’esasperazione, ossessiva sottolineatura che i decessi riguardano quasi esclusivamente i più anziani, oltretutto con più patologie, ha fatto sentire al sicuro tutti gli altri; mentre non sono affatto al sicuro, a stare ai casi di decessi anche di giovani, e soprattutto alle gravissime condizioni nella degenza dei malati di giovane età con tremende sofferenze negli ospedali, anche senza patologie pregresse come il “paziente 1”, atletico maratoneta di 38 anni. Come si insiste con il dire giustamente che il virus non sente confini geografici, si doveva insistere che non sente neppure confini generazionali, pur nel differente impatto ma sempre grave.
Quale l’effetto del bombardamento mediatico rassicurante? Che le altre classi di età al di sotto dei più anziani nel mirino, si sono sentite rassicurate e non hanno seguito le raccomandazioni diffuse largamente – questo sì, occorre riconoscerlo, in ogni occasione pubblica e privata e in tutti i mezzi di comunicazione – sulle attenzioni e cautele prima, sugli obblighi tassativi poi. Siamo italiani, e non potevamo non conoscere che se non toccati direttamente non ci sentiamo obbligati, putroppo se ne è avuta conferma.
Altrimenti come si spiega che con tutte le raccomandazioni di stare a casa, tenere le distanze, evitare gli assembramenti, ecc. ecc. i servizi televisivi hanno documentato le macroscopiche violazioni su larga scala con le “movide” e i luoghi di svago animati, le spiagge affollate e le metropolitane stracolme, i treni e i bus presi d’assalto? Nessun ottantenne ma delle altre classi di età, giovani in primis, che si sentono al sicuro, e anche le deplorazioni che sono state fatte riguardano sempre la scarsa coscienza collettiva e la responsabilità per la diffusione del contagio, mai il rischio personale; e neppure quello familiare, dovendo comunque rientrare tutti nelle proprie famiglie diffondendo un contagio che li espone su questo duplice fronte. Mentre andava ripetuto in modo insistente – cosa che non si è fatta, anzi si è fatto l’opposto – che anche nei decorsi fausti, per fortuna maggioritari, la malattia è tremenda, e non si può fare affidamento sui casi “asintomatici, che vengono amplificati nei personaggi di politica, spettacolo e calcio, mentre non si parla del presidente di una società calcistica morto a 35 anni, né del duro decorso di giovani e forti pur se con la consolazione del lieto fine.
Si è prescelta la linea rassicurante, mentre la mobilitazione della “prima linea” doveva essere basata su messaggi trasparenti e veridici, sì, ma realistici, sulla gravità di una malattia dal decorso drammatico per ogni età, anche fino ad esiti fatali, non attenuata dalla diversa frequenza e probabilità data dai numeri, che non andavano pervicacemente divisi per età come si è fatto, ma potevano essere forniti globalmente. Nonostante questo, si deve riconoscere che la maggioranza dei cittadini ha rispettato le restrizioni ed è giusto che ne venga dato atto, ma si deve anche sottolineare che la piccola minoranza deresponsabilizzata può aver alimentato il contagio con l’effetto moltiplicativo dei contatti personali e familiari senza la remora del rischio personale. A Milano il 40% del consueto è risultato nelle strade, una presenza che ha scandalizzato i medici cinesi alloro arrivo: non bastano le piazze e le vie deserte di cui riportiamo tante immagini – che provano la disciplina della larga maggioranza – purtroppo la “circolazione” del virus è tale che sono bastate le indiscipline e le esenzioni dovute a movimenti permessi ma senza i presidi protettivi, come vedremo tra poco, molto diffuse nella prima fase.
Questa è una delle carenze in una “guerra” che doveva impegnare la “prima linea” dei cittadini e non solo le “retrovie” degli ospedali che hanno subito gli effetti devastanti di una “prima linea” in cui hanno “combattuto” quasi da soli i più anziani, soccombendo soprattutto nel bergamasco, tanto che Mattarella ha parlato di “strage di una generazione”, mentre il sindaco Gori di “scomparsa di intere generazioni”, perchè anche i meno anziani se ne sono andati. Il principale ospedale di Bergamo giunto al collasso, la terapia intensiva satura, anziani che muoiono senza poter essere assititi e senza alcun conforto, il contagio che corre nell’ospedale: un quadro disperato che fa invocare agli operatori ospedalieri bergamaschi un intervento sanitario diffuso sul territorio per allentare l’insopportabile pressione sugli ospedali, incapaci di farvi fronte.
Magari si fosse trattato soltanto di difetti di comunicazione, mentre la “prima linea” veniva rafforzata nei fatti! E’ avvenuto l’inverso, la “prima linea” dei cittadini è stata privata delle armi indispensabili, come le “mascherine”. E questo con le altrettanto pervicaci indicazioni – proseguite alla data del 26 marzo – che “le mascherine non servono a proteggersi, anzi possono essere dannose dando una sicurezza che può far ridurre le attenzioni necessarie”; è stato detto doverle indossare, oltre agli operatori sanitari, soltanto i positivi perché non trasmettano le “goccioline” che provocano il contagio nel micidiale “droplet”. A questa si è aggiunta l’indicazione che “gli asintomatici non diffondono il contagio perché il loro virus è molto attenuato”. Quindi il messaggio percepito è stato: “Girate senza mascherina tranquilli, basta distanziarsi di un metro, comunque rischiano quasi solo i più anziani soprattutto ottantenni…. fatelo per loro a rispettare le prescrizioni di non affollarsi e per il sistema sanitario nazionale!”.
Soltanto adesso sta trapelando una realtà ben diversa, gli “asintomatici” sono contagiosi eccome! Lo abbiamo temuto da tempo, altrimenti come si spiegherebbe il diffondersi del contagio anche agli alti livelli che si presume ben protetti, quali il viceministro della salute, persino Bertolaso – pochi giorni dopo l’arrivo a Milano chiamato dal presidente della Lombardia per realizzare in pochi giorni un nuovo grande ospedale nella Fiera – i presidenti di due Regioni, il principe Alberto di Monaco e Carlo d’Inghilterra, le consorti dei presidenti di Canadà e Spagna, personaggi dello spettacolo come Placido Domingo e Giuliana de Sio, e della televisione come Nicola Porro e Piero Chiambretti, tanti calciatori fino a 12 operatori della Protezione civile, e molti altri, per non parlare di medici e infermieri, purtroppo esposti con grave pericolo personale. Come si può pensare che siano stati contagiati da starnuti o colpi di tosse, o dal respiro ravvicinato, non lo si può credere trattandosi di personaggi ben avveduti, cautelati e protetti.
E se sono gli “asintomatici” – nei quali si annida subdolo il virus come facevano i “commandos” vestendo la divisa del nemico – a contagiare favoriti dall’invisibilità dei sintomi, l’obbligo delle “mascherine” per tutti avrebbe protetto i sani ignari e inermi proprio dagli “asintomatici” ignoti, quindi era una esigenza indifferibile. Si potrebbe obiettare che le “mascherine” non sono disponibili neppure per tutti gli operatori della salute, figurarsi per i cittadini, e per questo si è dovuta forzatamente dare tale indicazione negativa. Sarebbe inappropriata anche questa obiezione, andrebbe invece sottolineata l’esigenza di coprirsi naso e bocca, magari con sciarpe e “foulard” protetti da fogli in plastica, un ”fai da te” che soltanto Barbara Palombelli su Rete 4 ha cercato di diffondere, ma il suo messaggio è stato sistematicamente smentito in televisione dalle risposte degli “esperti” che anzi le ritenevano pericolose, per cui lo hanno neutralizzato.
Quindi alla replica che neppure le “retrovie” ospedaliere hanno avuto le “armi” necessarie, pertanto non poteva averle la “prima linea” costituita di tanti milioni di cittadini, si oppone il rimedio del “fai da te”, forsei insufficiente ma responsabilizzante per i singoli, insieme alla consapevolezza che chiunque poteva contagiarli e in tal caso ci sarebbero state gravi conseguenze anche per i giovani, non solo per gli ottantenni per di più con patologie. Non ci sarebbe stato l’”assalto ai treni” per il Sud all’annuncio del decreto del 7-8 marzo, senza alcuna protezione, perché i singoli si sarebbero sentiti esposti a un contagio con gravi effetti personali, e questo conta molto più che l’appello alla responsabilità collettiva, vogliamo ripeterlo. E sembra che sia stato dell’ordine di 100 mila l’esodo dei lavoratori e studenti dalla Lombardia alle regioni del Sud, con il 15% febbricitanti e su mezzi affollati, con alte probabilità di contagiarsi, rientrati nelle famiglie con alte probabilità di contagiarle; finora si assiste a un vero miracolo perché non c’è stata, e speriamo non ci sarà, la temuta esplosione al Sud, incrociamo le dita!
La conduzione della “guerra” con “gradualità”, criterio perdente
Questo ci fa entrare nel tema altrettanto decisivo evocato dalla rivelatrice definizione della “prima linea dei cittadini” da parte del primario dell’Ospedale Sacco di Milano, la “retrovia” più esposta, e riguarda la conduzione della “guerra” da parte dello stato maggiore e del comandante in capo. Prima considerazione, non si sa se c’è o meno un “comandante in capo”: Angelo Borrelli, che era ritenuto “Commissario per l’emergenza” ha corretto il giornalista che lo definiva tale dicendo di essere soltanto “Capo dipartimento della Protezione civile”. Il titolo di Commissario è stato dato dopo un mese di “guerra”, ma con un ruolo limitato agli approvvigionamenti, a Domenico Arcuri, un manager sperimentato il quale dopo sei giorni ha potuto comunicare risultati positivi sulle “munizioni” procurate, pur se insufficienti, come le “mascherine” che saranno anche prodotte in Italia a 50 milioni di unità al mese per la “prima linea” dei cittadini e per le “retrovie” ospedaliere, da parte loro potenziate notevolmente nei posti di terapia intensiva e posti letto di degenza, nei medici e infermieri, negli ospedali da campo con immane sforzo. Ma si è trattato ancora di un annuncio con scarso seguito, pertanto si protrae la grave carenza di materiale protettivo per i sanitari che pagano un alto prezzo in termini di contagiati e di vittime, come i soldati dell’Armir mandati in Russia nella guerra mondiale con scarpe di cartone nella morsa del gelo dell’inverno siberiano.
Si sono aggiunti, fornendo un aiuto generoso e insperato, gli espertissimi medici cinesi, oltre 300 arrivati in tre riprese, 52 medici e operatori sanitari cubani, 170 medici militari e operatori sanitari giunti “dalla Russia con amore” su 15 aerei carichi dei preziosi materiali sanitari che da noi scarseggiano; in più 300 medici reclutati con il bando italiano su quasi 8 mila domande, che sono una importante riserva cui attingere. Alla mobilitazione internazionale in nostro socorso l’Occidente finora ha partecipato poco, la Germania accogliendo finora circa 40 malati in terapia intensiva, la Francia con un po’ di materiale, gli Stati Uniti hnnno promesso un ospedale da campo, con l’Europa del tutto assente a livello sanitario, cosa che non la qualifica agli occhi dei cittadini europei, che si sentono abbandonati nel più grave pericolo della storia recente.
Tornando alla figura dominante in tutte le decisioni, il presidente del Consiglio, non si può non notare che ha sostanzialmente annullato, o almeno oscurato, persino il Ministro della Salute costituzionalmente competente sulla materia, fatto anomalo perché il Presidente avrebbe anche altre pesanti incombenze in campo economico e internazionale, mentre sulla “linea di combattimento” occorrerebbe una guida operativa che si aggiunga ai vertici istituzionali. Un inpegno generoso, però non sempre adeguato.
Si è anche evocato l’intervento del Parlamento, cosa comprensibile ma con le ovvie controindicazioni, e sul piano formale basta la “dichiarazione di guerra”, nel caso dell’“emergenza nazionale” questa c’è stata a fine gennaio, subito dopo quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, quindi tempestiva, con l’indicazione del più operativo DPCM, Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, rispetto ai comuni Decreti legge, lo ha precisato il presidente Conte il 24 marzo. Si evita così giustamente ogni lungaggine politica nelle misure contro il virus, solo per i gravissimi problemi economici vige la normalità istituzionale e parlamentare, non per la difesa della salute, la “prima linea dei cittadini”, per cui comunque vanno sentite le opposizioni. In ogni caso i DPCM vengono inseriti sinteticamente in successivi decreti legge sottoposti al Parlamento, per cui sono pretestuose le accuse di autoritarismo, per non parlare di quelle per la limitazioni alla libertà personale, doverosa per difendere la vita.
Vanno evitati in questo percorso emergenziale i ben noti limiti della politica dominata dalla preoccupazione per il consenso popolare, non vorremmo che abbia contribuito anche se inconsciamente alla preoccupazione del presidente del Consiglio “per la tenuta psicologica dei cittadini” che lo ha fermato dal prendere subito misure più restrittive, dopo un inizio in cui aveva giustamente ed efficacemente drammatizzato la situazione con la presenza domenicale nella Protezione civile e le 16 apparizioni in altrettante trasmissioni televisive con il maglioncino che sottolineava l’emergenza nazionale.
Di qui un’impostazione che forse nessun “comandante in capo” che non sia un politico avrebbe adottato, il “criterio della proporzionalità” degli interventi alla situazione del momento, con la “gradualità” e l’’impegno a rivederli per “adeguarli di volta in volta all’evolversi della situazione”, come ha ribadito anche il ministro per le Regioni, Boccia, e lo stesso Presidente nelle comunicazioni al Parlamento del 25 e 26 marzo, nelle quali – citando sempre come fonte il Comitato tecnico-scientifico che ha indicato le misure per l’emergenza – ha difeso “la gradualità e la proporzionalità rispetto all’andamento epidemologico” con misure “via via bilanciate” in modo da “contemperare… ” e così via.
Ci sembra che la “proporzionalità” e l’impegno a rivedere le misure “secondo l’evolversi della situazione” dovesse operare all’inverso: cioè misure rigidissime come in Cina inizialmente per 20 giorni, con attenuazione se “l’evolversi della situazione” lo avesse consentito, per prevenire il contagio, e non inseguirlo mentre il “nemico” seminava morti e feriti. Del resto, anche sulla sostenibilità economica, non si chiude tutto per 20 giorni a Ferragosto, salvo nei luoghi di villeggiatura? A quelle eccezioni stagionali poteva corrispondere l’apertura solo per negozi e servizi essenziali con le filiere industriali connesse. Sarebbe stata una anticipazione del “fermo” di Ferragosto e forse saremmo già fuori del tunnel, ora è più difficile arginare la massa di contagiati.
Freudianamente il presidente del Consiglio nella conferenza stampa del 24 marzo, nel replicare al giornalista che pensava le misure fossero fino a luglio 2020, ha precisato che quello è il termine per l’emergenza fissato a fine gennaio, mentre le restrizioni attuali scadono il 3 aprile e verranno prolungate o attenuate secondo “l’evolversi della situazione” con il “dosaggio graduale” che è la scelta del governo: abbiamo detto “freudianamente” perché questo sì che sarebbe stato il “dosaggio graduale” appropriato, allentare i freni di volta in volta, se possibile, e non frenare bruscamente quando il veicolo ha preso una velocità incontrollata, come avvenuto per i contagi al cui dilagare, non va mai dimenticato, sono collegati i decessi e il collasso delle strutture ospedaliere.
Il “dosaggio” preventivo è un controsenso anche con un altro paragone, è come se l’antibiotico si dosasse rispetto alla febbre e non come terapia d’urto per bloccare “ex ante” l’infezione batterica senza sperare di tamponarla ma con danni “ex post”. Sembra incomprensibile che il Comitato tecnico-scientifico abbia indicato questa linea senza avere la necessaria capacità previsiva in un campo, quello epidemiologico, ben noto da secoli nella forza diffusiva del contagio, per di più con l’esperienza cinese illuminante.
E’ risultata una strategia perdente perché “di volta in volta” la “prima linea dei cittadini” è stata inadeguata rispetto alla forza d’urto del “nemico” e si è avuta una pur positiva correzione con i decreti successivi, sempre più restrittivi ma putroppo tardivi. Questa disperata difesa senza prendere coscienza dell’errore di base, ricorda i “bollettini di guerra” del 1942-45, che parlavano di “ripiego sulle posizioni prestabilite” mentre erano altrettante sconfitte, tale è stato “l’evolversi della situazione”, cioè il dilagare del contagio dai focolai ad aree sempre più vaste con il crescente carico di morti. Sono nel cuore di tutti le meste teorie dei camion militari che a Bergamo giornalmente portano fuori regione per la cremazione le salme che non possono essere più collocate nel cimitero cittadino e sono la manifestazione di una tragica sconfitta.
Sottovalutazioni, omissioni e prudenze perdenti
Anche la letalità è stata sottovalutata, attribuita sempre agli ottantenni, quasi colpevoli di esistere in numero maggiore che in altri paesi e di resistere alle altre patologie, mentre il dilagare tra loro è dipeso anche dall’insufficienza delle “armi” date alla “prima linea”. E ci riferiamo alle misure governative tardive, con i divieti imperativi che dovevano sopperire alla deresponsabilizzazione degli incoscienti ingenerata dai messaggi rassicuranti. Così si sono avuti gli interventi per le “zone rosse” del 22 febbraio per il Lodigiano e Vo del Veneto, che si è dovuto estendere dopo tre giorni, il 25, ad altre zone del Veneto e della Romagna, e poi all’Italia “zona protetta” del 7-8 marzo e “zona rossa” del 22-23 marzo e dei giorni successivi. Tempestivo rigoroso l’intervento iniziale, ma viziato nell’immdiato dal criterio della “gradualità” e “proporzionalità” in assenza di una capacità previsionale anche di soli tre giorni per le altre aree limitate e di 10 giorni per la regione più colpita, che ha impedito di prendere misure drastiche subito, anche se poi si sono estese all’intero paese in regioni ancora preservate : non sappiamo se per indicazioni specifiche del Comitato tecnico-scientifico definite dagli esperti in base al criterio di “proporzionalità rispetto alla situazione in atto” e non rispetto alla previsione sull’andamento epidologico per poterlo anticipare.
Il tutto nonostante la pressione delle regioni più colpite, la Lombardia e anche Veneto ed Emilia, pur se dopo il “milanononsiferma” e l’“aperitivo” di Zingaretti a Milano, con il contrappasso della sua ammonitrice positività al virus, e correlativa apertura nazionale, quasi come l’8 settembre 1943 allorchè ci si illuse che tutto era finito. Qui le preoccupazioni sui danni economici prevalevano sulla difesa della salute e della vita.
E quando si è disposta la stretta per impedire che dalle “zone rosse” il contagio dilagasse nella penisola, purtroppo non si è pensato di bloccare, ripetiamo, la partenza dei treni e autobus per il Mezzogiorno, pur essendo ben noto che molte diecine di migliaia di meridionali lavorano o studiano in Lombardia, zona a rischio perché infetta dal virus.
La causa non è stata la fuga di notizie della bozza diffusa nel pomeriggio del 7 marzo provocando l’assalto ai treni e bus della sera; perché è continuata in seguito, dal momento che nell’”autocertificazione” uno dei motivi per gli spostamenti oltre a quelli per lavoro, spesa, salute, era il raggiungimento “delle località di residenza e domicilio”, non solo la residenza verificabile sul documento di identità ma anche il domicilio, sede generica dei propri affari; e non c’era neppure il divieto di spostarsi per sieropositivi e in quarantena, i primi da dover bloccare, errore corretto solo tardivamente.
Non è questa l’unica minaccia, c’è quella di tutti i 25 mila positivi a casa malati o in quarantena, con il rischio che i familiari portino l’infezione all’esterno, speriamo che le prescrizioni reggano eci sia una adeguata assistenza. A parte questo ulteriore problema, l’esperienza dei forse 100 mila rientrati al Sud a seguito del decreto del 7-8 marzo è servita perché al decreto annunciato il 21 marzo è stato collegato subito il divieto a spostarsi in un altro comune compreso quello di residenza e domicilio, correzione doverosa, purtroppo gran parte dei buoi sono già scappati; lo si doveva fare anche il 7 marzo, perchè si poteva prevedere tale esodo. Continuiamo ad incrociare le dita!
M a c’è dell’altro, il “timore per la tenuta psicologica” del “tutti in casa” ha portato a consentire comportamenti che si sono tradotti in una non certo modesta elusione delle prescrizioni del decreto del 7-8 marzo: così la possibilità di fare sport nei parchi pubblici, che ha costretto i grandi comuni a intervenire direttamente chiudendo quelli recintati, così le 20 tipologie di attività commerciali consentite, così il mantenere attive tutte le attività produttive con il risultato delle metropolitane superaffollate non solo per gli incoscienti irresponsabili ma anche per i lavoratori che dovevano recarsi al lavoro.
Inspiegabile lasciare aperte 20 tipologie di esercizi commerciali con proprietari e commessi che vanno al lavoro aspettando clienti i quali, facendo acquisti non essenziali – come è improbabile anche se la scarsa responsabilizzazione individuale non lo esclude – violerebbero il divieto che consente solo la spesa o andare in farmacia; e per le violazioni era prevista monetariamente solo una ammenda di 200 euro. “Il medico pietoso fa la piaga verminosa”, secondo l’antica saggezza popolare, ed è quello che è avvenuto con il “timore per la tenuta psicologica”, si è ignorato il più pressante timore per la vita. Con questo non vogliamo sottovalutare i possibili traumi per la reclusione domestica, soprattuto in ambienti ristretti e per soggetti psicologicamente fragili, e il rischio di violenze familiari; ma per questo problema deve essere attivata una azione idonea di operatori specializzati sul territorio, il “campo di battaglia”, la “prima linea”.
Il decreto annunciato del 21-22 marzo e quello successivo hanno rimediato a tali macroscopiche contraddizioni solo in parte, ma non del tutto. Sembrava che molte delle 80 attività produttive restassero attive, l’annunciato sciopero dei sindacati che le hanno ritenute al di là di quelle indispensabili e vogliono proteggere i lavoratori dal contagio sembra abbia ottenuto le restizioni necessarie; l’ordinanza della regione Lombardia le ha giustamente inasprite lasciando solo le attività veramente essenziali, chiudendo uffici pubblici e studi professionali, cosa non prevista con altrettanto rigore dal governo, mettendo una sanzione di 5.000 euro per gli assembramenti; il governo l’ha seguita comminando multe da 400 a 3.000 euro, elevabili a 4.000 per le auto, di carattere amministrativo senza lungaggini penali. E stata ammessa con una apposita norma la possibilità delle Regioni – che peraltro stavano già operando in tal senso – di inasprire le misure restrittive del governo che pure ne mantiene la titolarità sul piano nazionale.
Si è vista una strada di Napoli affollata di persone ciascuna con un sacchetto bianco della spesa, evidente elusione del divieto perché l’acquisto non può consistere solo in un piccolo sacchetto che è una evidente copertura; e poi la spesa in tanti casi viene fatta dai vari membri della famiglia tutti i giorni, come il cane viene portato a spasso più volte al giorno da diverse persone per eludere il divieto, viene anche prestato agli amici per farli uscire. In Cina la spesa una volta a settimana da una sola persona, salvo le molto diffuse forniture a domicilio, nessuna fila. Alla base di queste demenziali elusioni c’è sempre la deresponsabilizzazione individuale non sentendo rischi personali per l’età non anziana considerata l’unica a rischio, e ritenendo il coronavirus “poco più di un’influenza” con tragico errore personale e collettivo. Ma sembra che il governo finalmente se ne sia reso conto e i messaggi degli esperti non sono più rassicuranti e sottolineano rischi per tutti.
L’esigenza di proteggere il territorio, il “nemico” è tra noi
C’è dell’altro ancora da dire sulla gestione dell’emergenza, senza un comandante in capo che non avesse impegni politici e con interventi rivelatisi tardivi anche per le indicazioni del Comitato tecnico-scientifico alle cui valutazioni ci si è affidati, ma che è contraddetto dai fatti.. E’stato dirompente l’intervento del rappresentante italiano all’Organizzazione Mondiale della Sanità espressamente affiancato al Ministro della Salute – come controllore più che come onsigliere – per impedire i “tamponi” diagnostici del coronavirus anche agli “asintomatici” a rischio per essere stati in contatto con gli infettati, come si era fatto all’inizio soprattutto nelle zone aggredite dal virus. Si disse che in tal modo si violava il protocollo internazionale seguito dagli altri paesi esponendo l’Italia a una sopravvalutazione dei contagi con un grave danno di immagine, “tamponi” in pratica solo ai ricoverati.
L’imperativo, proclamato di continuo, fu “tamponi solo in presenza di due condizioni, gravi sintomi e in più contatto con persone delle zone rosse del Nord”: neppure con evidenti sintomi perché quelli della normale influenza, occorre anche la condizione del contatto con persone delle zone a rischio. Ed essendo contatti riconosciuti rischiosi, ripetiamo ancora, non si doveva consentire a 100.000 di esse il ritorno al Sud dalle famiglie, costringendo i presidenti delle regioni meridionali alla precipitosa schedatura senza peraltro poter impedire i contagi familiari che vanificano la quarantena dei singoli.
Finalmente ci si sta accorgendo che l’estensione dei “tamponi” come si era fatto all’inizio sarebbe necessaria per individuare gli “asintomatici” molto pericolosi, a differenza di quanto propalato con insistenza; con la limitazione adottata non si sono individuati neppure i sintomatici senza contatti rischiosi perché esclusi dal “tampone” impedendo tra l’altro di curarli tempestivamente. Sembra che gli “asintomatici” possano arrivare, lo ha ammesso anche il Capo Dipartimento della Protezione civile, fino a 10 volte gli accertati, per cui potrebbero essercene in giro ben 600.000, una terribile spada di Damocle sull’evoluzione del contagio, che conferma come la negazione della “guerra” sul territorio possa portare a disconoscere elementi decisivi.
Solo in questi giorni cominciano a parlarne in televisione gli onnipresenti specialisti che avevano escluso ogni rischio al riguardo. Il “nemico” è tra noi, nascosto in modo subdolo, ricordiamo il “Taci, il nemico ti ascolta” dell’ultima guerra, ora non basta, il “nemico” va scovato e ci vogliono i “tamponi” su scala ben più vasta, sia pure in modo miratoc e non totalitario, per “tracciare” il percorso dei contagi e poterlo contrastare prevenendolo e non soltanto inseguendolo dopo che è dilagato in modo inarrestabile.
Una “guerra” da vincere, lo dicono i bambini che “andrà tutto bene!”
Viene detto che è stato un “nemico” nuovo e sconosciuto, non si sapeva come combatterlo. Però c’è stata l’esperienza di successo della Cina, in anticipo di due mesi, quindi perfettamente a tiro, che non ha seguito il criterio perdente della “proporzionalità” e la “gradualità” con l’adeguamento delle misure “rispetto all’evolversi della situazione”. Con la chiusura drastica e immediata e controlli militari ha isolato e protetto 60 milioni di abitanti impedendo che dilagasse nel miliardo e 400 milioni di popolazione, e c’è riuscita facendo ripartire l’economia in tempi rapidissmi. Non ha chiuso l’intera nazione, ma ha subito isolato i 60 milioni di persone del focolaio, costruito in pochi giorni nuovi ospedali per migliaia di degenti, mobilitato l’esercito E non è dipeso dal regime dittatoriale il rispetto della misure, ma dalla loro severità e rigore con la mobilitazione sul territorio, che un sistema democratico può e deve adottare, si tratta della vita!
E’ una “guerra” che i cittadini in “prima linea” sono chiamati a “combattere” peraltro restando a casa, cosa alla portata di tutti, ma lo fanno se sanno di proteggere sé stessi e non tanto per proteggere gli altri. Con questa convinzione non può mancare la “tenuta psicologica” che c’è stata quando la guerra era sul fronte e non ci si poteva rifiutare pena le sanzioni per la diserzione e le pene capitali per il rifiuto agli ordini. Più comoda incommensurabilmente la casa, anche se poco spaziosa, con la TV, Internet e lo smartphone, che la trincea con i reticolati, e il nostro popolo che ha affrontato quella guerra, con le famiglie sotto i bombardamenti e gli adulti al fronte, non può affrontare anche questa guerra resistendo psicologicamente alle pur fastidiose restrizioni? Per chi è fragile e potrebbe non sopportare la costrizione domiciliare, ripetiamo, va prevista un’assistenza appropriata con un’azione sul territorio rivolta, oltre a questo problema, anche e soprattutto all’emergenza delle degenze dei positivi a domicilio con possibili contagi familiari e delle quarantene; fino all’ospedalizzazione tempestiva per evitare l’aggravarsi dei sintomi, a volte fatale, da gestire con una vicinanza adeguata non lasciando soli coloro che, non va dimenticato, sono “in prima linea”.
E’ stata annunciata per i primi di aprile la riapertura di Hubei con l’epicentro di Wuhan in Cina, le “zone rosse” in un paese sconfinato di 1 miliardo e 400 milioni di abitanti con 80.000 contagiati e 3.400 morti, l’Italia 60 milioni di abitanti già con 8.000 morti e 60.000 contagiati ufficiali, primo paese al mondo di gran lunga, che si avvia a triplicare i morti dichiarati in Cina in questa terribile classifica, e non si vede la luce in fondo al tunnel!
Né vale che ha una popolazione più anziana, in particolare di quella cinese, quindi più indifesa rispetto al virus killer: perché proprio per questo le misure dovevano essere, se possibile, più restrittive di quelle cinesi, dato che i cinesi rischiavano molto meno e noi molto di più; invece non solo non si è proceduto con rigore, ma si sono lanciati i messaggi rassicuranti che hanno fatto disattendere le blande misure prese all’inizio.
Ora sembra si ascolti anche l’insegnamento della Corea del Sud, con il “call” rivolto alle “start up” informatiche e telematiche sui metodi di” tracciabilità” degli spostamenti, per creare una “task force tecnologica”, ed è paradossale che ci si preoccupi della “privacy”, data la posta in gioco. Si comincia a capire che non si può trascurare il “territorio”, dove si combatte la guerra, dopo essersi occupati essenzialmente delle “retrovie” ospedaliere, eroiche fino al supremo sacrificio, ma proprio per questo da proteggere con azioni adeguate. Ad esempio, non si è pensato che forse la distanza di un metro non basta a causa dell’effetto “aerosol” in base al quale per il contagio non sarebbe richiesto solo il contatto molto stretto con il passaggio delle “goccioline” maledette impossibile a distanza , ma il virus potrebbe trasmettersi nello spazio restando nell’aria, perciò viene raccomandata la areazione degli ambienti, ma non dalle autorità. Che ignorano il “principio di precauzione” in base al quale si deve esagerare in prudenza per sicurezza, riportandosi all’antica saggezza del “melius abundare quam deficere” tanto più in questa situazione che comporta rischi mortali.
“ANDRA’ TUTTO BENE!” scrivono i bambini sotto il disegno dell’arcobaleno, e ce lo auguriamo con la forza della volontà e la spinta della speranza, “spes contra spem” nonostante tutto, e aggiungiamo un arcobaleno naturale, un arco di speranza sulla nostra terra. Ripensiamo alle parole della canzone di Franco Battiato, “Povera patria”, rendono la nostra ansia ai “bollettini di guerra” quotidiani delle ore 18: “”Non cambierà, non cambierà”, temiamo, poi pensiamo “no cambierà, forse cambierà”; fino alla reazione volitiva, “sì che cambierà, vedrai che cambierà”, che si eleva nell’auspicio di tutti, “si può sperare che il mondo torni a quote più normali/ che possa contemplare il cielo e i fiori”. Il nostro arcobaleno nel cielo azzurro di una bella vallata d’Abruzzo è più di un augurio.
La vittoria verrà come sempre dallo “Stellone d’Italia”, che i bambini ingenuamente invocano, se diverranno disciplinati quelli che sentendosi al sicuro eludono le disposizioni, il “tutti in casa” per isolarsi e il “distanziamento” per proteggersi: dopo l’ultima “stretta”, nei primi due giorni su 2 milioni di controlli ben 100 mila denunce per violazioni. Confidiamo nella sospirata Vittorio Veneto, ci riportano alla 1^ guerra mondiale le immagini da “Addio alle armi” della nostra eroica “retrovia”.
Non ci sarà un nuovo Armando Diaz, e non si è voluto il “dictator” che nell’antica Roma prendeva la guida nelle emergenze per un periodo limitato. Saranno onorate le “retrovie” con le “salmerie” costituite dai tanti che operano nei settori dei servizi essenziali, i supermercati e le farmacie con le relative filiere , i volontari – ben 10.000 impegnati nel territorio a protezione dei più deboli – la Protezione civile e le forze dell’ordine; e i veri eroi, le migliaia di medici e infermieri alle prese con il nemico mortale giorno e notte, 6.000 contagiati, 50 medici caduti nell’impari lotta – ospedalieri e anche medici di base – tanti infermieri crollati per la fatica e uccisi dal morbo, in una commovente abnegazione. Ci vorrà un riconoscimento concreto alla loro dedizione per strappare dalla morte i tanti che vengono continuamente salvati tra rischi personali e difficoltà inenarrabili; e per i medici e infermieri che sacrificano il bene supremo, la vita, la gratitudine dell’intero paese espressa in un riconoscimento di altissimo valore civile alla loro memoria.
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Leimmagini intendono illustrare alcuni aspetti dell’emergenza coronavirus per rendere visivamente il dramma che il nostro paese, come la gran parte dei paesi del mondo, sta vivendo. Dopo l’immagine di apertura, con le terribili molecole del coronavirus, seguono 7 immagini su quelle che il prof Massimo Galli chiama le “retrovie” della guerra contro il coronavirus, gli ospedali con i medici e gli infermieri, oltre agli altri operatori della sanità, impegnati strenuamente giorno e notte per far fronte alla massa di contagiati colpiti in forma grave che vengono ricoverati, in una lotta per la vita dei malati nella quale rischiano la loro, li vediamo in attesa, con l’ambulanza in arrivo, e all’opera, fino alla terapia intensiva, con le loro maschere e le tute protettive che fanno capire la fatica immane cui sono sottoposti. Poi, passando alla “prima linea” di coloro che nel territorio dovrebbero lottare contro il virus con mezzi molto più semplici come il “distanziamento sociale”, 8 immagini sui “disertori”, anzi “collaborazionisti col nemico”, i giovani irriducibili nelle loro “movide” sconsiderate del 7 marzo in diverse città, da Milano a Roma, Venezia, Genova, Trieste, che hanno contribuito al dilagare del contagio, seguite da 5 immagini sull’affollamento nei mezzi di trasporto negli stessi giorni, di cui le 2 ultime nei treni per il Sud affollati in modo altrettanto sconsiderato. Quindi la “stretta” decisa finalmente dal governo il 7-8 marzo ma inasprita il 14-15: marzo, dopo 3 immagini sulle file avanti ai supermercati e gli scaffali vuotati, 2 sui mezzi pubblici finalmente svuotati, 2 su strade romane finalmente vuote, e 11 su piazze storiche finalmente deserte, 3 a Roma, le successive 8 a Milano e Venezia, Genova e Bologna, Firenze e Pisa, Napoli e Palermo. Dopo questo deserto triste ma necessario, torna l’elemento umano, i medici e infermieri mandati dalla Cina, Cuba e Russia nell’ordine, quelle fotografate sono solo le avanguardie di spedizioni imponenti, con operatori sanitari e tanti materiali preziosi, un “arrivano i nostri” della generosità e solidarietà con noi italiani nel momento più drammatico che stiamo attraversando. In conclusione, l’arcobaleno disegnato da mani infantili con la scritta che ne esprime l’ingenua ma benaugurante certezza “Andrà tutto bene!”, seguito da un altro arcobaleno, disegnato nel cielo dopo la tempesta, un augurio cosmico e soprannaturale sulla nostra terra. Evocazione espressa nelle ultime 2 immagini, nella prima il Crocifisso e di fronte un operatore sanitario impegnato nella disinfezione, nella seconda Papa Francesco chiude la galleria con il momento culminate della celebrazione religiosa, in cui eleva le sue preghiere al Signore perchè ci “liberi dal male”, ha voluto che la sua messa mattutina delle ore 7 a Santa Marta sia trasmessa quotidianamente in televisione. Tutte le immagini, meno la terz’ultima, sono state prese da una serie di siti web di cui si ringraziano i titolari, per l’opportunità offerta rendendole pubblicamente disponibili, dichiarando che sono meramente illustrative senza il minimo intento economico e commerciale, pronti ad eliminarle su semplice richiesta se la pubblicazione non è gradita. Citiamo, in ordine alfabetico, con la nostra gratitudine, i siti da cui abbiamo tratto le immagini, s.e.o.: artnews, ansa.it, asknews, affaritaliani.it, blizquotidiiano.it, cataniauniversity.it, coordown.it, corriere.it, corrieredelveneto.corriere.it, diarioromano.it, dir.e.it, genovatoday.it, ilgazzettino.it, ilgiornale.it, ilgiorno.it, ilmessaggero.it, ilpiccologeolocal.it, ilrestodelcarlino.it, ilsole24ore.it, iltempo.it, milanotoday.it, nuovaveneziageopal.it, meteo.eu, quotidiano.net, rainews.it, repubblica.it, sanmarinorti.sm, tgcom24.mediaset.it, tg24sky.it, triestecafe.it, winenews.it. La terz’ultima immagine è di Aligi Bonaduce, tratta da un post recente su Facebook, lo ringraziamo per il segno augurale dal comune paese natale, Pietracamela.
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Carissimo Romano, ho letto il tuo articolo e non posso che condividerlo integralmente , soprattutto nella individuazione dei comportamenti “asimmetrici” ( Stiglitz sarebbe fiero di te) con cui tutti gli operatori politici e istituzionali coinvolti hanno affrontato l’emergenza coronavirus.Nono stante le numerose avvisaglie di ciò che poteva capitare le cosiddette “autorità competenti” hanno ritenuto fino all’ultimo che l’epidemia fosse soltanto un fatto interno cinese o magari esteso alla sola Corea.
Sappiamo bene cosa è avvenuto e come l’organizzazione sanitaria nazionale sia stata colta completamente di sorpresa dovendo inseguire un nemico sconosciuto senza disporre dei deterrenti necessari. Quando parli degli “ eroi di retrovia “ mi viene purtroppo in mente la tragedia dell’Armir in Russia dove alla dotazione degli scarponi di cartone si è sostituita la scarsità o addirittura la mancanza dei presidi sanitari necessari , dalle mascherine ai respiratori.
Di fronte alla drammaticità della situazione il Paese ha risposto nei modi consueti: ognuno per conto suo , in ordine sparso cercando una nicchia di notorietà da un’intervista all’altra , facendo comparsate ovunque era possibile. Governo , maggioranza , opposizione , scienziati , parti sociali , in una apoteosi schizofrenica affermavano tutto e il suo contrario , indifferenti alle responsabilità dei ruoli ma interessati solo a occupare la scena. Il tutto enormemente complicato dall’ossimoro del Titolo V della Costituzione che veniva a scatenare lo scontato conflitto d’ interessi fra Governo e Regioni, arricchito dalla situazione di campagna elettorale permanente che da anni caratterizza il dibattito politico nazionale. Come poteva questo “ brodo di coltura” non riverberarsi negativamente sui modi, tempi e metodi di contrasto del fenomeno epidemiologico con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
Obiettivamente come potevamo pensare che Conte fosse l’uomo giusto al posto giusto ; ognuno ha i suoi limiti e lui li ha dimostrati tutti . Ciò nondimeno devo riconoscere che si è trovato per sua sfortuna a dover fronteggiare una delle situazioni più drammatiche vissute dal Paese dalla fine della guerra . Terremoti e inondazioni per quanto gravi sono delimitati nel tempo e nello spazio ; qui si è di fronte a un nemico sconosciuto senza armi adeguate per affrontarlo.
Conte non mi è simpatico soprattutto sotto il profilo etico per aver accettato di presiedere senza soluzione di continuità due coalizioni politicamente antitetiche .
Il convento vi passa quel che ha , ma sarebbe ingiusto accollare a lui tutte le responsabilità di questa disastrosa gestione dell’epidemia.
Qui nessuno è stato all’altezza delle sue responsabilità : il Governo, che ha traccheggiato rinviando e sottovalutando la situazione , le Regioni dimostratesi anch’esse impreparate ad assolvere alla loro responsabilità costituzionali , il mondo accademico sanitario balbettante e timido nel dare indicazioni cogenti all’esecutivo, le parti sociali , imprenditori e sindacati , interessati come sempre a difendere il proprio orticello .
Abbiamo visto che la stessa Protezione Civile ha preferito svolgere un ruolo di mero esecutore di indicazioni altrui,forse anche qui per i limiti delle persone . Il tanto atteso Bollettino delle 18,00 si è tradotto in una anonima sequenza di cifre dove l’unico numero veramente indicativo della gravità della situazione è quello dei decessi.
Cosa mi aspetto oggi? Non lo so non mi sembra che ci sia una strategia consapevole dei rischi non solo sanitari che corre il Paese. La stessa incertezza sulla durata dei provvedimenti di” distanziamento sociale “ la dice lunga sull’affanno delle istituzioni.
Sarebbe questo il momento di individuare una persona cui affidare i “ pieni poteri” tanto cari a qualcuno ? Mah , certo che la tentazione è forte.
Grazie per avermi coinvolto Romano, più di questo al momento non saprei dirti.
Con la stima di sempre
( Ferdinando) Francesco Belli
Francesco carissimo, ritrovarti è emeozionante sul piano personale dopo un quarto di secolo dalla fine della comune militanza all’ENI; Lucio La Verde – anche lui intervenuto oggi con un Post – lo avevo già “incontrato” di nuovo dieci anni fa con il suo commento al mio servizio sulla mostra al Vittoriano “Il Cane a sei zampe”, due articoli non più raggiungibili “on line” ma sono a disposizione se interessano avendoli scaricati. Con te, come in “L’amico ritrovato”, il nostro incontro avviene dopo un tempo sconfinato, nella drammaticità di una tragedia epocale, che al dolore delle vittime aggiunge l’angoscia che ci attanaglia tutti per la terribile minaccia alla vita e a tutto quanto abbiamo costruito nei decenni trascorsi.
Concludi il tuo “Post” con le parole “più di questo al momento non saprei dirti”, ebbene ti rispondo che hai detto tutto quello che non si trova nel mio articolo ma l’ho pensato e in parte omesso in una mitigazione che ho ritenuto di fare per non essere archiviato come disfattista che fa polemiche nel momento dell’emergenza mentre “le critiche le faremo dopo, non ora”, dicono tutti. Perciò ho cercato di “oggettivare” le mie critiche, che tu fermamente e opportunamente invece personalizzi nelle istituzioni indicate espressamente e nei protagonisti del quotidiano circo mediatico; perchè non si può aspettare a denunciare – io mi sono limitato, ripeto, ai fatti oggettivi – altrimenti i gravissimi danni continuano a prodursi, e li provocano i tanti sedicenti “scienziati” che hanno occupato la telvisione dando messaggi non solo contraddittori ma in molti casi deleteri.
Come il messaggio martellante del vero pericolo soltanto per gli ottantenni, che provoca comportamenti irresponsabili ritenuti erroneamente non rischiosi dai più giovani che vediamo ora colpiti in sempre maggior numero, sulle “inutili mascherine”, forse per coprirne l’indisponibilità mentre difenderebbero dagli “asintomatici” inconsapevoli, sul “distanziamento sociale” di un metro sufficiente a impedire il contagio quando negli ambienti chiusi non areati il virus può restare a lungo nell’aria. Non lo dico spacciandomi per esperto, che non sono, ma perchè gli esperti dicono queste cose però senza collegarle: ad esempio, anche se le “mascherine” servono solo per i “positivi” affinchè non trasmettano l’infezione, dato che tantissimi sono “asintomatici” – forse 600.000, ha ammessso Borrelli – e non sanno di esserlo, la trasmettono inconsapevolmente quanto largamente, per cui tutti, dico tutti, dovrebbero portarle. Ebbene, tu hai messo allo scoperto l’iceberg operativo e comunicativo che c’è sotto la gestione insufficiente dell’emergenza senza che se ne abbia consapevolezza, tanto che ci si autogloria dei riconoscimenti degli altri paesi altrettanto irresponsabili nella sottovalutazione della minaccia per cui corrono ai ripari quando l’epidemia è dilagata, coem abbiamo fatto noi ignorando l’insegnamento della Cina con la colpevole “gradualità” e “proporzionalità”. Per non parlare dei dati del “bollettino di guerra ” delle ore 18, che giustamente citi come non indicativi, ma non lo sono neppure quelli sui decessi che, coem ha detto mi sembra il sindaco di Bergamo, non comprenderebbero i tanti morti a casa senza tampone rivelatore del virus.
Evochi la tentazione dei”pieni poteri”, di certo potrebbe richiederli la guerra mortale contro il coronavirus che richiede mezzi starordinari, non può combatterla con la necessaria forza ed efficacia l’apparato normale del governo con il Presidente del Consiglio che deve compiere mediazioni interminabili con Regioni e Comuni, sindacati e organizzazioni di ogni categoria, oltre che con il Parlamento bicamerale. Anzi, è riuscito ad evitare di esserne paralizzato riferendosi,come fossero cogenti, alle indicazioni del “Comitato tecnico-scientifico”, ma in un anonimato che toglie ogni responsabilità, esautorando anche il Ministro della salute; e la “proporzionalità” e “gradualità” , se suggerite dal Comitato nascondono una sua colpevole incapacità previsionale nel decorso epidemiologico inammissibile avendo freschissima l’esperienza cinese sullo stesso virus.
Grazie, caro Francesco, di aver aperto il “vaso di Pandora” che io avevo tenuto chiuso, pur avendone la chiara percezione, perchè le accuse che tu hai fatto e condivido, non fossero strumentalizzate creando un polverone parapolitico tale da nascondere la realtà che va posta alla ribalta nei suoi aspetti meno visibili per le doverose e salvifiche correzioni; anche al di là delle responsabilità e delle colpe dei protagonisti che potranno essere considerate “dopo”, sempre se l’emergenza non richiederà un intervento molto più drastico, cosa che nessuno si sugura, neppure gli avversari più agguerriti.
Complimenti Romano, analisi come sempre lucida e cristallina sui tristi avvenimenti di queste settimane, le tue frasi hanno fotografato ogni evento e ne hanno analizzato ogni aspetto , triste l’analisi del superficiale comportamento di quegli italiani ( anche se pochi) che non riescono a responsabilizzarsi nella situazione, pretendono giustamente la democrazia ma purtroppo la scambiano per un “faccio quello che voglio” che tristezza ! Un caro saluto . Arrivederci a tempi più sereni .
Caro Aligi, grazie dei complimenti così caldi e generosi, non merito tanto, scrivo ciò che sento, non altro. Ricambio i complimenti riferendomi al tuo ben sperimentato genio fotografico, questa volta hai saputo rendere con una visione buia e oscura, fino a sembrare fosca, del nostro Gran Sasso – finora ripreso sempre nella luminosità e serenità del “Gigante che doeme” o “Bella sddormentata” – il momento tragico che stiamo attraversando; la tua è un’immagine dantesca che hai “postato” su Facebook oggi, all’indomani dell’ecatombe di 1.000 “caduti” in una sola giornata – quasi un terzo dei morti nell’intera Cina con 1.400 milioni di abitanti nei due mesi di epidemia – con una sensibilità e un tempismo eccezionali. E non dimentico che non hai “postato” le immagini dei balconi rutilanti di bandiere con gente festosa perchè – come mi hai detto – sarebbero state stonate rispetto al dolore per tante vittime e dinanzi sgli immani sacrifici degli operatori sanitari e non solo. Per questo motivo non hai seguito il mio suggerimento di inserire la scritta “Andrà tutto bene!” sotto l’arcobaleno della fotografia con cui, sempre su Facebook, avevi anticipato i disegni infantili con disegnato l’arcobaleno e quella esclamazione. Concludi con le parole “arrivederci a tempi più sereni”, le ricambio, li evoca e li augura il tuo arcobaleno.
Caro Romano, ancora una volta dalla tua inesauribile penna emerge un ineccepibile “Rapporto” sulla situazione corona virus. Ti candidiamo a Responsabile della Protezione Civile. Lucio La Verde
Caro Lucio, finalmente ti ho ritrovato d1eci anni dopo il tuo altrettanto generoso commento al mio servizio sulla mostra “Il Cane a sei zampe”; allora si trattava di rievocare la comune militanza ENi terminata un quarto di secolo fa, ora di riflettere su un’emergenza epocale che rischia di travolgere quanto si è costruito se non si arresta con la decisione e fermezza necessaria. Grazie di una condivisione che assume grande valore provenendo da un osservatore attento, profondo e sperimentato come te, alieno da sempre da ogni conformismo e prudenza, ma costantemente ispirato dai valori più autentici al centro dei quali c’è il bene collettivo, e in questa drammatica situazione è minacciato addirittura il bene supremo, la vita.
Caro Romano, ho letto con attenzione il tuo articolo molto articolato e complesso per cui esprimo alcune mie considerazioni: 1) Sicuramente ci sono stati errori e all’inizio anche una sottovalutazione della pericolosità di questo nuovo virus da parte della politica e della scienza, “Nessuno è perfetto a questo mondo”. Purtuttavia le altre Nazioni contagiate dopo di noi come US, Inghilterra, Spagna, Francia, Germania avrebbero dovuto far tesoro dei nostri errori, ma non lo hanno fatto. Morale della favola: I provvedimentoi presi sono stati tali da far tremare le vene nei polsi dei politici i quali, con equilibrio hanno cercato, in un primo tempo, di non assestare un colpo mortale alle rispettive economie. 2) Anche gli italiani, cui tu dai l’appellativo di “prima linea”, a mio avviso, hanno ceduto su tutto il fronte infischiandosene delle norme emesse dalle autorità politico-sanitarie riversandosi nei parchi, sulle spiagge, nei pub. nelle discoteche e chi più ne ha più ne metta anche perchè, con ogni probabilità hanno dato ascolto ai maggiori esponenti politici dell’opposizione mi spiego: l’ex ministro dell’interno e attuale segretario della Lega, senatore Matteo Salvini che detiene il 30% dei consensi elettorali, a fine mese di febbraio cosi arringava gli italiani sui social: “Riaprire fabbriche, musei, discoteche, bar, ristoranti”. Il suo motto fu:”Riaprire. riaprire, riaprire”. Così pure si è comportato il deputato di Forza italia, Maurizio Mallegni che, aggiungendo un pizzico di maleducazione per dare più forza al suo messaggio, così si esprimeva: “Torniamo a riempire i treni, gli autobus, gli aerei… Questi coglioni hanno bloccato l’Italia”. Ora se le autorità italiane hanno sottovalutato all’inizio la pericolosità di questo virus lo hanno fatto in buona fede per un solo obbiettivo: ricercare quell’equilibrio fra aspetto sanitario ed economico che potesse salvare capra e cavoli. Quando si sono resi conto che doveva essere prevalente la salute dei cittadini, non hanno avuto più esitazioni ed oggi l’OMS e tutte le Nazioni contagiate stanno seguendo il nostro esempio. Diverso è il caso dei due importanti politici prima citati i quali, per inserirsi politicamente in questo maledetto problema, dove poi non hanno toccato più palla, hanno invitato gli italiani a non attenersi agli allora semplici consigli dati dal governo. 3) Per quanto attiene al grado di mortalità esistono tabelle emesse dal comitato scientifico sanitario formato da virologi, epidemiologhi, biologi cioè scienziati, in cui si riscontra che la percentuale di mortalità è molto alta nelle fasce di età superiori ai 75 anni mentre è molto minore al di sotto di questa soglia. Io personalmente plaudo alle iniziative governative sostenute dal comitato sanitario e spero che presto si raggiunga il picco per poi iniziare la discesa. D’altro canto è ciò che è già successo in Cina, a Codogno e a Vo’ dove non ci sono più contagiati tamponati. Un ringraziamento di tutto cuore va ai medici, agli infermieri, agli operatori sanitari e a tutti coloro che stanno lavorando per noi al fine di garantire i servizi essenziali, grazie, grazie, grazie. Insieme ce la faremo.
Caro Gelasio, anzi caro Gero, come ti chiamano gli amici, ti ringrazio per il tuo commento, ancora più articolato del mio scritto perchè entra anche nel campo politico dal quale mi sono tenuto lontano perchè le considerazioni di un sito culturale a mio avviso devono prescindere dal pur importante sottofondo politico che in un’ottica più vasta è legittimo evocare.
Vedo che condividi il mio rilievo sugli “errori” e sulla “sottovalutazione della pericolosità del virus” e fai bene a precisare che ciò è avvenuto “da parte della politica e della scienza”, perchè è stato proprio così dato che – a stare almeno alle dichiarazioni ufficiali – si sono seguite le indicazioni del Comitato tecnico-scientifico. Ciò detto, e su questo concordiamo, non si tratta di attribuire colpe ma di constatare i fatti, del resto sotto gli occhi di tutti, pertanto non credo si possa minimizzare dicendo “nessuno è pefetto a questo mondo”, mi sembra che una battuta simile era nel finale scherzoso del film-commedia “A qualcuno piace caldo”; sarebbe come se una guida alpina su una parete vertiginosa mettesse maldestramente dei chiodi che non reggono e fanno precipitare la cordata giustificandosi poi con un’espressione di quel genere – siamo montanari perciò mi è venuto questo parallelo non so quanto appropriato – figurarsi per la dramamtica vicenda che stiamo vivendo. E consola poco il riferimento agli errori degli altri paesi che pure hanno avuto l’esempio dell’Italia, neppure “mal comune è mezzo gaudio” – anch’io non resisto alla battuta – può valere nel dramma attuale. Abbiamo avuto l’esempio della Cina, che da subito non ha isolato soltanto la città di Hubei, ma l’intera provincia di Vuhan con 60 milioni di abitanti, l’intera popolazione italiana, e con misure drastiche che, come dici giustamente, fanno “tremare le vene ai polsi dei politici”, per cui quando vengono prese ciò avviene tardivamente. Pur senza dare colpe, ripeto, ma pensando alle misure tardive e soprattutto alle loro conseguenze, io non direi che hanno operato “con equilibrio” ma con miopia, magari giustificata dall’insufficiente supporto degli epidemologici e scienziati e dai timori per il contraccolpo economico, sempre miopia.
Non è questo il “senno del poi”, perchè alla base c’è stato quello che penso vada definito un criterio perdente, la “proporzionalità” rispetto alla situazione in essere con misure da rivedere “gradualmente” secondo l”evolversi della situazione”, quando una pur minima capacità previsionale che agli epidemiologici non doveva mancare avrebbe dovuto consigliare il criterio opposto, l’intervento drastico subito con attenuazione graduale, allorà sì, rispetto all’evolversi della situazione. Non ne avrebbe sofferto maggiormente l’economia, perchè i tempi delle restrizioni sarebbero stati più contenuti, e non parliamo del bilancio sanitario per carità di patria.
Sul secondo punto, il comportamento degli italiani nella “prima linea della guerra” – secondo l’acuta visione dell’infettivologo prof Massimo Galli dell’Ospedale Sacco di Milano che si considera nelle “retrovie” sommerse di “feriti” per colpa della “prima linea” – condividi il giudizio che se ne sono “infischiati”, ma trovo fuorviante attribuire la defezione di tanti ai messaggi sbagliati dell’opposizione politica intervenuti, peraltro, quando il leader del principale partito di governo era addirittura volato a Milano per sostenere la sollecitazione el Sindaco, della stessa parte politica, secondo cui “#milanononsiferma”. E’ stata una fase brevissima, di pochi giorni, in cui anche l’informazione faceva a gara nel diffondere incitamenti rassicuranti, mentre è stato continuo e martellante il messaggio, diffuso anche quotidianamente nei “bollettini di guerra” delle ore 18, secondo cui era poco più di un’influenza da prendere sul serio soltanto perchè saturava le terapie intensive del Sistema Sanitario Nazionale dove, comunque, andavano soltanto gli ottantenni, quindi per gli altri si trattava più di solidarietà che di autodifesa persoanle, questo il messaggio percepito, anche al di là delle intenzioni; dopo il 23 marzo tale martellamento sembra essersi placato anche perchè l’età media dei colpiti gravemente si è abbassata fino a minacciare da vicino anche i puù giovani.
Nessuno nega che tutto sia stato fatto “in buona fede”,come giustamente sottolinei, nessuno si azzarderebbe a pensare ehe ci siano degli “Erodi dei vecchi” magari per alleggerire la spesa pensionistica – lo dico come paradosso che può aver solleticato soltanto gli inglesi, sia pure per pochissimo tempo – ma “salvare capra e cavoli” è stata spesso una missione impossibile, finita nel migliore dei casi con i cavoli mangiati dalla capra, nel peggiore con la barca affondata senza che si salvasse nessuno. Vale forse di più l’altro detto delle nostre parti, “il medico pietoso fa la piaga verminosa”, un ammonimento che è una metafora per la nostra Caporetto sanitaria.
Del resto, con le misure troppo “prudenti”, quindi poco restrittive, non si salva l’economia, il contagio dilagante che ne deriva obbliga a chiudere le fabbriche ugualmente – i sindacati hanno ottenuto che se ne chiudessero altre in aggiunta a quelle chiuse dal governo – e poi, anzi prima di tutto, c’è l’elemento decisivo: la difesa della salute e della vita è principio primario anche nella nostra Costituzioen oltre che nella coscienza civile.
Fatte queste precisazioni – in cui richiamo le mie ferme convinzioni esposte diffusamente nell’articolo – mi sorprende che mentre nella prima parte del tuo commento hai evidenziato tu stesso “errori e all’inizio anche una sottovalutazione” con le conseguenze che tutti apprendiamo negli ansiosi ascolti quotidiani dei “bollettini di gurra” delle ore 18, alla fine concludi dicendo “personalmente plaudo alle iniziative governative sostenute dal comitato sanitario”. Si possono trovare tutte le giustificazioni che si vogliono, e non siamo alla ricerca di colpevoli – ci mancherebbe altro nell’emergenza attuale! – ma non mi sentirei certo di plaudire al governo che ha preso misure più adeguate solo sulla fortissima spinta delle Regioni del Nord più colpite che le hanno anticipate – tra l’altro governate dall’opposizione che andrebbe citata anche qui per questo contributo positivo – nè tanto meno plaudirei al comitato sanitario che a mio avviso è stato cattivo consigliere, privo della benchè minima capacità previsiva su un’epidemia come tante altre nella storia per la quale oltretutto sul coronavirus c’era la freschissima esperienza vittoriosa cinese.
Il nostro plauso deve andare invece ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari – compresi i volontari della Protezione civile – spesso senza dispositivi di protezione adeguati, cosa che purtroppo trasforma gli eroi in martiri, oltre che a coloro i quali, esponendosi al rischio del contagio, assicurano i servizi essenziali: dagli addetti alle casse dei supermercati, ai camionisti che trasportano le derrate, ai corrieri postali, postini e Poney express, dai produttori e distributori di apparecchiature sanitarie vitali, alle forze dell’ordine e ai militari mobilitati, fino agli 8.000 medici e ai 10.000 infermieri che hanno risposto generosamente all’appello della Protezione civile per andare a rinforzare le “retrovie” divenute “prima linea”.
Perciò, caro Gero, mi unisco al triplice ringraziamento con cui concludi il tuo commento nel quale c’è una condivisione sugli elementi essenziali, il resto è contorno e non intacca il comune rispetto delle istituzioni che ci porteranno, e speriamo avvenga presto, alla vittoria contro il coronavirus per poi ricostruire ciò che è stato dissestato, su nuove basi che la drammatica esperienza vissuta renderà più solide del passato.
Caro Romano, ho solo alcune osservazioni da fare al tuo articolo e alle tue osservazioni sulla mia risposta. Anche se affermi: ” non è il senno di poi, né un’accusa al governo e al comitato che ha indicato la linea seguita, ma la constatazione di una linea perdente sotto gli occhi di tutti”, non solo ma affermi che “ne parleremo senza presunzione esternando ciò che riteniamo pensino gli italiani”. Ora, quando metti in evidenza la linea perdente è chiaro che questa frase è riferita al governo che ha preso le decisioni, ma poi rincari la dose quando dici che la tua visione negativa è condivisa dagli italiani sposando in toto la linea di non collaborazione delle attuali opposizioni con il governo. Quindi caro Romano al di la di ciò che affermi e che traspare poco dal tuo scritto è tuttavia una critica netta all’attuale linea seguita dal governo. Per carità, questa tua posizione è legittima, ma a mio parere dovrebbe essere epressa con più chiarezza e determinazione. Il paragone poi sulla strategia bellica non regge poiché in guerra il nemico è ben identificabile: si conosce il numero, l’armamento, la forza dell’esercito nemico per cui una sconfitta è imputabile solo ed esclusivamente alla stato maggiore dell’esercito sconfitto e scemo sarebbe quel generale che invece di opporre strategie valide ad arginare un nemico perfettamente conosciuto costruisse ospedali pee curare i feriti. Il caso che stiamo dibattendo è un caso totalmente diverso: il nemico è competamente sconosciuto, possiede armi letali che non possiamo contrastare con vaccini ma solo adottando metodi adottato secoli fa, la quarantena. E’ stato così veloce nel colpire che anche la Cina ha atteso due mesi prima di intervenire, prova ne è il famoso virologo che lanciò l’allarme nelmese di dicembre ma fu preso per pazzo e traditore e incarcerato salvo poi dichirarlo eroe nazionale alla sua morte per Covid. Decanti l’efficienza delle regioni del nord sapendo bene che la Costituzione demanda alle regioni la gestione sanitaria. Ebbene queste amministrazioni di destra nulla fecero per evitare il focolaio nel lodigiano, precisamente a Codogno da dove come un incendio fu infettata tutta la Lombardia cosi come nulla venne fatto a Vò in Veneto da cui partì l’inarrestabile cantagio. Vedo poi che non hai risposto all’inaccettabile comportamento dell’ex ministro dell’interno Salvini e del deputato di Forza Italia Mallegni i quali in barba a tutti i consigli del governo e dei sanitari di restare a casa invitavano i cittadini a ” riaprire, riaprire” o “questi coglioni hanno bloccato l’italia”. Quindi caro Romano dal tuo scritto, contrariamente a quello che affermi, io riscontro una netta presa di posizione politica che, per carità, è legittima, regola e genuina… E ci mancherebbe altro. Oggi però iniziamo a vedere che la linea del governo, di cui io non sono un estimatore per certi versi, seguendo la polirtica renziana, è stata una linea vincente poiché i contagi sono in calo, i malati in terapia intensiva liberano posti per salvare altra gente cosi come prevedeva la strategia governativa e fra non molto, gradulmente l’Italia, contutte le precauzioni possibili dettate dalla scienza riprenderà il suo corso. Certo il ritorno alla normalità sarà lungo e faticoso ma , come afferma Renzi: “Non possiamo morire di fame per non morire do Covid-19. Ciao Romano
Caro Gero, non intendo essere tirato dentro a una discussione, o meglio uno scontro politico, in cui non mi riconosco essendo la mia impostazione del tutto diversa, rivolta ai fatti visti nella loro oggettività, com’è ovvio in una visione necessariamente personale, a prescindere dai soggetti politici cui si riferiscono. Per questo, pur prendendo atto della tua diversa valutazione, non mi sento in contraddizione tra quanto ho enunciato e le mie critiche alla gestione della crisi basate su evidenze a mio avviso concrete e non su pregiudizi politici come quelli che emergono chiaramente dal tuo scritto, pur legittimi, ma evidenti.
Come quando ribalti ancora responsabilità che io non ho attribuito alla maggioranza, alla parte politica di opposizione mentre sai che certi sconsiderati appelli di “cessato allarme” sono stati comuni, lo ribadisco, oltre che all’intera comunicazione, anche alla maggioranza, e non solo con “tweet” ma con atti concreti, pur con modi “politicamente corretti” rispetto a toni smodati certo da condannare. E come non ho attribuito responsabilità a una parte politica, non ho mai “decantato l’efficienza delle regioni del nord”, ma soltanto ricordato che la misura più restrittiva adottata al centro è stata presa dopo il “fatto compiuto” dell’ordinanza lombarda dinanzi alle esitazioni dei decisori centrali; e per la competenza costituzionale alle regioni sulla sanità, sai bene che non vale per la salute e per le epidemie, tanto che c’è voluto il decreto recentissimo per ammettere che le regioni prendano misure più restrittive, sempre nell’ambito della più generale competenza governativa, il “fatto compiuto” legittimato e reso giustamente una normale integrazione vicina alla realtà locale.
Sulla assimilazione a una guerra, non serve neppure premettere che non è mia ma di tutti gli osservatori ben prima di me, evidentemente è una metafora, e nessuno potrebbe ignorare le profonde differenze, del resto nel titolo la definisco “guerra asimmetrica”. Detto questo, non mi sembra che il “nemico” sia così sconosciuto – spesso lo è nella guerra “convenzionale”, ricordiamo la “sorpresa” delle “armi segrete” come le V2 e l’irruzione inattesa della bomba atomica nell’ultima guerra – le epidemie hanno una storia millenaria, il “Decamerone” di Boccaccio è nato con la “quarantena” per la peste come sappiamo tutti dai banchi di scuola. Le misure dell’isolamento sono le stesse, quindi non c’era nulla da scoprire ma da essere tempestivi per evitare il dilagare del contagio, ogni ritardo ha effetti devastanti, anche questo è noto da sempre.
Ed è vero, come sottolinei, che la Cina ha tardato forse due mesi a rendere nota la possibile pandemia, ma nel suo caso, e solo nel suo caso, si può dire del nemico inatteso e sconosciuto, confuso nei sintomi con la normale influenza tanto che neppure ora riusciamo a distingurle, e se è stato ritenuto inizialmente un allarme ingiustificato, anzi pericoloso per la quiete pubblica, quello del medico cinese – da onorare come eroe e martire – la prudenza si può attribuire al fatto del tutto inedito e allora quasi incredibile. Pensando questo, ritengo insensati oltre che sconsiderati gli attacchi dei leader della nostra opposizione alla Cina per il suo ritardo nella comunicazione, quando dobbiamo essserle grati per aver poi condiviso tutte le informazioni, scientifiche e operative, con un esempio vincente che poteva essere seguito con maggiore lungimiranza e tempestività. E condivido in questo l’operato del nostro Ministro degli Esteri che si è speso tanto con questo paese ottenendo risultati concreti.
C’è stata tempestività nella dichiarazione dell'”emergenza nazionale” nel nostro paese a fine gennaio a valere fino al 31 luglio – quindi con una previsione semestrale della crisi – imemdiatamente dopo l”emergenza globale” decretata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne diamo atto ai nostri decisori; mm sarebbe un titolo di merito per loro se tale proclamazione fosse stata seguita da atti conseguenti nell’immediato, mentre sembra che non siano stati neppure allertati adeguatamente ospedali e medici, di qui il caso di Codogno non imputabile quindi agli ignari operatori sanitari lombardi non messi in guardia, nè riforniti poi di materiale protettivo, come i medici di base, materiale che manca tuttora dopo due mesi dalla proclamazione pur tempestiva. Come si spiega il contagio di 60 mila medici e infermieri, negli ospedali e negli studi dei medici di base, e la morte di oltre 60 medici contagiati? Purtroppo alla tempestività per “l’emergenza nazionale”- lo ribadisco perchè è un elemento determinante per risalire alle cause, e non alle “colpe”, ripeto – non è seguita altrettanta tempestività nelle operarazioni concrete, i dramamtici eventi successivi possiamo qualificarli soltanto “post hoc” o anche, almeno nella parte evitabile, “propter hoc”? E’ solo di pochi giorni fa la nomina del “Commissario per l’emergenza” con compiti di approvvigionamento, non lo si poteva fare il 31 gennaio invece di proclamare che il nostro Sistema Sanitario Nazionale era pronto perfettamente ad affrontare il temuto arrivo dell’epidemia?
Ciò precisato, potrai pure riaffermare anche dopo questa mia replica, che “contrariamente a quello che affermi, io riscontro una netta presa di posizione politica che, per carità, è legittima e genuina”, non mi interessa, anche se lo nego, nè penso interessi nessuno. Ma non posso non sottolineare la pervicacia, per usare un eufemismo, con cui parli di “linea vincente del governo” quando abbiamo superato gli 11.000 decessi – più del il triplo dei morti “dichiarati” per il continente cinese, un terzo dei morti nell’intero pianeta – che fanno pensare invece a una tragica Caporetto, o se preferisci chiamarla vittoria è una vittoria di Pirro devastante e sconvolgente. Nè rendi un servizio alla “strategia governativa” e neppure alle “politica renziana” alle quali dai meriti che solo la lente politicista ti fa vedere, contraddetti purtroppo drammaticamente dai fatti, che sono il dilagare finora dei contaggi e dei decessi; e ci mancherebbe che non ci fosse a un certo punto il rallentamento sperato, purtroppo tardivo come le misure di contenmento con le misure più rigide,
Concludi con la citazione di Renzi “non possiamo morire di fame per non morire di Covid 19”, ma la si può e si deve anche ribaltare, “non si può morire di coronavirus per non morire di fame”, sarebbe una morte comunque. mentre si deve vivere. E speriamo si possa trovare la via giusta, che parte dal riconoscimento degli “errori e sottovalutazioni” che ammettevi all’inizio del tuo primo commento, e mi sembra tu ora abbia dimenticato, mentre non vanno dimenticati per evitarne di nuovi altrettanto dannosi. Sei stato preso da una “vis polemica” che dà sapore a questo nostro confronto, e spero stimoli ulteriori contributi mossi dalla stessa passione civile e animati da spirito costruttivo, come quello alla base del mio articolo che ha dato inizio alla discussione. Articolo che si chiude con l’arcobaleno della montagna abruzzese dal nostro comune paese natale, un segno sereno e augurale per tutti. “La primavera tarda ad arrivare”, cantava Battiato, ma arriverà, ce lo dicono i bambini con il loro “Andrà tutto bene!”, lo speriamo e vorremmo esserne certi. Ma non possiamo lasciarci andare a un consolatorio “é andato tutto bene!”, sarebbe oltre che errato e fuori luogo, anche fuorviante e soprattutto pericoloso.
Caro Romano, ribadisco ciò che ho detto all’inizio della mia risposta e cioè che ci sono state sicuramente sottovalutazioni dovute a decisioni da prendere che avrebbero fatto tremare il sangue nelle vene dei più impavidi condottieri. Come possiamo osservare, però, anche tutti i condottieri degli altri Stati, e mi riferisco naturalmente ai governi, hanno avuto le stesse indecisioni del governo italiano come gli USA e la Gran Bretagna che, ancora oggi, non hanno adottato le drastiche decisioni prese dal Governo italiano. E’ forse questo aspetto un ulteriore aspetto pandemico? Assolutamente no. Io penso e ripeto che tutti e ripeto tutti gli Stati stanno prendendo decisioni per mantenere un equilibrio sostenibile fra salute ed economia. Purtroppo tutte le guerre hanno i loro morti e questa pandemia è sicuramente più letale di una guerra e quindi è stato impossibile non avere morti, ma l’obbiettivo da conseguire è stato quello di limitare i morti. Io ho dato una mia interpretazioneal tuo pensiero e ribadisco che il tuo scritto non mi sembra assolutamente apolitico, poichè non dai nessuna attenuante, alcuna giustificazione alle decisioni governative, ma solo una critica direi spietata senza considerare difficoltà di qualsiasi genere che vanno dalla burocrazia al ritardo derivante da discussioni che sono assolutamente necessarie in uno Stato democratico. Naturalmente queste mie affermazioni sono senza offesa in quanto è giusto che un tuo qualsiasi interlocutore, come posso essere io stesso, risponda al tuo pensiero legittimo, regolare e genuino con altrettanta sincerità. Ora per rendere bene il concetto di questa battaglia, di questa guerra che noi tutti stiamo cobattendo, vorrei anch’io esprimermi con una metafora. Immaginiamo che un nemico alieno, di cui non abbiamo alcuna conoscenza, dalla sua astronave posizionata nello spazio conbatta indirizzando sulla terra milioni di piccoli dardi che colpiscono gli uomini mentre sono per strada. Ci saranno degli attimi di smarrimento per l’evento mortale, si perderà del tempo per capirne gli effetti e la sua carica mortale. Quando si capisce la vera portata dell’attacco tutti si rintanano in casa, nascondendosi agli attacchi. Passerà del tempo, forse settimane, forse mesi ma quando il nemico avrà capito che non potrà più colpire nessuno grazie alle semplici precauzioni prese dall’uomo, andrà via, si allontanerà non avendo più la possibilità di fare male. E’esattamente ciò che oggi sta succedendo nel mondo e l’OMS sta consigliando a tutti gli altri Stati la bontà e l’adeguatezza delle misure prese dal governo italiano. Oggi possiamo dire che tutte le previsioni del governo e del comitato scientifico si stanno avverando. Le percentuali di incremento del contagio diminuiscono, gli aspedali hanno più disponibilità di cure intensive, i ricoveri sono molto inferiori rispetto a una settimana fa. Il solo dato negativo è il numero di decessi che, secondo il virologo Locatelli, è dovuto ad una lunga degenza e riguardano ancora i pazienti più anziani ricoverati venti giorni or sono e tenuti in vita con ventilazione respiratoria forzata. Ribadisco ancora il mio plauso all’azione governativa supportata dalla scienza che, con il contributo di tutti noi, ha fatto in modo di consentirci l’uscita da questo disastro fra venti giorni o un mese. Si dovrebbero illustrare, per completezza, anche tutti i provvedimenti economici presi dal governo per garantire a tutti e ripeto a tutti, i necessari e indispensabili primi aiuti alla popolazione e le proposte finanziare in atto per far ripartire la nostra economia come era prima o addirittura meglio di prima. Un abbraccio.
Caro Gero, la tua passione civile, unita alla tua fede politica che mi sembra sia emersa con chiarezza, ti fa onore in questo tuo accanimento nel difendere chi non viene attaccato, ma validando così quanto c’è stato di inappropriato a prescindere dai soggetti implicati ai quali, lo ribadisco, non attribuisco colpe specifiche, non mi interessa, mentre invece credo si debba approfondire l’analisi sugli “errori e le sottovalutazioni” che tu stesso confermi per la terza volta lasciandoti andare poi a giustificazioni non dovute perchè non richieste in un’analisi oggettiva.
Quali che siano stati i motivi, i fatti sono quelli sotto gli occhi di tutti, e se gli altri paesi democratici hanno voluto, e forse “dovuto”, come tu lasci capire, seguire la stessa nostra strada, vuol dire che c’è qualcosa che non va nel nostro sistema, non solo italiano, del resto i consoli romani chiamavano il “dictator” nelle emergenze vitali, che non era il dittatore bensì un temporaneo “commissario ad acta” per così dire, quado per “acta” si intendeva la vita e la libertà dei cittadini dall’assalto del nemico, oggi prova a farlo l’ungherese Orban con i pieni poteri, subito crocifisso come antidemocratico pur essendo stato il Parlamento a conferirli, non so però se in ossequio alla Costituzione nè voglio entrare in un discorso politico, l’ho citato solo per l’attualizzazione del “dictator” romano, non riprenderlo per aprire un nuovo fronte polemico. Noi abbiamo atteso oltre un mese per nominare un Commissario per l’emergenza con funzioni limitate agli approvvigionamenti, si pensava che fosse Borrelli fino a quando lo ha negato platealmente.
E’ vero che “tutte le guerre hanno i loro morti”, ma si pensa preventivamente a ridurli con i rifugi per i bombardamenti e le altre difese, senza attendere di vedere l’aumento dei morti per predisporli. Proprio i segnali positivi che vengono dai minori contagi – pur con le riserve del caso essendo riferiti ai tamponi effettuati più che ai contagi effettivi, comunque un valido indicatore di tendenza – mentre segnano i risultati positivi delle misure prese – e non potrebbe essere altrimenti trattandosi dell’isolamento da sempre adottato nelle epidemie – suscitano il ramamrico di non averle adottate prima, proprio per la loro efficacia, risparmiando tanti morti e “feriti”.
Posso avere questo rammarico o devo unirmi a te quando dici “ribadisco ancora il mio plauso all’azione governativa supportata dalla scienza”? Vorrei farlo ma non posso, come non sono uscito sul balcone a festeggiare insieme a tanti nei giorni scorsi, così non mi sento di applaudire oggi e non lo farò domani, il peso delle troppe vittime mi impediscono di considerarlo un successo per i ritardi denunciati non solo da me. Nessuno potrà convincermi, caro Gero, beato te che oltre ad esserne fermamente convinto tenti generosamente di portare dalla tua parte me e, credo, i lettori. Con me non ci sei riuscito, se il dibattito su qusto sito continua vedremo se avrai maggiore successo con i lettori.
Grazie, comunque, della tua intensa partecipazione in cui si esprime, ripeto, una passione civile che ti fa onore e che, questo sì, ritengo di condividere con te, ed è quello che conta.
Romano Maria carissimo,
Condivido al 100% il tuo “bollettino di guerra”. Con riserva. Al tuo acume coglierla.
Ma prima fammi dire: il tempo ha esaltato il “vino” che produce la inesauribile vena del tuo talento. Sono 58 anni dal tempo di via delle botteghe (non quelle rosse!), quando iniziai a bere la tua già gradevole “mescià” (miscela di vino novello e acqua che mio nonno, coltivatore diretto piemontese, metteva in botte per usarla al posto dell’acqua fino all’estate). Da allora…. oltre mezzo secolo di irrobustimento! Chi meglio di me può testare il tuo prodotto?
Ciò detto, condivido la tua diagnosi, ma con riserva: manca la terapia. Chi e come poteva commettere meno errori nella conduzione della guerra contro un aggressore di questa portata? Tu lo accenni ma non vai oltre. Solo un “dictator” nel senso dell’antica repubblica romana. La democrazia, specie la nostra sfilacciata in un reticolo di pesi e contrappesi, non è adatta in tempo di guerra.
Ormai è tardi per combattere l’aggressore. Siamo tutti al fronte, con scarponi di cartone e sole baionette; e, come fai intendere, ce la faremo, purtroppo con troppe vittime ( e non solo anziane).
Ma un’altra battaglia, non meno cruenta è dietro l’angolo. L’economia. Si illudono quelli che pensano al “miracolo economico” degli anni ’50 senza un piano Marshall che l’Europa non ci consente.
Ricordi il messaggio di De Gaulle alla Francia? “Sono pronto ad assumere i Poteri dello Stato”. Era indisponibile a fare il semplice Presidente con la costituzione di allora. Non poteva riuscire.
L’esempio di Orbàn è invitante, ma non troppo! Solleverebbe un vespaio infinito di grida e lamenti sulla “democrazia perduta” etc, etc.
Per una volta siamo furbi: appena ridotta la pandemia chiamiamo Draghi per affrontare la crisi economica; in due anni (tanto manca alle elezioni del Presidente della Repubblica) dovrebbe riuscire meglio di altri, forse, più esperto ed autorevole nel modo globalizzato dei caimani della finanza e non solo. Ma in questi due anni cambiamo la Costituzione per la tanto auspicata Repubblica Presidenziale.
E se Draghi ci toglie dalle secche, sarà lui il nuovo Presidente. Altrimenti, si vedrà.
Ti basta lo spunto per un tuo nuovo articolo che attendo di leggere al più presto?
Con sempre grande affetto.
Peppino
Caro Giuseppe, Peppino per gli amici, io lo sono da lunghissima data come tu ricordi amabilmente con la gustosa, è il caso di dirlo, metafora del vino legata agli affetti familiari, una “miscela” inebriante di cui si ha tanto bisogno in questi momenti tristi, e ti ringrazio di avercela offerta.
La tua “verve” si è altrettanto “irrobustita” in mezzo secolo, ed io sono legittimato come te a “testare il tuo prodotto”, sempre eccellente. Vai subito al sodo, da manager sperimentato. “Manca la terapia”, e soprattutto l’alternativa, affermi cogliendo nel segno: “Chi e come poteva commettere meno errori”? Ti rispondo subito, senza con questo voler negare lacune in uno sfogo appassionato, tale è stato il mio articolo, che non ha la pretesa nè l’intento di essere una verifica puntuale come quelle riservate agli analisti, le facevamo nei nostri rapporti aziendali, con tanto di “executive summary”, ricordi?.
L’alternativa fattuale è speculare alle critiche: con la dichiarazione di “emergenza nazionale”, questa sì tempestiva, si poteva procedere subito a predisporre le “difese” necessarie per gli operatori sanitari, per ridurre le “perdite” che sarebbero state inferte da “un aggressore di questa portata”, e le abbiamo viste, 80 mila di loro contagiati e 50 medici vittime in una guerra divenuta impari, per non parlare delle perdite nelle “prime linee” giunte a 11 mila vittime, si conosceva la debolezza della nostra “terapia intensiva” – 5.000 posti rispetto ai 28.000 della Germania, tanto più in un paese di “vecchi” nel “mirino” del virus – quindi vantare orgogliosamente l’adeguatezza del nostro Sistema Sanitario Nazionale pur falcidiato da 37 miliardi di tagli nelle risorse in 10 anni è stato perlomeno imprevidente; si sono fatti miracoli, onore al merito degli operatori mobilitatisi strenuamente quando la “valanga” dei ricoveri è divenuta inarrestabile. Poteva essere nominato almeno il “Commissario per l’emergenza” che era stata dichiarata, lo ripeto, tempestivamente, il giorno dopo la proclamzione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; e si poteva avviare subito l’azione sul territorio, avendo l’esempio cinese sotto gli occhi, definendo almeno un criterio di azione opposto rispetto a quello “graduale” con misure progressive prese con riferimento alla “situazione in atto” e da rivedere in base all'”evolversi della situazione”. La tua visione manageriale, caro Peppino, non è questa, credo concordi che si poteva contrastare tale “evolversi”, cioè i contagi, con un minimo di capacità previsionale favorita dal fatto che le epidemie sono conosciute da sempre con rimedi ben noti – l’isolamento assoluto e la quarantena – e si aveva l’esperienza cinese, o comunque si potevano attivare immediate azioni innovative sul territorio come ha fatto la Corea del Sud, arrestando i contagi, e con strumenti diversi Hong Kong.
“Chi e come poteva commettere meno errori”? ti chiedi e mi chiedi. Chi non mi interessa, non ho la presunzione nè l’intenzione di attribuire colpe, peraltro sarebbe difficile individuare precise responsabilità non essendoci stato un vero decisore: non il Ministro della Salute, sovrastato dal Presidente del Consiglio, non il Presidente del Consiglio che a suo dire ha accettato sempre le indicazioni del Comitato tecnico-scientifico, non il Capo Dipartimento della Protezione civile, nel cui ambito opera tale Comitato che agisce all’insegna dell’anonimato, non l’Istituto Superiore di Sanità, tutti coinvolti, nessuno responsabile, per non parlare del Commissario perl’emergenza, peraltro nominato tardivamente per i soli approvvigionamenti.
Evochi il “dictator” cui i consoli romani si affidavano nelle emergenze, noi non lo abbiamo chiamato anche se i Decreti del Presidente del Consiglio, i DPCM, sono stati giustamente, a mio avviso, sottratti alla doppia approvazione parlamentare per la conversione entro 60 giorni – ci sarebbe mancato altro! – mi è apparso uno strumento istituzionale valido ad evitare i “pesi e contrappesi” paralizzanti, sacrosanti per la normalità non per l’emergenza, Roma docet; immediatezza operativa in qualche modo sostitutiva del “dictator”, del quale però è mancata la forsa e prontezza decisionale, cioè il fattore fondamemtale.
Per il resto non ho neppure la presunzione di fare investiture, il mio “sfogo” è una reazione ad eventi che mi hanno sorpreso per la loro inedita gravità e mi hanno spinto a cercarne le cause, confusamente e modestamente, ma appassionatamente. Tu parli dei problemi e delle prospettive della ripresa, anzi della ricostruzione, confermando la tua sperimentata attitudine a guardare lontano: il tuo quadro è realistico e condivisibile, la prospettiva Draghi appare perfetta anche nell’incastro istituzionale, con i due anni di lavoro prezioso – quanto sperabilmente risolutivo degli immani problemi abbattutisi sull’economia nazionale, in un quadro globale altrettanto deteriorato – prima delle elezioni del Presidente della Repubblica. E’ un tempo utilizzabile anche per l’eventuale modifica costituzionale per la Repubblica presidenziale che, con Draghi, vedrebbe un “dictator” democratico di eccezionale caratura europea e mondiale: quello che ci vuole in una “ricostruzione” lunga e ardua , per la quale occorre la credibilità e la forza decisionale oggi mancante. Anche perchè non ci sarà un Piano Marshall e temiamo neppure un Piano Von der Leien”.
Ma forse, aver evocato la Repubblica presidenziale rischia di trascinarci sul terreno politico nel quale anche tu, per come ti conosco, non vuoi di certo entrare e al quale io intendo restare fuori, resistendo a sollecitazioni, anzi “provocazioni”, contenute in altri commenti in questo dibattito che ti ringrazio di aver arricchito con il tuo intervento che ci proietta in un futuro sperabilmente migliore del tormentato presente.
Caro Romano, sono di nuovo costretto ad intervenire per fare alcune riflessioni in merito ad un particolare su cui ti soffermi diverse volte. D’altro canto il tuo articolo è così dettagliato e puntuale che, a mio avviso, merita diverse risposte per avere un quadro più chiaro del tuo pensiero. I decreti legge di Conte, in merito al Covid 19, sono strumenti di legislazione previsti dalla nostra Costituzione che consentono, in casi straordinari, che la funzione legislativa non venga effettuata dal Parlamento, ma direttamente dal potere esecutivo. I DPCM sono quindi strumenti che effettuano una compressione temporale della democrazia per 60 giorni e sono legittimi poiché il Presidente del consiglio il 31 gennaio scorso proclamç lo stato di emergenza. Non serve quindi in Italia un Dctator che esercita addirittura il suo potere personale così come meglio crede. Mi permetto di ricordarti che Cesare, di ritorno dalla Gallia varcò il Rubicone con le sue legioni costringendo il Senato ad attribuirgli il titolo di Dictator per 10 anni per risanare l’economia di Roma. Ci prese gusto così si dichiarò Dictator a vita cosa che il senato non accettò assassinandolo alle idi di marzo proprio nella sede senatoria. Cosi fece ancheMussolini che ricevette i pieni poteri dal Parlamento, salvo poi chiuderlo ed esercitare il suo potere assoluto per un ventennio. Anche lui, guarda un po’ non fece una bella fine. Lo stesso dicasi di Hitler il quale insieme al Duce causarono sangue e dolore in tutto il mondo. Mi consigli di non prendere il discorso su Orban il quale ha effettuato un vero e proprio colpo di Stato, poiché non è stata la totalità dei parlamentari a renderlo Dictator, ma solo una parte, ma non basta poiché per legittimarlo Dictator doveva essere il popolo a eleggerlo, sempre che lo permetta la Costituzione ungherese chi io non conosco. Bisogna quindi condannare ciò che ha affermato un noto esponente poilitico italiano che, non conoscendo la storia, ha dichiarto che la elezione di Orban ha seguito un iter democratico. Rispondendo al tuo amico affermi poi che attualmente, nel caso della tragedia che stiamo subendo, non è possibile attribuire responsabilità in merito, poiché sono troppi i poteri in campo, per cui tutte le responsabilità finiscono in un calderone in cui tutti e nessuno sono responsabili delle decisioni prese, siano esse buone o cattive. Mi permetto di dire che non è affatto così poiché in questa emergenza l’unico vero responsabile è il governo nella sua intera collegialità che ha per portavoce Conte cioè il Presidente del consiglio e a me sembra, e non può essere altrimenti che il destinatario della tua pungente critica, non mi stancherò mai di dire: legittima e genuina, sia proprio il Presidente del consiglio. Ma ripeto, caro Romano: io ammiro la tua penna, la tua fermezza, la tua dialettica pronta e dettagliata che puntualmente tutto considera ed esplora. Un abbraccio con infinita stima.
Caro Gero, la mia risposta questa volta sarà più breve delle precedenti, perchè condivido gran parte delle tue affermazioni, complimentandomi per l’excursus storico che spazia da Cesare a Mussolini e Hitler. Però manca Cincinnato e nell’antica Roma, a parte gli episodi che tu citi, era previsto che i consoli potessero affidare il potere al “dictator” ovviamente per un periodo limitato. Come per un periodo limitato c’è lo strumento del DPCM che io ho valutato positivamente non unendomi neppure su questo aspetto al coro dell’opposizione che ha denunciato la compressione del Parlamento come se nell’emergenza si dovesse attendere la doppia approvazione bicamerale, magari dopo il lavoro delle Commissioni, considerando la scarsa portata pratica della ratifica “a posteriori” dopo 60 giorni, che si ha per il normale Decreto legge.
Sono altrettanto d’accordo sul fatto che la responsabilità formale delle scelte va al governo, ma quando il Presidente del Consiglio e i ministri dicono che hanno seguito le indicazioni del Comitato tecnico-scientifico operante nell’anonimato, è impossibile risalire alla paternità effettiva delle misure; anche per questo non rivolgo accuse a chicchessia, non interessandomi la forma ma la sostanza, il peccato se lo ritengo tale e non il peccatore.
Sui poteri da “dictator” a Orban non ho approfondito, e poichè è stato annunciato che si arroga il diritto di emettere decreti senza approvazione parlamentare, di sospendere diritti costituzionali, ecc. la cosa non mi è apparsa così scandalosa nell’emergenza, lo stiamo facendo legittimamente anche noi, ovviamente “mutatis mutandis”; ma, ripeto, la mia è stata una reazione istintiva a notizie superficiali conosciute nel momento stesso in cui rispondevo, una parentesi che avevo invitato a non considerare perchè non verificata e marginale rispetto alla nostra discussione.
Per concludere questa che mi sembra una bella “riconciliazione”, per così dire, non solo a parole ma sostanziale, a chiusura di un confronto serrato e animato da un’autentica passione civile, sono io che ammiro “la tua fermezza, la tua dialettica pronta e dettagliata che puntualmemnte tutto considera ed esplora”; ne hai dato dimostrazione nei tuoi quattro commenti, ripeto, tesi e appassionati.
Grazie, amico carissimo, ricambio il tuo abbraccio con la stima e l’ammirazione con cui ho commentato a suo tempo il tuo bellissimo libro su “I Carabinieri nella storia italiana”: in questa emergenza epocale stanno scrivendo una nuova pagina luminosa della loro epopea a fianco delle altre forze dell’ordine in aiuto ai tanti protagonisti della “difesa” civile impegnati nei campi più diversi.
A tutti loro, e in primis agli operatori sanitari che sono i più esposti e minacciati, non ci stancheremo mai di rivolgere i ringraziamenti più sentiti che vengono dal cuore e dall’animo.
Caro Romano, ho letto (non tutto) il suo articolo e i relativi commenti. Conosco solo di nome il pretarolo Gelasio (io sono intermesolano) ma conosco bene Aligi Bonaduce e le sue fantastiche foto.
Nel merito della discussione mi perdonerà se non intendo prendere parte in quanto credo si faccia troppa confusione e commistione tra argomenti che a mio avviso dovrebbero restare separati, ovvero la politica e la battaglia contro la malattia. È pur vero che se si parla di politica si parla di tutto ma dobbiamo essere in grado di sostenere le nostre opinioni senza il filtro della bandiere altrimenti si rischia di farsi trascinare verso giudizi, pregiudizi ed errori di valutazione. Questa situazione di disagio e di allarme che stiamo vivendo, voglio ribadire che dovrebbe insegnare a tutti la strada di un nuovo e più equilibrato rapporto con i nostri simili e con la natura che ci circonda. Un insegnamento che i nostri politici di qualsiasi bandiera non hanno raccolto e dubito lo raccoglieranno in futuro ma sapoiamo bene che il cambiamento (beninteso in positivo) arriva solo con la spinta dal basso, con l’aumento del livello culturale e di informazione e la consapevolezza delle nostre capacità, della nostra forza e anche dei nostri limiti.
La mia idea di società è quella rappresentata dall’ideologia socialista o comunista nel senso primordiale del termine e cioè di una condivisione della capacità, delle risorse e delle tutele in grado di migliorare la vita di tutti ma purtroppo i termini delle ideologie come socialismo, capitalismo sono oggi impropriamente usati e abusati e non vedo nel panorama politico forze e personaggi in grado di mantenere una coerenza di pensiero e neanche la capacità di fare “outing” cioè introspezione e riconoscimento obiettivo degli errori che tutti, indistintamente, nel corso della nostra vita commettiamo.
Un caro saluto
Caro Roberto, è un commento il suo su cui tutti dovremmo riflettere, se mi è consentito premettere questo giudizio. E non lo dico perché nelle mie risposte precedenti ho sostenuto anch’io che bisogna tenere separato il tema della battaglia contro il coronavirus dalla politica, rifiutando di essere tirato in un confronto politico estraneo alla mia impostazione. Il mio invito alla riflessione sul contenuto del suo messaggio nasce dal fatto che va oltre le drammatiche evidenze presenti – cui è dedicato l’articolo – per ammonire che i tragici eventi dovrebbero “insegnare a tutti la strada di un nuovo e più equilibrato rapporto con i nostri simili e con la natura che ci circonda”.
L’emergenza in atto e le altre che incombono, come il riscaldamento climatico, dimostrano quanto possano essere devastanti le conseguenze se si continua a ignorare tale esigenza primaria. Nel recente articolo della “staffetta di 8 scrittori”, intitolato “Il virus sono io”, Sandro Veronesi ha evidenziato che l’essere umano si comporta come il virus facendo di tutto per distruggere chi lo ospita, come avviene per l’ambiente naturale. E’ un comportamento autolesionistico oltre che ottuso espresso in forme diverse, ma ugualmente nefaste, anche nell’insufficienza dell’impegno per la difesa della salute e della vita: per il nostro paese é emersa platealmente anche in questa crisi, portando finalmente alla ribalta i tagli alla sanità -37 miliardi di euro in dieci anni – e le percentuali da prefisso telefonico degli investimenti nella ricerca.
Anche l’ammonimento finale sugli equivoci generati dalle ideologie del ‘900 è condivisibile, nel senso che hanno tolto valore generale, coinvolgendoli nei loro fallimenti, a principi quali “la condivisione della capacità, delle risorse e delle tutele in grado di migliorare ls vita di tutti”.
Non sono temi estranei all’emergenza del coronavirus di cui parla l’articolo, le carenze emerse nei presidi vitali derivano anche dalla cronica mancata condivisione di risorse che il commento sottolinea; per finire con gli errori che tutti commettiamo, ma che si deve avere la capacità di riconoscere per correggerli, come non sempre avviene anche quando hanno effetti deleteri. Grazie, Roberto, per averlo ricordato.
Caro Romano,
ho letto con interesse il tuo articolo e condivido che si siano commessi sottovalutazioni ed errori ma dobbiamo ricordare che i vertici decisionali hanno difficoltà a scegliere ciò che assesta colpi mortali all’economia.
Il comportamento delle persone è stato, almeno al nord, piuttosto disciplinato dopo qualche giorno di esitazione, grazie anche alla comunicazione sviante della destra politica.
Oggi il modello Italia fa scuola nei paesi contagiati.
I morti sono prevalentemente anziani e il pragmatismo nella gestione di risorse scarse – in una situazione nella quale la domanda di cure è straordinariamente più alta dell’offerta – ci deve far riflettere. Dobbiamo accettare che ci siano criteri, anche moralmente eccepibili, per dosare le risorse in modo da privilegiare le categorie più “utili” al Paese (dove l’utilità può avere numerose facce). Se si abbandona l’utilità si entra nel “mondo ideale”.
Un abbraccio affettuoso,
Piercarlo Ceccarelli
Caro Piercarlo, dal tuo commento di cui ti ringrazio molto emerge chiaramente la tua caratura di imprenditore della consulenza direzionale, oltre che manager, che considera acutamente gli aspetti “topici”, che vanno dallo squilibrio domanda-offerta di cure al bilancio delle risorse, la cui scarsità può imporre delle scelte difficili, alle esigenze dell’economia, l'”utilità” che deve prevalere sul “mondo ideale”.
Ma la difesa della salute e della vita non mi sembra un mondo “ideale”, ma reale quant’altri mai, perchè attiene all’esistenza di tutte le famiglie che compongono l’universo nel quale l’economia è lo strumento per una vita migliore, quindi non può determinare una spietata selezione. Forse la mia reazione a un’eventuale deviazione di questo tipo – che non è certamente da te prospettata però ci si potrebbe scivolare facilmente – dipende dal fatto che per la mia età potrei rientrare tra le oategorie potenzialmente considerabili “meno utili al Paese”.
Sarebbe un’ottica sciagurata che abbiamo conosciuto in tempi oscuri, anche se delle tentazioni sono riemerse anche ora, con la strategia annunciata inizialmente da Boris Johson di non frenare il contagio per ottenere l'”immunità di gregge” che avrebbe determinato lutti in ogni famiglia, con l’eliminazione dei più deboli e malati e il darwiniano “survival of the fittest”, finora superato dal progresso, con il record di longevità al nostro paese; certo migliorerebbe la “razza” e sarebbero risolti i problemi della sostenibilità del sistema pensionistico, ma per avere un nuovo Erode dei vecchi (e malati) si dovrebbe tornare ad epoche condannate dalla storia e dall’umanità.
Potrebbe essere una dura necessità soltanto se ci si arrende dinanzi ad attacchi pur epocali come quello del coronavirus, ma che possono essere respinti senza sacrificare un’intera generazione. E’ qui che il “modello Cina” – insieme, se vogliamo, al “modello Corea del Sud” – appare vincente, e come sai non ho certo simpatia per le dittature, comuniste o di altro colore, mentre il “modello Italia” a mio avviso è stato perdente, almeno nella prima fase, prova ne sia il dilagare dell’epidemia; che sembra rallentare proprio da quando si sono adottate le misure più restrittive del “modello Cina”, con il quale si è impedito in soli due mesi che 70 milioni contagiassero il restante 1 miliardo e 300 milioni milioni di abitanti, con un isolamento “draconiano”, senza attività sportiva nei parchi o attività motoria nelle vicinanze come nell’ultima delirante circolare; senza considerare che nelle zone intensive con palazzoni di 10 piani uno accanto all’altro, i “200 metri” permessi sarebbero intasati di minorenni fino a 18 anni “tenuti per mano da un genitore” e di “runner” scatenati.
Con il “modello Cina” si è salvata, almeno così appare, anche l’economia che sembra stia ripartendo, mentre non l’hanno di certo protetta le misure inizialmente “prudenti” italiane, che prolungano l’agonia invece di stroncare il male con una terapia d’urto immediata e per questo risolutiva. E’ vero che gli altri paesi occidentali lodano il “modello Italia” da loro seguito – dopo che anche Johnson è rinsavito, con il contrappasso della positività al coronavirus – ma si vede il risultato della loro prudenza e dei loro ritardi con il drammatico dilagare pandemico di questi giorni, quando l’emergenza mondiale era stata proclamata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità fin dal 31 gennaio, con messaggi apocalitici del suo Segretario generale – “il coronavirus è peggiore del terrorismo!” – seguita dalla nostra “emergenza nazionale” il giorno dopo, purtroppo questa meritoria tempestività è stata limitata alla fase di annuncio.
Quindi, credo che le scelte drammatiche nel “dosare” le risorse possano essere evitate con una azione decisa e senza esitazioni nelle scelte drastiche da compiere che non assestano colpi mortali all’economia se risolutive; lo fanno invece le esitazioni, pur comprensibili, e le incertezze perchè spostano soltanto più avanti acelte che, compiute prima, sarebbero state vincenti.
In queste indicazioni tu sei maestro e i miei riferimenti darwiniani non riguardano di certo le tue parole perchè parli di “criteri moralmente eccepibili”, ma aggiungi che “l’utilità può avere numerose facce”, non soltanto quella economicistica.
Del resto, la tua umanità emerge chiaramente nei tuoi due romanzi “I Gianselmi” e “I Martini” in cui le scelte imprenditoriali, apparentemente all’insegna dell’economicità e del rigido bilancio delle risorse, vengono da te declinate nel contesto dei valori familiari ed esistenziali in cui i fattori psicologici e morali prevalgono quando “si entra nel mondo ideale” che spesso ha l’ultima parola.
Grazie, caro Piercarlo, per aver allargato la prospettiva in cui considerare questo dramma epocale, rispetto alla quale ripeto che l’enfasi della mia risposta potrebbe essere dovuta al fatto che per anagrafe mi sento personalmente minacciato da una deprecabile impostazione darwiniana, che non mi sembra essere la tua, ci tengo a riaffermarlo. Peraltro, le misure di protezione personale da me adottate con l’isolamento assoluto anche dalla mia famiglia, mi sembrano tali da poter dire che chi è minacciato non sono io, anziano “nel mirino” del virus, nè chi si cautela come me, ma chi si sente al sicuro e si permette di infischiarsene delle restrizioni, quasi riguardassero gli altri, mettendo a repentaglio in modo dissenanto la propria salute e la vita dei propri cari. Se il rigore “cinese” impedisse queste degenerazioni, la “guerra” del coronavirus si potrebbe vincere senza assestare colpi mortali all’economia, da scongiurare, sono d’accordo con te, credo con una apposita protezione sui luoghi di lavoro e un sistema di trasporti adeguato al distanziamento sociale; per le chiusure totali resesi necessarie penso alle ferie estive di ferragosto, quindi…. anche se ormai purtroppo non bastano più i 20 giorni in cui si chiude ogni estate.
L’enfasi ha mandato a farsi benedire la sinteticità manageriale, nè è il caso di far seguire l'”executive summary” cui sei abituato, scusami anche per questo. Pochè ho citato “i Gianselmi” e “I Martini”, concludo dicendo che leggerò presto il tuo terzo romanzo della trilogia, appena pubblicato, dal titolo allettante “Oggi sono migliore. Un storia imprenditoriale”, lo recensirò senz’altro, come ho fatto con grande interesse per i primi due “company thriller”, ho chiamato così questa tua serie che segue i tanti tuoi volumi manageriali, appassionante comne i “legal thriller”. A presto il mio nuovo incontro con la terza famiglia di imprenditori le cui vicende descriverai come sempre con l’occhio del manager e la vena del romanziere.
Caro Romano, sono pienamente d’accordo che la salute di tutti, compresi gli anziani, dovrebbe essere il primo obiettivo. Ma sono consapevole che non puo’ che essere un obiettivo di lungo periodo: per averlo disponibile oggi – ad esempio con decine di migliaia di strutture funzionanti per la terapia intensiva, completamente inutizzate fino alla prossima pandemia – avremmo dovuto cominciare a costruirlo anni, decenni fa.
Oggi non possiamo che utilizzare le risorse disponibili e fare scelte tattiche per convogliarne un po’ di piu’ sulla salute, coscienti che continueranno a essere una frazione di quelle necessarie. Ecco perche’ non puo’ che subentrare l'”utilita” per discriminare chi oggi lasciare indietro.
Inoltre, anche se avessimo governanti pronti a guidare la nazione verso questo obiettivo primario, temo che, senza un accordo tra tutte le nazioni industrializzate del mondo, non sarebbe possibile perseguirlo. Infatti il prezzo sarebbe soccombere tutti per fame, sopraffatti dalle economie delle altre nazioni. La competizione tra nazioni non ci lascerebbe scampo.
A presto
Piercarlo Ceccarelli
Caro Piercarlo, la tua risposta improntata al realismo dell’analista sperimentato nel guardare in faccia i fatti senza filtri consolatori ci porta a considerare in una prospettiva di lungo periodo ciò a cui stiamo assistendo, come fanno gli imnprenditori- non parlo dei politici per carità di patria – che se sono avveduti operano “sub specie aeternitatis” e non in un’ottica di breve periodo; e qui non si tratta di assicurare la sopravvivenza dell’azienda al di là di quella dei titolari “pro tempore”, siamo dinanzi ad una drammatica visione epocale e globale, e il merito della tua risposta è aver messo il dito in questa “piaga” che viene nascosta agli occhi di tutti.
Sottolinei realisticamente che le risorse impiegate per questo fine che va ritenuto primario di per sè, a parte il dettato della nostra Costituzione, “continuranno a essere una frazione di quelle necessarie” per cui si imporranno scelte in termini di “utiità” che portano a “discriminare chi oggi lasciare indietro”. Porre brutalmente sotto gli occhi di tutti questa deriva è un grande merito delle tue parole, che sfatano la favola del nostro Sistema Sanitario Nazionale all’avanguardia e pronto a tutto; Piercarlo dice “il Re è nudo” e non basta lo sconcerto, ma ne vanno considerate le implicazioni, che sono altrettanto impietose.
Infatti l’analista freddo, ma coerente con la realtà e non illuso dai sogni, ci dice che anche se i nostri governanti compissero una scelta coraggiosa nel destinare le ingenti risorse necessarie a tale scopo primario, sarebbero sopraffatti dalle altre nazioni le cui scelte resterebbero solo economiciste, indifferenti ai bisogni vitali. E questo, aggiungiamo noi, non perchè altre necessità sono impellenti nella “società opulenta”, ma per quel meccanismo perverso, descritto da John Kenneth Galbraith più di mezzo secolo fa, dei consumi indotti dalla produzione – invece dell’inverso – con bisogni creati artificialmente da un meccanismo che destina le risorse ad impieghi ben lontani dalle esigenze effettive. Così viene trascurata la minaccia del riscaldamento climatico, così viene ignorata l’arretratezza di interi continenti come l’Africa, invece di destinare ad essa le risorse necessarie per sconfiggere la fame e l’assenza di beni essenziali, accanendosi a premere sui consumi dove sono vicini alla saturazione e possono crescere soltanto se indotti artificialmente: o con l’obsolescenza programmata, dalle apparecchiature predisposte per rompersi nella meccanica, alla moda nel tessile-abbigliamento, e così via, che costringono, o “inducono”, a sostituzioni forzate.
In questi buchi neri vanno a finire le risorse, e non è soltanto colpa del capitalismo, se anche i paesi retti dall’ideologia marxista si muovono nella stessa direzione. La competizione “non ci lascerebbe scampo” se fossimo solo noi a intraprendere la retta via, ammonisci giustamente; ma continuare ad ignorare le esigenze vitali dell’intero pianeta non lascerebbe scampo neppure agli altri, anche se ci muoviamo in una prospettiva temporale della quale non importa niente a nessuno perchè, come diceva Keynes, “nel lungo termine siamno tutti morti”.
Invece si deve operare per migliorare le condizioni di vita di tutti nel pianeta, nel breve e nel lungo termine, e il merito della visione spietata dell’analista avveduto è di evidenziare che questo non avviene naturalmente. A meno che l’aggressione del coronavirus a livello mondiale, come ha creato la globalizzazione della pandemia non riesca a creare la globalizzazione della reazione dei sistemi economici su nuove basi nelle quali lo spirito di sopravvvivenza dei singoli e quindi delle nazioni prevalga sui calcoli meschini su basi meramente economicistiche che dovrebbero apaprtenere a un’altra era.
E’ un sogno, più che una speranza, ma è bello poter sognare quando sembra di vivere in un inenarrabile incubo, anche se troppi non se ne rendono conto; e lo si vede dalla strade che tornano ad affollarsi a dispetto delle prescrizioni e del più elementare buonsenso, per tornare all’attualità.
Grazie, Piercarlo, per aver allargato realisticamente la nostra prospettiva.
Caro Romano, hai fatto un articolo molto ampio e documentato! Vorrei sbagliarmi, ma io vado in controtendenza, e non perché sono un pessimista – e qui non voglio offendere nessuno – ma perché sono realista! So che da quella attuale, come da tutte le classi politiche in passato, non ci si può aspettare che stiano dalla parte della popolazione, ma guardano più i loro interessi (salvo rari casi)! Come in questo caso, non penso che chiudere un paese intero dentro casa sia la soluzione perfetta! Non credo di avere io una soluzione, per carità, anche se, qualora fossero vere certe ipotesi sulle origini del virus, ce ne sarebbe stata una… quella di non giocare con queste cose pericolose, cosi questo rischio divenuto pandemia non sarebbe esistito. Però, quando l’uomo vuole giocare a imitazione di Dio, succede anche questo!
Vedo in rete anche delle voci che dicono cose inquietanti,tipo questo articolo:
http://www.ilcambiamento.it/articoli/christine_lagarde_problema_longevita_stato_sociale
Vi si legge che la gente vive troppo, e questo non sarebbe positivo!!! Mi chiedo per chi e perchè non sarebbe positivo !!!
Adesso se colleghiamo questo articolo al fatto che gli anziani sono i più a rischio, non si può non pensare anche a delle cose inquietanti.
Ci sono pure delle voci autorevoli, tipo il link che riporto qui sotto, le quali dicono che dosi alte di vitamina C non fanno progredire il virus, anche se una persona si è ammalata, quasi fosse un farmaco miracoloso!
https://life120.it/informazione-salute/2216-covid-19-vitamine-c-e-d-i-benefici-nella-prevenzione-delle-malattie-polmonari.html
C’è poi un altro sito con notazioni dello stesso tipo:
https://disinformazione.it/2020/04/03/covid-19-in-arrivo-il-cerotto-vaccino/
Ed infine uno ancora più indicativo!
https://disinformazione.it/2020/04/01/a-treviso-i-morti-in-ospedale-sono-perfettamente-in-linea-con-gli-anni-scorsi/
Comunque, spero che l’emergenza finisca presto, perché già fino ad oggi questo maledetto virus ha arrecato danni incalcolabili all’economia di questo paese, e di tutti i paesi!
Caro Romano, ci sarebbe tanto da dire ancora, e io sono di poche parole, oltretutto l’italiano non è la mia madrelingua. Ma spero si sia capito che credo ci sia molto di non detto o che non corrisponde a verità, e andrebbe esplorato, a parte le deprecabili “fake news”. Un abbraccio.
Giovanni Aproppo
Caro Giovanni, concludi il tuo commento – di cui ti ringrazio molto – scrivendo che sei “di poche parole”, ma hai detto tutto, che l’italiano non è la tua “madrelingua” ma ti sei espresso benissimo, utilizzando anche siti web inconsueti. Perché hai voluto dare una lezione, sottraendoti al bombardamento mediatico del canali televisivi, presidiati da comunicatori spesso conformisti e allineati alle voci “politicamente corrette”. I pochi dissensi vengono di frequente tacitati, come con lo studioso veneto impegnato nella “mappatura” degli asintomatici, tacitato dal “guru” italiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità perché stava rivelando scoperte preziose, lo stesso che ha quasi “commissariato” a suo tempo il Ministro della Salute vietando tamponi a coloro che, pur avendo sintomi gravi, non fossero stati anche in contatto con provenienti da zone infette, due condizioni abbinate che hanno impedito tracciamenti importanti, e ora ce ne stiamo accorgendo.
Come avviene per l’uso generalizzato delle Mascherine, escluso anche ieri 4 aprile dal Capo del Dipartimento Protezione Civile, il pur diligente Borrelli nella conferenza stampa delle ore 18, quando ha risposto a un giornalista il quale poneva giustamente il problema,che lui “non le usa, gli basta mantenere le distanze”, mentre sembra evidente che se le Mascherine ostacolano la trasmissione del virus, possibile anche dagli asintomatici, dovrebbero essere obbligatorie. Bene ha fatto la Regione Lombardia -ancora all’avanguardia nel necessario rigore – a imporne l’uso con l’ordinanza di ieri nella quale include anche “foulard, sciarpe ed altre protezioni”, come avevo propugnato nel mio articolo dieci giorni fa, un significativo “post hoc” non di certo “propter hoc”, che mi sembra vada sottolineato; soltanto Barbara Palombelli in “Stasera Italia” su “Rete 4” ha fatto una meritoria battaglia in tal senso anche preparando Mascherine fai-da-te con una insistenza e una premura meritorie.
Senza entrare nella validità delle vitamine e del cerotto-vaccino – “scoperto” oggi anche da una trasmissione serale in TV su “Canale 5” – ho citato due casi in cui delle simil-“fake news” vengono dalle voci ufficiali e non sono contrastate come si dovrebbe in gran parte della comunicazione corrente, ed è significativo il tuo esempio di cercare altrove, pur con la necessaria cautela sull’attendibilità dei contenuti, tutti da verificare. Per questo gli avvertimenti delle stesse voci ufficiali a diffidare di notizie che non abbiano il loro “autorevole” sigillo hanno un suono stonato quando emergono non solo vistose contraddizioni ma pseudo certezze “rinnegate” purtroppo tardivamente, dagli stessi organismi ufficiali sovra ordinati: un alto rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe comunicato ieri che la distanza di sicurezza – finora perentoriamente fissata nell’improbabile 1 metro “perché il virus non si diffonde nell’aria ma solo con il passaggio diretto delle goccioline da persona a persona…” potrebbe estendersi fino ad otto metri e più in particolari condizioni – pensiamo ad ambienti chiusi non areati . per il possibile effetto “aerosol”, anche questo indicato nel mio articolo in base al mero buon senso che a volte sembra mancare a questi “guru”, con i gravi effetti che purtroppo ne possono derivare. Soltanto alcune trasmissioni settimanali, come “Non è l’Arena” di Maassimo Giletti su “La 7” e “Report” su “Rai 3” sembrano fuori dal coro dei soliti esperti e commentatori conformisti della maggior parte delle trasmissioni quotidiane.
Alzando il tiro, sottolinei un segnale inquietante prospettato da alcuni, il fatto che la gente “vive troppo” e ti chiedi “per chi e perché non sarebbe positivo”. Hai voluto lasciare in sospeso la risposta che conosci benissimo dato che si trova nel sito di cui hai unito il link, e io cliccandovi sopra ho visto trattarsi dell’ineffabile Christine Lagard la quale nell’aprile 2012 ha denunciato come “il maggiore rischio immanente” che grava sull’umanità è “la longevità”; ed ha anche detto il perché, il peso sulla sanità e sulla previdenza diventa insopportabile, indicando la soluzione nello smantellamento dello stato sociale e delle tutele previdenziali. Allora era Direttore del Fondo Monetario Internazionale, oggi è Presidente della Banca Centrale Europea, e non aggiungo altro. Lasciando circolare liberamente il virus come volevano fare Boris Johnson esplicitamente e Donald Trump sostanzialmente – per poi rinsavire, almeno si spera, ma tardivamente … – tale rischio diverrebbe meno “immanente”; e non è detto che alla base della colpevole sottovalutazione non ci sia questo motivo recondito sia pure inconscio, comune a tutti i paesi industrializzati; altrimenti non si spiega come mai pur avendo riscontrato come il “modello Italia” sia stato tardivo e con molte falle, lo hanno seguito addirittura ancora più tardivamente, mentre avevano sotto gli occhi il più rigido e tempestivo “modello Cina” che era stato già risolutivo, forse perché ha un popolazione giovane e non è esposta a tali “tentazioni”, ripeto inconscie e non volute.
Del resto, l’analisi fredda, per non dire impietosa, del grande consulente direzionale Piercarlo Ceccarelli ha evocato nei suoi due commenti al mio articolo uno scenario simile, in quanto l’impiego di risorse scarse porta a scelte eticamente discutibili ma economicamente forzate; e anche se un paese non lo volesse, vi sarebbe costretto per non essere schiacciato dalla competizione internazionale. Nella mia risposta ho cercato di contrastare questa visione, non so con quanta efficacia, in quanto posso essere stato influenzato dall’autodifesa personale appartenendo alla classe di età “longeva”, quindi “nel mirino”.
Forse proprio per questo non sono del tutto d’accordo con te quando dici di pensare che “forse chiudere un paese intero non sarebbe la soluzione perfetta”, mentre credo che lo sarebbe se fatto in modo tempestivo e rigoroso, mentre la nostra chiusura non è stata “perfetta” perché troppo tardiva e limitata nella realtà nonostante i proclami. Sarei invece d’accordo se alla base del tuo dubbio ci fosse l’incredulità che l’unica difesa possibile dalle pandemie debba essere l’isolamento con la quarantena, un metodo vecchio di secoli e millenni contro virus di famiglie ben note, anche se si manifestano in forme nuove; ma dato che purtroppo è così, scopriamo di trovarci indifesi verso un nemico invisibile ma apparentemente aggredibile perché entra dentro di noi, una triste sorpresa dato che siamo stati capaci di trovare mezzi costosissimi per opporci ai nemici visibili delle guerre tradizionali, a parte l’arma nucleare, ma siamo disarmati dinanzi a questi nemici invisibili per i lunghi tempi dei vaccini e delle eventuali cure. E c’erano state la “mucca pazza” e l’aviaria”, la Sars e l’Ebola, non divenute pandemie solo per miracolo, a imporre da anni la prevenzione verso epidempie non solo ipotizzate ma previste sia pur senza sapere quando.
Ma qui il discorso tornerebbe sull’impiego dissennato di risorse nelle economie “opulente” per consumi “indotti” dalla produzione e non da bisogni effettivamente sentiti dal singolo e soprattutto dalla collettività per il “bene comune”, che portano a tsgli nella sanità – 76 miliardi di euro in 10 anni nel noostro paese – e limitano spesso a percentuali irrisorie del PIL gli investimenti e le spese nella ricerca scientifica, ne ho già parlato nella seconda risposta a Ceccarelli. Mentre rispetto alle catastrofi economiche che vengono vaticinate come effetto della “gurra” al virus, anche con l’esito felicemente vittorioso, il mio pensiero del tutto peprsonale – anch’io vado controcorrente – è che non vedo le apocalittiche distruzioni belliche, per questo credo o almeno spero che la finanza possa fare miracoli soccorrendo una volta tanto l’economia, tanto più che tutti i paesi ne sono colpiti per cui sarà interesse comune stampare moneta senza troppi squilibri.
Vedi, caro Giovanni, come mi hai fatto andare lontano con le tue “poche parole”, per di più “non di madrelingua”! E’ prezioso il tuo esempio di uscire dal perimetro della comunicazione corrente – che in certe sue manifestazioni appare di fatto, anche se inconsapevolmente orientata – e mi auguro che sia sempre più contagioso, questo sì, e non il virus, ci mancherebbe! Io l’ho seguito subito, ed è stato un bell’insegnamento che ci viene dal figlio di un paese a fianco del nostro nell’Unione Europea, per di più latino nel segno della romanità, la Romania, Giovanni il quale, pur se radicato da anni in Italia, riesce a sottrarsi al conformismo e al “politicamente corretto”. Hai usato poche parole ma me ne hai ispirate molte, anche perché voglio aggiungere subito il mio commento e quindi mi manca il tempo di preparare una risposta più breve, come disse un personaggio con un ossimoro veritiero. Il tuo commento fa capire come le “fake news” siano insidiose, è un virus che può essere trasmesso anche dagli “asintomatici”, gli insospettabili e autorizzati “guru” del bombardamento televisivo quotidiano.
Anche di questo ti ringrazio.
Questo servizio non poteva mancare tra quelli di Romano Maria Levante che inizia con una premessa di mobilitazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo nel fornire agli italiani “tutti in casa” i link per visite virtuali a Musei, all’offerta delle storie illustrate negli “albi” della mostra “Fumetti nei Musei” e alla giornata dantesca “Dantedì”.
Inoltre, viene annunciata la visita virtuale “on line” aperta a tutti a partire da oggi 26 marzo alla grande mostra “Raffaello 1520-1483”, attraverso il sito e i social delle “Scuderie del Quirinale”.
Cita, subito dopo la messa mattutina di Papa Francesco con il messaggio consolatore quotidiano unito all’invocazione salvifica, se ne ha tanto bisogno in questa fase angosciosa di sensibilità umana congiunta all’ispirazione religiosa.
Questa citazione mi riporta alla mente l’annuncio <>.
Tenuto presente che lo stesso Papa, alcuni giorni prima si era recato a piedi in due chiese di Roma per altra invocazione salvifica oltre a quella citata dal Levante, ne deduco che il Santo Padre, abituato a chiudere i suoi interventi con “e non dimenticate di pregare per me”, stia cercando di farlo per tutto il mondo con l’aiuto a Dio.
Tornando al servizio del Levante per la drammatica situazione dell’emergenza sanitaria, seguita dalla prima immagine di apertura, con le terribili molecole del “coronavirus” dinanzi a un’evoluzione sempre più drammatica, pensata aggravata senza lungimiranza, sebbene l’esperienza cinese fosse stata molto istruttiva da intraprendere subito.
Non è il senno del poi, né un’accusa al governo e al Comitato che ha indicato la linea seguita, ma la constatazione di una linea perdente con i risultati sotto gli occhi di tutti che finalmente si sta correggendo.. Si è in tempo a rettificare il tiro, e lo si sta facendo, non è sciacallaggio avanzare osservazioni, lo sarebbe tacere quando si hanno rilievi potenzialmente utili, che comunque possono essere contrastati nel merito, non tacitati.
Continua poi, il Levante che conosciamo nel riferire notizie con completezza, attente opinioni, proposte e valutazioni di giornalista e scrittore, mentre io che cercherò di sintetizzare per la dimensione del servizio e dei tanti commenti di lettori scegliendo, a mio giudizio, punti significativi.
Ritiene importante l’affermazione del prof. Massimo Galli, primario infettologo all’ospedale Sacco di Milano che all’intervistatore che lo definiva “in prima linea nella guerra al coronavirus” ha replicato che in prima linea non siamo noi, ma tuti i cittadini, noi siamo nelle retrovie dove affluiscono i feriti speso in condizioni disperate.
Gli ospedali sono stati rivoluzionati per moltiplicare le disponibilità ad accogliere i feriti sempre più numerosi e le terapie intensive sono state incrementate utilizzando tutti gli strumenti, medici, infermieri e operatori sanitari che hanno superato sé stessi con una dedizione strenua senza limiti. Anche l’attenzione dei cittadini si è concentrata sulla crisi del sistema sanitario nazionale nelle regioni più colpite non solo le terapie intensive ma, anche l’accoglienza ospedaliera è stata compromessa, i “feriti” gravi non sono potuti neppure entrare negli ospedali, sono morti a casa o nelle ambulanze ferme per la saturazione dei posti.
Per cui la strategia seguita era di “rallentare il diffondersi del contagio in modo da alleggerire le terapie intensive” sarebbe come se la strategia fosse commisurata alle disponibilità degli ospedali e poiché la “prima linea” sono i cittadini, la loro mobilitazione doveva essere almeno pari a quella nelle “retrovie”, le misure del governo dovevano essere coerenti con questa esigenza vitale.
A questo punto, è giusto riferire dello scrittore che è riuscito a rappresentare la situazione esistente che indica “nella prima linea” dove si svolge la guerra contro il coronavirus, riferita impropriamente solo alle “retrovie” con un messaggio neppure adeguato sulla “trasparenza” che ha riguardato soltanto dati, non del tutto esatti, forse per il consueto intento rassicurativo.
Spiega anche cosa voglia dire essere ricoverati per il coronavirus, perdendo ogni contatto con i familiari fino al decesso in una terribile solitudine, come pure “la terapia intensiva” e la gravità della malattia.
Questo dire dello scrittore Romano Maria Levante colpisce, rattrista ed è vero, scolpito nelle menti e nei cuori dei lettori, per come reso, con profonda umanità, forza d’animo e commozione e con la speranza di rileggerlo a fine di questa pandemia, che speriamo breve.
Seguono descrizioni di situazioni vissute da cittadini, esigenze del “sistema sanitario nazionale,
sui più anziani indicati a grave rischio se con patologie aggiuntive, per il sentirsi quasi abbandonati,
sulla solidarietà intergenerazionale, ossessiva sottolineatura dei decessi quasi esclusivamente degli anziani, sul far sentire gli altri al sicuro, sulle gravissime condizioni nella degenza dei malati di giovane età, della conferma avuta nel non sentirsi obbligati se non toccati direttamente.
Televisione e quotidiani ci hanno bombardato, con tutte le raccomandazioni di stare a casa, di tenere le distanze, di evitare assembramenti, ecc., documentato violazioni su larga scala di luoghi di svago, di spiagge affollate, di metropolitane stracolme, di treni e bus presi d’assalto
Il Levante non ha trascurato nulla, dagli effetti devastanti subiti degli ospedali, agli effetti dannosi nel ridurre le attenzioni necessarie, nel reperire le “mascherine” e alla diffusione del contagio per l’assalto dei treni del Sud a seguito del decreto 7/8 marzo 2020, con responsabilità collettiva dell’esodo stimato 100 mila, tra lavoratori e studenti dalla Lombardia.
Poi, la conduzione della guerra per gli approvvigionamenti con gradualità e indicazione delle località ospedaliere e del personale e tutte le notizie su organi sanitari e non, aiuti di materiale sanitario e da chi, dati anche da altri paesi, interventi governativi su coronavirus e in campo economico aggiornamenti sull’evolversi della situazione, i tanti termini per l’emergenza prolungati, disperata difesa senza riuscire a prendere coscienza degli errori di base nei tempi giusti con sotto valorizzazioni e omissioni tardive, le pressioni delle Regioni più colpite, la tenuta psicologica dei tutti a casa, le contraddizioni nei decreti 21 e 22 marzo per le attività produttive nel fissare e aumentare le sanzioni, l’esigenza di proteggere il territorio, l’assenza di un comandante in capo senza impegni politici, l’estensione dei “tamponi” che sarebbe necessaria per individuare gli “asintomatici” molto pericolosi, e alla fine (quart’ultima immagine) “ANDRA’ TUTTO BENE” scrivono i bambini sotto il disegno dell’arcobaleno, e ce lo auguriamo con la forza della volontà e la spinta della speranza, (terz’ultima immagine) è di Aligi Bonaduce, tratta da un post recente su Facebook, che ringrazia per il segno augurale dal comune paese natale, Pietracamela, con il nostro arcobaleno nel cielo azzurro di una bella vallata d’Abruzzo,(penultima immagine) con un Crocifisso e di fronte un operatore sanitario impegnato nella disinfezione, (nell’ultima immagine) Papa Francesco che chiude la galleria con il momento culminate della celebrazione religiosa, in cui eleva le sue preghiere al Signore perché ci “liberi dal male”.
Le immagini, quelle citate e le tantissime altre intendono illustrare alcuni aspetti dell’emergenza coronavirus, che sono un’altra caratteristica dello scrittore Romano Maria Levante che ringraziamo per essersi assunto l’impegno intellettuale e fisico di offrirci questa opera valida ed epocale.
Caro Francesco, non posso che esserti grato per come sei riuscito a rendere – con una escalation emotiva che solo una sintesi appassionata come la tua poteva far sentire – le tante fasi dell’emergenza, diluite nella mia lunga descrizione, ma nella tua rievocazione si dipanano facendo entrare nel clima epico di una guerra mal combattuta.
Sollecitato dalla profonda intesa che sento nelle tue parole, mi apro a auna confidenza, “guerra mal combattuta” era inizialmente la conclusione del titolo, prima che la modificassi in “guerra asimmetrica” per non anticipare il giudizio che emerge dalla mia analisi e dal vero “film” che ne hai tratto nella tua incalzante evocazione. In “asimmetrica”, d’altra parte c’è l’asimmetria, a mio avviso colpevole – e mi sembra che tu concordi anche in questo – tra la giustissima attenzione alle “retrovie” e il sostanziale abbandono a se stessa delle “prima linea”. E’ stato un giusto riconoscimento agli operatori sanitari chiamarli “prima linea”, come hanno fatto del resto tutti, meno il luminare prof. Galli, di cui fai bene a riportare anche tu il nome, che con la sua acutezza ha messo di fatto il dito nella piaga chiamandole “retrovie”, non con una “deminutio”, tutt’altro!.
E di piaga inenarrabile si è trattato, chi ha chiamato “prima linea” gli ospedali, pronto-soccorsi e ambulatori, l’ha lasciata senza le difese necessarie, con le “scarpe di cartone” dei nostri soldati nella campagna di Russia. Non solo facendo scarseggiare mascherine e guanti, camici monouso e tutto il resto, ma anche senza protocolli adeguati all’emergenza. Che andavano resi cogenti subito dopo la proclamazione dell’emergenza, l’unica tempestiva, Nel mio articolo si parla di 60 medici morti e 60.000 operatori sanitari contagiati, sono trascorsi meno di 15 giorni da allora, per i medici il numero dei morti è oggi superiore a 100, quello degli operatori contagiati oltre 100.000 più 30 infermieri deceduti, secondo i dati aggiornati. E non citiamo il dato dei morti totali che nelle cifre ufficiali hanno superato i 18.000, dai 13.000 di allora, considerando purtroppo che nella realtà la cifra va più che raddoppiata, con gli innumerevoli decessi non registrati avvenuti nelle abitazioni per l’impossibilità degli ospedali di accoglierli e di curarli. Dopo questi 15 giorni si sono levate finalmente voci molto autorevoli, come quella del Presidente della Società Italiana di Virologia, nel denunciare la gravità dei ritardi e lo stupore che non si è fatto tesoro dell’esperienza cinese. Anche sulle Mascherine di protezione il fronte compatto sulla loro inutilità, denunciato nell’articolo, è stato infranto da due regioni, Lombardia e Toscana che hanno reso obbligatoria una protezione qualsiasi anche se fai-da-te, lo avevamo sollecitato e non ci voleva molto, considerando che gli “asintomatici” sono una minaccia onnipresente, come lo era nell’ultima guerra la spia insospettasbile: “taci, il nemico ti ascolta” avvertivano i manifesti, ora invece le autorità – come il pur attento capo della Protezione Civile e i “guru” come l’insigne scienziata Ilaria Capua – continuano a dire “io la Mascherina non la porto”; e spiegano che serve solo ai positivi per non trasmettere il virus, mentre ai sani basta il “distanziamento sociale” formula peraltro non di immediata comprensione. Come se fossero alternativi, e l’indispensabile distanza da mantenere tra una persona e l’altra dipendesse solo dal singolo ligio alle prescrizioni e non anche dallo sconsiderato, magari positivo ma asintomatico, che si può accostare all’improvviso a chi le rispetta scrupolosamente impedendogli di difendersi dal gesto imprevisto. Nè la logica dei “grandi numeri” che secondo i “guru” rnderebbe ciò “improbabile”, rassicura il singolo il quale preferisce che sia reso “impossibile”, nei suoi effetti nefasti con il “principio di precauzione” che suggerisce le Mascherine, o una protezione simile, da rendere obbligatorie per tutti, tantopiù con il previsto allentamento del “tutti in casa”.
La vera “prima linea” dei cittadini è stata lasciata anch’essa con scarse difese come gli operatori sanitari, senza i necessari interventi a tappeto sul territorio, sia in termini di assistenza medica, sia di mappatura e tracciamento dei contagiati, fino a che il dilagare del contagio con il suo carico di morti non ha reso automatiche le chiusure, sempre tardive e troppo parziali. Come se il bilanciamento con le esigenze produttive fosse una mediazione fruttuosa anche se in parte dolorosa, non pensando che sarebbe stato solo provvisorio, travolto dalla valanga di contagiati e deceduti portata dal “medico pietoso” che fa “la piaga verminosa”, ripeto il detto della nostra tradizione abruzzese. E quando la “piaga è verminosa” occorre amputare, mentre prima si può fermare l’infesione, adottando la drastica terapia d’urto, fuori di metafora le chiusure “draconiane” immediate. E non la “proporzionalità rispetto alla situazione del momento”, pronti a rivedere le misure “in base all’evolversi della situazione”, cioè contagio dilagante e decessi in crescita esponenziale.
Non ne facciamo colpa al governo, lo abbiamo ripetuto anche rispondendo all’attento lettore e compaesano Gelasio Giardetti, perchè evidentemente dal Comitato tecnico-scientifico al quale il presidente del Consiglio ha detto di conformarsi, sono giunte indicazioni di quel tipo, forse a loro volta ispirate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, dopo aver capito subito come fosse “più pericoloso del terrorismo”, non è stata altrattanto pronta e attendibile, pensiamo all’ultima conferma di ieri dell’inutilità delle Mascherine.
Ed è paradossale che ci si autoattribuiscano i meriti di avere evitato diecine di migliaia di decessi in più rispetto ai tanti avvenuti, prendendo le misure di chiusura, peraltro estese a tutto il paese soltanto il 12 marzo, quasi un mese e mezzo dopo la proclamazione dell’emergenza, e sulla spinta della Regione Lombardia; si potrebbe replicare con la dolorosa contabilità rovesciata, su quanti decessi si sarebbero risparmiati prendendo tali misure prima – e non parliamo per carità di patria delle stragi nelle case per anziani, divenute “case di riposo eterno” ome ha intitolato un quotidiano – bastava seguire l’esempio cinese, “mutatis mutandis” ovviamente. Perchè non è stato “inventato” nulla, neppure i cinesi lo avevano fatto salvo la realizzazione in una settimana di nuovi ospedali per migliaia di posti letto; noi lo abbiamo fatto ora, a un mese dalla prima chiusura circoscritta. L’isolamento e la quarantena sono vecchi come il mondo, mentre le innovazioni telematiche della Corea del Sud, con le quali ha prontamente contenuto l’infezione, sono state ignorate, soltanto ora è stata costituita la “task force tecnologica”. E le precedenti epidemie scampate miracolosamente dal nostro paese – tra l’altro anche per virus della stessa famiglia pur se diversi e sconosciuti – avevano dato l’avvertimento che occorreva premunirsi in tempo, dovevano essere predisposti anche “piani per l’mergenza” e le dotazioni mediche e civili contro le infezioni, tutto è mancato. Sottovalutazione colpevole, quindi, anche prima dell’emergenzaz conclamata, nel nostro e degli altri paesi che hanno seguito il “modello Italia” con il nostro apese nnovello “pifferaio di Hamelin”. Forse sentendosi rassicurati tutti, almeno inconsciamente, che tanto rischiavano solo gli ultrasettantenni e massimamente gli ultraottantenni, ritenuti, sempre inconsciamente, un peso e non una risorsa.
Speriamo di lasciarci alle spalle tutto questo con il rallentare dell’epidemia che sembra felicemente iniziato, e poter affrontare in modo appropriato i difficili problemi della “seconda fase”, su come avviare il ritorno parziale alla normalità, però nuova e diversa finchè non sarà debellato il coronavirus con il vaccino e i farmaci allo studio nella corsa contro il tempo a livello mondiale; ma i lacci e lacciuoli della burocrazia sanitaria, non meno frenante di quella amministrativa, non sono rassiuranti sui tempi, che invece a livello scientifico sembrerebbero ravvicinati. Ora, sì, che per le “riaperture” è benvenuta la “gradualità secondo l’evolvesi della situazione”, non lo era prima, e lo si è visto; riaperture con precedenza alle aree del paese e ai settori e imprese produttive che potranno garantire un’adeguata protezione e una sicura barriera contro la ripresa e diffusione del contagio, ma pee far questo occorre monitorare attentamente ciò che avviene nel territorio, mezzi di trasporto compresi nei quali non si potrà ammmettere l’affolalmento che impedisca la distanza di sicurezza, si dovrà fare come ora per i supermercati. Occorrerà un’accorta valutazione di tutti i fattori con una consocenza approfondita del territorio, dove le “prime linee” saranno ancora minacciate dal nemico e dovranno essere adeguatemente sostenute dall'”intelligence”, come avviene per gli eserciti tradizionali: intendiamo il “tracciamento” con analisi sierologiche e tamponi diffusi per conosscere le proprie difese – qui quelle immnunitarie – e stanare le “spie” rendendole inoffensive, intendiamo gli “asintomatici” che possono diffondere di nuovo il contagio inconsapevolmente.
Le “retrovie” ospedaliere, e sanitarie in genere, finalmente sono alleggerite, ma la diminuzione dei “caduti” dipende dalla maggiore tenuta della “prima linea”, sempre che continui in modo crescente, e non sia vanificata dai comportamenti dissennati di coloro che sono tornati ad affollare strade e piazze – come nelle stradine dei “Quartieri spagnoli di Napoli e a Milano con il 40% degli abitanti fuori casa – minacciando con il loro comportamento – peggiore di quello dei disertori – da “commandos” che minacciano in moodo proditorio, in questo caso stupidamente quanto inconsapevolmente, coloro che invece sono impegnati nella difesa della salute e della vita.
Chiudevo l’articolo riferendomi allo “Stellone d’Italia”, e tu, Caro Francesco, citi le immagini finali dell’arcobaleno sul cielo della nostra terra e di Papa Francesco benedicente. Serviranno senz’altro, ma ci vorrà un’azione decisa e avveduta che faccia tesoro degli errori commessi, non importa da chi, per non sbagliare ancora. Sarà difficile ma necessario, e con tutta la fede che si può avere nella fortuna e nella benevolenza divina, diventa imperativo il motto “aiutati che Dio t’aiuta”. Per i nostri governanti e per tutti i cittadini nell’impegno comune contro il flagello del coronavirus.
Grazie – oltre che del generoso quanto da me immeritato apprezzamento finale – di avermi portato di nuovo, attraverso l’emozionante “film” che ci hai regalato, sui temi che ho rievocato con inesauasta passione, e soprattutto di avermi dato lo spunto per considerazioni attuali e di prospettiva, in un’emergenza per la quale i 15 giorni trascorsi dalla pubblicazione dell’articolo sembrano già un’eternità.
CARO ROMANO
HAI SCRITTO UN LIBRO SUL CORONA VIRUS CREDO CHE DEBBA ANDARE IN STAMPA
Caro Ciro, sei sempre tacitiano quanto folgorante, del resto “m’illumino d’immenso” è ancora più fulmineo. Mi dici che il mio “libro sul coronavirus” dovrebbe “andare in stampa”, non lo manderesti al macero, è un riconoscimento di cui ti ringrazio di cuore.
Ho letto con interesse l’articolo, mi è apparso documentato e preciso, ma preferisco non fare commenti in merito all’emergenza coronavirus che non aggiungerebbero nulla di nuovo e di interessante a quanto in esso contenuto.
Vorrei invece spendere due parole sulla sua introduzione non perché,, vedendomi citato, è stata solleticata la mia vanità, ma perché mi dà lo spunto per condividere un argomento che mi sta a cuore e la pandemia sta portando – finalmente! – alla nostra attenzione.
Nell’introduzione sono citate alcune lodevoli iniziative che in questo periodo di coronavirus sono spuntate come funghi, iniziative volte a diffondere la cultura per il tramite di internet e di altri media. Ottima cosa! Ma, mi chiedo, occorreva davvero una tremenda pandemia perché ci si accorgesse delle enormi possibilità offerte dall’informatica per portare la cultura nelle case di (praticamente) tutti gli italiani? Cosa hanno fatto in questi anni i vari governi, gli enti, le istituzioni che avrebbero dovuto già da molto tempo sfruttare queste moderne “diavolerie” per ridurre la grande ignoranza culturale degli italiani? Ed in particolare, cosa ha fatto la scuola per preparare gli insegnati e gli allievi all’uso “intelligente” di queste moderne tecnologie?
Quando penso alle enormi possibilità non sfruttate, mi viene una rabbia tremenda. Confesso che c’è molto di personale in questo sentimento perché, provenendo da una famiglia molto povera (libri ed altri strumenti di cultura erano un lusso che non ci potevamo permettere) ed avendo passato l’infanzia e la fanciullezza in un povero paesino delle Marche, sento profondamente l’insensatezza delle diverse istituzioni che, avendo già avuto a disposizione da diversi lustri potenti strumenti per la diffusione della cultura, non hanno finora saputo sfruttare adeguatamente l’enorme potenziale culturale accessibile a tutti con un semplice clic. Un’occasione mancata anche per accorciare le distanze sociali, mettendo la cultura alla portata anche di quelli meno fortunati alla partenza.
Oggi (e già da diversi anni) la stragrande maggioranza degli italiani ha la possibilità di accedere ad ogni genere di cultura, gratis e – lo ripeto – con un semplice clic. Ma cosa si è fatto fino ad ora per informare ed incoraggiare l’uso “intelligente” di queste moderne tecnologie? Penso in particolare alle scuole. Oggi non è indispensabile andare a Firenze per conoscere decentemente Gli Uffizi, o a Milano per La Pinacoteca di Brera, o a Roma per i Musei Vaticani, o a Parigi per il Louvre, e via dicendo per i musei e le gallerie di tutto il mondo. Un buon “surrogato” è rappresentato dall’ottimo ed abbondante materiale che si trova su internet, spesso presentato molto bene da ottimi specialisti. E lo stesso discorso vale per la musica: non occorre andare a Vienna o a Berlino per una buona esecuzione dei Wiener Philharmoniker e dei Berliner Philharmoniker, o alla Scala per un’Opera lirica, o in altri famosi centri per ascoltare/vedere ottime esecuzioni musicali. Si trova tutto e di ottima qualità su internet. Che non è certamente come un’esecuzione dal vivo, ma rappresenta, anche in questo caso, un ottimo surrogato, in preparazione di più sofisticati ascolti.
Su come sfruttare l’informatica per diffondere la conoscenza della musica così detta “colta” nelle scuole ed in altri ambienti, ho molto riflettuto ed ho anche realizzato qualcosa, ma in generale chi dovrebbe occuparsi istituzionalmente di questo argomento è “sordo”! E così, se all’uscita di un liceo chiedessimo agli studenti chi era Mahler, prevedo che la stragrande maggioranza risponderebbe Mahler! Chi era costui?. Ma non solo gli studenti. Qualche tempo fa su una rete radiofonica italiana di una certa importanza si dava un’informazione sul “festival wagneriano di Beirut” (sic!). E così, la musica “colta” – trascurata dalla scuola e “frequentata” principalmente da “anziani” (dei quali il coronavirus si premura di accelerare la scomparsa…) – rischia di sparire nel nostro Paese, pur in presenza di strumenti in grado di vitalizzarla e diffonderla. Segno, anche questo, di un “ingaglioffimento” della nostra società. Shakespeare, nel Mercante di Venezia, a proposito della musica, scrive questo (in inglese moderno): The man who can’t be moved by the harmonious melodies is fit only for treason, violence, and pillage. His soul is as dull as night and dark as the underworld. Nobody like that should be trusted.
Molti sostengono che da questa pandemia e dalla “clausura” si trarranno utili insegnamenti che ci faranno migliori. Voglio anch’io aggiungermi al coro degli ottimisti e scommettere sulla nostra voglia di migliorarci ed anche sulla volontà e capacità del nostro Paese di saper sfruttare le enormi possibilità che ci sono offerte dai progressi della tecnica per conoscere ed amare la cultura.
Questa lunga e forse disordinata digressione dal tema del coronavirus potrà sembrare effetto dell’“innamoramento” di cui si è prigionieri ad una certa età (avanzata) come la mia. Non so come verrà considerata, di certo l’ho scritta d’istinto come mi è venuta senza infingimenti.
Caro Giuseppe, il tuo commento restituisce il tema dell’emergenza coronavirus allo spazio proprio del nostro sito culturale, e di questo non possiamo che ringraziarti.
Prendendo lo spunto dalla rapida “ouverture” dell’ articolo su alcune iniziative meritorie per portare la cultura e l’arte a chi #restaacasa hai delineato uno scenario di grande interesse che parte da amare considerazioni sulle occasioni perdute.. Il fatto che tali considerazioni vengano da chi, come te, ha una elevata caratura non solo in campo culturale, ma anche imprenditoriale e manageriale – tale è stata la tua attività professionale ai vertici di multinazionali e di agenzie internazionali – ne accresce il valore interpretativo e propositivo.
E’ vero che nessuno nega un riconoscimento al valore della cultura e dell’arte, ma per lo più resta un “leit motiv” scontato quanto privo di valore concreto. Inoltre la contrapposizione, non espressa ma spesso implicita, tra la tecnologia come indice di modernità e la cultura come indice di tradizione dà una altrettanto implicita legittimazione alla visione miope che trascura la seconda. Hai dato segni concreti della possibilità di coniugare cultura e tecnologia con le iniziative per la diffusione dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia: all’inizio del mio articolo è ricordata la trasmissione in “streaming” per i tempi di “coronavirus”, mentre da anni fornisci per e mail il “programma elettronico” prima dei concerti con i riferimenti accessibili mediante “un semplice clic” – uso le tue parole – per approfondirne la conoscenza, facendo così cultura collegata all’arte mediante la tecnologia. Come nell’attività alla Presidenza del Fai della Regione Lazio hai aperto al grande pubblico per altri versi la conoscenza del nostro patrimonio culturale.
La genialità del tuo intervento è che si distacca dalle consuete lamentazioni per l’insufficiente impiego di risorse in questo campo, che pure è un altro problema impellente. Lamenti invece che non si sia fatto e non si faccia ciò che non solo sarebbe a costo zero, ma dovrebbe rientrare nel doveroso svolgimento delle attività correnti delle istituzioni preposte nelle forme più aggiornate ed efficaci. E ti riferisci alla scuola e ai tanti enti operanti in questo campo. Non si diffonde la cultura della conoscenza per la quale basterebbe “un semplice clic”, purché qualcuno insegni a premerlo e a volerlo premere. Lo fai con il “programma elettronico” dei concerti, si potrebbe prendere il tuo esempio per tanto altro cui applicare questa metodologia quanto mai facile, immediatamente disponibile senza costi.
Sembra ed è l’uovo di colombo, e si spera che il tuo ammonimento sia ascoltato, ora che nell’emergenza del coronavirus le enormi possibilità offerte da internet sono state portate alla conoscenza di tutti, anzi si può dire che molti si sono “svegliati” eccome, Ministero per i Beni e le Attività Culturali in testa. Cessata l’emergenza, lo “smart working” e le “lezioni a distanza”, nonché gli accessi “on line” ai Musei, alle gallerie e ai siti culturali, centri musicali compresi, dovranno far parte della vita ordinaria di tutti; e soprattutto si dovranno sviluppare quegli approfondimenti che sono la sostanza stessa della cultura seguendo il tuo esempio.
Ma ci vorranno iniziative adeguate, formative e promozionali, da parte delle istituzioni preposte che per troppo tempo sono restate colpevolmente inerti. Un motivo forse c’è e si può trovare in quanto dicono gli economisti che tu, caro Giuseppe, conosci molto bene: internet è l’“invenzione”, tu con i “programmi elettronici” l’hai tradotta in una geniale quanto semplice “innovazione” introducendola nel campo che ti interessava, quello musicale. E sappiamo che il passaggio da “invenzione” ad “innovazione” non è automatico, ci vuole la spinta del profitto per determinarlo, in te non c’è stata sostituita dalla spinta della passione: L’una e l’altra evidentemente sono mancate, come se l’accrescimento culturale non fosse un “profitto” per l’individuo e la collettività e le espressioni culturali non suscitassero passione nel diffonderle..
L’emergenza ha portato allo scoperto queste gravi carenze, come quelle sull’utilizzo distorto delle risorse, colpevolmente lesinate – ripetiamo questo pesante avverbio – alla cultura e anche, e soprattutto alla sanità e alla ricerca, i tre comparti basilari per la civiltà e la stessa vita. Questa è un’altra prospettiva, aperta dai commenti di Piercarlo Ceccarelli e dalle mie risposte; quella evocata da te, caro Giuseppe, non ha la complessità delle risorse limitate che imporrebbero scelte “anche moralmente eccepibili” – sono parole dell’attento analista – è a costo zero, basta “un semplice clic”. Ma occorre insegnare a cliccare, e soprattutto a voler cliccare nel nome della cultura!
Genova, 09 aprile 2020
Carissimo Romano,
Dopo aver letto il tuo appassionato e ponderoso “Saggio” sulla tragedia che si è abbattuta su di noi e che continua, non neghiamolo, a terrorizzarci, e dopo aver partecipato, sia pure da spettatore, alle tue discussioni con tuoi amici che non ho la ventura di conoscere, mi permetto di dire qualcosa anch’io.
Esclusivamente per il fatto di essere della tua età e una possibile (e probabile?) vittima sacrificale di questo tremendo e ancora incomprensibile cataclisma.
Le mie parole non possono avere il taglio giornalistico del tuo scritto, né voglio neppure provare ad approfondire, come hai fatto tu, tutta la vicenda: sarebbe un inutile doppione e non porterebbe alcun contributo a quanto finora detto, discusso, controbattuto.
Cercherò di aggiungere solo qualcosa.
Servizio Sanitario Nazionale.
Nato nel 1978 (un mio zio medico, primario chirurgo in un importante Ospedale del Piemonte, mi confidò che l’Italia si stava infilando in una letterale catastrofe: egli, all’epoca, aveva 57 anni; quindi, era nel pieno della maturità; ma era di tendenze chiaramente conservatrici).
Io, assiduo lettore di Repubblica, guardai invece con entusiasmo, misto a un po’ di preoccupazione, questo nuovo cammino, il cui fallimento avrebbe potuto portare il Paese a un disastro colossale.
Ricordiamoci che il 1978 fu, con l’uccisione di di Aldo Moro, l’anno del più grave attacco allo Stato portato dalle Brigate Rosse.
Adesso, all’età di 84 anni, considero il SSN una cosa buona, ma con notevoli crepe. Le enumero velocemente prima di andare all’argomento:
a) La Sanità, come sappiamo, è di responsabilità delle Regioni. Le sue spese annuali coprono il 75-80 percento del Bilancio regionale. Ad esempio, in Liguria, dove abito, su un bilancio di poco meno di 5 miliardi annui, la spesa per il Servizio Sanitario è di circa 3,7 miliardi.
b) Il Titolo V della riforma del 2001 (c’erano Amato, Bassanini, uomini “nostri” e di alto livello culturale) assegnò alle Regioni tutti i poteri. Questo, si disse, pr tenere a freno il secessionismo leghista.
c) Qualche risultato: i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza: si chiamano così?), che dovrebbero essere soddisfatti in ciascuna Regione, non lo sono affatto. E assistiamo a una dolente continua trasmigrazione di persone da Sud a Nord semplicemente per salvarsi la pelle.
d) Io stesso, che ho avuto modo di utilizzare il SSN per operazioni importanti (prostata, ernia, cataratta e, infine, un recente ciclo di radioterapia per tumore maligno alla prostata, risoltosi brillantemente), mi affido, però, per i controlli normali, all’attività privata, forte di un’assicurazione che sostiene me e mia moglie in modo soddisfacente, evitandomi le pesantissime attese, addirittura di mesi, per una semplice visita specialistica.
Quindi, mi reputo un “fortunato”. E, ti confesso, mi diede fastidio il nostro Ministro Speranza quando, appena insediato, proclamò l’eliminazione del cosiddetto Superticket, balzello che tantissimi hanno spesso, con l’autocertificazione, del resto evitato. A me sarebbe piaciuto che lui, tenendo conto dell’invecchiamento inesorabile della popolazione, e quindi del fatale incremento dei costi per la Sanità, avesse proposto, ad esempio, un contributo da parte di gente come me a sostegno della struttura. Ma questa sarebbe stata una vera e propria bestemmia, se pronunciata da un Ministro di quella fede politica. Egli avrebbe dovuto addirittura dare un impensabile calcio alla demagogia.
La struttura del nostro SSN (come la vedo io)
Il SSN poggia sui Medici di Base (o di Famiglia), MdF.
Essi, dislocati sul territorio, curano la salute di un migliaio di cittadini (pazienti, clienti?) e costituiscono la base per la difesa contro le aggressioni del Male. Ogni MdF ha in carico un migliaio di pazienti. Questi ultimi possono, volendo, dare la disdetta e scegliersi un altro MdF. Ciò crea qualche disagio quando il MdF, ad esempio, non accettando il ricatto di un assistito, non gli concede qualche giorno di malattia fasulla. Trovandosi qualche volta con un paziente in meno.
Il MdF conosce, o dovrebbe conoscere, lo stato di salute dei suoi pazienti, i loro punti deboli, le cure che lui stesso ha loro assegnato. E’ suo compito rinnovare le ricette per i medicinali, quando questi sono arrivati alla fine della scatola.
Gli Studi dei MdF sono pieni di assistiti che vanno lì, prendono il numero di precedenza e aspettano che il MdF o, peggio, la Segretaria, consegni loro la nuova ricetta per la Farmacia. E’ incredibile il tempo letteralmente perso da questi medici per un lavoro assolutamente stupido e ripetitivo.
Ho tentato in tutti i modi di discutere con politici del mio Partito (PD) sulla banalità di una soluzione. Prendiamo il caso di una persona anziana, soggetta a malattie ormai croniche (ad esempio, ipertensione). Essa è costretta a prendere una pastiglia al giorno di un certo preparato.
Sarebbe banale istruire il Sistema Informativo che il Signor XY prenderà ogni giorno quella pastiglia, salvo che il MdF non riporti a Sistema una variazione della cura, ovvero che arrivi dall’Anagrafe comunale un comunicato di Morte. L’assistito, quindi, a fine scatola, non dovrebbe far altro che recarsi in una Farmacia, presentare la sua Tessera sanitaria e ricevere immediatamente la nuova scatola di pastiglie.
In tal modo il Medico sarebbe sgravato da una buona parte di inutile burocrazia e potrebbe dedicarsi ai pazienti in modo più sereno e completo. E il SSN ne guadagnerebbe in efficienza.
Teniamo anche conto che oggi, dato il fatale invecchiamento della popolazione, il MdF è diventato soprattutto un Geriatra. Quindi, sa con chi ha a che fare e si rende conto con maggior sicurezza ed efficienza dei problemi che l’assistito gli prospetta.
Tra parentesi, posso dire che uno di miei due figli, valido cardiologo (che cura magistralmente la mia ipertensione), è MdF con un migliaio di clienti che lo fanno qualche volta anche impazzire, date le chiamate fuori orario al telefonino (che resta, comunque, sempre acceso….).
La coorte dei MdF avrebbe dovuto essere la Diga contro l’avanzare di qualunque Malattia. Non m’intendo di arti militari e non so quale ruolo assegnerei a questa schiera di Soldati. E’ certo, però, che essi, nella mente di un Generale, dovrebbero costituire il Fronte contro il quale dovrebbe infrangersi l’onda d’urto delle forze nemiche.
Essi, pertanto, dovrebbero essere adeguatamente formati, curati per il ruolo che essi rivestono, equipaggiati come si deve, ma soprattutto considerati come una vera struttura portante del Sistema.
Ma oggi, all’apparire di un Esercito simile a quello nazista che nel 1939 invase la Polonia, il nostro Fronte si è disintegrato, lasciando sul terreno quasi 100 (cento!) medici (e non ti dico le angustie di mia moglie e mie nel pensare a nostro figlio al Fronte).
E le orde nemiche si sono abbattute sugli Ospedali, per forza di cose impari a tanto cimento.
Risultati: oltre 18000 morti, a oggi, 9 aprile. E oggi siamo contenti se essi sono scesi a “solo” seicento al giorno. E, facendo il callo a tanta mattanza, attendiamo il bollettino delle 18, scrutando le cifre e tirando le somme, proprio come un ragioniere che aggiorna la lista delle vendite o degli acquisti. Solo che qui si parla di morti, di nostri congiunti, di gente come noi: potremo essere noi in quelle cifre.
Il Governo, il Servizio di Protezione Civile, l’Istituto Superiore della Sanità, le Regioni.
La mia impressione è quella di avere, negli Stati Maggiori, gente che non sia capace di far altro che conteggiare i Feriti, i Morti. Attendono tutti anche loro il Bollettino delle 18, nel quale l’ineffabile Borrelli, brava persona, ma forse nulla di più, ci aggiorna sulle cifre. Ce le prendiamo, restando atterriti sempre di più se i Morti, soprattutto essi, aumentano, oppure sentendoci sollevati se questi diminuiscono. Del resto, cos’altro potremmo fare?
Io penso che, quando andrò a votare per un nuovo Governo (ci sarò ancora?), voterò per gente che mi dia la sensazione di saper essere all’altezza di fatti del genere. Ad esempio, che capisca bene la situazione, che si renda conto del disastro immane in cui il Paese si trova, che si guardi disperatamente, ma con forza, intorno per cercare una via d’uscita ragionevole.
Ad esempio: guardando le cifre degli altri Paesi già colpiti, Cina e Corea del Sud, mi sarei stupito (e io stesso ne fui colpito) nel vedere che in Corea, dopo una crescita all’inizio esponenziale come la nostra dei contagiati, il numero dei morti non arrivava a 1000. Mi sarei chiesto come mai.
E, non sapendo più cosa fare, avrei subito spedito i miei migliori uomini laggiù per tentare, in tutti i modi di capire, ovvero di carpire i segreti di questo popolo che, senza tanto chiasso, aveva messo a dormire un nemico così feroce e sconosciuto.
Ricordiamoci che in Corea non hanno chiuso nessuna attività e, adesso, stanno marciando come se nulla sia accaduto.
Sarei rimasto laggiù, con i miei uomini migliori (ne abbiamo), e ce li avrei lasciati, fino a portare qui da noi, con la massima necessaria umiltà, tutte le notizie utili per fronteggiare con successo il Nemico.
Vedendo come i Coreani utilizzavano il Sistema dei cellulari (bluetooth, GPS, ecc.) per individuare i casi sospetti e circoscriverli in modo veloce e sicuro, mi sarei ricordato che il popolo italiano, il più forte consumatore mondiale di smartphone (per la strada non si vede una persona, più o meno giovane, che non abbia lo sguardo rivolto al suo cellulare), avrebbe potuto velocemente far tesoro di quelle App, di quei collegamenti bluetooth, e di altre diavolerie per circoscrivere il fenomeno.
E li avrei fatti tornare di corsa in Italia per far entrare queste, tutto sommato, semplici teorie nelle teste delle nostre moltitudini. E, sicuramente, avrei avuto successo, data la versatilità di nostri connazionali nell’uso dei telefonini.
Però, è mancato il genio del Conduttore. Che non ha saputo gettare sul piatto la voglia feroce di Vittoria. Si è parlato addirittura di impedimenti legali da parte dell’Agenzia contro la violazione della privacy e ci si è fermati: come se 18000 morti, portati sulla bilancia, non l’avessero immediatamente fatta traboccare dalla parte della salvezza di tanti nostri simili.
Non vorrei discutere sulla nostra Costituzione: grande sostenitore di Renzi (allora), ammetto di aver ricevuto un colpo tremendo con la sconfitta del 4 dicembre 2016. L’Italia preferì buttare, come si dice, con l’acqua sporca anche il bambino pur di manifestare in modo inequivocabile il suo dissenso verso un uomo effettivamente poco simpatico e in definitiva ambiguo (Enrico, stai sereno….).
E adesso ci teniamo ancora una Costituzione che, diciamolo francamente, nella sua Parte seconda sarebbe veramente da buttare. Con quel Senato che ripete stancamente quanto deciso alla Camera, stando attento a non mutare di una virgola il testo. Pena il rimpallo nell’altra Camera. Fino, asintoticamente, alla perfetta coincidenza. Come se, in un mondo che si muove così velocemente, si potesse ancora giocare a ping pong.
E, poi, il titolo V, art. 117 e seguenti: l’improvvida modifica del 2001 (sinistra, cos’hai fatto!) portò al guazzabuglio Stato Regioni. Per i crudeli fatti del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Alzano Lombardo scenderanno in campo i migliori giuristi italiani e, alla fine di dotte discussioni, non arriveranno a concludere nulla. Poiché, così come sono messe le attuali Leggi, non c’è nulla da concludere: hanno, semplicemente, tutti ragione.
A 84 anni, non mi resta che dire, come quel ragazzino di Caivano (?), Napoli (ma, purtroppo, senza il suo saggio entusiasmo) “io, speriamo che me la cavo”.
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Carissimo Franco, il tuo commento è una dimostrazione dell’imperativo manageriale che tu conosci benissimo, secondo cui dalle minacce si possono trarre delle opportunità. Lo abbiamo visto con il fiorire di iniziative “indoor” e con l’utilizzazione di forme comunicative a distanza, da tempo disponibili ma ignorate, l’invenzione non diventa innovazione quando manca il profitto, ma questa volta si è dovuto fare di necessità virtù, introdurle anche senza tornaconto: così nella “didattica a distanza” e nello “smart working”, nell’”arte e cultura a distanza”, ho ricordato in apertura del mio articolo le iniziative del MiBACT in generale e attraverso la sua società “in house” Ales per Raffaello, fino ai concerti di Santa Cecilia in streaming e a quanto fa l’associazione “Civita” . Ma tu mi evochi una nuova “opportunità” valorizzata da questa emergenza, il recupero di affetti sopiti, in questo caso tra gli antichi compagni di scuola come siamo stati a Teramo dalle scuole medie al liceo “Melchiorre Delfico”, prima della mia partenza per Bologna e poi Roma e la tua per Genova. Ed eccomi, per “merito” (!!!) del coronavirus a rispondere a Franco nel ricordo dei banchi di scuola pur così lontani.
Ma non si tratta di discutere con il pur bravissimo studente di allora, pur se è in testa ai miei ricordi – lui al primo banco nella fila centrale all’inizio delle medie – bensì con il ricercatore che conferma le doti di analista e stratega della sua vita professionale e la sensibilità umana espressa anche in seguito pubblicamente. E da manager sperimentato prima scandaglia il terreno, come fosse il “mercato” in cui operare con successo, poi ne trae gli insegnamenti per le azioni conseguenti; apprezzai le sue doti nella “lectio magistralis” sul bombardamento di Dresda in un simposio culturale tra antichi compagni, ora dopo tre lustri di “dissolvenza” lo ritrovo di nuovo su un tema bellico, questa volta una “guerra asimmetrica”!
E all’antico e nuovo compagno e amico – i nostalgici ricordi di scuola mi riportano alle parole dell’”Aquilone” – dico direttamente che non sono d’accordo con l’inizio del suo commento. Caro Franco, non è vero che non vuoi “provare ad approfondire” il tema, e neppure che “sarebbe un inutile doppione e non porterebbe alcun contributo a quanto finora detto, discusso, controbattuto”. Hai approfondito eccome! E hai portato un contributo importante, non te ne sei accorto preso dalla passione civile, o hai voluto minimizzarlo senza riuscirci, la mia non è certo piaggeria.
Sei partito dal Medici di famiglia che veramente sono la “prima linea” anche nell’accezione del prof. Galli perché condividono con gli assistiti l’aggressione del nemico che definisci efficacemente “nazista” nella sua spietatezza – a Dresda fu la popolazione civile della città a ricevere la giusta ma spietata punizione alleata e ne desti le cifre agghiaccianti – mentre sono stati ridotti a burocrati delle ricette ripetitive, quando bastava pochissimo ad evitarlo, con i moderni sistemi informatici e semplificazioni burocratiche; lo hanno scoperto soltanto ora con i codici trasmessi alle farmacie per evitare di andare dal M.d.F. Ci vuole sempre l’emergenza nel nostro paese per risvegliare dal sonno, che non è quello dei giusti.
Dalla loro inadeguatezza incolpevole anche sul piano della formazione, oltre che su quello cruciale dei dispositivi di difesa dal contagio, sono derivate conseguenze disastrose che in troppi casi li hanno trasformati in vittime sacrificali e hanno indebolito la “prima linea” di difesa facendo scaricare sulle “retrovie” ospedaliere tutta la potenza di fuoco nemica. Sono stati indicati ai cittadini perché in presenza di sintomi si rivolgessero a loro e solo a loro, essendo preclusi i “Pronto soccorso”, senza fornire dettami, procedure e mezzi di difesa adeguati, anzi cogenti, per cui sono diventati la “prima linea” investita dal “nemico” invisibile ma noto alle autorità sanitarie nella sua micidiale pericolosità. Tu hai giustamente portato l’attenzione su di loro, che sono tra i dimenticati, i 110 medici morti “sul campo” vengono riferiti agli ospedalieri, mentre tanti sono Medici di Famiglia, ci sono delle testimonianze su come si sono visti negare persino il “tampone”.
Anche la tua premessa sul Sistema Sanitario Nazionale – che giustamente hai apprezzato fin dall’inizio nella sua concezione, giudizio positivo che resta anche dinanzi alle insufficienze attuali – è “in tema” eccome, guardiamo ciò che sta avvenendo negli USA dove chi non ha l’assicurazione o la perde con la disoccupazione, se non ha disponibilità personali adeguate viene respinto dagli ospedali, a parte New York dove sembra che Cuomo abbia esteso in via eccezionale l’assistenza a tutti.
Ma poi, anche se forse non te ne sei accorto, sei entrato “in medias res” nei temi dell’articolo, con una passione che ben si associa a quella che ho messo nel mio sfogo, buttato giù “di getto”, come si diceva una volta, senza le accortezze giornalistiche che generosamente mi attribuisci; tu hai sviluppato l’analisi cruciale di un tema “dimenticato” in una “escalation” di toni, un “climax” che rende la lettura del tuo commento appassionante oltre che istruttiva e ammonitrice.
Io ho soltanto accennato alla risposta della Corea del Sud, tu giustamente ti ci soffermi perché è l’unica innovativa rispetto al secolare isolamento con quarantena che ha segnato la resa della scienza e della tecnologia mentre i coreani sono passati dall'”invenzione” all'”innovazione” con l’introduzione pratica – e me lo insegni avendo operato in campi affini – del ritrovato senza lasciarlo fine a se stesso; il record di smartphone del nostro paese mostra quanto mai potrebbe essere idoneo ai metodi coreani di tracciabilità dei contagiati e dei loro itinerari per difendere i sani e aiutarli a difendersi, e lo sottolinei. Sembra che se ne stiano accorgendo con la Task force tecnologica di Colao, un manager sperimentato in tale campo; e anche Arcuri sta facendo qualcosa di valido, anche qui speriamo gli sia dato spazio per operare, insieme a Colao, come vero “Commissario per l’emergenza” e non solo mero succedaneo della Consip, la centrale di acquisti ostacolata dalla burocrazia. Denunci con veemenza che “è mancato il “genio del Conduttore che non ha saputo gettare sul piatto una volontà feroce di Vittoria”, non c’è stato neppure il Commissario con poteri straordinari come sembrava all’inizio, avevano fatto credere che era l”l’ineffabile Borrelli, brava persona ma forse nulla di più”, nella tua icastica fotografia, invece lo è stato di fatto il presidente Conte con il governo – una contraddizione in termini – che ha esautorato anche il Ministro della Salute, anche se con il DPCM ha evitato le lungaggini bicamerali su cui tu a ragione ironizzi mettendo il dito anche in questa piaga. Lungaggini assurdamente invocate, pur chiedendo improbabili accelerazioni, nel nome della democrazia, come nel nome della “privacy” si mettono già le mani avanti per ostacolare interventi come quelli dei coreani, quasi che democrazia e privacy non fossero a servizio dei cittadini, tanto più della loro salute e della loro vite; e le normali regole non devono essere rivolte contro di loro in una autolesionistica distorsione che va anche contro il buon senso e non dovrebbe scomodare gli insigni costituzionalisti per essere rimandata al mittente.
Qualche osservazione conclusiva che solo apparentemente contrasta con la qualifica di ricercatore-analista e manager che ho evocato. Entri anche nel tuo personale-privato per dare il senso del vissuto alle tue riflessioni, e offri di nuovo pubblicamente, come fu per le pensioni di anzianità con le tue presenze televisive, la disponibilità a contribuire concretamente per migliorare il Sistema Sanitario Nazionale criticando l’abolizione del Superticket. Ma soprattutto citi i “morti e feriti” nella terribile guerra che descrivi con toni da “Addio alle armi” e non con la freddezza burocratica dei comunicati, né usi i termini rassicuranti che sentiamo in TV sull’”abbassamento della curva” riducendo ad andamenti statistici i 500-600 morti giornalieri e le migliaia di nuovo contagiati, molti dei quali con un futuro terrificante in terapia intensiva. Con un’altra macabra rassicurazione, pur se attenuatasi negli ultimi giorni, sul fatto che i deceduti “sono tutti ottantenni, anche con altre patologie”, quasi non avessero diritto di vivere, diventati “inutili”: anche su questo aspetto ci sono tue parole quanto mai intense.
L’ “inutilità”, senza essere esplicitata – non sarebbe “politicamente corretto” – sembra peraltro il fondamento inconscio di tanti messaggi, non solo sgradevoli per noi della classe d’età interessata, ma dannosi per tutti, come ho cercato di avvertire nell’articolo; e riguarda non solo la terza-quarta età ma anche la cultura, come nell’appassionata orazione di Stefano Mazzilli in “Piazza Pulita” del giovedì di Pasqua su “La 7”; che ha avuto una conferma della sottovalutazione dell’arte – è un eufemismo – in “Domenica in” del giorno di Pasqua; ne parlerò in un mio prossimo articolo per associarmi motivatamente all’appello di Mazzilli.
Ma dopo questa citazione, che ci riporta alla comunicazione, mi corre obbligo di correggere una delle tue parole finali, correzione oltretutto da te evocata con il punto interrogativo: non è “Caivano” ma Arzano il paese napoletano di “Io non so se me la cavo”. Ma è stato un “felix error” il tuo, dimostra la genuinità del tuo sfogo appassionato. Grazie, Franco carissimo.
Dear Romano,
As promised, I make this brief comment on your “Coronavirus….prima linea….retrovie…..” article, to express again my gratitude and my admiration for a stunning piece of journalism, tied to philosophical reflections that are at once eloquent and deeply moving.
I must say that I am struck by the commitment to the “public good,” and by the analytical ambitiousness and expressive flair of so many of your interlocutors, and I thank them as well for taking part in the discussion of your essay.
It may be useful to those of you in Italy — but it will come as no surprise — that for many of us far from Italy and from Europe, including myself in the Greater Boston region of Massachusetts, the painful Italian experience, above all in the hard-suffering north of Lombardy and its neighbors, the “Italian lesson” has been immensely helpful as well as distressing. As much as you and many of your countrymen experience anger and disbelief at the inefficiencies and inadequacies of your government alongside your grief for the afflicted and the many dead, and regret that Italy did not take advantage of the “Chinese lesson” that was available, so too in the United States do we hear on a daily basis absolutely justified condemnation at our own failure to pay sufficient heed both to the Chinese case, and to the Italian. Much of our public discourse is marked by disputes similar to yours (as between Rome and Lombardy, for example) between national and regional (our “state”) political institutions — disputes often angry and (as the world will have become only too familiar with) delivered from the very highest federal level of government in the most abusive and outrageously self-aggrandizing style both in language and in “action,” or too often, inaction.
And so too our daily experience of “lockdown” varies in utterly irrational ways, state to state, town to town, as regards matters of school closure, the shutting down of particular kinds of economic activity (building construction “OK here,” forbidden over there, decisions taken too often with little coherent rationale). And so too among my fellow Americans (citizens, and our millions of immigrants whether “legal” [I detest the term] or undocumented), the consistency with which the mere advisories or the legally enforceable mandates of government and public health authorities are heeded varies enormously, town to town, state to state, even at times neighborhood to neighborhood, and by household. This will all come as no surprise. But by way of offering to you and to Italy some very small degree of consolation, you should feel free (I humbly suggest) not to punish yourselves too harshly for your country’s own failures of judgement, of calculation, of advanced preparation, of moral courage: For you had “merely” the example of the Chinese experience before your eyes, while we had theirs and yours (and Spain’s, sadly, and that of Iran), and yet still delayed for weeks (and still do, even at the “top” level of public administration) — at the cost of thousands of lives and of hundreds of thousands of those taken ill — to take what were clearly the necessary measures (“distancing,” and provision of masks and other “PPE” [personal protective equipment], and adequate medical infrastructure. As by many measures “the richest” country in the world, the United States has been publicly exposed as woefully behind much of the rest of the “first world” in denying its people a truly decent public medical system, not to mention quite incredibly obtuse (or downright willfully negligent) when it has been a matter of paying heed to serious scientific research (even conducted at the behest of the Pentagon itself) achieved years ago on the potential impact of a pandemic such as we witness today: To speak merely of “bureaucratic failure” does not begin to address the incompetence. Not to mention that not only from the time of the 2008 “Great Recession,” but from well before, we have starved much of our population — especially those tens of millions at the lower reaches of the economic ladder — of adequate health services, available without burdensome cost.
Hardly a genuine consolation for you, I am sure, but a bit of perspective on the situation from across the Atlantic.
I conclude with renewed thanks for such a stimulating piece, so humanely inspired, that helps make sense of the bewildering situation in which we find ourselves — and with the augurio sincero for all your country, and for all our fellow inhabitants of this planet in woe, that when we do emerge from this crisis of the moment (a painfully long “moment” to be sure) it will be not simply to return to old patterns of behavior, but with a marked new realization of how much we have put at risk by incompetence, and by lack of genuine concern. When this pandemic has passed, there will remain the far more challenging task of saving the planet itself from woeful catastrophe on an entirely larger scale, given the threat to climate and all the associated environmental hazards to the world’s very survival as we have known it.
Un abbraccio from your friend in Boston,
Steven
Dear Steven, your comment gets to me after our last meeting, on january 18, one month before the … diluvial: less than three months ago, but as seventy five years in my imagination, having come back with my memory to the second world war’s years when I was a child who saw the posters with the words “Be silent, the enemy is listening to you!”. Now I’m in the age exposed at a deadly risk and I fear in the same way a unknown enemy, almost worse than the former, because the present enemy, who is fighting against all the inhabitants of the planet, can be in each person, even in the dearest relatives like my son who doesn’t enter into my flat. . .
The comment begins with a very generous appreciation towards me, and so am I – and not you – obliged to express my gratitude for your compliments which I don’t merit, while I feel the honour to have such a reader. Your words are much more important because come from a very appreciated professor of the Massachusset Institute of Technology retired but yet in a continual activity having cultured lectures in classic field: Steven teaches Apuleio’s “Golden dunkey” , Farnesians pictures with Raffaello, Pompei and so on, it’s usual for him to visit Rome each year with his students, this time also Naples on the road of Picasso who had a similar trip – not coming from United States, of course – following russian Ballets. I’ve cited this painter because is object of his lessons with Matisse and Manet, Degas and Bacon and other great modern painters also italian, as de Chirico, and american. At the end of his cultural trip I met him in Rome.
Steven not only knows very well our country, but over all loves Italy where lives and works his son. He’s not only an important studious but also a very sensitive person, and we understand that in his comment when he denounces the fact that the “reachest” country in the world – his country – denies its people “a truly decent medical system”, putting the word “reachest” between quotation marks, id est the wealth is only material and not spiritual. He launches some polemical arrows against other american bad conditions and actions, in terms of burocracy and competence, lack of prevention while the potential impact of a pandemy was achieved already some years ago. Steven says it’s very strange because United States had a double experience in front of them, but neither Chinese nor Italian was enough to understand the dramatic, tragic evidence.
This fact may be a “consolation” for Italy who had “only” the chinese experience, he says and than he contraddicts our commentators which say that it was a totally new situation without any former example: while for other virus – like Sars’s and Ebola’s, pig’s and chicken’s virus – more deadly but less contagious the allarm was strong in the recent years but always considered withour any importance. Only South Corea, after the former less important crisis created a system to fight the epidemies and so this country could at once to react with a strong effectiveness saving many lives.
You agree, dear Steven, with many my considerations about our delays and mistakes in fighting the virus, unknown in his specific behaviour, but for many general aspects similar at other virus – like those above cited – without a specific medical treatment having only the very old remedy, lockdown and quarantine. And I think that it had been a very bitter surprise for the inhabitants of all the world to discover the lack of defence against an enemy who attacks our body entering into our lungs. The reason of this surrender is the foolish allocation of ecomomic resources for private consumptions created by the production and not linked to the true human needs – like the most important need, the health for the life – leaving a whole continent as Africa under a minimum and vital standard of life with the effect of a biblical migration. In the my answer at one of the former comments I’ve already cited Galbraith’s works, “Affluent Societ” and “The age of incertain” , now I add “The Industrial Society” where United States were the absolute protagonists; other industrialized countries have followed always their example, as “Hamelin’s piper”.
Coming back to coronavirus’ emergency, it seems that Italy is the “Hamelin’s piper” for other countries which haven’t learned from our lesson, as we would achieve only successes not seeing the delays and mistakes with the very high number of deads that, in front of population is till now over all other countries, included United States which have overtaked Italy in absolute number but with five times the number of inhabitants versus 60 millions; the chinese datas seem not relieabe while less than 3500 deads in 1.4 billions of inhabitants under such a pandemic tsunami would be a miracle… A part this suspect, it’s evident the China’s success in confining the contagion into a limited region, with a population like Italy, but 1/20 of the country’s’ inhabitants. .
Dear Steven, your comparison between Italian situation – that you knows very well as your analysis shows – and American is very interesting and instructive; over all regarding the confusion in competences between central State and Regional powers. But for us – as I think – there was also a positive effect, because if Lombardia wouldn’t have made the lockdown in the whole region, Italian government wouldn’t do it for the whole country, continuing in the delay when chinese experience was very clear in its ways and in its positive effects.
“Italian model “ is acceptabe only if we mean “last model”, after the lockdown of march 13, and not for the”former model” with the expectations to spread the contagion before taking decisions which instead could be based on forecasts also if incertain, but much better than the choice well described in your impressive word: “inaction”. Likewise impressive are your words about this “Italian model” followed by the other countries, a fact considered as a pride by our commentors and also by our auctorities: “helpful and distressing”, is a tacitian syntyesis of our “lesson”. . .
The discussion followed my article is very indicative of many aspects of the coronavirus’s emergency but also gives many lesson going over the dramatic problems between the life and the death for so many people in the world and in Italy, our loved country, and I refer “loved” at Steven and not only at me, at the basis of mine and yours critical reflecions, dear Steven: in fact, only looking for the mistakes an delays is possible to fight better a similar awful crisis not in the far future but in the near next years as fear many scientists. The main italian mistake I’ve found in my reflection – and I see with satisfaction that you agree – is the criterion followed, based on day by day and not on forecasts as incertain and over all on the former exemples, thinking that pandemies are old as the world; adding that it was neglected the “caution principle” and a strong defensive action between the population left without a suitable help in the territory where the family’s doctors were left, they too, without timely information, formation and protections. In spite of a very good our Health National Service – in front to worse America’s and many other countries’ situation – the lack of auctorities’s foresight left inhabitants, doctors and hospitals without a defence’s means to fight the enemy, although the emergency was expected, and not only after the chinese example, but some years before too.
I want to finish this answer, dear my friend Steven, linking your last “augurio sincero” with my considerations about Galbraith’s vision about an half of century ago, and my hope that because the whole world has been wounded – and over all the “reachest” country, id est your country – may be possible to change totally the destination of resources in investments to improve the quality of the life in an environment free from destructive pollutions, and to fight the diseases – in primis murderer virus as this and others equally feared – with a scientific research for these goals at the first place in public expenses, reducing at a minimum level the armaments’s industries. It’s an utopistic dream? I think, and not only I hope, that’s now less utopian than in the past. However, “spes contra spem” remains last hope, the wold’s survival is threatened, and it wouldn’t enough the darwinian “survival of the fittest”. We want to live in a world free from the threats of the murderer virus of each type, and from “the threat to climate and all associated environmental hazards”: it’s yours and mine hope, as the hope of the inhabitants of the whole world. So, it seems to me that’s impossibile to think that can be impossibile to realize this dream of all the humans.. And I’ m sure that you agree with this my certainly, because the planetarian shock can’t remain without a radical change in the way of life, as you say.
We can hope together, dear Steven. and we’ll be not alone, it’s certain! And thank you with all my heart for your important contribution in a discussion which has bronght us very far, but yet together. I feel so approached to me my bostonian dear friend, as he were yet with me in Rome like in the beautiful afternoon of december 18, before the diluvian, in front of the Pantheon: he in his elegant and light suede jacket, I in a heavy overcoat, scarf and hat, beacuse I felt the symptoms of a flu, not yet coronavirus I think, it was too soon, but I’m not sure…..
This images are impressed in my memory, but in my mind there are the Steven’s words full of culture and, I repeat, of love for Rome and Italy. Also for this your attitude, thank you again, dear Steven, from this web site and obviously not only in my name! ! .
Caro Romano, non sono bravo con le parole. Di solito parlano per me colori, pennelli e tutto ciò che realizzo nel mondo dell’arte. Avrei voluto allegare le mie 2 ultime Opere dedicate a questo triste momento. Ci penserai tu in futuro, se vorrai, ad inserire le immagini ed io poi commenterò il tutto. Per tornare al tuo articolo.
Credo che il cosmo abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte.
Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare…
In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco;
l’economia collassa, ma l’inquinamento scende in maniera considerevole.
L’aria migliora; si usa la mascherina, ma si respira…
In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie.
Anche se non ne abbiamo colpa.
Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class.
In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all’altro, arriva lo stop.
Fermi, a casa, giorni e giorni.
A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro.
Sappiamo ancora cosa farcene?
In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia.
In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel “non-spazio” del virtuale, del social network, dandoci l’illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto.
Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?
In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l’unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunità, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi.
La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano.
E che tu dipendi da loro.
Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci.
Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto.
Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo.”
Caro amico ho voluto riportati queste parole della psicologa Morelli per condividere con te le mie riflessioni su questo periodo difficile ma darti anche un messaggio di speranza e di rinascita.
Approfitta di questo tempo per ricominciare da te.
Continua a coltivare le cose che ti fanno sentire vivo e ti danno gioia.
Puoi farlo anche dentro casa.
Un caro saluto
Il Maestro è di poche parole, si esprime egregiamente con le immagini della sua arte ispirate da una creatività inesausta tradotta in contenuti fortemente simbolici con un potente cromatismo; figurarsi se non viene stimolato da un’emergenza epocale come quella che stiamo vivendo! Questa volta ha saputo trovare anche una lunga citazione che rende compiutamente il suo pensiero, e lo ha fatto con le parole di Francesca Morelli; non si tratta di Raffaele Morelli, di Riza psicosomatica, che in varie trasmissioni televisive ha indicato il modo migliore di superare l’ansia della pandemia e di vivere l’isolamento assoluto o il confinamento familiare cercando di contenere le relative controindicazioni, ma di una psicologa la quale ha affidato a Istagram una riflessione che va oltre la contingenza e cerca di far emergere la parte immersa dell’iceberg, in qualche modo alla base dell’invisibile quanto micidiale coronavirus.
Non è un evento occasionale, secondo il suo pensiero evocato dal Maestro, sullo sfondo ci sono i disastri ambientali e gli altri dissesti provocati dall’azione dell’uomo, che hanno portato lo scrittore Veronesi a scrivere ”Il virus sono io”, un articolo in cui assimila la stupidità dell’essere umano a quella del virus, nel distruggere ciò che li ospita consentendo ad essi di vivere, come lo scorpione della favola che con l’aculeo velenoso trafigge la rana mentre lo sta portandolo dall’altra parte dello stagno e alla domanda che gli rivolge nel rantolo della morte sul perché di un atto che porterà a morte anche lui affogato nell’acqua, risponde, “E’ la mia natura”.
Sarà la natura umana a far compiere atti insensatamente autolesionistici contro l’ambiente e ad avere i comportamenti insensati che vengono ricordati? Per rispondere a questa domanda credo ci si debba soffermare sulle ragioni che possono sottostare agli eventi, e in questo non condivido il pensiero riportato dall’artista, se non per la parte relativa alle responsabilità, da vedere eventualmente a tempo debito, perciò non mi sono fatto trascinare nel terreno della politica da commenti polemici verso la mia denuncia degli errori commessi senza citare il colpevole. E le ragioni le ha evocate in un suo commento il grande analista direzionale Piercarlo Ceccarelli alludendo, sia pure con leggerezza, all’inevitabilità di scelte “moralmente eccepibili” quali quelle a ragione contestate, me paradossalmente rese necessarie pur se autolesioniste dalle regole del mercato che punirebbero il paese il quale volesse sottrarsi a tale condannabile destinazione delle risorse.
Le riflessioni che ci vengono trasmesse dall’artista nel commento all’articolo contrappongono a tali paradossi i nuovi paradossi portati dal virus, con il rovesciamento di ogni situazione e condizione umana; introducendo elementi positivi – altro ossimoro strabiliante – come lo stop a tanti eccessi e a tanti torti della modernità con la riscoperta del valore della famiglia e, andando oltre, della comunità di cui si sente di avere bisogno. Alle parole della psicologa l’artista aggiunge come sua conclusione “un messaggio di speranza e di rinascita. Approfitta di questo tempo per ricominciare da te. Continua a coltivare le cose che ti fanno sentire vivo e ti danno gioia. Puoi farlo anche dentro casa”. Ebbene, sono anche queste le mie riflessioni scritte, come per l’artista le sue riflessioni dipinte, “si parva licet…”.
Perciò accolgo anche l’invito di domandarci “cosa possiamo imparare da questo”, e per farlo dobbiamo chiederci “perché è accaduto” , pur senza cercare le colpe, lo ripeto. L’analista Ceccarelli ha parlato delle reazioni normali dei mercati, sempre sordi ai bisogni autentici di continenti interi lasciati nell’arretratezza e nella fame, in un’economia protesa nello spingere dissennatamente i consumi “indotti” artificialmente dalla produzione, lo denunciò Galbraith sessant’anni fa come portato della socieà opulente, e l’ho ricordato nella risposta al suo commento. Ma oggi il virus ha contagiato tutto il mondo, con 4 miliardi di abitanti chiusi nel “lockdown” nei più lontani continenti, le economie del pianeta messe ugualmente a terra, per cui si dovranno risollevare tutte insieme. E dovranno fare i conti tutte insieme con la destinazione autolesionista di risorse che le ha viste assurdamente impotenti e indifese verso un nemico neppure imprevedibile, dopo le anticipazioni della Sars e dell’Ebola – tra l’altro della stessa famiglia “coronavirus” – per non parlare dell’aviaria e della “peste suina”, più letali ma molto meno contagiose; e neppure la normale influenza è stata bloccata, decorso attenuato e lento ma con tanti, tanti decessi ogni anno. E questo per restare nel campo dei virus, non citiamo le altre malattie incurabili che con un’intensa attività di ricerca potrebbero essere debellate come si è fatto in passato per la dedizione degli autentici benefattori dell’umnanità quali Koch, Pasteur, Sabin, quando bastava l’intuizione, mentre oggi occorre ben altro e per ciò che serve non vengono messe a disposizione le risorse necessarie, proprio perché il mercato obbliga a scelte “moralmente eccepibili”; e non parliamo delle risorse sconfinate gettate negli armamenti, nell’assurdità per cui gli strumenti per arrecare la morte sono immensamente più richiesti di quelli per salvare la vita.
Si è dovuto far ricorso ai metodi millenari della quarantena e dell’isolamento – per tornare alla drammatica attualità – come se secoli di progresso economico e tecnologico a ritmi quanto mai accelerati fossero stati inutili, a parte penicillina, antibiotici e qualche vaccino oltre alla chirurgia, essa sì decisiva; per il resto ben poco o comunque insufficiente per difendersi dalle infezioni incombenti a livello planetario, e lo dicono gli stessi scienziati che dobbiamo aspettarcene altre verso cui siamo inermi. La scienza che esplora la luna e lo spazio sconfinato non sa dominare il corpo umano, ce ne siamo resi cont amaramente!
Ed è proprio dalla constatazione in concreto della colpevole insufficienza di difese e presidi – non solo farmacologici ma anche meramente materiali – che si può e si deve partire a mio avviso per dare concretezza alle riflessioni della psicologa sottoposteci dal Maestro. Insufficienza anche dei mezzi materiali più elementari come le Mascherine, dovuta alla divisione internazionale del lavoro che ha portato a produrle esclusivamente in Cina , India, e altri paesi asiatici e non negli avanzatissimi paesi occidentali perché ritenuta destinazione antieconomica di risorse venendo prodotte a costi molto inferiori nei paesi citati. E’ la legge dei “vantaggi comparati” di Davide Ricardo, ma lui si riferiva simbolicamente a stoffe e vino, non a beni che diventano vistali in epidemie peraltro annunciate. Per questo le Mascherine non sono risultate disponibili neppure per gli operatori sanitari che si sono trovati disarmati, figurarsi per i singoli lasciati anch’essi senza questa elementare difesa, necessaria pur se insufficiente; e, cosa più grave, per giustificarne l’indisponibilità sono state ritenute inutili, e qualcuno dei “guru” della scienza divenuto onnipresente “opinionista” televisivo le ha definite anche controproducenti.
Le opere del Maestro con le Mascherine reagiscono plasticamente a questa disinformazione e riassumono in modo simbolico la lotta impari che siamo costretti a combattere esortando tutti a non farsi mancare un’arma indispensabile di difesa soprattutto dagli “asintomatici”, sui quali il prof. Vella, insigne cattedratico, ha detto, “ciascuno di noi lo può essere”, come il “Taci il nemico ti ascolta” che ho rievocato dai miei ricordi infantili degli ultimi anni dell’ultima guerra mondiale prima di questa.
La prima Mascherina di foglie di palma non solo è in carattere con la Pasqua – alla quale l’ha associata il Maestro – ma anche all’esigenza di Mascherine fai-da-te con qualunque materiale purché in qualche misura protettivo. Mentre il Cristo sulla croce con la mascherina che gli è caduta dal viso evoca nella sua severa e angosciosa sofferenza il Crocifisso di San Marcello, che ha protetto Roma nella pestilenza de ‘500 ed è stato il supremo protettore nelle lancinanti suppliche di Papa Francesco in una piazza San Pietro spettrale nel deserto piovoso di una buia serata e nella messa pasquale in una Basilica emblema essa stessa del vuoto e dell’isolamento angoscioso. Fino alla Mascherina con i “quattro mori” della sua terra che anche il muflone sardo ha capito di dover indossare. Non siamo riusciti a inserire le immagini, come avremmo voluto, invitiamo i lettori ad ammirarle sulla pagina Facebook del Maestro: evocano il tema dell’emergenza forse più sentito e simbolico, nella sua semplicità e insieme importanza come ausilio nella difesa dal contagio.
Dopo la “Società opulenta” del 1960 Galbraith scrisse nel 1977 “L’età dell’incertezza”, in cui esprimeva la totale sfiducia nella possibilità che la politica potesse gestire i sistemi economici e sociali secondo obiettivi rivolti al bene comune nella destinazione delle risorse e nella difesa dell’ambiente. Un pessimismo profetico che, però, l’emergenza epocale può rovesciare coinvolgendo l’intero pianeta in una lotta comune per la sopravivenza, non solo da questa ma anche da future pandemie e cataclismi.
La speranza di superare la nuova drammatica “età dell’incertezza” c’è tutta, “spem contra spem”, noi ci crediamo, del resto trasformare le minacce in opportunità è l’imperativo di manager e imprenditori. Questa volta l’imperativo dovrà essere rispettato a livello mondiale, e non per competere ma per cooperare! Come le riflessioni trasmesse dall’artista ci esortano a fare. Grazie Maestro di aver suscitato queste mie considerazioni con il tuo commento e l’esortazione finale!
HAI SCRITTO UN LIBRO SUL CORONA VIRUS ORA BISOGNA TROVARE UN CHE LO STAMPI
Caro Ciro, dopo il tuo apprezzamento è come se fosse stampato, e ha avuto anche successo con gli oltre 30 commenti e mie risposte, nei quali sono stati sviluppati anche temi connessi a quelli trattati nell’articolo, aggiornati nell’arco di tempo in cui sono stati “postati”; un dibattito per alcuni tratti serrato con diversi punti di vista che hanno consentito gli approfondimenti che nascono dal confronto di idee. E a nessuno sfugge come siano importanti nella fase in cui si deve guardare avanti ma trarre gli insegnamenti per non perseverare in errori pagati a caro prezzo. Grazie, caro Ciro, della tua vicinanza costante e premurosa nella quale si esprime la tua sensibilità umana.
Dear Darragh, your comment is the shortest and also the most incomprehensible between all comments posted at my article, I don’t know if it’s for a misprint, a joke, or other reason, only you can explain it, if you wnat. Thank you.
Caro Romano,
concordo pienamente con quanto tu sostieni con grande lucidità e competenza, ed apprezzo, oltre alle tue indubbie capacità di affermato giornalista, anche la capacità dimostrata nel trattare un argomento di grande attualità senza aver espresso giudizi di ordine politico, essendoti limitato correttamente a fare considerazioni obiettive e sicuramente condivisibili da chiunque sia libero di ragionare con la propria testa.
Da modesto addetto ai lavori mi sento di poter aggiungere altre motivate obiezioni all’operato di chi era ed è preposto alla tutela della nostra salute, alludendo agli uomini di governo ma anche e soprattutto ai tanti cosiddetti esperti che li hanno mal consigliati.
Pur essendo un biologo senza una competenza specifica in virologia o in epidemiologia non appena si è prospettata l’ipotesi di una possibile pandemia da virus respiratorio ho pensato ingenuamente che come primo ed improcrastinabile provvedimento ci avrebbero costretti tutti ad indossare delle mascherine, ma così non è stato. mentre, al contrario, è iniziata addirittura una campagna contro l’uso generalizzato delle mascherine che a detta dell’OMS sarebbero state utili solo per chi si fosse contagiato, inducendo a classificare come “untore” chi provvidenzialmente ne avesse fatto uso; in alternativa, ma perché mai non in aggiunta, sarebbe stato sufficiente mantenere una distanza di sicurezza di un metro. Ora, se è vero che la mascherina chirurgica non protegge direttamente chi la indossa, ragion per cui viene definita “altruista”, è altrettanto vero che, indossandola tutti, saremmo risultati tutti indirettamente protetti poiché nei rapporti interpersonali la mia avrebbe protetto gli altri e quella degli altri avrebbe protetto me.
Ma di mascherine non ce n’erano neppure per i medici e gli infermieri mandati a lottare in prima linea e qui subentrano le responsabilità di chi non ha provveduto ad approvvigionare tempestivamente il paese di un sufficiente numero di dispositivi di protezione individuale, e prima ancora che il paese gli ospedali.
Ci sono voluti tre mesi e trentamila morti, per capire finalmente l’utilità di questi semplici mezzi di protezione, resi obbligatori quando ormai più della metà degli Italiani aveva già deciso autonomamente di farne uso, a dispetto di quanto pedissequamente raccomandato dalle Autorità sanitarie.
Quando a seguito di autopsie, peraltro tardive ed ufficialmente sconsigliate, si scopre che l’exitus era verosimilmente determinato da una Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID) innescata dal virus, ovvero da vasculiti che esitavano in trombo-embolie polmonari e che c’era la possibilità di intervenire precocemente e con successo tramite infusione di Eparina, così da evitare inutili intubazioni, ci sono state resistenze da parte dei cosiddetti esperti e lo studio è stato inizialmente considerato una bufala.
Analoga resistenza viene operata dal virologo Burioni nei confronti del Dott. Di Donno direttore della Pneumologia e dell’Unità di Terapia intensiva respiratoria all’ospedale Carlo Poma di Mantova che tratta con successo i suoi pazienti con plasma iperimmune, la cosiddetta Plasmaferesi con cui vengono trasferiti nel sangue del malato gli specifici anticorpi prodotti da persone guarite. La sua attività viene prontamente interrotta da una visita dei NAS, anche se oggi tale pratica è entrata nell’uso comune e non solo in Italia.
A proposito di anticorpi si parla tanto di “esami sierologici” che permettono di individuare la presenza di anticorpi anti Covid-19 nel sangue di chi voglia sottoporsi a tale indagine al fine di potersi considerare immune, anche se non si sa quanto duratura possa risultare tale protezione. Nel contempo tali esami permetterebbero di individuare anche i cosiddetti “pazienti asintomatici” che rappresentano un pericolo fin qui troppo sottovalutato; basterebbe che le Autorità preposte si decidessero ad autorizzarne l’esecuzione. In Abruzzo infatti, a differenza che in alcune altre regioni, non si riesce neppure a capire se questa pratica è lecita o meno poiché richieste specifiche in tal senso sono rimaste inevase. Le obiezioni che vengono genericamente addotte consistono nel rischio statistico di poter incorrere in alcuni risultati falsamente positivi e negativi, rischio peraltro insito in qualunque altro esame di laboratorio, non escluso il metodo di riferimento per la diagnosi di Covid-19, rappresentato dal test molecolare effettuato tramite tampone naso-faringeo.
Se a causa di questi falsi risultati su 600.000 potenziali asintomatici si riuscisse ad individuarne anche soli 500.000, non sarebbe cosa da poco, né il fatto che non si riesca a caratterizzarli tutti correttamente potrebbe mai giustificare l’immobilismo totale o che si debbano aspettare almeno altri due mesi per identificarli tramite il tampone naso-faringeo, con tutte le conseguenze prevedibili dal punto di vista dei contagi che nel frattempo sicuramente ne deriverebbero.
Come già hai correttamente evidenziato, caro Romano, di errori ne sono stati fatti tanti e aggiungo che si continua a farne, ed almeno per quanto attiene gli esami sierologici, a dispetto di ogni evidenza.
Caro Giorgio,
mancava nel dibattito apertosi con i commenti al mio articolo la voce di un “addetto ai lavori” come te, certamente non modesto come ti schermisci, essendo un biologo analista di laboratorio molto affermato e competente, quindi puoi entrare, e lo hai fatto, nello specifico sanitario. E mi fa molto piacere vedere che condividi, dal tuo punto di osservazione privilegiato i miei principali rilievi aggiungendone altri ben motivati
Inoltre appartieni a quella “prima linea” sul territorio che è stata colpevolmente ignorata, non solo nella parte iniziale dell’epidemia, ma anche nei due mesi successivi, mentre andava mobilitata, medici di base e laboratori compresi; così si sono trovati in “prima linea” gli ospedali quando dovevano essere “retrovie”, come ha detto il prof. Galli, dietro linee di difesa efficaci, e senza i necessari mezzi di protezione, per cui sono diventati paradossalmente i primi “focolai di infezione”, come le Case di riposo per anziani, il cui isolamento immediato era elementare quanto fattibile in modo semplice. L’ecatombe di medici, oltre 160, con infermieri ed altro personale sanitario doveva e poteva essere evitata, esistendo da anni un piano contro l’epidemia che era attesa dopo la Sars e l’Evola – Obama addirittura nel 2015 la indicò “tra 5 o 10 anni!- e almeno ci si doveva mobilitare dopo la dichiarazione di “emergenza nazionale” del 31 gennaio seguita a quella proclamata a livello mondiale dall’OMS, organizzazione anch’essa manchevole.
L’errore continua tuttora con la “riapertura” che – pur se è apparso indifferibile porre termine al rigido “lockdown” – lascia indifesi dal virus perché l’unica misura effettiva è il cosiddetto “distanziamento sociale” indicato in un metro, mentre almeno negli ambienti chiusi è stato dimostrato che il virus permane nell’aria e il contagio può estendersi all’intero ambiente in certe condizioni: nei ristoranti la distanza di un metro non è neppure tra i tavoli, ma tra le “sedute”, cioè le sedie, e può essere inferiore al metro con il divisorio di plexiglas, in spiaggia i 10 mq corrispondono alla larghezza dei grandi ombrelloni degli stabilimenti; “si può” e non si deve, prendere la temperatura, la mascherina non è obbligatorio portarla all’esterno -lo ha detto lo stesso Conte – ma solo negli interni e neppure sempre, negli uffici soltanto nelle aree comuni, per la distanza tra le persone basta che dichiarino di convivere per annullarla, e così via, a parte la “sanificazione” da effettuare e gli elenchi dei clienti da conservare. Nell’incertezza diffusa l’ho verificato nel Protocollo regionale fatto proprio dal governo nell’Appendice n. 17 al DCPM del 17 scorso, speriamo che il 17 non sia menagramo”! Con 450 consulenti si è partorita l’unica misura di difesa effettiva, non chiamandola neppure in modo appropriato, “distanza fisica” o “distanza di sicurezza” ma “distanziamento sociale”, evocando la distanza tra clero, nobiltà e terzo stato dei nostri ricordi scolastici.
Non discuto la legittimità – per molti, forse troppi ritenuta ormai necessità – del ritorno praticamente a “come era prima”, per i superiori motivi economici e sociali considerati dal governo sull’insostenibile pressioni delle Regioni, ma ne traggo le conseguenze. Il presidente Conte ha detto: “E’ un rischio calcolato. Siamo consapevoli che la curva epidemiologica tornerà a salire”, che è semmbrato l’equivalente compassionevole del “Dovremo rassegnarci a piangere i nostri cari” del primo Boris Johnson, “mutatis mutandios”, ovviamente, speriamo si sbagli. Io, come perrsona, e non possibile punto della curva, l’ho vista una previsione di forte ripresa dei contagi che però non preoccupa il sistema perché i ricoveri ospedalieri in atto sono scesi al di sotto dei 10.000, poco più di un terzo rispetto ai 29.000 del 4 aprile, e le terapie intensive occupate al di sotto delle 700, rispetto alle oltre 4.000 sempre del 4 aprile, molto meno di un quinto.
Ma poiché sono tra “quelli del ‘40”, non vorrei essere accomunato al commosso “Epitaffio” che lo scrittore Scurati ha dedicato a loro “falciati dal virus”, quindi l’unica difesa che ho è continuare a restare “blindato” nell’isolamento più assoluto. Sempre perché non c’è difesa nel territorio e non vorrei finire nelle “retrovie” ospedaliere, aggredito da un virus che sembra accanirsi contro quelli della mia età. Del resto si è saputo che il Comitato tecnico-scientifico voleva inibire l’uscita agli ultra 70enni ma l’indicazione non è stata accolta perché di dubbia costituzionalità, però non è certo la Costituzione che difende dal virus quelli “nel mirino” come me e i miei coetanei.
Per cui il discorso torna ai presidi sul territorio, che tu giustamente richiami, a cominciare dalle mascherine non imposte neppure per attenuare il “rischio calcolato” della totale “riapertura”. Quindi ti illudi nel dire che “ci sono voluti tre mesi e trentamila morti, per capire finalmente l’utilità di questi semplici mezzi di protezione, resi obbligatori quando ormai più della metà degli Italiani aveva già deciso autonomamente di farne uso”: purtroppo non è così, dopo l’obbligatorietà in Lombardia – mascherine o almeno foulard pur se parzialmente protettivi in loro sostituzione – l’obbligo è solo negli interni e non in tutti, e come ho sopra riportato possono non bastare se si creano condizioni per il contagio.
Ma la difesa nel territorio richiede anche i “test sierologici”, e qui non aggiungo altro alla tua lezione di grande esperto della materia e di operatore proprio in questo settore. Si evidenzia la possibilità di errore, quando si forniscono ogni sera dati sui “contagiati” che saranno un decimo di quelli effettivi in quanto dipendono soltanto dai tamponi effettuati non in modo campionario ma nelle realtà a rischio conclamato. Ed è basilare individuare gli asintomatici, o almeno avere la percezione della loro diffusione, sapere cioè se sono dei “commandos” nemici rari e isolati, oppure un “esercito” inconsapevole “travestito” intorno a noi e tra di noi, in modo da scoprire i “nuovi focolai” molto presto, prima che li renda manifesti la crescita dei “positivi” a seguito dei tamponi nei nuovi ricoveri parecchi giorni dopo, quando il contagio si è già diffuso e le misure di rapido “confinamento” che sono state promesse posssono risultare tardive.
“Andrà tutto bene” si legge nei messaggi dei bambini della fase più critica, ma l’arcobaleno che li circonda ancora non si leva nel cielo. Speriamo che sarà così, ma non dipenderà dalle difese sul territorio, se non verranno messe in atto – cosa finora non avvenuta – ma dal “buon cuore” del virus attenuato, che potrebbe anche sparire di colpo come il Sars 2, e dal “generale agosto”, da cure risolutive come quella del “Plasma” con anticorpi, che giustamente citi, fino al vaccino salvifico. Lo “Stellone d’Italia” li riassume tutti e ci salverà anche questa volta.
Grazie, caro Giorgio del tuo generoso apprezzamento e delle tue sapienti considerazioni, che mi hanno consentito un doveroso aggiornamento sul tema specifico, dopo le deviazioni su altri aspetti pur sempre interessanti, ma meno pertinenti e vitali.
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