di Romano Maria Levante
Abbiamo commentato in precedenza il “Duchamp politico” di Pablo Echaurren, sottolineando la corrispondenza nell’impegno controcorrente comune ai due artisti, pur nelle biografie molto diverse. Ora vogliamo tracciare un profilo di Echaurren entrando nella sua vita movimentata, anzi movimentista, dopo aver analizzato in passato la sua arte espressa nelle due mostre “Chrhomo sapiens” nel 2010 a Palazzo Cipolla e “Contropittura” nel 2015 alla Gnam, la sede dove è tornato per la presentazione del “pamphlet” citato su Duchamp nella conversazione con Marco Senaldi.
Ripercorreremo rapidamente i periodi esistenziali e artistici del suo itinerario, avendo come sfondo le immagini della mostra tra settembre 2017 e gennaio 2018 al Museo di Roma in Trastevere, con le sue vignette di “contro pittura” affiancate alle fotografie istantanee di Tano D’Amico a documentazione degli anni della contestazione e del terrorismo agitati dalla violenza in una drammatica escalation. Echaurren è stato più che un testimone, avendo vissuto attivamente quella stagione, mai protagonista di violenze, approdò agli “Indiani metropolitani” che prediligevano lo sberleffo. In questo aspetto abbiamo trovato un collegamento tra questa mostra al primo piano del Museo di Roma e quella al pianterreno dedicata a “Totò, il genio” in contemporanea, solo sfasate di un mese apertura e chiusura, implicita metafora della compresenza di due realtà contraddittorie.
Non ci soffermeremo sulle molteplici forme di espressione artistica che hanno segnato un’epoca così tormentata, abbiamo analizzato la sua interpretazione dell’“horror vacui” e della natura, della “romanità” e della musica, e non solo rispetto al “Crhomo sapiens”, nella mostra antologica ideata e organizzata da Emmanuele F. M. Emanuele alla Fondazione Roma; e la sua “Contro pittura” alla Gnam in cui cambia tutto per figurazioni che rendono la sua inquietudine nelle forme astratte e nel cromatismo. Fanno da sfondo alla sua vicenda esistenziale in un impegno costante e generoso.
Le prime manifestazioni artistiche di successo
Figlio d’arte – il padre, l’artista Roberto Sebastian Matta Echaurren, ha donato un proprio lungo pannello mosaicato a Roma, si trova nel tunnel pedonale di accesso alla Metro A di Piazza di Spagna – ma il genitore non gli fu particolarmente vicino, tanto che lo definirà “trasparente”, mentre ad avviarlo alla pittura fu Baruchello, e forse non gli furono indifferenti le riproduzioni del picassiano Guernica e di un Mirò poste nella sua stanza. Era stata la musica il suo primo amore, suonava il basso nel complesso “I Lemon” ma si aggiunse subito il collezionismo, dalle figurine ai francobolli, dalle farfalle ai fossili, fino agli scritti sul futurismo. Lo dimostra nelle prime composizioni pittoriche, quadratini diligentemente disegnati e colorati, quasi raccolte da “entomologo”; una premessa alle grafiche su carta nelle quali si esprimerà il suo impegno politico.
I suoi “quadratini” furono notati e acquistati addirittura dal “guru” dei Dada e surrealisti in Italia, Arturo Schwartz, mentre era ancora studente, è l’inizio degli anni ’70. Al collezionismo nella vita e nelle prime forme di arte segue il fascino dell’ideologia – si butta sui testi marxisti – e delle trasgressioni, dai Dada e surrealisti, con Max Ernst e Tzara fino a Marcel Duchamp che sarà il suo costante e ammirato riferimento.
La sua pittura, pur continuando ad esprimersi nei mosaici colorati dei quadratini, abbandona l’innocenza da “entomologo” e diventa fortemente allusiva, celebrando il lavoro manuale e l’affrancamento dai padroni, va in scena anche il “68” e in 9 quadratini compone il nome di Karl Marx, li citiamo tanto per intenderci; ma non è tutto politico, nei suoi “quadratini” entra la natura, e artisti come Brueghel, e Van Gogh, Bosch e Duchamp.
E’ ancora la matrice da collezionista ad esprimersi in forme pittoriche semplificate da cui emerge la tendenza al messaggio ma senza seriosità da profeta, anche se i titoli “danno la morale della favola”, sempre con leggerezza e “humor”, appunto in tono favolistico. Lo stesso spirito di Hokusai e Hiroshige che gli fecero scoprire l’armonia nella natura, tanto che diede anche lui un’interpretazione della celebre “Onda” del giapponese.
Agli esordi il suo è stato definito “un carattere ludico, ma nello stesso tempo lucido”, premessa degli sviluppi eclatanti sia per il talento precocemente manifestato, sia per i contatti con il mondo artistico. L’evoluzione pittorica immediata è il passaggio dai “quadratini” alle “decomposizioni floreali”, riemerge lo spirito del collezionista, si pensi che colorava sfregando con i pigmenti naturali dei petali e delle rose! E dire che i suoi “quadratini” sono stati visti come un’espressione di avanguardia rispetto alla realtà alla stregua di Cubismo e Futurismo, Dadaismo e Surrealismo, Pop Art, Minimalismo e Concettualismo. Nello stesso tempo il suo spirito fumettistico lo aveva portato alle copertine di tipo “naif”, quella del fortunato libro “Porci con le ali”, la storia di Rocco e Antonia divenuta “cult” della “beat generation”, lo fece conoscere al grande pubblico.
L’abbandono della pittura per una grafica irridente
Come non riposare sugli allori e proseguire su una linea già così affermata? Ebbene, avviene l’opposto, Echaurren lascia la pittura ma non larte che porta tra i giovani e i ceti popolari con i suoi disegni provocatori e irridenti quanto mai coinvolgenti. Lo fa con gli schizzi macchiati di rosso, in alcuni dei quali figura la dissacrante “Fontana” cioè l’orinatoio, e lo “Scolabottiglie” di Duchamp con la scritta “Odio le molotov” per riaffermare il carattere non violento del suo impegno diretto. Siamo agli ultimi anni ’70.
Duchamp è al centro della sua attenzione, anzi lo invoca con gli scritti nei suoi schizzi provocatori: “Duchamp è la negazione della contemplazione”, “Duchamp è azione”, “E’ distribuzione di creatività a tous les étages”, “Duchamp è di sinistra”, “Il movimento è un Ready Made”. Sfoga la sua inquietudine anche su fogli di quaderno con motti e grafiche, tornano i simboli del lavoro, chiavi inglesi, pistoni e meccanismi, quasi in visioni oniriche; e la scritta Dada, come un’ossessione o una liberazione, con riferimenti anche televisivi.
Si ripete la compresenza di scritte ludiche, come il “Dadaumpa”, ed evocazioni impegnate, come “Autodifesa” e “Direzione di marcia”, “Assemblea” e “Servizio d’ordine”, “Conformismo” e “Protagonismo”, “Retorica” e “Militarismo”. Ma vediamo anche una grande scritta in rosso “Dadatotò”, che ci riporta alla mostra parallela del grande Totò citata all’inizio, e “Il passaggio da militante a desiderante”, “Manicheismo, malattia senile dell’estremismo” e “Il linguaggio dell’uomo totale sarà il linguaggio totale”, “L’arte o sarà collettiva o non sarà” e “Per un’arte applicabile e replicabile”, come un manifesto politico.
Espressioni fumettistiche compaiono in molti altri schizzi, e l’esclamazione esplosiva “Oask” ricorre spesso, è il simbolo del movimento degli “Indiani metropolitani” di cui fa parte, un vortice di parole che avvolgono come in un gorgo, ripensiamo alle ”parolibere” del Futurismo di cui fu un attentissimo cultore. Mentre la scritta “Come fondere cellule e nuclei sconvolti clandestini” e altre non devono far pensare alle cellule eversive, vanno interpretate alla luce del surrealismo, insieme allo “humor” e all’ironia. E non manca di utilizzarli anche verso il proprio gruppo, a stare ai titoli irridenti di certi suoi schizzi: “Sporchi indiani metropolitani non si capisce un accidente di quello che dicono” e “Maledetti indiani metropolitani fatevi capire quando parlate”.
Siamo sempre nel 1977. A questo punto l’abbandono della pittura si fa completo, lascia anche gli schizzi macchiati di rosso con frasi e titoli provocatori, disegna per “Lotta continua”, l’organo del movimento extraparlamentare, quasi da militante, ma sempre con “humor”, tanto che utilizza figure preistoriche e perfino Paperino, e slogan trasgressivi spesso cerebrali; la politica “tout court” non è nelle sue corde, collabora anche a giornali satirici come “Il male” e “L’Avventurista”, sempre con lo “humor” surreale da “indiano metropolitano”.
E’ trascorso un decennio dalla contestazione del ’68, il suo impegno nel segno di una acuta sensibilità politica e sociale si è espresso nelle forme più accattivanti, anche se faziose, di una grafica surreale e paradossale. Ma il sequestro di Aldo Moro con la strage dei cinque agenti di scorta e la sua uccisione dopo 55 giorni di prigionia fa cadere nell’angoscia degli “anni di piombo”. Non c’è più spazio per la leggerezza e l’ironia dei suoi schizzi irridenti e allusivi, il clima diventa maledettamente serio, anzi drammatico.
Senza esitazione Echaurren di nuovo cambia tutto, Si riavvicina alla pittura in una forma nuova ispirata al Futurismo prediletto, il “collage”, utilizzando ancora la carta ma in modo del tutto diverso rispetto agli schizzi macchiati di rosso. La sua base è la realtà, e i ritagli di giornale sono frammenti della ricomposizione di un qualcosa che si è rotto e va ricostruito in concreto pur nel ripiegamento in sé stessi. Ma c’è anche la fuga dalla realtà per la cultura, nelle illustrazioni e nei fumetti con le storie di personaggi celebri, da Marinetti a Majakovskij, da Pablo Picasso ad Ezra Pound, Anche nel “collage” c’è evoluzione, l’elemento cartaceo viene soverchiato dal segno sempre più marcato, quasi volesse liberarsi dai vincoli che lo trattengono, fino all’inasprimento della composizione, non più brandelli sbiaditi ma forti accostamenti.
Il ritorno alla pittura, e non solo
Il ritorno definitivo alla pittura è l’approdo di questa spinta irresistibile, siamo alla fine degli anni ’80, ritroviamo l’artista versatile e poliedrico nel suo elemento naturale. E lascia la carta, da tanto tempo suo supporto d’elezione, per la tela, la china e l’acquerello per l’acrilico, il segno sottile per il cromatismo violento, l’accenno per il simbolo vistoso, l’allusione più o meno percepibile per la titolazione quanto mai esplicita.
I temi sono quelli dell’attualità, ispirati ad eventi eclatanti dalla rivolta di piazza Tienamen alla caduta del Muro di Berlino, alle guerre del Golfo con Iran e Irak, Stati Uniti e Kuwait, ci sono ancora scritte con titoli eloquenti e diretti, non più sarcasticamente allusivi e provocatori, leggiamo “Berlin” e “The Fall of the Wall”, “War” e “Bomb”, ma anche “Resisto”, “Vermi” e “Bastardi”, il serpente della guerra semina angoscia in alcune composizioni. Non ricorre al figurativo, sarebbe troppo per un trasgressivo come lui; il suo è un espressionismo ispirato ai graffiti metropolitani e alle allegorie medievali, del resto sono “anni bui” anche questi, come i “secoli bui” del Medio Evo, fino all’arte precolombiana.
Dai “fumetti” a dimensione personale e individuale a grandi “murales” a dimensione collettiva e popolare, dall’accenno irridente delle grafiche poi reso ancora più labile nei “collage” a una forza espressiva e una violenza cromatica di grande impatto emotivo. Ci sono ancora frecce e simboli ricorrenti, ma la forma è sempre più pittorica. Dopo il serpente i teschi cominciano a invadere le sue tele, anche in forma mutante, non sentiamo più la forza rivoluzionaria, ma non si tratta di una cupa ossessione. L’”horror vacui” viene considerato liberatorio in quanto esorcizza il male, la presenza dei simboli di morte lo allontanano, perché il male va dove c’è il bene. E sa elevarsi con il “Volo” e “Da zero a infinito”, dove ci sono anche mostri pacifici, mentre nel 1990 inneggia a “La nuova Italia” accostando la figura di Paperino e il simbolo del PCI, quasi un segno distensivo.
Sono chiamate “carte (di navigazione)” quasi delineassero la direzione da seguire. In questo periodo un nuovo amore per l’arte della ceramica, la freccia di Cupido lo colpisce a Faenza in una mostra intitolata “L’apprendista stregone”, diventa apprendista ma anche stregone perché ne penetra i segreti in una ricerca approfondita che lo porta ad innovare con opere in ceramica blu in cui inserisce i teschi che esorcizzano il maligno. Le produce nella bottega di Gatti, dove erano stati anche Balla e Baj, Ontani e Paladino. Particolarmente significativo “Il mio ombelisco”, nella proboscide di un rinoceronte che richiama l’elefante della fontana romana della Minerva. In ceramica anche un omaggio a Duchamp, con le grottesche di serpenti e draghi, e il titolo “U/ Siamo tutti Duchamp”, che Echaurren ha citato espressamente nel suo “Duchamp politico” come abbiamo ricordato.
A questa parentesi molto significativa, come quella delle “tarsie”, tessuti fortemente cromatici, per la sua pittura una direzione nuova che sa anche d’antico è quella verso la musica, il primo amore che “non si può scordare” torna in un periodo di disorientamento che richiede di aggrapparsi a qualcosa di solido: i ritmi che richiamano anche la successione ordinata degli elementi, e gli strumenti musicali, tra cui il basso che suonava nella band.
L’impegno sociale e i “murales” di “contropittura”
Ma non è un ripiegamento su se stesso, manifesta un forte impegno sociale e umanitario nell’ambiente carcerario. Organizza con l’Arci un laboratorio artistico per i detenuti del carcere di Rebibbia, e ne espone i risultati con la mostra “Gattabuismo” al Palazzo delle Esposizioni nel 1996. Gira in carcere il film per la televisione “Piccoli ergastoli” e lo presenta nel 1997 alla Mostra del cinema di Venezia e nel 1998 al Festival di Biarritz. Nel 1997 diventa Accademico dell’Accademia Nazionale di San Luca.
Scrive “pamphlet” sul mondo carcerario. Già nel 1985, allorché era finita ogni militanza, aveva proposto e realizzato iniziative di comunicazione popolare, in “AmoRoma”, diffonde di manifesti con opere di Fellini e Schifano, Pratt e Pazienza; in seguito, con la cooperativa “Sensibili alle foglie”, realizza mostre sullo “scarabocchio”.
Non è più il militante di gruppi contestatori e libertari, ma l’irrisione provocatoria è sempre nelle sue corde: nel 1995 vende a prezzo dimezzato banconote da 10.000 lire ironizzando così sull’”Arte ricca” e sui guadagni promessi ai collezionisti di opere d’arte; il pensiero va al facsimile di assegno disegnato da Duchamp e da lui utilizzato per pagare 115 dollari al proprio dentista con tutte le implicazioni esplorate da Eucharren nel “Duchamp politico”. Fonda nel 1997 il “Partito del Tubo” – con Giuseppe Tubi, artista cibernetico – dal programma surreale di “sostituire la politica del vuoto al vuoto della politica”, lo pubblicizza con volantini perfino alla Biennale di Venezia del 1999.
La sua pittura di questo periodo non ne è immune, si “sfoga” con grandi scritte negli acrilici, veramente di “Contropittura”, si va da “Ex-pistols” a “Sex”, da “Usura” ad “Antitutto”, da “Festa punk” addirittura a “Merda”. Ma vi è anche “La religione murale”con le scritte “Amen” e “Saint”, il simbolo di falce, martello e stella capovolto, si proclama in un dipinto “cubista per caso”, con le parole “fragile” e “fragilissimo”. Tra il 2006 e il 2011 una serie di opere romano-centriche, in cui torna l’”Ombelisco” della ceramica, e si celebra il Colosseo, Piazza Navona e non solo, in dipinti dalla forte presa cromatica e spettacolare, rea i quali spicca “Vertici azzurri”.
Il percorso artistico che ha visto abbandoni e riprese, irruzione di temi e forme inusitate riprende l’impegno contro quelle che considera le degenerazioni del sistema capitalista con dipinti di grandi dimensioni che vanno ben oltre i “murales morali”; recano grandi scritte con parole solo in parte cancellate; e la cancellazione parziale lo differenzia da Isgrò che le eliminava del tutto, qui si invita a decifrare l’alterazione. E’ come se fossero i passanti a eseguire le cancellazioni, anche riferite al mondo dell’arte.
Sono dipinti monumentali, dal segno marcato e il cromatismo intenso, realizzati tra il 2012 e il 2015; oltre alle scritte in cui tornano parole esplicitamente “politiche”, come “Election day”, “Parlamento”, “Sindaco”, vediamo anche “Combat” e “Market”, “Voi siete qui” ed “Ego”, “Toxic” e “Asset”, Atrist” e “Aerfair”, sono compresenti i diversi motivi. E scene di guerra combattuta, tra navi e aerei, scoppi e frecce con scritte bellicose riferite anche all’arte e alle case d’asta, “Corpus Christie’s” e “Corpus Sotheby’s”, fino ad “Auction painting”, riferito all’avanguardia artistica americana. Nel 2015 con “Wall Street Art” mediante simboli pacifisti celebra il lavoro dopo la guerra.
Un flash sulla mostra con Tano D’Amico
Conclusa la rievocazione del suo percorso esistenziale e artistico seguendo le due grandi mostre a Palazzo Cipolla e alla Gnam da noi ampiamente commentate a suo tempo, vogliamo puntare ancora l’attenzione sulla dimensione “politica” con riferimento alla più recente mostra, citata all’inizio, al Museo di Roma in Trastevere, con le sue grafiche provocatorie e irridenti del 1977, che abbiamo già ricordato, esposte con le fotografie di Tano D’Amico a documentazione del clima di violenza urbana di cui sono espressione. Oggetto della mostra è la storia di un paese e di una generazione di giovani in un periodo quanto mai tormentato della nostra vita nazionale, nel rapporto tra grafiche e foto, tra l’arte e la vita che ne è ispiratrice.
Di Echaurren abbiamo detto, di Tano D’Amico basta ricordare i suoi “reportage” nei luoghi più diversi nei momenti cruciali, in Italia e all’estero, anche nelle carceri e nei manicomi, qui soprattutto nelle strade. Vediamo scene drammatiche di guerriglia urbana, fino al sangue sul selciato, i contestatori e i poliziotti, rispetto ai quali Pasolini rovesciava il giudizio corrente considerando i secondi come veri proletari non i primi, rampolli della borghesia decadente; ma anche scene distensive di condivisione e solidarietà, con l’amore che veniva contrapposto alla guerra.
In 200 opere “le facce, le feste, le donne, il rapporto uomo-donna, l’opposizione, la morte e il sangue, le lettere, la comunicazione alogica, la poesia visiva, la creatività urbana… “; è stato pubblicato anche il libro evocativo “Il piombo e le rose – Utopia e creatività del movimento”, proiettato il film “Indiani metropolitani” insieme a seminari con osservatori e protagonisti.
L’effetto dell’abbinamento lo si vede nelle immagini che abbiamo volutamente inserito nel testo come illustrazione di un aspetto saliente dell’impegno di Echaurren, la propria passione politica dando a questo aggettivo l’alto valore morale dell’etimologia.
La presenza crescente dell’Echaurren “politico”
Passione politica prorompente, dunque, anche in Guttuso l’ideologia tradotta nel suo caso in milizia partitica, ne aveva ispirato le denunce nel suo ben noto realismo pittorico. Ma come in Guttuso, non devono sorgere equivoci sulla caratura artistica, in Echaurren quanto mai personale nella contaminazione di generi di diverso livello ma senza gerarchia, nello spirito di una ricerca incessante e di una presenza innovativa, dalla pittura alla grafica, dalla ceramica all’illustrazione e al fumetto; fino alla scrittura autoriale, prima di “Duchamp politico” una serie di altri “pamphlet”. Un’arte come strumento e non come fine – secondo l’insegnamento di Duchamp – con l’obiettivo di muovere le coscienze contro l’assuefazione.
Nel 2019 si nota un’intensificazione della sua attività, prima dei “Duchamp politico” del 20 dicembre alla Gnam con Marco Senaldi, lo troviamo nella discussione sulla sua opera ai “I martedì critici” di Alberto Dambruoso il 1° ottobre nell’Accademia Belle Arti di Roma con Raffaele Perna e Claudia Solaris, prima ancora il 4 maggio al Macro nel convegno su “Le forme del conflitto” promosso dalla Fondazione che divide con la Solaris sui rapporti tra arte, politica e linguaggio Ci piace sottolineare questa sua presenza crescente a conclusione del nostro rapido profilo della sua figura, incentrato sulla sua vicenda esistenziale e umana oltre che artistica con riferimenti al significato e contenuto delle sue opere, cui si è solo accennato avendole commentate in modo specifico nelle recensioni alle due mostre del 2010 e del 2015.
Abbiamo anche dato dei “flash” della mostra del 2018 al Museo Romano con i suoi schizzi provocatori e irridenti affiancati alle foto di Tano D’Amico sulla violenza nelle piazze e la risposta altrettanto violenta dello Stato negli anni “bui” del terrorismo. A questo punto, nel cercare di interpretarne la posizione attuale, stimolati dal suo “pamphlet” su “Duchamp politico”, non possiamo che citare di nuovo il giudizio di Arturo Schwartz come facemmo nella nostra recensione alla mostra del 2015 alla Gnam: “Pablo non ha mai smesso di interrogare se stesso e la società; è sempre partecipe, percorre la sua strada da solitario, estraneo alle beghe e fuori dalle congreghe. Non teme di mescolare il sacro e il profano, l’artista e l’artigiano”. In questo modo “lancia razzi di segnalazioni in tutte le direzioni per avvisare gli altri naviganti che c’è bisogno di dire sì all’impegno e no all’assuefazione, al conformismo, all’abitudine”. E per seguire “un’idea-guida: rivoluzione ininterrotta, necessità di dedizione, esigenza di costruire un pluriverso ben diverso dall’uni-verso mondo a senso unico”.
E’ un giudizio che ci mostra due facce, quella del combattente contro le degenerazioni del sistema mobilitato nel promuovere l’impegno rivoluzionario nella società, e quella del solitario “fuori dalle congreghe”. Quale di queste due facce vedremo prevalere dopo “Duchamp politico” che sembra segnare una ripresa della lotta libertaria, con l’avvisaglia così significativa che c’era stata con la mostra al Museo Romano in Trastevere? Il suo “pluriverso ben diverso dall’uni-verso mondo a senso unico” ricorda il programma dei 26 artisti, Ennio Calabria in testa, firmatari nel 2017 del “Manifesto per l’Arte – Pittura e Scultura” rilanciato con la manifestazione del 10 dicembre scorso a Roma, come si vede dai punti che abbiamo riportato al termine del nostro commento al “pamphlet”. Ricordando nel contempo che Duchamp rifiutava sempre di firmare petizioni, non sappiamo se Echaurren è suo epigono anche in questo. Comunque concludiamo con lo stesso auspicio di un contatto e un coinvolgimento in un impegno che ci sembra possa convergere in qualche modo.
Info
Il primo articolo, relativo al suo “Duchamp politico” , è uscito in questo sito il 6 aprile 2020; cfr. l’ articolo anch’esso collegato, sul “Manifesto per l’arte” “, sempre in questo sito, il 3 aprile 2020. Cfr, inoltre, i nostri articoli in www.arteculturaoggi.com sulle sue mostre “Contropittura” 20, 27 febbraio 4 marzo 2016, “Crhomo sapiens” 23, 30 novembre, 14 dicembre 2012, su cui ci siamo basati nella ricostruzione del suo itinerario artistico e di vita. Per gli artisti citati, in questo sito sul Muro di Berlino 3 articoli il 9 novembre 2019; in www.arteculturaoggi.co, su Guttuso “innamorato” 14, 26, 30 luglio 2018, “rivoluzionario” 16 ottobre 2017, “religioso” 27 settembre, 2, 4 ottobre 2016, “antologico” 16, 30 gennaio 201, Hiroshige 14, 19 giugno, 5 luglio 2018, Futuristi 7 marzo 2018 Hokusai 5, 8, 27 dicembre 2017, Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “Il ’68′” 21 ottobre 2017, Pasolini 27 ottobre 2015, 11, 16 novembre 2012, Duchamp, 16 gennaio 2014, Isgrò 16 settembre 2013, Cubisti 16 maggio 2013, Brueghel 5 marzo 2013, Marinetti 2 marzo 2013, Pop Art 29 novembre 2012, Mirò, 15 ottobre 2012 ; in cultura.inabruzzo.it, Schifano, 15 maggio 2011, Praz e Pazienza 23 febbraio 2011, Van Gogh 17, 18 febbraio 2011, Dada e surrealisti, 6, 7 febbraio 2010, Picasso 4 febbraio 2009, Futuristi, 30 aprile, 1° settembre, 2 dicembre 2009; in fotografia.guidaconsumatore.com, Pasolini 4 maggio 2011 (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Museo Romano in Trastevere alla presentazione della mostra, ad eeccezione delle n. 6, 8, 10, 13 riprese alla mostra di Echaurren, “Contropittura”, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e tratte dal primo dei 3 articoli su tale mostra sopra citati. Si ringraziano gli organizzatori, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, un giovanissimo Echaurren con l’invito attuale a credere “alla creatiità e allo sberleffo”; seguono suoi 13 schizzi irridenti degli anni ’70; poi uno scorcio del volto di Tano d’Amico che evoca la difesa degli ultini, e altrettante sue fotografie di violenza urbana, con la repressione, ma anche alcune di pace e d’amore; in chiusura, una serie di giudizi sul “movimento del ’77” di Echaurren, D’Amico e altri.