di Romano Maria Levante
Assistiamo a radicali divergenze sull’ipotesi che il virus si sia “indebolito”. I “virologi” dicono che è rimasto lo stesso, o al più si trova una variante, i “clinici” che ha diminuito la carica virale, alcuni – tra cui la d.ssa Laurenti e il prof. Ciccozzi recentemente in TV – che si “adatta all’ospite” per sopravvivere; Ciccozzi ha detto che lo fa perché gli conviene ma non possiamo aspettarci che scompaia come una precedente Sars, questa cosa non la farà. Tutti come mere ipotesi perché dicono di saperne ancora troppo poco, quindi non si è presuntuosi se si azzarda una ipotesi diversa senza essere clinici a contatto con i malati “veri” e neppure “topi di laboratorio” a contatto solo con le “provette”, nella ingenerosa definizione di Zangrillo dei virologi cui ha risposto il biologo italiano Bucci da Filadelfia. La nostra ipotesi – ripetiamo, da profani socratici – nasce dal fatto che non ci senbra ragionevole attribuire al virus l’intelligenza mancante allo scorpione della favola che uccide la rana traghettatrice condannando a morte se stesso “perché è nella mia natura” risponde, con la saggezza dei tempi antichi.
Il virus in ottica darwiniana
Oltre la facile battuta, in termini appropriati l’“adattamento all’ospite” ci fa pensare alla vecchia teoria di Lamarck che spiegava il lungo collo delle giraffe con lo sforzo ripetuto nel tempo di raggiungere le foglie più alte per poter sopravvivere. E sappiamo che fu soppiantata da Darwin con il “survival of the fittest”: nessuna azione volontaria del soggetto per adattarsi all’ambiente può generare la mutazione, sopravvive chi di per sé è il più adatto, mentre gli altri soggetti della stessa specie con caratteristiche sfavorevoli sono eliminati. Di qui le giraffe dal lungo collo, e potrebbe essere così per i virus meno aggressivi che, a differenza di quello letale, possono sopravvivere ed avere la possibilità di diffondersi continuando a contagiare, perché “nati” più “adatti” all’ospite, non perché vi si “adattano” ritenendolo conveniente per la loro esistenza, non sono mica intelligenti! Nelle teorie dell’evoluzione i processi evolutivi avvengono in tempi biblici, per il virus il nostro accostamento potrebbe essere lecito dato che l’”adattamento all’ospite” in tempi rapidi viene sostenuto nelle ipotesi di tanti esperti, quindi .
Questo potrebbe spiegare gli “asintomatici” e i “pauci sintomatici”: il loro grande numero piuttosto che dalla maggiore resistenza dell’“ospite” potrebbe dipendere dal virus più debole: la diretta esperienza personale di un parente ottantenne, ricoverato in ospedale per una patologia cardiaca e con un ictus dopo il ricovero, risultato poi positivo ma asintomatico ed ora negativizzato, conforta questa valutazione; una paesana diabetica ultranovantenne malata di coronavirus come figlio, nuora e nipote, lo hanno superato tutti insieme a casa senza che la più anziana, anzi molto anziana, abbia avuto una forma più grave. D’altra parte, anche trentenni e quarantenni sani e atletici vengono colpiti da forme persino letali, e sembra che in Florida stiano morendo soprattutto giovanissimi contagiatisi nelle spiagge, quindi la gravità sembra dipendere dalla forza del virus piuttosto che dalla resistenza dell'”ospite”, a parte alcune gravi patologie.
Tutte le specie naturali hanno una grande varietà sul piano dei caratteri e in particolare della “forza” di ogni individuo, le persone robuste e gracili, e così gli animali, dal cavallo scalpitante e possente al ronzino malfermo, le piante ubertose e quelle rachitiche, gli alberi maestosi e quelli scheletriti, potrebbe essere così anche per il virus che appartiene pur sempre alle specie naturali. Perciò quando si trovano varietà ritenute “mutate” potrebbero essere preesistenti che vengono alla luce adesso ma accompagnavano le altre sin dall’inizio, meno evidenti nella fase acuta perchè non si “testavano” gli asintomatici perciò erano sconosciute.
Ed ecco la conseguenza: il virus nella varietà aggressiva che “uccide” muore esso stesso con l’”ospite” , come lo scorpione che traghetta la rana sopra citato, a meno che sia riuscito a contagiare altri prima dell’isolamento; ma la trasmissione di per sé è divenuta sempre più limitata venendo”identificato”, quindi confinato, proprio per la gravità dei sintomi che portano al ricovero ospedaliero nel quale se le cure sono efficaci il virus muore e il paziente sopravvive, se non lo sono muore con il paziente; ciò che non avviene per gli “asintomatici” che possono continuare indisturbati a diffondere il contagio perchè inconsapevoli di essere infetti per cui il virus in loro sopravvive e si trasmette. Ma l’infezione si verifica nelle forme più “benigne”, per lo più “asintomatiche”, perché viene trasmesso il virus più debole “ab initio” senza modifiche sopravvenute per l’improbabile “adattamento” , tanto più volontario, cosa impossibile.
Pertanto il virus nella varietà più debole sopravvive, anche perché è difficile individuarlo e quindi non viene neppure “confinato”, e tanto meno eliminato dalle cure che non si praticano; mentre il virus più forte e aggressivo scompare proprio perché viene individuato subito data la gravità dei sintomi che provoca e prontamente “confinato” ed eliminato anche se l'”ospite” si salva e non muore con lui. In Italia sembra che attualmente ci troviamo in questa situazione, il virus più forte e mortale sembra eliminato dalla sua stessa aggressività, mentre il virus più debole resta presente perchè in lui si realizza il “survival of the fittest” darwiniano.
Quindi potremmo sentirci al sicuro, rischiando al massimo una “asintomaticità”, quindi meno della normale infleuenza anche benigna che comunque ha sintomi fastidiosi. Anzi si potrebbe azzardare una conclusione paradossale: la permanenza di un virus così debole, anzi la sua diffusione senza sintomi, potrebbe favorire quell'”immunità di gregge” che era temuta perchè in associazione con il virus letale, quindi l’attuale “plateau” a basso livello potrebeb risultare preferibile ai “contagi zero”. Me è un pradosso, perchè il virus letale possiamo reimportarlo dai paesi in cui la pandemia infuria nella forma più pericolosa, come è avvenuto per l’imprenditore vicentino contagiato in Serbia nei giorni scorsi dal virus forte che ha ucciso il primo “ospite” serbo e ha portato in terapia intensiva l’ “ospite” contagiato italiano. E il numero e l’estensione dei paesi al picco della pandemia – negli USA 70 mila contagi in un giorno rispetto a soli 200 in Italia – è tale, mentre sono tali e tante le vie di comunicazione che viviamo la precaria quanto rischiosa condizione di circondati e assediati. A parte i paradossi, sembra comunque di poter concludere che se la nostra ipotesi basata sulla visione darwiniana ha un qualche fondamento, nel “survival of the fittest” per fortuna è il virus-killer a soccombere.
La trasmissione del virus negli ambienti chiusi
Potrebbero essere trascurabili tali incertezze, anzi contrasti radicali tra gli addetti ai lavori – virologi e clinici delle più diverse estrazioni in particolare – in quanto riguardano l’interpretazione di un fatto sotto gli occhi di tutti, senza effetti rilevanti sulle azioni volte a impedire una recrudescenza dell’epidemia. Per questo ci si concentra giustamente sull’individuazione e il pronto contenimento dei focolai, affidandosi all”azione nel territorio alquanto rafforzata; e in generale si confermano le solite raccomandazioni: distanziamento e mascherina nei luoghi chiusi e lavarsi le mani. Con il “mantra” finale: “non bisogna abbassare la guardia!”.
Ma qual è questa “guardia” che non si deve abbassare? E’ ben definita dagli organi superiori, nazionali come l’Istituto Superiore di Sanità, e internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità? Tutt’altro, e si tratta dell’elemento fondamentale, perché riguarda i modi con cui impedire la diffusione del contagio, la “prima linea” nella guerra contro il coronavirus, nella quale tutti i cittadini devono impegnarsi a sconfiggere il nemico sottraendosi al contagio, cosa che non è avvenuta nella primissima fase che ha colto impreparati, con le “retrovie” ospedaliere diventate “prima linea” per l’assenza di difese nel territorio e negli ospedali, con i tragici effetti ben noti. Paradossalmente sono divampati incendi più che focolai nei luoghi che dovevano essere più protetti, confinati e presidiati sul piano sanitario, e ai quali invece sono mancate sia le direttive appropriate, sia i presidi di difesa, nonostante da due anni il Ministero della Saalute avesse prodotto una Programma apposito per l’emergenza e questa fosse stata proclamata il 30 gennaio, quindi quasi un mese prima del “paziente uno” di Bergamo, e con i due cinesi contagiati allo Spallanzani.
Le prescrizioni tassative fornite dagli organi istituzionali, nazionale e internazionale, hanno riguardato il “distanziamento sociale” di un metro, sufficiente ad evitare il contagio perché le goccioline con il virus, secondo le loro asserzioni, non superano tale distanza: neppure se emesse con starnuti e tosse, oltre che con la voce e il semplice respiro. A parte il termine “distanziamento sociale” fuorviante, perché invece si tratta della “distanza di sicurezza” personale e non sociale, è apparso subito evidente – e lo abbiamo scritto nell’articolo del 26 marzo – che se fosse così il contagio non sarebbe dilagato: chi si fa starnutire e tossire a 60 cm (considerando il normale margine che si lascia in questi casi) dopo che la trasmissibilità orale del virus è stata conclamata? Eppure i contagi sono continuati perché la trasmissione avviene anche a distanza maggiore, sia all’aperto con le correnti d’aria, sia maggiormente al chiuso, dove ci sembra sia poco responsabile insistere sul metro di distanza come barriera sufficiente ad impedire il contagio, quando ci sono stati casi eclatanti di contagi nei ristoranti anche in tavolini lontani per le correnti d’aria interne, a parte il corista che ha contagiato l’intero coro di 80 elementi e una infinità di altri casi di questo tipo.
E’ stata data una spiegazione da scienziati per lo più fisici non “allineati”, il virus non si trova solo nelle goccioline più pesanti che cadono a terra a breve distanza, ma anche nell’”effetto aerosol” che si diffonde in specie negli ambienti chiusi. Perciò al chiuso la distanza prescritta non basta, occorre areazione degli ambienti, e la mascherina, meglio se una sosta non prolungata in luoghi ristretti, soprattutto se si parla ad alta voce o si canta, condizioni che accrescono l’emissione di particelle potenzialmente infettanti. Le messa domenicale trasmessa in TV mostra il cantante le litanie in pericolosa vicinanza con la prima fila dei fedeli che, seppure con mascherine magari poco protettive, non sembrerebbero difesi dal possibile contagio.
La spiegazione di un fatto comunque di per sé già evidente la si trova nella lettera pubblicata su “Clinical Infections Deseases” nell’aprile scorso nella quale 239 scienziati di 32 paesi nel darne la prova scientifica invitavano l’Organizzazione Mondiale della Sanità “ad essere più disponibile riguardo alla probabilità che le persone possano contagiarsi tramite le goccioline nell’aria”, dato che le particelle più piccole in grado di viaggiare molto lontano nell’aria possono infettare le persone . Ed è stato provato che lo fanno realmente.
Tra i firmatari della lettera all’OMS lo scienziato italiano Giorgio Buonanno, professore ordinario di Fisica tecnica ambientale all’Università degli Studi di Cassino, sul “Corriere della Sera” ha chiarito che il contagio avviene anche “per inalazione dell’aerosol emesso da un soggetto infetto (goccioline di diametro inferiore a 10 micron)”. Per cui, mentre le goccioline con diametro superiore a 10 micron – i “droplet” considerati nelle misure dell’OMS – cadono al suolo in pochi secondi e a distanza di meno di un metro, invece “le goccioline più piccole (aerosol) sono soggette ai fenomeni di evaporazione e rimangono in sospensione in aria per tempi molto lunghi: hanno quindi la possibilità di muoversi per tratti molto più lunghi rispetto ai droplet”. Ha aggiunto che “i luoghi critici sono gli ambienti chiusi di dimensioni ridotte e con limitata ventilazione”, concludendo che in tali ambienti “la ventilazione gioca un ruolo fondamentale”.
All’avvertimento così autorevole, perentorio e urgente, diremmo drammatico, dei 239 scienziati, ha risposto così tre mesi dopo, a stare ai comunicati delle agenzie stampa, la d.ssa Benedetta Alleganzi, responsabile tecnico dell’OMS per la prevenzione e il controllo delle infezioni:: “Riconosciamo che ci sono prove emergenti in questo campo, come in tutti gli altri campi riguardanti il Covid-19 e quindi crediamo che dobbiamo essere aperti a questa ipotesi e comprendere le sue implicazioni riguardo alle modalità di trasmissione e anche riguardo le precauzioni da prendere”. E ha precisato, si fa per dire: “Ci sono alcune specifiche condizioni in cui non si può escludere la trasmissione aerea, soprattutto in luoghi molto affollati, chiusi. Ma le evidenze vanno raccolte e studiate”, aggiungendo: “Stiamo collaborando con molti dei firmatari della lettera”. Ha messo il “carico da 11”, per usare un termine d’altri tempi, la d.ssa Maria Van Kerkhove, capo del gruppo tecnico per il coronavirus dell’Oms, affermando: “Gli esperti che hanno firmato la missiva ci potranno aiutare per esempio nel comprendere l’importanza della ventilazione negli ambienti. Stiamo studiando e tenendo in considerazione ogni possibile via di contagio”.
“Rimando il suicidio e nomino una commissione di studio” cantava in modo sarcastico Giorgio Gaber, ma i responsabili dell’OMS vanno anche oltre, perché la “commissione di studio” c’è già stata, forte di ben 239 scienziati di 32 paesi, cosa si vuole di più? Eppure si afferma “stiamo studiando” con l’aggiunta non veritiera “tenendo in considerazione ogni possibile via di contagio”, come se fosse la linea seguita. Mentre l’OMS ha considerato sempre come “l’unica possibile via di contagio” la distanza inferiore ad un metro, all’aperto o al chiuso, senza prendere in considerazione finora “nessun’altra via”. Una resipiscenza sarebbe anche salutare se ci fosse nella chiarezza, invece il linguaggio che supera il burocratese non fornisce alcuna linea guida affidabile per il presente e per il futuro. Mentre per il passato piange il cuore nel pensare quante vite umane in tutto il mondo sono state sacrificate a questa cecità dell’OMS dinanzi al pericolo dei luoghi chiusi sebbene, lo ribadiamo ancora, il rischio fosse evidente al lume della ragione, prima ancora delle evidenze scientifiche. I responsabili dovrebbe essere chiamati a risponderne pubblicamente.
I tamponi
Si potrebbe obiettare che trattandosi di un virus sconosciuto non si poteva pretendere che fossero note le vie del contagio. Ma in questo caso non si doveva dare la certezza che non è possibile contagiarsi con il distanziamento di un metro neppure negli ambienti chiusi, ma si doveva ammettere l’ignoranza invitando quindi a una prudenza ben maggiore di quella rivelatasi insufficiente e quindi perniciosa. Il “so di non sapere” socratico, pur dichiarato, si è unito a prescrizioni perentorie pur contrarie anche al senso comune.
Ma non finisce qui, le cantonat, per usare un eufemismo, colpevoli e fonte di gravi conseguenze dell’OMS riguardano anche i tamponi e le mascherine, due elementi fondamentali per arginare il contagio dilagante.
Per i tamponi la prescrizione fu che andavano fatti esclusivamente ai malati con più sintomi di Covid (non solo uno), i quali inoltre avessero avuto contatti con provenienti da zone infette. Addirittura un esponente italiano dell’OMS fu messo alle costole del Ministro della salute Speranza, proprio con questo obiettivo, e subito impose la linea fortemente restrittiva, anzi rinunciataria sui tamponi. Mentre poi si è vista, in primis nel Veneto, l’importanza di identificare anche gli “asintomatici” – figurarsi i malati con un solo sintomo e senza contatti pregressi – per arrestare il diffondersi del contagio “testando” tutti i loro contatti. Non è stato di poco conto l’effetto di questa imposizione dell’OMS nel dilagare del contagio nell’area più colpita del paese che non ha potuto individuare gli “untori” inconsapevoli per il diktat dell’organizzazione.
Le mascherine
Sulle mascherine si è perseverato in un errore ancora più grave – ed è un eufemismo perché ci sembra una grave colpa dissuadere da presidi di difesa dal contagio – sempre da parte dell’OMS, prima che le autorità locali – come nel Veneto per i tamponi – si ribellassero e non si assoggettassero a indicazioni suicide.
Dunque, il messaggio largamente diffuso, quasi una prescrizione , è stato che “le mascherine servono a non trasmettere il virus, quindi devono portarle soltanto gli ammalati positivi”. Non servono a proteggersi, anzi potrebbero risultare addirittura dannose perché “possono creare un falso senso di sicurezza nella popolazione che quindi potrebbe trascurare le altre misure essenziali”, distanza e lavaggio delle mani.
Così parlò Zaratustra senza considerare che, anche se fosse vero che non proteggono chi le indossa ma gli altri, indossandole tutti sarebbero tutti protetti. Anche perché essendo portatori di virus e fonti di contagio anche gli “asintomatici”, si deve impedire a tutti i possibili “positivi” di trasmetterlo inconsapevolmente. Ma gli “asintomatici”, dagli esponenti italiani dell’OMS, venivano ritenuti incapaci a trasmettere il virus per la debole carica virale, cosa poi smentita dai fatti, essendo “asintomatici” anche nei giorni che precedono l’insorgere dei sintomi nei quali la contagiosità è particolarmente elevata. Non sono sfondoni di poco conto, da questi è derivato l’allargamento dei contagi, con sofferenze e tanti lutti per la gente incolpevole.
Ma Zaratustra OMS anche qui, come per la trasmissione nell’aria, si è dovuto ricredere. Le agenzie di stampa in questo caso parlano di “ Dietrofront. L’Organizzazione mondiale della sanità potrebbe rivedere le sue raccomandazioni sull’uso delle mascherine alla luce dei risultati di un nuovo studio dell’MIT, secondo cui le goccioline emesse con un colpo di tosse o uno starnuto possono viaggiare nell’aria per distanze ben più ampie di quanto si pensi. Lo riferisce l’Ansa, riprendendo le parole dell’infettivologo David Heymann rilasciate alla Bbc”: noi lo pensavamo, è una resipiscenza che si aggiunge a quella della diffusione per areosol, qui sono le stesse goccioline che “possono viaggiare fino a 8 metri di distanza”.
Dopo Benedetta Alleganzi e Maria Van Kerkhove il “mea culpa” lo recita Heymann, “il presidente di un gruppo di consulenti dell’OMS che valuterà se, per rallentare la diffusione del coronavirus, sia necessario che più persone indossino le mascherine”, cioè valuterà ciò che è ovvio ma finora colpevolmente negato e anche contrastato dall’OMS. Heymann è l’infettivologo già direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità nel 2003, quando la Sars lanciò il primo allarme seguita da altri virus endemici, non divenuti pandemici, che ha affermato: “L’OMS sta riaprendo la discussione esaminando le nuove prove per vedere se debba esserci un cambiamento nel modo in cui consiglia l’uso delle mascherine”. Voleva dire “sconsiglia” perché la disposizione vigente riguardava “tenersi a una distanza minima di almeno un metro da una persona che tossisce o starnutisce.
Inoltre, la raccomandazione ulteriore è che la mascherina sia indossata da chi è malato o da chi mostra i sintomi” . Il nuovo studio, viene sottolineato, indica che le goccioline emesse con un colpo di tosse o uno starnuto possono arrivare rispettivamente fino a 6 e 8 metri di distanza; e si precisa che “ le microparticelle più piccole possono viaggiare nell’aria anche per distanze ben più lunghe”, l’effetto aerosol segnalato dai 239 scienziati come abbiamo ricordato in precedenza. Ecco le conclusioni di Heymann, che premette “se i dati troveranno conferma”: “E’ possibile che indossare una mascherina sia altrettanto efficace o più efficace della distanza” , per cui potrebbe essere la nuova prescrizione dell’OMS, sempre campa cavallo,…… alla Gaber, “rimando il suicidio e nomino una commissione di studio”…
Nelle mascherine si completa il “tris d’assi” della saga di errori, tradotti negli orrori del contagio. Il senso comune fa pensare che le mascherine dovrebbero proteggere interamente dal contagio e con tale difesa si potrebbero evitare i “lockdown” perniciosi per l’economia, i singoli e la società, non servirebbe neppure il distanziamento di un metro, ma soltanto lavarsi le mani, cioè quasi nulla, L’ enorme vantaggio per le attività economiche e per lo svolgimento della vita associata sarebbe enormemente superiore al costo da sostenere per un presidio risolutivo a difesa di tutti: la “prima linea” nella guerra asimmetrica al virus avrebbe uno scudo vincente senza controindicazioni. Questo dice la logica, ma se queste mascherine non ci sono vuol dire che non sono fattibili: ripensiamo alle maschere antigas viste nella nostra infanzia alla fine della guerra e a quelle adottate da Israele per timore dei gas arabi, ma ovviamente non si può arrivare a questo estremo. Peraltro l’esigenza della protezione assoluta resta la stessa, importante è capire se realizzabile in modi più semplici e praticabili della maschera antigas concepita per le eventuali brevi emergenze belliche.
Con tutta la buona volontà, ci sembra un campo in cui la confusione regna ancora sovrana, pur nella sua apparente semplicità. E ora si può parlare di confusione dopo le drammatiche inammissibili carenze che nella prima fase dell’epidemia hanno privato di queste difese indispensabili perfino gli operatori ospedalieri e quelli delle residenze per anziani: anche per questo motivo ospedali e RSA sono stati l’epicentro dell’epidemia, vi si sono consumate stragi inenarrabili che fanno ancora piangere. Eppure dopo la Sars e le altre epidemie di alcuni anni fa restate lontane dall’Italia c’era stato il Programma ricordato contro le emergenze sanitarie di questo tipo che non poteva non prevedere la dotazione dei presidi indispensabili, mascherine in primis – tra l’altro di costo bassissimo nei periodi normali – considerando che in caso di pandemia sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, il reperimento tempestivo all’estero, come si è verificato trovando l’Italia senza produzione propria, quindi inerme e indifesa.
Dalla tragedia dell’assenza di presidi vitali nella fase più drammatica alla farsa della confusione attuale, come prima c’era da piangere ora c’è da ridere, ma di un riso amaro, si tratta della salute e, soprattutto per gli anziani più fragili ed esposti al contagio, della stessa vita. E qui non c’è la responsabilità soltanto della catena di errori dell’OMS, ma dell’intero repertorio di istituzioni, organismi di ogni tipo per cui si è sciorinato un campionario in cui è difficile orientarsi, mentre sarebbe doveroso essere oltremodo precisi.
La prima osservazione è che viene autorevolmente affermato che le mascherine chirurgiche potrebbero non essere sufficienti a proteggere dal contagio: “A differenza delle mascherine chirurgiche, i filtri facciali (FFP2, FFP3, N95) hanno un’efficienza di filtrazione molto elevata, anche per le tipiche dimensioni dell’aerosol”. E allora perché vengono indicate quelle “chirurgiche” per la protezione della gente comune? Basta il distanziamento, si risponde dall’altra parte, ma è facile replicare che il distanziamento riguardando due e più soggetti non è garantito dalla volontà di un solo soggetto, che deve potersi tutelare dal contagio con una protezione individuale inattaccabile; e anche l’OMS per quanto detto sopra, sembra stia rivedendo la sua fiducia nel distanziamento che sembrava inattaccabile, meglio tardi che mai.
Cerchiamo di capirne di più entrando nello specifico delle mascherine, anzi delle specifiche richieste sui requisiti prestazionali e i metodi di prova delle mascherine generiche, secondo quanto risulta dalla collaborazione tra UNI (Ente Italiano di Normazione) e il Politecnico di Torino che ha fornito l’unico riferimento utile per valutarne le prestazioni filtranti e la respirabilità. “UNI insieme all’Ateneo torinese hanno messo a punto due nuove prassi di riferimento sulle maschere di comunità ‘Parte 1-Requisiti, classificazione e marcatura’, che fornisce i requisiti prestazionali, inclusi gli elementi utili per una loro classificazione e marcatura e indicazioni relative alla valutazione di conformità’; e ‘Parte 2-Metodi di prova’, con le indicazioni per l’uso di un metodo innovativo per misurarne le prestazioni filtranti mediante due prove distinte, ovvero l’efficienza di rimozione delle particelle e la resistenza all’attraversamento dell’aria”. A questi requisiti dovranno far riferimento tutte le mascherine, monouso o lavabili, anche autoprodotte.
Le dimensioni del coronavirus sono di 100-150 nanometri di diametro (600 volte più piccoli di un capello) e si trasmettono mediante goccioline delle secrezioni di naso e bocca che vengono emanate durante la normale respirazione, maggiormente quando si parla soprattutto alzando al voce o si canta, e in grandi quantità in caso di tosse e starnuti. In particolare, lo starnuto può spingere queste goccioline ad una distanza fino a 4 metri. Le piccolissime dimensioni fanno dire che il virus può penetrare nelle trame di ogni materiale, anche se è meglio usare comunque una sciarpa e un foulard che nulla, se non si dispone della mascherina. Ma ci sembra altrettanto vero che il virus non viaggia da solo ma sulle goccioline, che hanno dimensioni maggiori per cui non è pretendere troppo sperare che mascherine appropriate siano una sicura barriera, a parte l'”effetto aerosol” negli ambienti chisi.
“L’utilizzo delle mascherine non ci rende invincibili: il distanziamento sociale e l’igiene sono più efficaci” sostiene Luca Richeldi, membro del Comitato tecnico scientifico per il contenimento del coronavirus e aggiunge:”È certo che i dispositivi servono a operatori sanitari, convalescenti e persone più vulnerabili” ma per gli altri ”non è una corazza che ci protegge da tutto”. Una sorta di “ibis, redibis [,] non” con o senza virgola dopo “redibis”: se possono proteggere gli operatori sanitari e le persone più vulnerabili, perché non sono “una corazza che ci protegge da tutto”? E’ il “peccato originale” della sottovalutazione iniziale dovuta alla scarsità, anzi inesistenza, che porta a queste affermazioni contraddittorie al loro interno rivelatrici di incertezza e forse di imbarazzo.
Sono ammesse anche le “mascherine filtranti” che però non sono sottoposte a normative specifiche pur richiedendo “una valutazione tecnica di base”, quindi ci sembrano inaffidabili, anche se possono risultare attrattive per la fantasia dei disegni su stoffe colorate.
Le mascherine “chirurgiche” sono le più diffuse, anche se poco protettive per chi le indossa e protettive per gli altri – secondo quanto viene affermato – dato che sono adatte per fermare le emissioni dall’interno di chi le usa verso l’esterno, piuttosto che le immissioni contagiose dall’esterno al suo interno; del resto i chirurghi le utilizzano per non trasmettere eventuali batteri all’area operatoria e non per esserne protetti. Quindi suscitano notevoli perplessità anche se lo strato intermedio in “meltinbrown” – materiale prodotto da una sola piccola impresa in Italia, quindi in quantità insufficienti – ha notevoli caratteristiche filtranti.
Quelle più protettive sono i cosiddetti DPI, “Dispositivi di protezione individuale”, le FFP a livelli di ptrotezione crescenti passando dalle P1 senza filtro, alle P2 e P3 con filtro cambiabile e “valvola di esalazione” per espellere l’accumulo di emissioni nel lungo tempo nel quale gli operatori sanitari – ai quali sono riservate – le utilizzano. “ Escluse le ultime due, non si capisce perché non venga raccomandato l’utilizzo esclusivo delle FFP1 invece delle “chirurgiche” e, peggio ancora delle “filtranti”, che in realtà non filtrano nel senso di bloccare ma sono filtranti nel senso di essere permeabili, sembra un paradosso e vorremmo aver capito male, ma l’informazione data è stata questa.
Si è molto parlato dell’impegno, pur apprezzabile, del Commissario per l’emergenza Domenico Arcuri nell’attivare la riconversione di molte attività produttive italiane nella produzione di mascherine fino all’autosufficienza nazionale prevista per settembre, un risultato rilevante; altrettanto nell’imporre il prezzo al pubblico di 50 cm di euro per le mascherine “chirurgiche” impedendo le speculazioni ignobili favorite dalla scarsità. Ma non abbiamo visto uguale impegno nel precisarne l’uso né si capisce perché ci si riferisca sempre e solo alle mascherine “chirurgiche” sebbene siano ritenute non protettive per chi le indossa.
Anche nelle modalità d’uso la confusione regna sovrana e non riguarda tanto il modo di indossarle, estremamente semplice a parte le cautele nel maneggiarle soprattutto nella parte esterna esposta, ma riguarda le possibilità di riutilizzo: si parla di “monuuso” anche per un utilizzo di pochi minuti, non basterebbe lasciarle inattive per giorni secondo le indicazioni, cosa non credibile dato che il virus, anche se presente e lo sarebbe all’esterno, nel giro di ore o comunque di giorni non sopravviverebbe comunque. Non sarebbe possibile allora una rotazione, tanto più se ce n’è penuria, o gli interessi dei produttori devono prevalere sul buon senso nell’utilizzo da parte dei consumatori, che sono tutti i citatdini?
Il sigillo finale alle confusioni, approssimazioni e incertezze sul tema lo troviamo nell’avviso-locandina della Regione Lazio-ASL, che abbiamo trovato esposto al pubblico in bella vista davanti al Pronto soccorso di un importante ospedale romano, il Sant’Eugenio.
Recita la seguente avvertenza: “Hai febbre, tosse, raffreddore, mal di gola o difficoltà respiratoria? Indossa la mascherina. Igienizza le mani con la soluzione idroalcolica”. Non crediamo ai nostri occhi: la locandina non avverte di rivolgersi subito al medico di base o al Pronto soccorso per il probabile ricovero essendo chiari sintomi di Covid-19 – la “difficoltà respitratoria” li differenza dai sintomi della normale influenza – ma soltanto ed erroneamente di avere i comportamenti che invece vanno indicati per tutti, e non per coloro che sono presumibilmente infetti e vanno subito individuati e curati. Non si indica neppure l’immediato isolamento, indispensabile in via precauzionare per non diffondere il probabile contagio. Con l’aggravante che in apertura della locandina si legge, in tutte maiuscole: “PROTEGGI TE STESSO, PROTEGGI LA TUA FAMIGLIA, PROTEGGI GLI ALTRI”. Non è questo il modo di proteggere, tra l’altro chi ha difficoltà respiratoria dovrebbe indossare, sì, la mascherina, ma quella dell’ossigeno… In questo modo si espongono tutti quelli che credono al messaggio, a un grave pericolo per la loro salute.
Conclusioni sull’OMS
Termina così il nostro viaggio su alcuni aspetti critici della comunicazione sul coronavirus, particolarmente inquietanti riguardo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cui ruolo fondamentale nella pandemia a livello globale è stato mortificato dai clamorosi sfondoni e dietrofront tardivi che ne hanno compromesso l’azione rendendola oltremodo dannosa. Magari fosse stata soltanto carente e ininfluente, è stata proattiva in negativo dando disposizioni sbagliate trasmesse poi dagli organismi nazionali con effetti disastrosi sull’estensione dei contagi nel mondo! Perché le misure strombazzate, distanziamento di un metro e lavaggio delle mani sono risultate drammaticamente insufficienti soprattutto negli ambienti chiusi e il negazionismo sulle mascherine ha fatto il resto. E mancare in un momento cruciale per la salute e la vita di miliardi di persone è gravissimo, deleterio, imperdonabile
. In questa convinzione, che crediamo diffusa, concludiamo il nostro nuovo viaggio nel coronavirus visto in un prospettiva diversa dal pecedente – questo è iniziato con una nostra visione darwiniana dell’evoluzione dell’epidemia, e terminato con le mascherine – tornando all’Organizzazione Mondiale della Sanità che è stato al centro delle nostre motivate critiche. Il ritiro degli Stati Uniti dall’organizzazione – con decorrenza immediata da questo mese di luglio – è stato meritato, ci viene da dire, a prescindere dagli intenti, e non è soltanto un atto smbolico facendo mancare circa mezzo miliardo di euro l’anno di finanziamenti.
Non dovrà portare, però, a nostro avviso, alla cancellazione di un organismo mondiale indispensabile per coordinare le pandemie che potrebbero ripetersi in futuro, a parte quella attuale che ancora imperversa nel mondo per cui il nostro paese – il secondo dopo la Cina a esserne investito e ormai in acque più tranquille – si sente accerchiato e deve difendersi dal contagio di importazione molto pericoloso con la fitta rete di scambi internazionali, e non basta chiudere i voli diretti dai paesi più colpiti; occorre un monitoraggio attentissimo dei focolai che possono insorgere con un controllo del territorio che è ancora insufficiente, anche per il sostanziale fallimento dell’indagine sierologica e dell’App “Immuni” per mancanza di risposte.
Ma se una istituzione mondiale nel settore cruciale della sanità è indispensabile, non lo è l’’attuale OMS che si è rivelato dannoso e quinadi dovrà essere sottoposto a una radicale revisione. Se il gesto di Trump porterà a questo sarà forse l’unica sua iniziativa azzeccata tra i fallimenti dell’azione verso il coronavirus colpevolmente quanto spavaldamente sottovalutato nonostante le raccomandazioni del grande scienziato consulente Fauci, emarginato e poi reintegrato, con l’effetto di far dilagare nel suo paese il virus che ha determinato 2 milioni di contagiati e un carico di morti che al 10 luglio supera i 130 mila: i nostri quasi 35.000 rispetto alla popolazione sono ancora più elevati, ma l’epidemia negli USA è tale che forse saremo superati. Gli elettori americani potrebbero punire Trump nelle elezioni di niovembre, ma per questa scossa all’OMS paradossalmente dovremmo ringraziarlo tutti, anche gli anti trumpiani e antisovranisti.
Info
Cfr. il nostro precedente articolo sul coronavirus, citato nel testo, uscito in questo sito il 26 marzo scorso, vi si troveranno anche i commenti successivi e le nostre risposte.
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Le immagini sono state tratte dai siti web che vengono indicati dopo l’indicazione delle immagini dei tre gruppi – OMS, Tamponi, Mascherine – nell’ordine in cui sono inserite nl testo, precisando che sono aggiunte a mero titolo illustrativo senza alcun intento nè ritorno economico o pubblicitario, dichiarandoci pronti ad eliminarle se non gradite, su semplice richiesta dei titolari dei siti indicati, che si ringraziano per l’opportunità offerta Le due immagini in apertura e chiusura sono del coronavirus, tratte dai siti web ilsole24ore.it e milanoeventi.it. Di tutte le altre, le prime 7 immagini riguardano l‘OMS, stemma e sede, Assemblea e Consiglio generale, il Segretario generale con alla sin. la de Kerkove e il Segretario generale, il simbolo dell’OMS, sono tratte dai siti: ilpost.it, focus.it, openpolis.it, salutegoverno.itrepubblica.it, lastampa.it, informasalute.it. Le 8 immagini successive riguardano i Tamponi, i bastoncini, il prelievo in piedi o in auto, 2 per tamponi in fiale, dai siti: corriere.it, padovagelocal.it, lagazzettadelmezzogiorno.it, oggitreviso.it, bergamonews.it, incontradonne.it, rainews.it, ilgazzettino.it. Le ultime 17 immagini riguardano le Mascherine nelle diverse tipologie protettive, “chirurgiche”, anche indossata da una donna e una statua, FFP1 singole o in diversi esemplari, FFP2, FFP3, fino a quelle “filtranti” colorate, variopinta, infantile, romantica, in un calciatore, horror, un campionario, dai siti: toscananotizie.it, comuneprato.it, ninjamarketing.it, manutan.it, tuttoggi.it, shopfarmacia.it, fanpage.it, lubiservice.it, sulpanaro.it, agenziagiornalisticaopinione.it, televallo.it, amazon.it, milleunadonna.it, amazon.it, friulisera.it, corrieredellosport.it, ansa.it; la quint’ultima immagine, con la locandina della Regione Lazio pericolosamente fuorviante, è stata ripresa da Romano Maria Levante all’ingresso del Pronto soccorso dell’ospedale SantEugenio di Roma. In chiusura, si ripete, altra immagine sul coronavirus Covid-19 tratta da milanoeventi.it.
Caro Romano, come sempre sei molto dettagliato e profondo nei tuoi articoli e cerchi di vederne tutti gli aspetti sia nel lato positivo che nelle foto molto belle che hai raccolto.
Bravo!
Caro Ciro, ti ringrazio del tuo commento, sempre icastico quanto generoso. Cerco di condividere con i lettori le mie riflessioni accompagnate da immagini per il lettore frettoloso che non ha tempo di leggere il testo sempre alquanto ampio; in questo modo non subisco la “dittatura” della brevità ma tengo conto del lettore che se ne fa interprete. Parole e immagini, soprattutto nelle recensioni alle mostre d’arte – che sono la quasi totalità dei miei scritti – compongono nelle mie intenzioni un “film” fatto di “parlato” e di “visione”, strettamente connessi ma anche indipendenti. Il tuo pur breve commento indica che hai capito questi miei intenti reconditi, te ne sono grato anche perchè mi hai dato l’occasione di renderli espliciti.