di Romano Maria Levante
Entra nel vivo e si conclude la nostra narrazione della mostra a Palazzo Cipolla “Manolo Valdés. Le orme del tempo” con la visita alla galleria delle 70 opere esposte, 35 pittore e 35 sculture. Aperta il 17 ottobre 2020, per l’emergenza della pandemia è stata chiusa e poi riaperta fino allì’11 luglio 2021 Promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro, presidente Emmanuele F. M. Emanuele, e realizzata da Poema, amministratore unico Giovanni Le Rose; ha collaborato Contini Galleria d’Arte”, con il supporto tecnico di “Comediarting”, e di Arthemisia., E’ curata da Gabriele Simongini, come il Catalogo bilingue di Manfredi Edizioni con testi suoi e di Kosme de Baranano.
Le prine tappe del viaggio espositivo: gli inizi, i ritratti, i nudi e le teste di Matisse
Alcuni dei suoi dipinti più significativi sono ispirati a Velasquez, in una vicinanza ideale che diventa quasi fisica nella mostra a Roma, “dove il tempio si disintegra” nelle parole di Henry James, e dove i capolavori del maestro spagnolo – ai Musei Capitolini, alla Galleria Pallavicini e alla Galleria Doria Panphilij – sembrano dialogare con le opere esposte a Palazzo Cipolla. Per questo il “ritorno” di Valdés a Roma, 25 anni dopo la “personale”del 1995 alla Galleria Il Gabbiano, è meritorio, considerando la lunga assenza dalla città eterna, mentre sono numerose le sue presenze in Italia, dal 1964, tra Rimini e Reggio Emilia, Correggio e Siena, Milano e Torino. Le più recenti, a Venezia alla Galleria d’Arte Contini la mostra “Manolo Valdés. I dettagli luminosi”; nel 2018 a Pietrasanta, nelle strade e nel Museo dei bozzetti la mostra “Valdés. Poetica della ‘Traduzione’”.
L’antologica dell’attuale mostra al Palazzo Cipolla ne fa seguire l’itinerario artistico in cui si sviluppa il processo che abbiamo delineato – il tempo come “forza latente” e il “correlativo” nella materia-memoria – in modi diversi e in esemplare coerenza in 6 tappe, dai dipinti più indietro negli anni, dopo l’”Equipo Crònica”, ai ritratti, alle sculture in legno, bronzo ed altri materiali. Caratteristica comune dei dipinti sono le grandi dimensioni, che rendono spettacolare l’esposizione: quasi tutti con misure oltre i 150 cm di larghezza e i 2 metri di altezza.
Si inizia con la 1^ tappa, i “Dipinti del 1984-89”, a partire dai tenebrosi “Caballero antiguo” 1984 e “El Conde Duque de Olivares I” 1989, con in mezzo, nel 1988, 3 dei suoi innovativi “d’aprés”: 2 in tema religioso, “Ribera come pretexto” ispirato al “Martirio di san Felipe” del 1639 di De Ribera, e “Zurbaràn come pretexto” , da “Cristo crocifisso, con un pittore” di F. de Zumbaràn, il terzo di cui parleremo più avanti, “La Danza” ispirato al celebre quadro di Matisse.
In questo periodo è alla ricerca di una nuova espressione artistica che rifletta il tempo in cui vive: si interessa al “Nouveaux Realisme” del critico Pierre Restany, e alla “Nouvelle Figuration” del critico Michel Ragon e poi Gérald Gassiot-Talabot, sorti in contrapposizione alla “Pop Art” americana, sembra però quest’ultima ad attirarlo per l’evidente ironia. La sua pittura, con riferimenti al fumetto e al design, è legata anche alla “Nuova Figurazione” italiana con Antonio Recalcati e Valerio Adami. “In ognuno di questi casi – nota Kosme de Baranano – si tratta di artisti che hanno apprezzato l’Informale, rendendo la figura umana protagonista indiscussa del loro lavoro e sottoponendola ad ogni tipo di sperimentazione”.
La figura umana è infatti al centro dei suoi “Ritratti all’italiana” – la 2^ tappa del nostro viaggio espositivo – che rappresentano una “parafrasi della grande pittura del Rinascimento”. Sono ritratti dipinti anch’essi in tela di iuta, come le opere prima citate, con molta attenzione ai dettagli, in un’”unione compatta di luce e colore, di imago e forma, già posta da qualcuno in precedenza, ma da lui trasformata attraverso parametri specifici”, è sempre de Baramano.. Questo gli consente di “sapere cosa si sta facendo e averne il controllo”, sono parole dell’artista. E lo fa partendo dalle opere dei grandi maestri suoi ispiratori, oltre a Velasquez e Matisse, Rembrandt e Manet, Tiziano e Raffaello, attraverso la magia che consiste, nota lo studioso citato, “nelle decontestualizzazione e nella capacità di riattivazione iconica”.
Lo vediamo nei ritratti esposti, da “Francesco d’Este” 1991 nel quale il viso dell’originale del 1460 di Van der Weyden è letteralmente cancellato dal bianco materico, a quelli successivi: in “Retrato con rostro naranja y azul” del 1999, una metà del volto è oscurata totalmente, al pari del “d’aprés” di Matisse dello stesso anno, per gli altri solo parzialmente, anzi la metà del viso è ben distinguibile negli occhi e nelle fattezze, accentuata proprio per il diverso cromatismo: è evidenziata dai colori la metà sinistra in “Yvette IV” 2004, la metà destra in “Retrato sobre fondo verde y beige” 2007. Senza la bipartizione né il cromatismo, ma ben definito nel copricapo chiaro e le fattezze distinguibili, “Retrato sobre fondo verde” 2012, mentre due anni dopo “”Ritratto di una dama” 2014 è un’immagine nobiliare, con il viso bianco al culmine di una figura dall’abbigliamento regale, intensa e viva pur nell’assenza di colore.
Oltre a questi ritratti frontali abbiamo volti di profilo, come “Retrato de una joven” 1992, rivolto a sinistra, su una veste rossa, la ritroviamo addirittura 20 anni dopo in “Perfil de dama con marco” 2012, nel profilo dalla parte opposta, meglio definito. Nel “Perfil con imàgenes de Sonia Delanany I” 1997, invece, il viso è cancellato dal bianco materico come sei anni prima “Francesco d’Este”.
E siamo alla 3^ tappa del viaggio lungo l’itinerario di Valdés, la più intrigante perché con “I nudi e le teste di Matisse” si evoca la sua “frequentazione” delle opere dell’artista, prolungata e multiforme, anche dichiarata, sempre su tela di iuta. Intanto nei ritratti “Retrato en blanco y royo” 1988, e “Vivianne III” 2005, ”Rostro tricolor sobre fondo gris” 2006, e “Odalisca sobre fondo royo” 2016. Citandolo nel titolo, “Matisse como pretexto” con l’aggiunta rispettivamente di “com blanco” e “com rosa y espejo”; del 2018, i volti appaiono ben delineati in un cromatismo brillante con i dettagli degli occhi, mentre nel precedente ”Matisse como pretexto” con “Lydia” del 1999, del volto è visibile la metà destra, l’altra è nera in una composizione bianco-nera schematica ed essenziale. A “Lydia” nel 2006 anche una scultura lignea del volto iconica, senza neppure un abbozzo di occhi né di fisionomia.
Poi i nudi, sempre da Matisse: “Desnudo azul” 1995 e “Desnudo I” 2010, in un forte impasto materico con pennellate in bianco e argento alla Velasquez, figure che nello spettacolare “La Danza”, del 1988 – dimensioni record di metri 2,40 x 3,43 – sono grevi e sembrano impantanate a terra, mentre in quello di Matisse, del 1909, di cui rappresenta il “d’aprés” innovativo, erano leggere e si libravano su una base verde in uno intenso sfondo viola. Del 1995, oltre al già citato “Desnudo azul” abbiamo “Hommage à Matisse”, lo dichiara anche nel titolo, 4 pesci rossi dipinti di scuro nell’acquario, un prisma di vetro con uno sfondo di nuovo viola.
De Baranano si chiede come sia riuscito a “reinterpretare” il grande artista: “Come si può cambiare il codice di un Matisse: in qualcos’altro? “Com’è possibile dipingerlo diversamente, come se si facesse la stessa cosa ma in un modo in cui il suo creatore non l’avrebbe mai fatta? “ Segue questa risposta: “Chiaramente Valdès ci riesce attraverso un cambiamento di sintassi, e di codice, che implica un cambio di morfologia (di scala, di dimensione, e soprattutto di significato)”. Lo spiega lo stesso artista: “Non posso concepire un’opera come Matisse como pretexto senza il tempo fra lui e me, senza un cambiamento di scala e di materia, senza un’esperienza”.
Termina il viaggio espositivo, dai dipinti con oggetti alle sculture in legno, bronzo e altro
L’ultima opera citata introduce alla 4^ tappa dell’itinerario, “I dipinti con oggetti”. Emerge la curiosità dell’artista, come lui stesso ha dichiarato: “…ogni volta che esco di casa osservo qualunque cosa o persona mi si trovi davanti, come immagini potenzialmente utili”; e, in modo ancora più diretto, dopo aver detto “sono come un cacciatore: costantemente in allerta, a prescindere dalla situazione”, precisa: “I musei, la strada, le immagini in generale forniscono il materiale per le mie opere”.
I musei per i suoi speciali “d’aprés”, il resto anche per gli oggetti. E quali attirano la sua attenzione al punto di essere posti a livello dei ritratti monumentali? Nei 10 dipinti di oggetti esposti, sempre di grandi dimensioni, ne vediamo un piccolo campionario. “Quando comincia a lavorare da solo nel 1982 – osserva de Baranano – Valdés reindirizza la propria pratica verso la materia… In questo modo vira in direzione di un gesto denso di colore, scegliendo tessuti spessi capaci di assorbire e trattenere, come la tela di juta cucita e ricoperta”.
Dopo l’acquario con pesci in “Hommage a Matisse”, già citato, ecco oggetti di vita quotidiana, in parte ispirati alla Pop Art che lo intrigava con la rappresentazione di oggetti veri: la boccetta di profumo “El frasco de perfume” 1992 e la “Cafetera blanca sobre fondo negro”1994, l’orologio “Reloj II” 1998, i due coni-gelato “Two grey cones” 2006 e il gioiello “White diamond” 2007. Inoltre la coppia di vasi ”Vasijas griegas III” 1997 e l’anfora antica “Vasija II” 2006, fino a evocare il mondo di Manet con la foglia “Hoja” 1995 e il trifoglio ”Trébol” 2009. Antonio Saura, un pittore spagnolo, rispetto alle moderne ispirazioni Pop, e a quelle classiche dall’archeologia all’arte parla di “cannibalismo” di Valdés perché vampirizza “sia il passato che il presente, facendoli suoi così da poterli diffondere attraverso di lui”.
E siamo alle ultime due tappe, sulla Scultura, nella quale l’”homo faber” con il suo interesse per i materiali, accora di più che per i contenuti, ha modo di realizzarsi compiutamente. Sin dal 1999 ha elaborato il primo progetto di scultura pubblica per Bilbao. seguito da altri a Valencia con la “Dama de Eiche” – la cui prima versione installata a New York nel 2002 – a Madrid nel 2000 con “Menina” di 7 metri, pesante 11 tonnellate, e poi altre 20 oltre che in Spagna, anche in Germania, Hong Kong e Singapore; nel 2013 sono state esposte a New York nel Giardino Botanico 7 teste giganti, cinque anni prima l’altra opera fu installata a Central Park, per il resto collocate nelle rotonde ed in altri luoghi delle città .Le sculture esposte in mostra coprono un arco temporale di 35 anni, dal 1982 al 2017, all’agosto del 1983 con la nascita della figlio Regina l’interesse per la scultura si accresce, opera nei diversi materiali, morbidi come il legno e duri come bronzo e alluminio, un’evoluzione continua.
Nella 5^ tappa del nostro viaggio troviamo le Sculture in legno, un materiale che attirò l’artista sin dalla sua prima formazione, come racconta lui stesso: “Ricordo che quando ero studente avevo un maestro che realizzava immagini partendo da legni morbidi, come quello di pino. Ottimi per l’intaglio ma noiosi alla vista per la loro assenza di policromia”. Quest’ultima negli altri legni consente effetti tridimensionali come da intarsi, mentre il resto proviene dalla manualità dell’artista e dagli strumenti adoperati. Così “modella” il legno, con l’aggiunta di pezzi e della colla spalmata, come se lavorasse la creta.
Lo si vede nella grande “Libreria (4 mòdulos)” 1996 – lunga circa 3,50 m ed alta 2,50 m – dal legno variegato scuro, per la quale utilizza assi leggere che collega con chiodi di legno, nella sua perizia artigianale aggiunta alla creatività artistica. Il già citato “Lydia” 2006 è invece un monoblocco per nulla “asettico” ma “movimentato” da macchie e buchi, come piace all’artista. Percorso da tagli e fenditure “El Ciclista (Léger come pretexto)” 1986, ispirato a un quadro di Léger, non quello con un ciclista, ma il quadro con 4 ciclisti di cui uno disteso a terra con un ragazzino su una bicicletta, e il bambino al collo del ciclista al centro alto come al naturale.
Mentre in “Vasijas griegas madera” 1998 il legno dei vasi è liscio, ma con le macchie e i buchi prediletti, anche questa un’opera di dimensioni ragguardevoli, 2 m per 1,20, con circa 30 vasi nello scaffale di 4 piani. Il legno è molto più tormentato con tagli, macchie e fasce di diversa tonalità nei 2 “Reina Marianna”, del 1997 e 2001 di dimensioni più che naturali, sono alte m. 1,75-1,80 – è in “Menine” 2009, preceduti nel 1982 da un’altra “Reina Marianna” in blocchetti di legno e ferro; si ispirano al dipinto “La reina Marianna de Austria” di Velasquez del 1652. “Infanta Margarita” 1993, in tecnica mista su legno, si ispira a sua volta al dipinto di Velasquez con lo stesso soggetto dal vestito azzurro. Ispirata allo stesso artista “Dama a caballo” 2012 , riprodotta anche in bronzo, come vedremo di seguito.
Ritroviamo le forme arrotondate dell’ampia veste nelle Sculture in bronzo che, insieme a quelle in altri materiali come l’alabastro, l’alluminio e fili di ferro leggeri, sono la 6^ e ultima tappa del viaggio espositivo. Abbiamo 3 “Reina Mariana” di altezza crescente con il tempo, 33 cm nel 2003, 112 cm nel 2016, 172 cm nel 2019 in ben 10 esemplari, di cui l’artista dice: “Le volevo così, senza piedistallo, accessibili, prossime, come un esercito amichevole di Meninas”, chissà se ha pensato a emulare ironicamente l’Armata cinese e poi si è fermato….. Anche per l’”L’Infanta Margherita” ispirata al Velasquez di”Las Meninas” 1656, l’escalation dimensionale, dall’altezza di 70 cm nel 2000 ai 2 metri del 2005, una crescita molto rapida…
L’altro tema delle sculture in bronzo, e non solo, è quello con il quale, commenta de Baranano, “riconverte il ritratto equestre proposto da Donatello e Verrocchio nel Quattrocento”: il grande “Caballero” 2005 alto quasi 3 metri, reiterato nel 2012 in alluminio alto la metà; e soprattutto la “Dama a caballo” in cui è presente la corrispondenza con Velasquez, la cui struttura compositiva “nelle sue mani (e nel suo pensiero visivo) si trasforma… in scultura monumentale, in totem”. In questo caso il “Ritratto equestre di Isabella di Borbone” 1635, con la gualdrappa della cavallerizza che scende fino agli zoccoli del cavallo, ispira gli speciali “d’aprés” di Valdés: ce ne sono 2 sculture statuarie bronzee del 2012, dell’altezza di 1 metro, seguite da una in albastro del 2014, alta 1 m e 24 cm, e una in tecnica mista su cartone del 2017, alta 1 metro e mezzo, come quella in legno del 2012 già citata. Con la tecnica mista, nell’opera più recente, del 2017, crea una spessa superficie materica blu come se fosse scolpita.
Non solo Matisse e Velasquez e altri maestri, l’ispirazione di “Màcàra IV”2017, sempre in bronzo ma con l’aggiunta di cartoni da discarica, di tipo cubista, viene dall’arte africana per “il liberarsi dalla precisione figurativa e il porre un accento formale nel miscuglio delle tre dimensioni”, come osserva sempre de Baranano, e questo “accentuando gli aspetti formali e strutturali senza limitarsi all’imitazione materiale” che ha consentito agli africani di anticipare l’astrattismo; ma c’è anche l’arte orientale, in particolare indiana, ad ispirare Valdés, come in “Double retrato Al 1” 2017,una sorta di Giano bifronte con i due volti levigati e pensosi.
Ma la poliedricità dell’artista va ancora oltre, lo vediamo in due gruppi di opere molto diverse dalle precedenti e tra loro, sempre però di grandi dimensioni. Il primo comprende “Mariposas azales” 2016, in bronzo dipinto, un insolito copricapo floreale la cui idea nacque “un giorno, passeggiando in Central Park”, quando vide, lo ricorda lui stesso, “un gruppo di farfalle che era atterrato sopra a una scultura”; e l’analogo “Fiore I” 2017, in alabastro e alluminio, con i materiali, diversi dai soliti, “dominanti sul contenuto”. Sono alti da 86 cm a 1 m, e larghi tra 1,60 e oltre 2 m.
L’ultimo gruppo è ancora più insolito, i due “Alambres” I e II ” e “El dibujo como pretexto III” 2016, sono addirittura in filo di ferro, materiale che dà leggerezza e rende soprattutto “El dibujo” quasi etereo, fa ripensare alle opere aeree di Calder anche se questa, come le altre due, è a terra, tutte sono alte oltre m 1,20 . Che dire? Il pensiero va a Mondrian che raggiunse la “perfetta armonia” nella progressiva semplificazione verso l’astrazione geometrica, qui il passo è ancora più lungo, tanto più che alla pesantezza degli altri materiali si associa il gigantismo anche in pittura.
Il “segreto della ricerca” e il “mosaico di frammenti” di Valdés
L’ultima citata è quasi un’astrazione in scultura in cui sembra culminare l’itinerario artistico di Valdés nel senso delineato così dal curatore Simongini nelle sue conclusioni: “Il segreto della ricerca di Valdés sta nel culto della forma purificata di ogni utilità o convenienza, una meta-forma in metamorfosi che attraversa il tempo storico e poi ne esce per entrare nel tempo dell’arte”. Kosme de Buranano:lo vede come “un mosaico di centinaia di frammenti, un’immagine che emerge composta dall’accumulo di molte altre: sedimenti di tutte le civiltà e di tutte le epoche”. Per di più, “questo mosaico è realizzato da Valdés con la tecnica del nostro tempo: il gesto materico, la sovversione dell’ironia, il riconoscimento della Storia”. Tutto nel grande artista che ci è stato presentato meritoriamente in questa mostra prestigiosa, che ha elevato lo spirito oltre la pandemia.
Info
Museo di Palazzo Cipolla, via del Corso 320, Roma. Dal lunedì al venerdì, ore 10-20 (la biglietteria chiude un’ora prima) sabato e domenica chiuso. Ingresso euro 6,00, ridotti euro 3,00 (under 26 e over 65 anni, studenti, forze dell’ordine, giornalisti, apposite convenzioni), gratuito under 6 anni e diversamente abili acompagnati. Tel. 06.9762559 fondazione@fondazioneterzopilastrointernazionale.it Catalogo “Manolo Valdés. Le forme del tempo”, a cura di Gabriele Simongini, Manfredi Edizioni, ottobre 2020, pp. 192, formato 24 x 29, bilingue italiano-inglese; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito ieri 17 aprile 2021. Per gli artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: in questo sito, Adami 1°, 2 gennaio 2021, Raffaello 28, 29, 30 agosto 2020, Ribera 16 giugno 2020 in “Nuovo allestimento ‘600 Palazzo Barberini”; in www.arteculturaoggi.com, Ribera 30 maggio, 7 giugno 2017 in “Collezioni dei reali di Spagna”, Matisse 23, 26 maggio 2015, Manet in “D’Orsay” 12 gennaio 2016 e in “Impressionisti e moderni” 11 maggio 2014, Cubisti 16 maggio 2013, Tiziano 10, 15 maggio 2013, Pop Art in Guggenheim 22, 29 novembre, 11 dicembre 2012, Mondrian 13, 18 novembre 2012; in cultura.inabruzzo.it, Arte africana 15, 17 gennaio 2010 ( quest’ultimo sito non è più raggiungibile, gli articoli, che sono a disposizione, saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini, tutte delle opere di Valdés a parte quella di chiusura con l’artista fotografato nel suo atelier, sono tratte dal Catalogo, si ringrazia l’Editore con i titolari dei diritti nonché la Fondazione Terzo Pilastro Internazionale che lo ha cortesemente fornito. E’ inserita una selezione di 25 opere delle 6 tappe della galleria espositiva, tutte citate nel presente articolo, come sono citate le altre 25 opere delle stesse tappe, inserite nel 1° articolo di inquadramento generale. In apertura, Manolo Valdés, “La Danza” 1988; seguono, “Zurbaràn come pretexto” 1988, e “Perfil con imàgenes de Sonia Delanany I” 1997; poi, “Retrato sobre fondo verde y beige” 2007, e “Retrato de una dama” 2014; quindi, “Perfil de dama con marco” 2012, e “Vivianne III” 2005; inoltre, “Odalisca sobre fondo royo” 2016, e ”Matisse como pretexto Lydia” 1999; ancora, “Desnudo I” 2010 , e “El frasco de perfume” 1992; continua, “Reloj II” 1998, e “White diamond” 2007; prosegue, “Vasija II” 2006, e “Libreria (4 mòdulos)” 1996; poi, “El Ciclista (Léger come pretexto)” 1986, e “Menine” 2009; quindi, “Dama a caballo” 2012 legno, e “Reina Mariana” 2019; inoltre “Dama a caballo” 2012 bronzo, e “Caballero” 2012; ancora, “Double retrato Al 1” 2017, e “Fiore I” 2017; infine, “Alambres I ” e “El dibujo como pretexto III” , 2016; in chiusura, Manolo Valdès da visitatore nel suo atelier.