di Romano Maria Levante
E’ inconsueto dedicare un articolo a una persona, ma in questo caso è qualcosa di più: si tratta di un’identificazione. Nell’ultimo anno ha provato le inenarrabili sofferenze di Frida Kahlo, con gli insopportabili dolori alla schiena, dopo aver subito anche la gabbia del busto rigido toracico per una frattura a una vertebra con relativo intervento; poi l’emorragia massiva allo stomaco, fino alla positività al Covid nella clinica post-acuzie con il lieto fine della provvidenziale correzione in negativa dell’analisi nella verifica all’ingresso di un reparto Covid: cinque mesi in sei ospedali più una terapia intensiva, inframmezzati da due ritorni a casa tra tante sofferenze. In queste parentesi, anch’esse non certo liete, lei della sua eroina ha di nuovo visto i film in Tv sulla sua vita, riletto i cataloghi, finché è giunto il catalogo della mostra di Sansepolcro che ha guardato con grande interesse proprio mentre ne ripercorreva la vita. Ho scritto la recensione col cuore in gola nella settimna di passione dal 20 agosto scorso per un imprevedibile repentino precipitare della situazione. Per questo intendo aprire il ricordo di Frida Kahlo con il quadro “Le due Fride”, opera dall’artista nel 1939, del quale viene presentata la copia realizzata in segno di omaggio dal pittore cinese Xu De Qi: in una delle “due Fride” vedo la persona che l’ha tanto amata e ha provato in questi mesi le sue sofferenze mentre continuava a interessarsi alla sua eroina, una persona raffinata e sensibile che ha fatto della passione per l’arte e la cultura l’alimento della propria vita, insieme alla vicinanza agli ultimi, che ha aiutato come ha potuto con il suo spirito caritatevole. E’ finalmente tornata a casa, nella sua Itaca, dopo l’inenarrabile odissea, superando mille avversità. Ho atteso questo momento felice e festoso per pubblicare l’articolo scritto nel momento più infelice e angoscioso della rianimazione. E anche a lei rivolgo le parole per Frda Kahlo con cui concludo l’articolo, “non la dimenticheremo”, “non dimenticherò”: non dimenticherò come hai lottato, la dedica di questo articolo è nulla rispetto a quanto meriti per la tua forza d’animo e il tuo coraggio, sorretta dall’amore per la cultura, mia carissima Rosemary,
Al Museo civico di Sansapolcro, Arezzo, dal 16 maggio al 13 ottobre 2021 la mostra “Frida Kahlo. Una vita per immagini” presenta un centinaio di fotografie, la maggior parte originali, dell’artista messicana, ripresa soprattutto da sola con i pittoreschi abiti del suo paese, in alcune immagini con il celebre creatore di “murales” Diego Rivera, che sposò, e anche altri, per lo più in posa ricercata a marcare la propria immagine di vita, più che la propria caratura di artista, anche per questo divenuta icona femminile inquieta e ammirata su scala mondiale. Promossa dal Comune di Sansepolcro, sindaco Mauro Cornioli, in collaborazione con Civita Mostre e Musei, presidente Alberto Rossetti, e con Diffusione Italia International Group, a cura di Vincenzo Sanfo, presidente del Centro Italiano per le Arti e la Culttra, ha curato anche l’analoga mostra nel 2018 a Noto in Sicilia e nel 2014 a Barolo in Piemonte, portando le immagini della Kahlo in piccoli ma qualificati centri, come ora Sansepolcro. Catalogo Papino Art, bilingue italiano-inglese, a cura di Vincenzo Sanfo.
“Delicato e martoriato il corpo, fiero ed impetuoso lo spirito, una grande artista ed una grande donna, questo e molto altro è stata Frida Kahlo”, così si apre la presentazione di Alberto Rossetti, presidente di Civita Mostre Musei. “Frida Kahlo non è solo un’artista, è ormai una sorta di leggenda, che ha travalicato la storia dell’arte per entrare nel mito”, commenta il curatore grande conoscitore della Kahlo Vincenzo Sanfo e aggiunge: “Un mito che si alimenta di un’aura misteriosa e terrifica nelle sue vicende umane che sono, in fondo, la parte più importante di un percorso che attraversa è vero anche l’arte, ma che non ne costituisce l’aspetto principale”. E il sindaco Alberto Rossetti: “Questa mostra intende ripercorrere la sua vicenda biografica grazie alla straordinaria opportunità di compiere il viaggio con l’obiettivo di grandi fotografi, con alcuni dei quali Frida ha avuto anche un rapporto sentimentale, da inquadrare nel rapporto turbolento con Diego Rivera, fatto di passioni e di reciproci tradimenti”.
Così ci sembra di aver inquadrato a nostra volta la mostra che, partendo dalle immagini di vita, suscita un vivo interesse ad approfondire i motivi della sua esistenza che ne hanno fatto un’icona mondiale. Abbiamo parlato della sua arte in tre articoli di commento alla mostra romana nel 2014 alle Scuderie del Quirinale, nella quale i suoi dipinti mostravano la traduzione a livello pittorico dei motivi esistenziali alcuni dei quali, particolarmente significativi, troviamo evoati nelle fotografie esposte in mostra; quindi non torniamo su quei temi, anche se faremo un breve excursus sui suoi dipinti e anche disegni maggiormente collegati alle vicende della sua vita.
La sua formazione
Prima di focalizzare i principali morivi che ne caratterizzano il percorso di vita, qualche accenno alla sua formazione scolastica e del carattere, come premessa di un’esistenza movimentata, dalle sofferenze per la salute minata da infortuni e malattie, all’impegno politico militante anch’esso agitato, agli amori nei quali pure si alternano gioie e dolori, con attaccamento e allontanamento dall’uomo della sua vita.
La formazione del carattere l’ha avuta nella scuola tedesca che l’ha forgiata dandole una evidente resistenza ai colpi che subirà nella sua vita; e non è stata singolare tale scelta del padre per una nata nel 1907 nei sobborghi di Città del Messico, trattandosi di Wilhelm Kahlo, tedesco proveniente da Baden Baden, che con l’aiuto del proprio padre si era affermato come fotografo americanizzando il nome in Guillermo. Da lui Frida deve aver colto anche la predilezione per certe pose plastiche, quasi scultoree, sia quando viene ripresa da celebri fotografi, come si vede in mostra, sia quando dipinge gli Autoritratti. Frida è la 3^ figlia delle 4 avute da Guillermo dalla seconda moglie Matilde Calderòn y Gonzales – le altre sono Matilde, Adiana e Cristina – mentre la prima moglie, Maria Cardena, era morta dando alla luce la 2^ figlia Margarita dopo Maria Luisa.
Nella formazione scolastica superiore un’altra particolarità: nel 1922 viene ammessa alla prestigiosa scuola che immette all’università, la “Preparatoria”, su 2000 studenti è una delle 35 ragazze che ha come compagni i rampolli più brillanti della borghesia messicana, come i Cachucas, con i quali si intende meglio degli altri. Non si impegna molto nello studio, ma i suoi interessi culturali e le sue qualità intellettuali le fanno avere ugualmente buoni risultati scolastici. Nella “Preparatoria”, nello stesso 1922, l’incontro per lei decisivo.
La sua ricerca dell’amore
Da questo incontro prendiamo l’avvio per entrare nel suo percorso di vita, passando dalla iniziale formazione all’esistenza, con i suoi amori, soprattutto il suo grande amore: Diego Rivera, il celebre creatore di “murales” il quale, incaricato di affrescare le pareti della “Preparatoria”, suscitò il suo interesse, immediatamente ricambiato. Scrive Rivera nella sua Autobiografia che lei, quindicenne, gli chiese: “Le do fastidio se la guardo lavorare?”, e lui, 36 enne, le rispose: “No, signorina, ne sarei incantato”, e lo fu veramente, tanto che la descrive così: “Aveva dignità e una sicurezza di sé del tutto insolite per una ragazza della sua età e negli occhi le brillava una strana luce”, e aggiunge: “La sua era una bellezza infantile eppure aveva seni ben sviluppati”.
Questa prima scintilla non ha un seguito immediato, ma accende il fuoco dell’amore nel secondo incontro con Rivera sei anni dopo nella sede del Partito comunista al quale lei si iscrive nel 1928 come tanti intellettuali tra cui il pittore di “murales”. Si sposano l’anno successivo, il 21 agosto 1929. Lo segue nel 1933 a New York dove lui è chiamato per realizzare delle opere e per esporre al MoMA, ma dopo che nel 1934 lui ha una relazione con la sua sorella minore Cristina Kahlo, nel 1935 se ne separa e lascia la “Casa Azul”, la sua “casa blu” a Coyoacàn, per vivere da sola. Però non riesce a dimenticarlo, neppure aiutata da una relazione con lo scultore nippo-americano, perché nel 1936 torna a vivere con lui nella “Casa Azul”.
L’anno successivo vi ospitano Leon Trotsky e la moglie Natalia Sedava, esuli dalla Russia dove il grande rivoluzionario sovietico è caduto in disgrazia con Stalin; è il 1937, arrivano anche André Breton e la moglie, Jacqueline Lambda, fanno un viaggio nel Messico insieme, sembra che ci sia stata una relazione tra Frida e Trotsky. Ma il 21 agosto 1940 il rivoluzionario, che continuava a disturbare Stalin con il suo impegno politico pubblico, é assassinato nella abitazione da Ramon Mercader, che si era guadagnata la fiducia dell’entourage e di Trosky per entrare nella residenza superblindata e colpirlo a morte sulla fronte con una piccozza. In questo 1940, dal riavvicinamento e la riconciliazione con Rivera arriva a un nuovo matrimonio con lui l’’8 dicembre, tornano a vivere nella “casa blu” di Coyoacàn. Una vita sentimentale movimentata la sua, non mancano gli amori con grandi fotografi, come Nicholas Muray di cui sono esposte le fotografie fatte a lei.
La sua milizia politica
Intrecciato al rapporto di una vita con Diego Rivera, l’impegno politico di Frida, da sola o con lui. Nel 1928, con l’iscrizione al Partito comunista – di cui faceva parte l’artista dei “murales” insieme al gruppo di intellettuali intorno a Tina Modotti, e Julio Antonio Mellas – l’incontro decisivo dopo la prima “scintilla” alla “Preparatoria” sei anni prima , come sopra ricordato. Rivera la raffigura nell’affresco “La ballata della rivoluzione” come eroina-simbolo mentre dà le armi ai combattenti con una stella sulla camicia rossa. Nell’agosto 1929 si sposano, lui ha ricevuto incarichi pubblici, tra cui dipinti per il Palacio National di Città del Messico, per la Secretaria de Salud e per il Palacio de Cortés a Cuernavaca, e a settembre viene espulso dal Partito comunista mssicano con l’accusa di essere vicino al governo che aveva messo fuori legge il partito. Successivamente anche lei ne uscirà, mentre nasce il Partito nazionale rivoluzionario, fondato da Calles.
La troviamo impegnata nel 1936 a sostenere la riforma agraria in Messico con l’esproprio dei latifondi, la distribuzione delle terre ai contadini e la nazionalizzazione di importanti settori economici. Viene posta sotto stretta sorveglianza dalla polizia nel 1940 perché conosceva l’assassino di Trosky, va a curarsi negli Stati Uniti, a San Francisco. Si avvicina di nuovo al Partito comunista, da cui era uscita, nel 1941 quando i tedeschi invadono la Russia e Stalin si oppone fortemente a Hitler; fino a iscriversi di nuovo nel 1948.
Intanto, nel 1947, per le grandi riforme e la modifica della Costituzione messicana, Rivera con altri fonda la Commissione per la pittura murale dell’Instituto Nacional de Bellas Artes, e nei suoi murales rappresenta Frida come vestale e madre protettiva: nel murale “Sogno di un domenica pomeriggio nel parco Alameda” la raffigura dietro di lui mentre gli appoggia la mano sulla spalla e tiene nell’altra mano il simbolo Yin-Yang.”
Nel 1952 organizza una raccolta di firme a sostegno del Congresso internazionale della pace contro gli esperimenti atomici. Rivera inserisce la sua immagine nel murale realizzato quell’anno, “L’incubo della guerra e il sogno della pace”. L’impegno e la militanza politica crescono negli ultimi anni, con vera devozione per il Partito nonostante i contrasti del passato, lei vede nell’ideologia comunista una spinta positiva per il futuro dell’umanità, e afferma: “Capisco il materialismo dialettico di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao Tse Tung. Li amo perché sono i pilastri del nuovo mondo comunista”.
Per l’ammirazione che aveva di lui, la morte di Stalin il 4 marzo 1953 è un brutto colpo al suo equilibrio già instabile per le troppe sofferenze che dal corpo si sono trasferite allo spirito, non pitture ma disegni allucinati. All’inizio del 1954 partecipa persino a una dimostrazione di solidarietà contro la destituzione del presidente del Guatemala Arbenz Guzmàn, mentre è ancora convalescente dopo una broncopolmonite. E’ l’ultima sua iniziativa politica, muore il 13 luglio di tale anno nella “Casa Azul” di Coyoàcan, a soli 47 anni.
Al Palazzo delle Belle Arti si svolge la veglia funebre con un picchetto d’onore e l’omaggio di amici e compagni che sfilano senza interruzione davanti alla bara coperta da una bandiera rossa con falce e martello all’interno di una stella bianca. Le ceneri sono conservate in un vaso precolombiano nella sua “Casa Azul”, che dal 1958 è un museo pubblico a lei dedicato.
La sua salute martoriata
La broncopolmonite del 1954 è l’ultimo momento, prima della morte, di un calvario iniziato nel 1913, a sei anni di età, con una poliomielite che la tenne per nove mesi a letto e le offese una gamba rendendola claudicante, i compagni di classe la soprannominarono “Frida pata de palo”, cioè “gamba di legno”.
Ma l’evento traumatico che incise profondamente non solo sul suo fisico ma anche sulla sua psiche, lo ebbe il 17 settembre 1925, a 18 anni, quando fu coinvolta in un grave incidente sull’autobus in cui si trovava, investito da un tram, ci furono diversi morti. Lei lo ha descritto così: “In quel momento non mi resi conto dello shock, non riuscii nemmeno a piangere, l’urto ci catapultò tutti in avanti e un corrimano mi trafisse la schiena allo stesso modo che una spada trafigge il toro”. Una lunga e dolorosa convalescenza la sua, durante la quale comincia a dipingere, iniziando la serie degli “Autoritratti”.
Anche i momenti felici dell’unione con Rivera – alternati a crisi e abbandoni reciproci – non vengono risparmiati dai suoi problemi fisici. Nel 1930 prima interruzione di gravidanza per postura scorretta delle ossa del bacino, è l’anno del loro trasferimento a New York, seguita da un’altra interruzione nel 1932 a Detroit nell’Ospedale Henry Ford, cui dedica un dipinto. Si sfoga così: “Nonostante tutto ho voglia di fare molte cose e non mi sento ‘delusa dalla vita’ come nei romanzi russi”. Terza interruzione di gravidanza nel 1934 con ulteriori complicazioni per la sua salute, e problemi personali: la relazione di Rivera con la propria sorella alla quale seguirà la separazione l’anno successivo, dopo la morte della madre nel settembre dell’anno precedente.
Nel 1940 va di nuovo negli Stati Uniti, a San Francisco, per curarsi, lo prescrive il suo medico dott. Eloesser, ha una compensazione nel riconciliarsi con Rivera, ma l’anno successivo la morte del padre le arreca un nuovo dolore. Le sue condizioni di salute restano precarie al punto che è costretta a tenere le lezioni della Scuola d’arte di cui ha avuto l’insegnamento non nella sede scolastica ma nella “Casa Azul”: un insegnamento innovativo il suo, non solo la parte tecnica ma lo stimolo alla creatività con autodisciplina unita ad autocritica, e dimostra l’una e l’altra impegnandosi nella pittura e nell’attività politica.
Operazione chirurgica alla colonna vertebrale nel 1946, ma ancora una compensazione nel Premio nazionale di pittura che le viene conferito, partecipa alla premiazione con il corpo bloccato da un busto insopportabile. “Peggioro ogni giorno di più – si legge nella sua lettera del 24 giugno al dott. Eloesser – all’inizio non riuscivo ad abituarmi perché è una cosa infernale adattarsi a questo apparecchio. Non riuscivo più a lavorare, perché anche i movimenti più insignificanti mi stremavano”. Segue un nuovo intervento chirurgico alla colonna vertebrale, prende morfina per i dolori, le dà allucinazioni, ma continua a dipingere anche quando non può muoversi con opere che riflettono la sua sofferenza; continuerà con la morfina anche dopo.
Ricoverata in ospedale per quasi 9 mesi nel 1940, subisce diversi interventi chirurgici ma non lascia la pittura: dopo il 6° intervento, dei 7 subiti, ricomincia a dipingere per 4-5 ore, anche quadri sereni pur in una situazione di sofferenza: “Ho un busto di gesso che mi procura dei fastidi spaventosi, ma aiuta la mia spina dorsale a stare meglio, non ho dolori, ma sento una grande stanchezza e disperazione” scrive, aggiungendo: “E’ un disperazione che non riesco a descrivere con le parole, ma nonostante tutto ho una grande voglia di vivere”. E di dedicarsi alla pittura: “Ho ricominciato a dipingere un piccolo quadro per il dottor Ferilli, e lo sto facendo con tutto l’affetto che provo per lui”. L’anno successivo può dipingere soltanto aiutandosi con antidolorifici e il suo tratto pittorico ne risente, colori più carichi, segno sfuggevole, minori dettagli.
Nel 1953, pur immobilizzata a letto, non vuole mancare all’inaugurazione della sua prima grande personale in Messico, organizzata da Lola Alvares Bravo, e si fa trasportare in barella fino a un letto in galleria, esiste solo una fotografia di lei in costume messicano con gioielli tipici circondata da amici, perché i fotografi commossi lasciano le fotocamere a terra e non hanno il coraggio di riprenderla così. Si aggrava il calvario, nel mese di agosto le viene amputata la gamba destra dopo dolori insopportabili, riesce a rimettersi in piedi con una protesi, ma la psiche vacilla: “Ho sempre il desiderio di uccidermi, solo Diego mi trattiene dal farlo. Mi sono messa in testa che potrei mancargli, me l’ha detto lui e gli credo. Ma mai nella mia vita ho sofferto così tanto”. Però non manca il finale meno disperato: “Aspetterò ancora un po’”. Infatti è capace ancora di dipingere.
La sua arte
La sua arte non è oggetto della mostra che vuole evocare la sua vita con le immagini fotografiche, ma non possiamo mancare di citare alcune opere che segnano i diversi momenti della sua esistenza, tra l’impegno politico e i problemi di salute.
Nel 1926, dopo il terribile incidente nell’autobus del settembre 1925, il suo primo quadro, un “Autoritratto” in vestito di velluto. Dopo la seconda interruzione di gravidanza in America del 1932 il ben noto dipinto ”Ospedale Henry Ford”. Anche le traversie sentimentali le esprime in pittura, dopo la prima separazione da Rivera del 1935 crea l’inquieto, definito “cruento”, “Qualche piccola punzecchiatura“.
Grande successo in America nel 1938, con la prima personale alla Julien Levy Gallery di New York, vende quasi tutte le opere esposte e riceve commissioni, Clare Boothe Luce addirittura vuole che ricordi con un dipinto l’attrice amica Dorothy Hale, suicidatasi. Nel 1939, dopo la seconda separazione da Rivera, opere tormentate, “Le due Frida” e “L’Autoritratto con i capelli tagliati”, l’anno dopo risposerà Diego.
Intanto nel 1939 espone a Parigi alla Gallerie Renou et Colle, dopo i contatti con i Surrealisti anche tramite l’amico Marcel Duchamp, e il Louvre acquista il suo dipinto “La cornice”. Un’opera del 1941 marca due momenti angosciosi, l’invasione tedesca della Russia e la morte del padre: in ”Autoritratto con Bonito” si ritrae in camicia nera in segno di lutto per il padre e le vittime della guerra, la scimmia Bonito sulla sua spalla evoca la perdita dell’animale cui era legata.
Nel 1946 l’opera freudiana “Mosè”, che riceve il Premio internazionale di pittura, esprime la sua reazione alle atomiche su Hiroshima e Nagasaki con un terzo occhio sulla fronte del piccolo salvato dalle acque, il segno di una saggezza probabilmente da recuperare. Realizza opere che riflettono i suoi travagli personali, in “La colonna rotta” il tormento del busto rigido, ma anche “Albero della speranza mantieniti saldo”, e “Il cerbiatto” o “Il cervo ferito”. E dopo la nuova operazione chirurgica alla colonna vertebrale a New York crea l’opera “Il sole e la vita” con una pianta i cui pistilli sono a forma di lacrime, dov’è un feto tra organi genitali: segno della maternità interrotta.
Esorcizza le sue sofferenze in alcune opere del 1948 e 1949, come “L’amoroso abbraccio dell’Universo. La terra”, il suo Messico del quale figurano elementi mitologici tradizionali, come il sole e la luna, il giorno e la notte, la dea e la terra, e un cane mitico come simbolo della vita e della morte. Nell’ autoritratto “Diego e io”, c’è il simbolo della saggezza nell’occhio di Rivera sulla sua fronte, e l’angoscia nella tristezza del proprio volto e nei capelli che sembrano volerle stringere il collo per soffocarla.
Si è alla metà del secolo, nel 1950 dopo i numerosi interventi alla spina dorsale dipinge l’”Autoritratto con il ritratto del dottor Farill”, che l’aveva curata in ospedale, e scrive: ”Ho ricominciato a dipingere un piccolo quadro per il dottor Farill, e lo sto facendo con tutto l’affetto che provo per lui”. Riprende anche un quadro abbandonato da anni, “La mia famiglia”, con gli antenati e suoi attuali parenti, quasi per cercare una protezione nella sua situazione angosciosa.
Nel 1951, quando riesce a dipingere solo aiutandosi con antidolorifici, realizza la “Natura morta con ‘Viva la vita e il dottor Farill’”, fiori esotici su sfondo rosso dinanzi a un cielo diviso tra giorno e notte, una anguria con la bandiera nazionale espressione del suo patriottismo, con davanti una colomba bianca che esprime il suo anelito alla pace; in “Angurie”, dipinto da Guttuso nel 1986 poco prima della morte avvenuta il 18 gennaio 1987, troviamo lo stesso frutto come inno alla vita, chissà se anche in lei dolorante abbia avuto tale significato! Non mancano neppure espressioni dell impegno politico diretto: “Il marximo guarirà gli infermi”, addirittura un “Autoritratto con Stalin” e un “”Ritratto di Stalin” rimasto incompiuto. E alla morte di Stalin nel 1953 disegni allucinati con lei divisa in due tra luce e ombra o con in mano la colomba della pace, la testa tra linee come lance. In altri disegni ricorrono scritte inneggianti alla pace rivoluzionaria e ai leader del comunismo da lei ammirati: “Pace, rivoluzione”, “Viva Stalin, viva Diego”, “Engels, Marx, Stalin, Lenin, Mao”.
L’ultimo quadro che vogliamo citare è del 1954, l’anno in cui termina la sua vita, dipinto con grandi sforzi:“Autoritratto con Diego sul petto e Maria tra le sopracciglia”, il segno è fuggevole per l’incertezza impressa dai farmaci e dalle droghe. Sempre una grande artista che mette tutta se stessa nella pittura.
La sua immagine
Non potevano esserci queste opere pittoriche nel centinaio di immagini della mostra fotografica, di cui una sessantina riprodotte nel Catalogo, ma è come se fossero evocate dalle foto del suo itinerario di vita, e sono evocati altrettanto i suoi amori, i suoi impegni politici, i suoi problemi di salute, per questo abbiamo voluto farne un’ampia ricostruzione. Quelle esposte in mostra sono immagini serene, la maggior parte delle quali nel costume messicano in tutta la sua forza identitaria, con lei in atteggiamenti che sono quasi pose in cui ostenta sicurezza di sé, in alcune fierezza, in altre dolcezza; le sue sopracciglia non sono unite come nei suoi Autoritratti in cui ha accentuato la loro vicinanza facendone un segno distintivo, per non dire trasgressivo.
Tra quelle del Catalogo, soltanto in poche fotografie è ripresa in gruppi: dal padre Guillermo Kahlo nel 1928 in un ritratto di famiglia con sei parenti; da Bettmann/CORBIS nel 1933 con Diego Rivera e altri tre visitatori in smoking a New York a una mostra di ritratti di Lionel Reiss, nel 1937 mentre l’8 gennaio accoglie Trotsky con la moglie al loro arrivo in Messico a Tampico, con Schachtman, leader del Comitato Comunista Americano insieme a un quindicina di persone, e a Città del Messico lo stesso giorno solo con Schachman, nel 1944 semidistesa sul letto con la testa eretta, sul bordo un uomo che dorme, sono estranei e distaccati, completamente vestiti, è un’immagine ironica; da Lola Alvarez Bravo nel 1940 davanti a due quadri mentre si rivolge a un giovane visitatore; da Leo Matiz in 3 immagini, 2 del 1941, di cui una con Rosa e Cristina, l’altra con Diego, Cristina e Miguel Covarrubias, una del 1943 con un venditore di tessuti; fino alla fotografia di Gisele Freund del 1951, insieme al dottor Farill e il quadro in cui lo ritrae con lei.
Le altre fotografie in cui non è sola la mostrano con Diego Rivera, sono una diecina. Vengono ritratti insieme da Victor Reyes nel 1929 dopo il matrimonio, lui corpulento in piedi, lei sottile seduta, sembrano proprio ’”l’elefante e la colomba”, come sono stati chiamati; da Manuel Alvarez Bravo nel 1930 seduti su due poltrone affiancate, lui tende la destra verso il braccio di lei, e nel 1939, lei seduta su una poltrona e lui sul bracciolo che le cinge le spalle con il braccio sinistro; da Bernard Silberstein nel 1934 seduti affiancati in posa rilassata, nello studio di Diego, nel 1940 mentre dipinge il suo “Autoritratto” con Rivera in piedi alle sue spalle che la guarda, e il giorno delle loro seconde nozze, mentre lei tiene la mano destra sulla spalla di lui che scrive, sono seduti affiancati su un divano; Emmy Lou Packard li ritrae nel 1941 a “Casa Azul” con lui seduto davanti a una tavola imbandita e lei in piedi che gli bacia amorevolmente la testa; citiamo qui, per vicinanza ideale, l’unica fotografia scattata da Diego Rivera, forse lo stesso giorno, in cui Emmy Lou le cinge le spalle con un braccio mentre sono seduti nel giardino della casa.
Ed ora le immagini in cui è sola, nel Catalogo sono circa 40, una metà a mezzo busto, una diecina a figura intera, altre davanti a dei quadri. La vediamo mentre dipinge “Le due Fride” nella foto di Nickolas Murray del 1938, e nel dipingere “La tavola ferita” ripresa nel 1940 da Bernard Silbrstein che la fotografa anche davanti a una grande vetrina con oggetti e pupazzi di Giuda; nel suo studio con le attrezzature per la pittura e “Le due Fride” nella parete di fondo, ripresa da Fritz Henle, vi associamo 2 foto, entrambe a figura intera, di Manuel Alvarez Bravo del 1944 alla mostra di Picasso dinanzi a due quadri dell’artista, lei è in piedi davanti al quadro di una figura femminile e seduta comodamente davanti a una figura in posa acrobatica, ironia forse?
Le foto a mezzo busto iniziano con quella scattata nel 1926 dal padre Guillermo Kahlo, che la ritrae altre due volte, la prima vestita in nero, la seconda in chiaro, dopo la morte della madre nel 1932, anno in cui abbiamo anche una foto di Carl Van Vechten a New York con un vaso caratteristico sulla testa; del 1930, 2 foto a San Francisco, una di Imogen Cunningham con un semplice scialle scuro, l’altra di Edward Weston agghindata con al collo tre giri di una collana molto grossa, mentre a è del 1933 la foto di Lucienne Bloch che la ritrae a New York mentre morde una collanina chiara, e le 2 della stessa fotografa, del 1935, con una bottiglia di Cinzano e un centrino in testa; compunte le 2 ’immagini del 1937 di Fritz Hehle, che la riprende all’uscita dalla chiesa, in figura intera e in un primo piano del volto con lo scialle che le copre i capelli, dolcissima quella del 1938 mentre accarezza la sua capretta Granizo, di Nickolas Muray, che la ritrae nello stesso anno in una posa seducente; la capretta è con lei anche nella foto del 1940 di Bernard Silberstein che la mostra seduta in camera da letto con dietro il letto a baldacchino, mentre nel 1941 la riprende da vicino con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo verso sinistra, e non frontale come di solito; nello stesso anno Florence Arquin immortala il corsetto di gesso da lei indossato con una vistosa falce e martello.
Del 1941 anche 4 foto di Leo Matiz, le più distensive perché la vedono sdraiata al sole su un prato con le braccia dietro la testa, l’ultima a figura intera. Dopo la foto davanti al suo studio con in braccio una scimmia – che troviamo anche nei suoi dipinti – di Fritz Henle nel 1943, la vediamo con le trecce annodate sulla testa appoggiata al bracco sinistro e lo sguardo verso destra nella foto del 1944 di Bettmann/CORBIS, altrettanto serena, come nella foto di profilo di Sylvia Salmi dello stesso anno e in quella del 1945 di Lola Alvares Bravo, un’altra in camera da letto, mentre nel 1946 Leo Matiz la riprende severa come una figura statuaria in un’immagine potente per il controluce e il taglio obliquo. Nel 1949, 2 foto molto diverse: seduta nello studio con gli scaffali di libri e il telefono a muro nella foto serena di Mario Guzman; distesa mentre gioca con il suo cane, nella foto tenera di Hector Garcia, che l’anno dopo, nel 1950, la ritrae invece scura nell’abito e nel viso.
Le altre fotografie a figura intera oltre quelle già citate, la mostrano in pittoreschi abiti del suo Messico, così la riprende Manuel Alvarez Bravo nel 1938 con a lato il globo, così Leo Matiz nel 1941 e nel 1943 e Juan Guzman nel 1950 con due colombe.
Concludiamo la galleria con due immagini simboliche, quella del 1950 di Juan Guzman distesa nel letto d’ospedale, ma non con le impressionanti allucinazioni di certi suoi dipinti e disegni, bensì con in mano uno specchio, simbolico omaggio alla femminilità, e quella del 1954 di Lola Alvarez Bravo nel letto di morte: chiudono un percorso evocativo quanto mai espressivo ed emozionante.
Ma non vogliamo terminare con immagini angosciose, bensì con le sue belle parole dopo la grande personale in Messico del 1953 alla quale si fece portare in barella nel letto in galleria contro il parere dei medici: “C’era tanta gente al vernissage e tante congratulazioni da tutti per la ‘chicua’, tra le altre un grande abbraccio da Juan Mirò e tante lodi per i miei quadri da Kandiskij, congratulazioni anche da Picasso e Tanguy, da Paalen e dagli altri gran caca del surrealismo. Insomma, posso dire che è stato un successo e, tenendo conto della qualità del pubblico, credo che tutto sia andato piuttosto bene. La vostra ‘chica’ che non vi scorda mai. Frida”.
E nemmeno noi potremmo mai dimenticarla.
Info
San Sepolcro, Arezzo, Museo Civico, via Niccolò Aggiunti 65. Orario giovedì-domenica, 10-13,30 e 14,30-19, biglietteria aperta fino a 20 minuti prima della chiusura quotidiana. Ingresso, intero euro 12; ridotti: 9 euro per gruppi oltre 10 persone, per età 19-25 anni; 5 euro per età 11-18 anni; gratis per under 10, disabili con accompagnatore, e altre categorie. Info e prenotazioni Tel. 0575.732218, mostrasansepolcro@gmail.com. Catalogo “Frida Kahlo. Una vita per immagini”, Papiro Art, aprile 2021, pp.48, formato 17 x 24, bilingue italiano-inglese, dal Catalogo sono tratte le citazioni e le notizie del testo. Cfr. in www.arteculturaoggi.com i nostri articoli: per la mostra romana delle opere di Frida Kahlo alle Scuderie del Quirinale, l 2 marzo, 12, 16 aprile 2014; per gli artisti citati nel testo, Picasso, 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Duchamp 16 gennaio 2014, Guttuso 20, 30 gennaio 2013, 25, 30 gennaio 2015, 27 settembre, 2, 4 ottobre 2016, 16 ottobre 2017, Mirò 15 ottobre 2012; in cultura.inabruzzo.it, Dada e surrealisti 4, 7 gennaio 2010, Picasso 4 febbraio 2009 (quest’ultimo sito non è più raggiungibile, gli articoli, disponibili, saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini delle fotografie esposte in mostra, che sono nserite nel testo in ordine cronologico e coprono un quarto di secolo dal 1926 al 1950, sono tratte dal Catalogo: si ringrazia l’Editore con i titolari dei diritti e Civita Mostre Musei che lo ha cortesemente fornito, per l’opportunità offerta. In apertura,“Le due Frida” 1939, nella copia-omaggio del pittore cinese Nu De Qi; seguono, “Frida Kahlo a diciotto anni” Messico 1926 di Guillermo Kahlo, e “Diego Rivera e la sua sposa” Messico 1929 di Victor Reyes; poi, “Frida Kahlo” San Francisco 1930 di Edward Weston, e “Frida Kahlo e Diego Rivera” 1930 di Manuel Alvarez Bravo; quindi, “Frida conVaso Tehantepec sulla testa” New York City 1932 di Carl Van Vechten, e “Frida” Messico 1932 di Guillermo Kahlo; inoltre, “Frida morde la sua collana” New York City 1933 di Lucienen Bloch, e “Frida Kahlo e Diego Rivera nello studio di Diego” Messico 1934 di Bernard Silberstein; ancora, “Frida Kahlo all’uscita dalla chiesa” Coyoacàn Messico 1937 di Fritz Herle, e “L’arrivo di Trotsky in Messico, accolto con la moglie da Frida Kahlo e Schachtman, leader del Comitato Comunista Americano” Tampico Messico 1937 Bettmann/CORBIS; continua, “Frida con il globo” Coyoacàn Messico 1938 di Manuel Alvarez Bravo, e “Frida e Diego con la maschera antigas” Messico circa1938 di Nickolas Muray; prosegue, “Frida con Granizo” Messico c.a 1938 di Nickolas Muray, e “Frida mentre dipinge ‘Le due Frida’” Messico c.a 1938 di Nickolas Muray; poi, “Frida Kahlo” Messico 1939 di Nickolas Muray, e “Frida con oggetti di terracotta e pupazzi di Giuda” Messico c.a 1940 di Bernard Silberstein; quindi, “Frida dipinge il suo autoritratto mentre Diego Rivera la guarda” Messico c.a 1940 di Bernard Silberstein, e “Frida ad una mostra” Messico c.a 1940 di Lola Alvarez Bravo; inoltre, “Frida Kahlo mentre dipinge ‘La tavola ferita” Messico 1940 di Bernard Silberstein, e “Frida Kahlo” Xochimilco Messico 1941 di Leo Matiz; ancora, “Frida Kahlo indossa un corsetto di gesso decorato con falce e martello” Messico c.a 1941 di Florence Arquin, e “Frida sdraiata al sole” Xochimilco Messico 1941 di Leo Matiz; continua, “Frida Kahlo” Messico 1941 di Bernard Silberstein, e “Frida Kahlo e Diego a Casa Azul” Coyoacàn Messico 1941 di Emmy Lou Packard; prosegue,“Frida Kahlo a Casa Azul” Coyoacàn Messico c.a 1941 di Leo Matiz, e “Frida nel suo studio” Messico c.a 1943 di Fritz Herle; poi, “Frida davanti al suo studio con una scimmia” Messico 1943 di Fritz Herle, e “Frida Kahlo” Messico 1941 Bettmann/CORBIS; quindi, “Frida Kahlo alla mostra di Picasso” Messico 1944 di Manuel Alvarez Bravo, e “Frida Kahlo” Messico 1946 di Leo Matiz, infine, “Frida Kahlo nel letto di ospedale con in mano uno specchio” Messico 1950 di Juan Guzman e, in chiusura, “Frida Kahlo con due uccelli” Messico 1950 di Juan Guzman.