di Romano Maria Levante
Si conclude la nostra narrazione della mostra di “Raul Dufy, ll pittore della gioia”, a Roma dal 14 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023 a Palazzo Cipolla, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, presidente Emmanuele F. M. Emanuele , realizzata da “Poema” con il supporto organizzativo di “Comediarting” e Arthemisia. A cura di Sophie Krebs con Nadia Chalbi, del Musèe d’Art moderne di Parigi, che hanno curato anche il Catalogo Skira.
Abbiamo già cercato di evidenziare le peculiarità di un artista definito “pittore della gioia” per la sua inesausta ricerca di quanto possa sollevare lo spirito nei più diversi ambienti e del modo migliore per rappresentarlo. E’ stata definita una “estetica nuova” e lo si è chiamato pittore “moderno-classico”, impegnato nell’approfondire il rapporto luce-colore, anche con soggiorni nelle località più adatte, e nel mettere in pratica le proprie scoperte.
La vasta galleria espositiva delle sue opere, articolata in 13 sezioni, ci ha portato prima in quelle realizzate sulle orme di Cézanne, soprattutto paesaggi urbani e rurali, poi nell’intimità delle bagnanti e delle modelle nel loro atelier, quindi nei paesaggi marittimi e nelle corse di cavalli, dove può registrare le scene di vita nel suo dichiarato interesse per questo motivo fondamentale. Ora passiamo alle sezioni successive dalla decorazione e la moda all’illustrazione dei libri e alla Fata elettricità, alla musica e al viaggio in Italia, con particolare riguardo alla Sicilia, al grano e ai fiori in uno straordinario eclettismo contenutistico ed espressivo.
Le opere di natura decorativa-ornamentale
La “Decorazione” è un motivo peculiare dell’artista, da lui curato in quello che viene definito “un edonismo decorativo” da Stephane Laurent la quale precisa che a quel tempo non era ritenuta più un’”arte minore” come in passato, le avanguardie vi si dedicavano come reazione alle gerarchie accademiche dalle quali la decorazione era penalizzata. E Dufy, a posteriori, “sosterrà addirittura che la pittura fauve non è niente altro che ornamento, colore e arabeschi orientaleggianti”, e su questo concorda uno dei maestri, Matisse.
Alla decorazione fu introdotto dallo stilista Paul Poiret, che aveva una “maison” di moda, con il quale nel 1910 aprì un laboratorio di stampa su tessuto, la “Petit Usine”, che produsse per un anno soltanto, ma poi fu ingaggiato dalla seteria di Lione Bianchini-Férier dal 1912 al 1928 e si trasferì, dopo essersi sposato, a Montmartre nelle vicinanze della fabbrica in cui si svolgeva la produzione di tessuti da decorare in un atelier dove resterà fino alla fine. Erano tessuti presentati nelle sfilate di moda, di qui un altro lato.della sua attività artistica, la moda per la quale ideò una vastissima serie di costumi con le decorazioni in cui era maestro.
Vi era un’ispirazione comune tra pitture su tela e su tessuti, con l’orientamento a una diffusione ampia in una sorta di “arte sociale”. Nei contenuti si ispirava alle scene di vita negli ambienti più frequentati, dalle sale da ballo agli ippodromi, dalle regate alla vita nelle località di villeggiatura, ai campi da tennis, le decorazioni erano disegni arabescati con forte cromatismi. Dal punto di vista tecnico si impegnava con le tecnologie più avanzate, dalla antica xilografia alla serigrafia e l’aerografo, alle schede perforate per riportare le decorazioni sui tessuti. “Alla fine – commenta la Laurent – è l’unico pittore della sua generazione a collaborare con l’industria, a vestire i panni di un vero e proprio designer”. Dal 1925 si immerse nel design dell’art decò sempre più diffusa, lavorando su decorazioni di oggetti di vari materiali, anche e soprattutto in maiolica smaltata, abbiamo piastrelle e vasi decorati con disegni di animali. Non mancano decorazioni monumentali come quella di 16 metri per una villa ispirate al “De rerum natura” di Lucrezio.
Sono esposte in mostra 26 opere ornamentali, “La pastorella”1912 su lino, “Studio per il parato Baccara” 1925 su carta, “Trent’anni o La vie en rose” 1931 su tela , altre 7 su tessuti intitolati alla Maison Bianchini- Férier dall’ocra e marrone molto tenui al blu e al rosso molto intensi, e 16 pergamene “gouache su carta”, di una straordinaria eleganza e varietà nel cromatismo molto intenso e nelle forme variegate, geometriche o arabescate, con tanti motivi: da “Il tennis” 1918 alle “Forme a zig zag” 1918-19 dai vegetali di diverse specie – come le “Zucche e i frutti” 1920 – alle “Conchiglie” 1924, dai “Vasi cinesi” 1925 ai “Motivi cinesi”, i “Triangoli”, le “Rose e fiori stilizzati” 1925-30, dai “Cerchi” 1928, ai “Monumenti di Parigi” 1929, agli “Uccelli” 1930.
Con gli anni ’20, la sua attività si estese alla “Moda” , con i costumi e la scenografia, sulla scia della decorazione. Tutto parte dalle illustrazioni del “Bestiario” di Apollinaire, che piacquero allo stilista Poiret – e meno all’autore del testo illustrato – dando avvio alla trasposizione per la propria Maison di moda. Nadia Chalbi – che ha curato la mostra con Sophie Krebs – ricorda: “Trasponendo la tecnica della xilografia in ambito tessile, scolpisce nel legno motivi figurativi stilizzati nello spirito del Bestiaire e studia con l’aiuto di un chimico tutte le fasi del processo produttivo, dalla scelta dei colori alla stampa”. Con questo procedimento “realizza parati ispirati a immagini popolari come La pastorella, disegna motivi floreali su sontuosi tessuti di seta, raso e velluto per la confezione di abiti e cappotti, e collabora all’organizzazione della festa ‘persiana’ ispirata alle Mille e una notte organizzata nell’abitazione privata dello stilista”. Viene descritta così un’altra delle tante vite artistiche di Dufy.
Sono esposti 8 Bozzetti di moda per la Maison Bianchini- Férier con “Abiti scuri per l’inverno” su eleganti siluette femminili, e una “Panoramica di abiti per l’estate“, alcuni di color rosso sfumato, sono 10 modelli allineati in un’unica “sfilata”, siamo nel 1920. Oltre ai modelli sono esposte 18 Fotografe di abiti indossati da modelle in diversi ambienti – in interni e all’esterno – realizzati su suoi disegni sempre per lo stilista Poiret su tessuti della Maison Bianchini-Férier, negli anni dal 1919 al 1926. Sono in bianco e nero con molte ombre che rendono scuro l’insieme, il contrario dei 7 disegni a inchiostro su carta, con i contorni di abiti appena delineati, quasi evanescenti, di un’indossatrice della Maison Poiret, sono “Studi per il parato. Le indossatrici alle corse” 1926. Vediamo anche “7 fogli di carta da lettere intestata alla maison Paul Poiret” nel 1911, quando inizia la collaborazione.
Della decorazione fa parte l’”Illustrazione dei libri” alla quale si dedicò con altrettanto impegno che nell’ornamento dei tessuti. Sembrava un campo poco adatto per chi voleva valorizzare la propria espressione pittorica, lo spiega Laurence Campa: “Il libro non è certo l’ambiente naturale dei pittori: scrigno di parole e immagini mentali organizzate da un altro, volume chiuso nelle biblioteche, non si offre con la stessa immediatezza di una tela o di un disegno incastonato nella sua cornice”. Ma divenne adatto a lui perché “offre mille combinazioni felici a chi ama la tipografia, l’incisione, la decorazione e la poesia. Come Raul Dufy”.
Il nostro artista, infatti, aveva una concezione diversa da quella comune, appena ricordata, secondo cui le illustrazioni sono in secondo piano rispetto alle parole scritte che devono evocare: “L’illustrazione non deve seguire il testo – disse nel 1948 – deve insinuarsi nella mente del lettore. L’illustrazione è un’analogia”. Ne ebbe una speciale predilezione nel suo eclettismo appassionato, ricorrendo soprattutto alla xilografia su legno.
Non ripercorriamo le sue numerose esperienze illustrative e i relativi stretti contatti con i grandi scrittori e poeti dell’epoca, ci limitiamo a sottolineare come inizialmente troviamo delle xilografie del 2010, “La pesca” e “La caccia”, che preludono al “Bestiario” di Guillaume Apollinaire, illustrato nel 1911, dopo il rifiuto di Picasso, con figure di animali poi tradotte con grande successo sui tessuti di moda, come abbiamo detto sopra, e sui vasi di ceramica in una sinergia coinvolgente, vediamo esposta la grafica del “Pavone”.
Per Apollinaire quindici anni dopo il “Bestiario” abbiamo le illustrazioni di “”Le Poéte assassiné” 1926, è esposta la copertina rossa e 3 disegni molto scuri e addensati con dei velieri e dei campi. A metà nel tempo tra queste due illustrazioni quella per “Stephane Mallarmé, Madrigaux” 1920, vediamo 7 figure molto nitide e colorate sui singoli temi descritti nel testo.
Un posto a sé spetta alla“Fata elettricità”, una pittura murale di 600 metri realizzata in tempo record, tra il 1936 e il 1937, per l’Esposizione internazionale delle arti e delle tecniche applicate alla vita moderna, per la quale fece una apposita ricerca sulle fonti e gli impieghi dell’elettricità e sugli scienziati e ricercatori, vi inserì un centinaio di figure. Realizzò 250 pannelli di 2 x 1,20 m. dagli schizzi e disegni in scala minore, veramente tantissimi, fece anche un dipinto in scala 1 a 10. Vediamo una spettacolare riproduzione lunga 6 metri a olio su tela della “Fata elettricità” in un cromatismo variegato con le tante figure che si muovono tra le installazioni, e 2 studi anch’essi colorati, gouache su carta per “Centrale elettrica” e “Paesaggio”; e anche 13 Bozzetti a inchiostro su carta per i personaggi. Siamo nel 1936, lo fermerà solo un’artrite reumatoide che inizia proprio allora a tormentarlo.
La gioia in altre espressioni, dalla Musica a viaggio in Italia, fino ai Fiori
Dopo tante immagini di vita spensierata e operosa nei più diversi ambienti, che esprimono la sua volontà di ricercare la gioia nelle diverse situazioni, vogliamo concludere con le sezioni in cui la gioia si esprime in modo diverso, cominciando con la “Musica” di cui era appassionato, veniva da una famiglia di musicisti.
Nei suoi inizi pittorici di stampo impressionista rappresenta l’”Orchestra di Le Havre” nel 1902 e un “Omaggio a Mozart” nel 1915, il primo di una serie; ma anche molto più avanti, negli anni ’40, sono suoi soggetti orchestre e compositori, balletti e strumenti musicali. Fino al 1952, un anno dalla morte, quando realizzò altri omaggi a grandi compositori in modo molto diverso dall’ultimo “Omaggio a Mozart” del 1945 che vediamo esposto, evocato con immagini dagli strumenti musicali alla partitura, alla casa natale, come osserva la Chalbi: “Questi motivi svaniscono negli ultimi omaggi a Bach e Debussy (1952) per lasciare spazio a un lirismo in cui i ritmi musicali della linea e le armonie cromatiche occupano interamente la scena”. Diceva: “Un quadro è una partitura orchestrale e l’osservatore stesso marca il ritmo della musica con l’ampiezza e la rapidità del suo sguardo”.
Spicca nlle sue evocazioni la figura di Arlecchino come simbolo dell’incontro tra musica e teatro nella Commedia dell’arte, è una maschera prediletta anche da Cézanne e Picasso. In mostra sono esposti 3 dipinti degli anni ’40: “Arlecchino e orchestra” 1940 in cui lo ritrae disteso addormentato con la mano sul violino, “Arlecchino con violino e ritratto di Berthe Reysz”1941-42, “L’Arlecchino” 1943 in piedi a braccia conserte su uno sfondo dal cromatismo molto intenso tra il pavimento rosso, la campagna verde e il cielo azzurro.
Ma è “Il viaggio in Italia” , in particolare nel Sud – con l’immersione vitale nel sole mediterraneo e quella culturale nelle antichità – che ci sembra possa esprimere la gioia di trovarsi nell’ambiente preferito. Tra maggio e giugno del 2022 visitò Roma e Napoli – come Picasso – e soprattutto la Sicilia, da Catania e Caltagirone a Taormina. Non è stata solo vacanza, ecco cosa osserva la curatrice Krebs: “La luce densa e costante del Mediterraneo gli permette di semplificare la gamma cromatica e di studiare i rapporti tra i colori, ciò che chiama ‘colore-luce’.
Questo soprattutto in Sicilia, dove oltre al sole mediterraneo c’è l’antichità vivente nel mito di Ulisse che lo affascina. Tanto che dichiara: “Sono a Porto Ulisse, penso a Omero”. La Krebs aggiunge: “L’Etna gli richiama il frastuono della folgore di Zeus e il biancore dei marmi greci nella Valle dei Templi, di fronte all’azzurro del cielo e del mare, lo spinge all’allegoria. Quei panorami bucolici sembrano abitati da ninfe e divinità, mentre le piccole città aggrappate alle colline sono cariche di storia”.
Lo vediamo nei dipinti sulla Sicilia realizzati dopo il viaggio, “Il teatro di Taormina” 1922 e “Paesaggio siciliano. Taormina” 1923 con in primo piano antiche colonne che fanno pensare anche a reminiscenze del Foro romano; e “Caltagirone. Paesaggio, veduta di un borgo siciliano” 1922-23, una delle “piccole città cariche di storia” citate dalla Krebs. Ma anche i “panorami bucolici”, come “Il lavoro dei campi in Sicilia” 1923 con una visione dall’alto invece della prospettiva orizzontale. Oltre a questi dipinti sono esposti 16 “Schizzi del Taccuino siciliano”, con pochi tratti a fissare luoghi e persone incontrate; il taccuino lo riprese 23 anni dopo, nel 1946, per illustrare la traduzione di Paul Valery delle “Bucoliche di Virgilio”, ma rimase allo stadio di progetto non realizzato.
“Il lavoro dei campi in Sicilia” sopra citato non è il solo dipinto esposto con questo soggetto, vediamo anche “Paesaggio meridionale con fichi d’India” del 1920, anteriore al viaggio, che ci prepara a un altro aspetto della sua pittura: l’attenzione alla campagna, con l’opera dell’uomo e la vita rurale, di un artista che abbiamo visto molto attratto da ambienti ben diversi, come le marine e i loro frequentatori, i luoghi e le occazioni della vita mondana.
Questa attenzione si traduce in particolare nelle sue rappresentazioni aventi come soggetto “Il grano”,che vediamo in due opere con tale titolo , un Disegno punteggiato a penna su carta del 1922-23, e un Acquerello a due colori ocra-oro e verde del 1930 e addirittura in una Piastrella di ceramica intitolata “Spighe” del 1926. Ma a parte queste premesse, la sua attenzione si concentrò in particolare su campi di grano di Langres ai quali dedicò circa 50 vedute nelle estati 1933-36, in cui soggiornò in Normandia e nell’altipiano dilangres, ispirandosi anche a Van Gogh.
Vediamo “La mietitura a Langres” in 2 dipinti dallo stesso titolo e anno, il 1935, il primo schematico ed equilibrato con al centro la mietitrice a cavalli, a destra una verde quinta di alberi, sullo sfondo azzurro la città lontana, il grano dorato risplende; il secondo, più mosso ma altrettanto eloquente nella sua luce dorata, mostra in primo piano l’immagine della dea Cerere distesa nuda. Cerere diventerà soggetto esclusivo in “Ninfa distesa nel grano” 1938, nella stessa posa languida del quadro precedente, ad esprimere la condivisione della dea protettrice nella fatica del lavoro dei campi e nel meritato riposo.
Del 1938 vediamo anche “La Senna, l’Oise e la Marna”, facente parte di un trittico della “Fata elettricità”, fiumi impersonati dalle Tre Grazie davanti a una distesa di spighe di grano con sullo sfondo un paesaggio con ponti e tralicci. Seguirà dal 1945 al 1953 la serie delle “Trebbiature”, dipinti, acquerelli, disegni. Così la Chaibi: “Questo ciclo, comprendente scene che descrivono la battitura del grano, l’azione dell’uomo e delle macchine integrata nel paesaggio, esalta le semplici gioie del lavoro nei campi e le ricchezze della natura fino a un ultimo quadro rimasto incompiuto alla morte del pittore”.
Dall’interesse per la vita nei campi e per il grano ai “Fiori e bouquet”, cui si è dedicato sin dalla fase iniziale del suo percorso artistico, nel periodo fauve e impressionista, pur se il loro impiego decorativo si è avuto quando lavorava per la Maison di Paul Poiret e l’impresa di tessuti Bianchini-Fèrier di cui abbiamo già parlato; e non solo, anche nell’illustrazione di libri. Vediamo 8 Acqueforti senza colore del 1930 delle 93 per il libro di Eugene Montfort, 8 Acquerelli molto colorati dei 12 per il libro di André Gide, 19 Incisioni su legno sulle 24 del libro di Roland Dorgalés uscito nel 1956, tre anni dopo la sua morte. Ma, come per il grano, il massimo impegno su questo soggetto si è avuto in occasione del lungo soggiorno presso un amico prima a Perpignan, poi a Vernet-les-Bains, nella campagna del Midi. E’ il 1941, sebbene l’artrite reumatoide lo tormenti sempre più, nel giardino d’inverno della residenza si immerge nella pittura dei fiori, ricorrendo per lo più all’acquerello in modo da seguite l’ispirazione senza disegni preparatori.
Diceva che “i fiori portano naturalmente i colori”, e “l’acquerello è forse la maniera di dipingere che lascia più libertà all’improvvisazione, è quasi immateriale”; per questo “è perfetto per le annotazioni rapide dal vero”. Lo vediamo dipingere fiori, nature morte e lavoro nei campi nei due anni successivi quando soggiorna presso un amico scrittore in un villaggio agricolo dell’alta Garonna, Montsaunés. Così la Chaibi: “…eccelle in questo esercizio in cui fioriture, arabeschi ed ellissi giocano da pari a pari con una tavolozza dalle sfumature infinite. Sa bene come ridurre all’essenziale i motivi vegetali, che si tratti delle fronde di una palma, del fogliame di un albero, di una spiga di grano o dei petali di una rosa”. La rosa è uno dei fiori preferiti, ma in generale prediligeva tutti i fiori di campo. Vediamo esposti 6 dipinti, 2 del 1942, “Le rose” e “Anemoni e tulipani”, poi “Le margherite” 1943, “Mazzi di iris e papaveri” 1948, “Fiori di campo” 1950, e“Bouquet campestre” del 1953, l’anno della morte.
Così termina il nostro viaggio ideale nell’”estetica nuova” dell’artista “moderno-classico” espressa in forme molteplici – di cui abbiamo cercato di dare conto – accomunate da uno speciale cromatismo frutto della ricerca del rapporto luce-colore anche con soggiorni appositi negli ambienti più adatti, e il Sud Italia è stato uno di questi.
Nella sua esplosione floreale possiamo sentire l’espressione autentica del “pittore della gioia” . La consideriamo una sorta di “inno alla gioia”, e come tale ci resta negli occhi mentre sentiamo echeggiare dinanzi alla visione di queste e delle altre sue opere esposte in mostra le note del pezzo di Beethowen, ripensando agli omaggi pittorici di Dufy per i grandi musicisti dell’epoca.
Info
Palazzo Cipolla, Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, via del Corso 320, Roma. Orario, tutti i giorni, tranne il lunedì chiuso, dalle ore 10 alle 20, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso euro 10, ridotti euro 8 per under 26, over 65 e le categorie agevolate. Tel. 06.9837051, e mail: biglietteriapalazzocipolla@gmail.com.Catalogo “Dufy. Il pittore della gioia”, a cura di Sophie Krebs con Nadia Chalbi, Skira, ottobre 2022, pp. 250, bilingue italiano-inglese, formato 24,5 x 28,5. Il primo articolo è uscito in questo sito il 18 febbraio 2023. Cfr. i nostri articoli in questo sito per gli artisti citati: su Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Cézanne 22, 31 dicembre 2013.
Photo
Le immagini delle opere di Dufy sono inserite nell’ordine in cui vengono commentate nel testo le sezioni della mostra che le espongono; esse sono tratte dal Catalogo della mostra, si ringrazia l’Editore Skira con i titolari dei diritti. Alle 16 immagini riportate nel precedente articolo relative alle sezioni ivi commentate seguono altre 16 immagini delle sezioni commentate in questo articolo. In apertura, “Autoritratto” 1935; seguono, DECORAZIONE: “Trent’anni o La vie en rose” 1931, “La pesca (bozzetto per un tessuto” 1919 e “Il tennis” 1918 ; quindi, MODA:“Bozzetti di moda, sete di Bianchini Férier disegnate da Raoul Dufy” 1920, e ILLUSTRAZIONE DI LIBRI: “Le Paon, illustrazione di Raoul Dufy di ‘Le Bestiaire’ di Guillaume Apollinaire; inoltre, FATA ELETTRICITA’: “Studio per ‘Centrale elettrica’” “ 1936, e MUSICA: “Omaggio a Mozart” 1945; ancora, VIAGGIO IN ITALIA: “Paesaggio siciliano. Taormina” 1923, “Il lavoro nei campi in Sicilia” 1923 e “Caltagirone.Paesaggio. veduta di un borgo siciliano” 1922-23; continua, IL GRANO: “La mietitura a Langres” 1935 e “La Senna, l’Oise e la Marna” 1938; infine, FIORI: “Anemoni e tulipani” 1942, “Le margherite” 1943 e, in chiusura, “Bouquet campestre” 1953.