di Romano Maria Levante
L’8^ tappa del Giro d’Italia l’11 maggio 2024 ha visto i riflettori del grande evento sportivo accendersi sull’arrivo in salita ai Prati di Tivo, superando di 6 Km l’abitato di Pietracamela – il borgo montano che dal 2008 fa parte del club dell’Anci “i borghi più belli d’Italia – di cui tale località è il culmine alle falde del Gran Sasso, la catena montuosa con Monte Corno che troneggia in alto nelle due vette di Corno Grande e Corno Piccolo, distese come il “gigante che dorme” o “la bella addormentata”. E la maglia rosa operando uno scatto irresistibile, ha onorato con una vittoria prestigiosa tale scenario spettacolare, bella la scena del sindaco AntonioVillani in fascia tricolore, che gli mette al collo la medaglia nel palco con i boschi e l montagna a fare da cornice incomparabile. Siamo a Pietracamela, il “nido delle aquile”, che il 30 dicembre 2023 ha onorato con un monumento nella piazza principale all’ingresso del paese, i suoi “Aquilotti”, i primi “locali” a cimentarsi nelle scalate, precedendo gli “Scoiattoli di Cortina” e i “Ragni di Lecco”, aprendo le vie alpinistiche sulle rocce dolomitiche del Gran Sasso.
Le due manifestazioni per il “pretarolo” verace della “Gina”
A questi due eventi ci piace collegarne due di ben diversa natura ancora più strettamente legati alla storia e alle tradizioni di un paese che resta vitale pur nello spopolamento della montagna, da non confondersi con l’abbandono, tanto i suoi figli sono rimasti legati al “natio borgo selvaggio” dove ritornano dai luoghi dove gli avi e i padri sono emigrati, in Italia o all’estero per lo più nelle lontane Americhe. Entrambi gli eventi riguardano un libro, frutto di una accurata ricerca sulle radici di tutto questo come risultano dalla “lingua degna”, la parlata paesana, il “pretarolo”, che va ben oltre il dialetto per le sue peculiarità che la distinguono nettamente da quella abruzzese e non solo, con una connotazione linguistica e socialogica del tutto particolare; ricerca basata sui componimenti in “pretarolo” di una poetessa popolare, Ginevra Bartolomei detta “la Gina”. Sono due eventi, il primo c’è stato a Roma il 26 gennaio 2023 – nel concorso “Salva la tua lingua locale” in Campidoglio è stato conferito al libro il 2° premio “Tullio De Mauro” – il secondo evento ci sarà a Bruxelles domani 4 giugno 2024 nella sede della Rappresentaza della Regione Abruzzo in Avenue Luise 210, dove sarà inaugurata la mostra personale “Rapsodikòs” dell’artista Mara Di Giammatteo – aperta fino al 28 agosto – con lavori e allestimenti di arte conteporanea attraverso l’antica arte della tessitura e del ricamo ispirati alle poesie della “Gina” fissando nella materialità della tela con un lavoro ispirato alla tradizione il senso di alcune parole esprimendo così il valore popolare e identitario del “pretarolo” per evidenziarne la validità da preservare dal rischio dell’oblio.
Come nella premiazione a Roma, interverranno, nella presentazione del libro, il sindaco di Pietracamela Antonio Villani e gli autori, a Bruxelles anche il rappresentante della Regione Abruzzo e la critica d’arte curatrice della mostra Maria Chiara Wang sul tema “La fragilità della memoria”. Una onsacrazione internazionale di un libro di per sé internazionale, con l’Introduzione in tre lingue – italiano-catalano-francese – e il suo inserimento nella serie “Territori della parola “ che documenta le lingue regionali, minoritarie nell’area euro-mediterranea, con la direzione di Giovanni Agresti professore dell’Università Bordeaux-Montaigne e Federico II di Napoli, e coautori Graziano Mirichigni attivo custode dell’opera scritta e orale della nonna poetessa, e Silvia Pallini alla quale si deve il “Commento letterario” conclusivo sulle oltre 100 poesie in “pretarolo” riportate nel libro. A Bruxelles la presentazione rientra nelle manifestazioni per l’Anno delle radici italiane nel mondo.
Ma è questo un primo ossimoro, dal locale più chiuso e ristretto all’internazionale, però quanto mai suggestivo. L’altro ossimoro – peraltro apparente come il primo – è dato dal fatto che l’accurata ricerca con l’adozione delle metodologie più elaborate e sofisticate si concentra su quanto vi è di più spontaneo e immediato, l’espressione di pensieri, sentimenti ed emozioni che diventa poetica nella forma e nel contenuto proprio perché si manifesta in modo naturale senza il benché minimo intento letterario: protagonista assoluta una figlia del popolo, Ginevra Bartolomei, da tutti chiamata “la Gina”, animata da un’indomabile vitalità che ha trovato uno sfogo irresistibile nel corso di decenni in una declamazione poetica nella “lingua degna” del suo paese arroccato tra i monti, con le difficoltà inenarrabili di una vita nell’assoluto isolamento e nell’inclemenza della natura.
Non ci addentreremo nei meandri impenetrabili dell’approfondita analisi svolta con criteri strettamente scientifici di cui apprezziamo l’alto livello professionale e lo spessore culturale, ma ci limiteremo a dar conto sommariamente di quelli che ci sono sembrati i principali risultati conoscitivi sulla “lingua” di un territorio che è anche il nostro “natìo borgo selvaggio” e sulla poetessa protagonista e testimone. Per poi dare la parola alle sue espressioni poetiche per rievocare la vita e il sentire di una comunità cui anche noi siamo profondamente legati.
Il ”pretarolo”, la “lingua degna” per le sue straordinarie peculiarità
L’analisi della “lingua degna” viene effettuata con l’ausilio di interviste dirette ai paesani sull’uso del dialetto e le loro percezioni, nonché di risposte a due questionari in ambito locale e nel territorio circostante, e ci si avvale anche dei risultati di una tesi di laurea di Gabriella Francq nel 2016 sul “pretarolo”.
Si inizia con l’”inquadramento socio-linguistico” nel quale vengono analizzati i nessi tra la “lingua” e la comunità che la utilizza, in base alle risposte date dai locali, e anche dagli abitanti dei paesi vicini, sulle loro percezioni inerenti i modi con cui si esprimono. Ebbene, è confermata la consapevolezza della singolarità della loro “parlata”, delle nette differenze rispetto a quella abruzzese in generale e anche a quella dei paesi limitrofi – compresa la vicinissima frazione di Intermesoli – il che rappresenta un elemento fortemente identitario; come la consapevolezza del progressivo deterioramento del fonema originario per le contaminazioni di vario tipo – con i forestieri sempre più invasivi per lo spopolamento e i ritorni degli emigrati con le loro interpolazioni straniere – che trasformano e diluiscono il paesaggio linguistico.
Interpolazioni nei tempi passati anche dell’italiano puro da parte dei “cardatori” di ritorno dalla Toscana, dove andavano soprattutto nei mesi invernali in cui il lavoro in paese era precluso dalla rigidità del clima di alta montagna; tali interpolazioni furono valorizzate da uno studioso, Tommaso Bruno Stoppa, che voleva inserire il “pretarolo” nell’”Atlante linguistico italiano”, poi non andato in porto. Il mestiere della cardatura della lana da parte dei “pretaroli” anche in Umbria e Romagna, oltre che in Toscana, era tanto diffuso da far nascere una variante linguistica del “pretarolo”, il “trignano” utilizzato dai cardatori nel parlare tra loro per rendersi ancora più incomprensibili ai forestieri che li ospitavano. A parte questo, la percezione della singolarità della “lingua”portava anche a ritenere non proponibile la sua scrittura quasi fosse limitata alla sola oralità, mentre tale convinzione è stato smentita dall’opera della poetessa Gina, oltre che da altre circostanze; per questo il “pretarolo” non può essere declassato né confinato tra le espressioni dialettali minori, ma ha la dignità di una lingua, una “lingua degna” come viene intitolato il libro.
Queste “percezioni” individuate in una ricognizione preliminare, sono validate dall’accurata ricerca effettuata nella tesi di laurea sul “pretarolo” sopra citata, con due questionari diffusi nel paese direttamente interessato, Pietracamela, e in alcuni paesi vicini per misurarne la consistenza e l’ampiezza: un questionario dedicato all’idioma e l’altro al significato identitario che assume nella comunità. .Le domande sono molto semplici, ma frutto di una sofisticata impostazione di carattere scientifico della quale si trovano nel libro tutti gli elementi conoscitivi e i riferimenti culturali. Si è trattato di “pensare una lingua e un’identità”, riguardo al “peso delle rappresentazioni sociali” , per arrivare a definire “le rappresentazioni sociali della lingua e dell’identità pretarola”.
Dalla ricerca è emersa “un’indefinitezza legata alle origini: diversi miti di fondazione” e “diversi tratti di prossimità linguistica” e tra questi “il problema del toponimo, dell’origine controversa del nome del paese”. Sulle origini dei fondatori si va dalle vicine Puglie alle più lontane Albania e Grecia, sulla vicinanza linguistica si aggiungono assonanze francesi, a parte quelle abruzzesi ma limitate; il mestiere itinerante dei cardatori pretaroli – con il loro gergo “trignano” – ha reso apporti e contaminazioni. Il nome Pietracamela, secondo la prima rilevazione, richiamerebbe la forma dei massi sopra il paese simile alle gobbe di un cammello, fino a “sommità”; più avanti diremo degli approfondimenti al riguardo riferiti anche ai più antichi popoli e ad altre caratteristiche ambientali.
L’incertezza di queste prime risultanze non ne riduce l’importanza perché derivano dall’analisi “etnica”, di natura percettiva e soggettiva rispetto alla comunità locale: “domande e risposte sono componenti indissolubili e indispensabili di un unico processo di scoperta e di accrescimento dell’autocoscienza dei membri della comunità pretarola”. L’analisi “etnica” si aggiunge all’analisi “etica” di natura oggettiva, limitata per la perdita degli antichi archivi distrutti da un incendio.
Al centro della ricerca c’è stato l’idioma locale, analizzato con l’approccio scientifico degli analisti esercitati nei “Territori della parola”, che collegano strettamente la lingua nelle sue varie espressioni alla comunità locale, definita nei suoi riferimenti storici e nei fattori identitari. Il tutto con la testimone d’eccezione, la poetessa “Gina”, preziosa interprete dei due versanti, quello linguistico e quello identitario nella sua espressione poetica che ne accresce l’eccezionale unicità.
L’origine del nome “Pietracamela”, dagli antichi popoli alle caratteristiche ambientali
Ed ecco cosa è risultato nello scavo sul “profilo linguistico” del “pretarolo”, fino a definirlo “lingua degna”, cioè “bella” per la sua singolarità e unicità delle sue peculiarità positive. L’analisi inizia con l’approfondimento del nome del paese, “Pietracamela” – da cui deriva ovviamente il “pretarolo” – di cui abbiamo citato in precedenza le percezioni verificate sul campo.
Si parte dall’età romana, l’insediamento montano nel Regio V. Picenum è chiamato “Petra Cimmeria” e riferito all’antico popolo italico dei Pretuzi che si trovava tra i fiumi Tronto e Vomano, quindi non al nome del popolo ma a un toponimo diffuso in aree anche molto lontane come la Crimea e l’Albania e collegato ad etimologie di varia natura e origine che richiamano la “collina”, il “torrente” fino alle “tenebre profonde” della Sibilla Cimmeria, intese come “oscurità”. Ma i Cimmeri erano anche un popolo storicamente originario della Crimea, diffuso in Tracia, Anatolia e Vicino Oriente; mentre nella mitologia sono presenti i “Cimmeri omerici” citati nell’Odissea. “di nebbia e nube avvolti” nel tenebroso regno dei morti, e i “Cimmeri flegrei” citati da Strabone presso il lago d’Averno dove vivevano in case sotterranee collegate da gallerie con “l’oracolo dei morti” consultato pure da stranieri; e Plinio il Vecchio li colloca anche lui nell’Averno.
Analogamente per il nome “Petra Cameria” che con riferimento a Pietracamela si trova citato nel “Dizionario ragionato del Regno di Napoli” del 1804, perché la parola “cameram” nell’etimologia significa “soffitto a volta” – che richiama la curvatura dei monti circostanti a gobba di cammello – mentre un riferimento allo spagnolo “cambre” richiama “cima”, “culmine”, “punto più elevato”. Ma il collegamento può essere anche al popolo italico dei “Camerti” insediati sul versante adriatico dell’Appennino centrale, dove si trova Pietracamela, che hanno dato il nome a diverse altre località del’Appennino centrale, come Camarda e Camerino.
Il riferimento alla gobba di cammello dei monti e in particolare di Pizzo Intermesoli (e forse di “Vena grande”, la roccia identitaria che sovrasta la piazza principale) qualifica Pietracamela come “pietra/roccia a forma di cammello”, identificazione fissata nello stemma comunale con un cammello, immagine tanto eloquente quanto discussa, non essendo presente nel catasto preonciario del secolo XVII. Del resto sulla prima parte del nome, “Pietra” non vi sono dubbi, nell’espressione pretarola l’intero nome è “La Prota” senza aggiunte.
A questo problematico excursus filologico, storico e ambientale insieme, segue una sintesi particolarmente intrigante, perché mostra come le qualifiche delle diverse interpretazioni si ritrovano tutte nella descrizione dl borgo di Pietracamela: “situato in un punto elevato, sormontato da una formazione rocciosa in evidenza, spesso in ombra, a bacio (proprio perché sormontato da tale formazione rocciosa) e per di più esposto a Nord, collegato al fondo valle da un torrente, non di rado avvolto da nubi e nebbia”. Nebbia che ritroviamo in un distico dialettale della poetessa Gina, che in italiano recita così: “Quando la nebbia va in su/ Prendi la conca e vai alla fontana// Quando la nebbia va in giù/ Prendi la zappa e vai alla terra”.
Breve cenni al profilo linguistico del “prtarolo”
Non è giunto ancora il momento di parlare della poetessa, prima qualche accenno al “profilo linguistico” che viene analizzato in modo approfondito, dopo la dissertazione sul nome del paese. Ci limitiamo a citare il “vocalismo”, che presenta notevole complessità, con “almeno quattro suoni vocalici con valore fonologico (distintivo) assenti nell’italiano standard”, mentre “il consonantismo del “pretarolo non si discosta sostanzialmente da quello dell’italiano. Fanno eccezione soprattutto alcuni suoni fricativi”.
Di qui parte l’analisi dei “tratti linguistici distintivi”, che si avvale soprattutto dei testi della poetessa Gina – 100 poesie in 2 aurei quadernetti con altri fogli staccati – del questionario di Francesco d’Ovidio di un secolo fa, dagli etnotesti orali in “pretarolo “ raccolti da Maria Iannetti nel 2021 ed ora trascritti, e infine di due conversazioni a più voci, di una pagina ciascuna, edite in versione bilingue pubblicate nel Bollettino parrocchiale di San Leucio vescovo, “La Madonna del Gran Sasso” nell’ottobre-novembre 1947 e nel marzo 1948. E’ un’analisi molto tecnica dei tratti che caratterizzano i dialetti centro-meridionali che vengono accostati al “pretarolo” per evidenziarne le peculiarità con citazioni di esempi specifici per ciascun tratto. Si inizia con la “fonetica pennese” richiamata dal vocalismo del “pretarolo” per poi entrare nel tecnicismo glottologico più arduo, nei seguenti aspetti a ciascuno di quali viene dedicato un paragrafo nel libro: “Metaforesi(o metafonia) a flessione interna” e “Centralizzazione”, “Frangimento e dittongazione delle vocali toniche” e “Assimilaziuoni”, “Betacismo” e “Trattamento di [l ] + consonante”, “Sviluppo di [j-] e di consonante + [j], e “Sviluppo di nessi latini [- kj -] e [- ng -] + [e] / [i], “Sviluppo di [- bj -] e di [- sj -] e “Lo sviluppo di /- / -/ e / – ll – /”, “Trattamento di [ pl – ] e [ fl -] latini”, e “Possessivo enclitico”, “L’espressione della ripetizione” e “Dimostrativi”, “Plurale alla latina” e “Marche di numero, genere e determinanti”, “L’imperfetto indicativo” e “Superlativo assoluto iterativo”, l’iperbole analitica con cui si conclude un tecnicismo fino all’estremo che conferma l’accuratezza dell’analisi di una idioma da considerare lingua vera e propria.
Naturalmente non possiamo minimamente darne conto, mentre qualche cosa possiamo aggiungere riguardo al “lessico” che evidenzia i tratti distintivi di una lingua alimentata nel lontano passato anche delle espressioni gergali dei cardatori che la rendono criptica e in tempi più recenti dalle interpolazioni degli emigrati. Ci sono “forme arcaiche, forestierismi e singolarità”, le parole “vescia” cioè ragazza e figlia, e “r(j)uf”, cioè bambina e bambino, nei nostri ricordi della parlata familiare il primo termine era più affettuoso del secondo; “Iona” adesso, e “Cant(a) come, “Domèna” mattina, e “Digna” o “Dagna” bella, “Utri” soltanto e “”Zalla” piccola, fino alle forme gergali del “trignano” dei cardatori che ne rendeva incomprensibili ai terzi le conversazioni.
La “Gina”, poetessa di talento espressivo e vitalità popolare
Ed ora non ci resta che presentare rapidamente la figura che sottende a queste approfondite analisi glottologiche avendole consentite di fatto con le sue espressioni in “pretarolo”, per di più in forma poetica raccolte, come già accenanto, in due quadernetti oltre che in fogli sparsi su stimolo del nipote Graziano che capì come fosse importante far fissare in scritti preziosi la spontanea poetica orale della cara nonna. Ginevra Bartolomei, la Gina per i paesani, nata nel 1909, vissuta per l’intero secolo XX entrando per 7 anni nel XXI secolo, è morta nel 2007, dopo una lunga vita sempre a Pietracamela, salvo la parentesi di 5 anni in Canada dal 1957 al 1962, periodo molto significativo in quanto fu allora che iniziò il suo percorso poetico perché aveva del tempo libero in attesa del primo lavoro e poi tra un lavoro e l’altro, con le difficoltà a trovare occupazione dai 48 anni dell’arrivo ai 53 della partenza. In quei lunghi momenti nei suoi pensieri irrompevano i sentimenti mossi dal distacco – quello che viene definito il “dolore del ritorno” – dall’amato paese “il quale, forse per compensazione, prende corpo nell’interiorità. La parola, prima sentita, poi espressa, quindi fissata sulla pagina, diventa territorio e prende il testimone del territorio assente”, commenta Giovanni Agresti.
I suoi testi sono preziosi come testimonianza straordinaria del “pretarolo” scritto in forma poetica , e formano un affresco altrettanto straordinario dei costumi del secolo scorso, della vita difficile nell’alta montagna dove si lavorava duramente per la sopravvivenza con i magri frutti di una terra arida con la stagione invernale particolarmente inclemente. Un lavoro molto duro per gli uomini ovviamente, che nei mesi invernali si spostavano come cardatori della lana nelle regioni del Centro Nord, Marche e Umbria, Toscana e Romagna; e ancora più duro per le donne impegnate, oltre che nei lavori domestici – con il lavare i panni al lavatoio e prendere l’acqua alla fontana con la conca, cucinare alla fornacelle o al focolare – nel portare in testa legna e fascine dai Prati di Tivo, dove andavano anche più volte al giorno ad almeno 1450 metri di quota mentre il paese è a 1005 metri, e la Gina era una di loro; anzi racconta di aver lavorato persino nella costruzione della strada provinciale che sale per 9 km dalla statale a Ponte Arno, portando in testa i materiali usati, sassi e cemento, travi di ferro e acqua.
Ma non c’è solo questa testimonianza nei preziosi quadernetti e nei fogli sparsi che ha lasciato, bensì le sue continue valutazioni disincantate sul valore della modernità che eliminava i tremendi disagi del passato ma con essi offuscava anche tanti valori di una tradizione profondamente radicata che rischiava di venire cancellata. Anche perché l’emigrazione all’estero e lo spopolamento per l’incalzante urbanizzazione erodeva inesorabilmente la popolazione locale con il rischio di sparizione. L’emigrazione l’ha vissuta in prima persona, come abbiamo accennato, per cui ne descrive, come per il resto, croce e delizie. Tutto questo riguarda in vari modi la vita esteriore, quella di tutti i giorni vissuta e vista sempre con una prospettiva di più ampio respiro.
Alla vita interiore ha dedicato una vasta serie di componimenti particolarmente intensi: e questo riguarda l’aspetto religioso con la profonda devozione unita ad osservazioni disincantate e, soprattutto nell’ultima fase, l’aspetto dell’età avanzata, anche qui con espressioni non fataliste ma di una filosofia di vita che fa meditare, fino alle battute di uno “humor” spontaneo e gustoso. Le sue poesie molto spesso hanno una premessa o una conclusione che dà loro un valore più vasto del semplice sfogo personale dell’autrice, perché si rivolge anche all’esterno e spiega, quasi come se volesse giustificarsi, il motivo per il quale si è decisa ad esternare i suoi sentimenti interiori.
Un alto valore umano oltre che storico e letterario, dunque, che fa della poetessa Gina una vera icona, oltre che una testimone preziosa. Del resto, questo fu compreso ben prima dell’attuale consacrazione, quando nel capoluogo di Teramo, al Cinema Smeraldo, alla fine degli anni ’80, fu premiata pubblicamente; nel 1989 fu intervistata dalla Rai da Monica Leofreddi nella trasmissione “Uno mattina”e nel 2006 in un articolo sul settimanale “Famiglia Cristiana” Alberto Bobbio scrisse che “la Gina s’inventa versi nella mente e poi li recita a chi la viene a trovare”. Dice tutto d’un fiato perchè sa che il tempo è breve…”, morirà l’anno dopo a 98 anni. Non possiamo quindi, che dare la parola a lei, ai suoi versi, che riempiono circa 200 pagine del libro, in “pretarolo” con la “versione” italiana operata dagli autori, ovviamente riporteremo stralci dei suoi componimenti in italiano data la difficoltà della “lingua degna” di essere non solo compresa ma anche trascritta. Ne emergerà l’affresco storico, ambientale e umano che abbiamo tratteggiato, l’excursus nella poetica popolare della “Gina” uscirà presto in questo sito.
Info
Libro “La lingua ‘degna’, Pietracamela e il pretarolo nei testi di Ginevra Bartolomei. Profilo linguistico, norme di lettura, antologia poetica. A cura di Giovanni Agresti (dir.), Graziano Mirichigni, Silvia Pallini,“. Territori della parola. Una collana di Odelleum, Observatori de les liungues d’Europa i de la Mediterrania (Università de Girona) CNRS – Université Bordeaux-Montaigne – Université e Pau et des Pays de l”Adour. Edito da Associazione LEM Italia – Lingue d’Europa e del Mediterraneo, dicembre 2020, pagg. 396, Introduzione trilingue, in italiano, catalano e francese, testo in italiano.
Photo
Le immagini – salvo la seconda panoramica con Pietracamela alle falde del Gran Sasso d’Italia che la mostra immnersa nella natura fino a confondersi in essa, tratta da “Tesori d’Italia”, di cui si ringraziano i titolari – sono state riprese da Romano Maria Levante nell’agosto 2018 e, a parte la terza con una panoramica della parte più antica, “La terra”, e della roccia identitaria “Vena grande”, rappresentano la visita nel centro storico con le sue scalinate e i suoi archi. L’immagine conclusiva mostra una delle “pitture rupestri” a Pietracamela del “Pastore bianco”, il gruppo pittorico guidato dalla gloria paesana il pittore Guido Montauti, alla presentazione dell’opera restaurata il 10 agosto 2018 con il restauratore Corrado Anelli, nella foto davanti alla pittura.