Pietracamela, 3. Ricordi di un “pretarolo” turista estivo nel suo “natìo borgo selvaggio”

di Romano Maria Levante

Abbiamo dato conto del tris di eventi nella domenica del 28 luglio a Pietracamela. che “non si puo’ dimenticar” con le due ” cronache da remoto” pubblicate l’8 e 10 agosto. Nel commentare il terzo evento, ” Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione di Pietracamela ” abbiamo preannunciato la successiva pubblicazione del nostro ricordo dei tempi passati – con preziose integrazioni fraterne ad opera di Levante Salvatore – che e’ stato letto nella parte della manifestazione dedicata alle testimonianze dei paesani. Pubblichiamo oggi, nella giornata di ferragosto carica di memorie, il nostro ricordo, illustrato da alcune foto della manifestazione e soprattutto da immagini evocative dei tempi passati e del paese concluse da alcune fotografie molto personali.  

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Pietracamela, parte di Piazza degli Eroi, verso il centro storico, “la Terra”

Mi vengono chiesti da Pasquale Iannetti – così attivo e ammirevole nella valorizzazione del nostro territorio in tante forme –  dei ricordi del tempo che fu, evocato nella celebrazione di Marta Iannetti, che non ho conosciuto ma mi unisco nel sentire viva la memoria di una persona straordinaria. Sono iniziative encomiabili queste per le nostre glorie che vanno onorate e non dimenticate, ne abbiamo molte: eroi e artisti, grandi professionisti e scrittori, anche al femminile come Marta Iannetti e la poetessa “Gina” celebrata di recente al Campidoglio e a Bruxelles, che attende il giusto riconoscimento nel suo paese il cui idioma “pretarolo” ha nobilitato con i suoi versi ispirati.

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“Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione a Pietracamela”, parla Pasquale Iannetti

Ricordi da “pretarolo” si attendono da me, lo sono come nascita da una famiglia le cui tracce risalgono fino al Catasto onciario, e preonciario, siamo al 700, il mio avo Giuseppe Levante aveva dei terreni confinanti con quelli di certo D’Annunzio; ma non come residenza, i miei genitori, maestri elementari,  sono andati via da Pietracamela alla mia nascita, la mia infanzia si è svolta a Colonnella, un paese in collina ai confini con le Marche, l’adolescenza a Teramo, la prima giovinezza a Bologna, con il trasferimento per l’Università, mentre la maturità della vita e oltre…. a Roma, l’approdo definitivo.

Un momento della manifestazione

Ma i legami con le mie radici, che sento profondamente, non si sono mai allentati, ogni estate fin dall’inizio l’ho trascorsa nel “natio borgo selvaggio” come “turista”, anche se anomalo, e mi suona male questo termine, qui siamo chiamati “naturali”, più benevolo del termine “fuorusciti” di Giammario Sgattoni. Per questo i miei ricordi sono limitati alle tante estati vissute in simbiosi con il “mio” paese; ma non con la “total immersion” di Gero, Gelasio Giardetti, che nel suo “La farfalla di Andrea” ripercorre l’esperienza personale di infanzia e adolescenza, i crudi inverni, in una forma romanzata ma  evocativa e avvincente.

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L’ora delle testimonianze: la lettura del ricordo

Le mie vacanze estive a Pietracamela, comunque, non sono state quelle di un comune turista. Gli incontri e le “chiacchiere” in piazza con i paesani non si possono dimenticare. Con Guido Montauti, la nostra gloria internazionale, anche lui “turista” estivo, le tante conversazioni nel suo fare disincantato, leggero e insieme profondo; anche qualche passeggiata fuori della Villa quando si fermava e con le dita incrociate inquadrava angoli di paesaggio per un possibile dipinto ripreso dalla realtà nobilitata con la sua arte. Ho ancora – e li ho pubblicati nel mio romanzo ispirato a una storia vera di emigrazione “pretarola” vissuta da vicino – i suoi schizzi che fissavano il paese, buttati giù al termine di una cenetta insieme nell’osteria di Ortolano,e poi la visita al suo studio, i suoi quadri; è intitolato a lui l’Istituto di istruzione superiore Delfico-Montauti, di Teramo, del quale fa parte il Liceo artistico di cui è stato eminente professore. E’ stato onorato anche con il Premio internazionale pitture rupestri Guido Montauti, l’opera del vincitore, l’artista Jorg Grunert, è su una roccia nella strada pianeggiante verso il vecchio mulino dopo Porta Fontana. Per associazione di dee mi tornano alla mente altri artisti venuti a Pietracamela molti anni prima, ma a villeggiare: Carla Gravina, Marina Berti e Claudio Gora con i figli ragazzini che diventeranno i celebri Andrea e Tullio Giordana, giocavano con i pretaroli della loro età, Gero tra questi lo ricorda ancora.

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Un’immagine d’epoca, gregge di pecore davanti alla chiesa

Al ricordo di Guido associo quello di Bruno Bartolomei, per noi Brunitt, non dimentico il suo sorriso e la sua tenacia, sul lavoro e non solo, fu inserito nel “Pastore bianco” dal maestro Guido con i guardamacchia che indossava nella mostra a Roma al Palazzo delle Esposizioni dove li incontrai e poi a fine serata andammo al Colosseo; ma presto dal folklore passò all’arte, visitai la mostra a Montorio dei suoi dipinti, non di finto naïf ma autentici; è un ricordo velato di tristezza, ho reso omaggio alla sua figura allora e di recente.  Al “Pastore bianco” di Guido Montauti si devono anche le “Pitture rupestri” verso la grotta di Segaturo, distrutte putroppo dalla rovinosa frana del 2019, salvo due recuperate, restaurate e rese visibili con un tragitto attrezzato nel 2’018.

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Altra immagine d’epoca, sempre vicino alla chiesa con la neve

E il medico Bruno Marsilii, con le sue spedizioni e i suoi ricordi himalayani, molto riflessivo e legato alla sua passione alpinistica, mi è rimasta impressa la copertina del Bollettino del CAI con una sua scalata, ai piedi i “paponi” inquadrati in primo piano, la calzatura “pretarola” di stoffa trapuntata nella siuola, fatta in casa. E con lui il ricordo va a Lino D’Angelo, altra grande gloria con cui le “chiacchierate” erano continue ma non vantava mai le sue conquiste alpinistiche, solo qualche accenno; mi è rimasta impressa una sua esibizione sulla “palestra” fuori del paese, con Gigi Mario, altra figura che torna alla mente. Poi ha magistralmente evocato “Le alte vie della mia vita” in un libro esemplare, gli regalai “Insciallah” di Oriana Fallaci e ne fu felice; ricordo quando ci fece da guida strisciando davanti a noi nello stretto budello per entrare nella “grotta di Eros”, il giorno della sua scoperta, sopra al Canale, un’emozionante spettacolo di stalattiti e stalagmiti, da allora non più accessibile.

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La “corriera” nei tempi antichi

Ma poi Berardino Giardetti, il maestro elementare emigrato in Canada “per provare” la vita dell’emigrante, poi al ritorno divenuto direttore didattico e scrittore con la sua “storia” vista dal basso, dalle “Grandezze e miserie dell’Unità d’Italia”  alla “Memoria su Matteo Manodoro, generale dei briganti” nobilitato a patriota, passando per l’”Incontro col diavolo e altri racconti” , questa sì una evocazione suggestiva di un passato lontano.. Si dilettava anche di suonare il mandolino con Francesco Bonaduce, “Tarantella”, paesano suo amico del cuore, gli suggerì il nome dannunziano di “Aligi” per il figlio.

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Due bambini sul mulo… trasportatore; Celestina De Luca con il fratellino e i genitori

Ho anche un ricordo lontanissimo di Ernesto Sivitilli, medico condotto a Colonnella dove i miei genitori erano maestri, la domenica veniva da noi ed era una rimpatriata “pretarola” sempre emozionante anche per me e mio fratello Salvatore, eravamo piccoli. Anzi Salvatore mi ha ricordato la consuetudine del dopopranzo, con lui che a mo’ di consiglio da medico andava avanti e indietro per la stanza e girava diverse volte intorno al tavolo dove avevamo pranzato facendo una breve ma “salutare” passeggiata.

Un quartetto di nonnine nel tipico costume”pretarolo” utilizzato abirualmente anche in tempi recenti

Sono questi ricordi di persone straordinarie, portabandiera di una Comunità altrettanto straordinaria, che di anno in anno ho visto spostarsi i suoi componenti nel riposo eterno per la legge di natura restando unita con le proprie storie personali divenute collettive in una toccante “Antologia di Spoon River” pretarola. Ed ecco i “pionieri”, Gogliardino, lo vedevi costantemente dritto e impassibile dietro l’alto bancone della sua rivendita di alimentari dove i paesani si rifornivano di ogni ben di Dio, e Ferrino, compagno di mio padre sin da bambini, esperto realizzatore e imprenditore dell’amaro tratto dalla genziana.

Piazza degli Eroi all’arrivo della “corriera”, tanti anni fa

Era sua l’osteria sotto casa, una delle due del paese, affidata alle cure del Rosso e del fratello di questi, entrambi giovani simpaticissimi, perché aveva impegni di maggiore livello enologico; accanto a lui e a Gogliardino gli altri due fratelli Guido e Natalino, professionalità diverse ed eccellenti le loro: Guido, ne parlavo anche prima, ha fatto il pittore per tutta la vita – cooptato ad honorem nell’insegnamento al Liceo artistico di Teramo cui ha dato il nome – raggiungendo grande notorietà anche all’estero, parlava spesso dei suoi lunghi soggiorni parigini ed è stato uno dei più validi pittori abruzzesi delle ultime generazioni, e Natalino, ho un ricordo personale di lui, insegnava lettere al liceo di Teramo e fu giovane professore di ginnasio di mio fratello… e per poco temp anche mio, quanti anni da allora!; anche la moglie di Guido è stata mia insegnante di Storia dell’Arte nello stesso liceo.

il Monte Calvario com’era, prima della demolizione della vetta

A questo punto mi tornano in mente Aladino e il fratello Peppino, e la Stella, nel suo negozietto dove sembrava a noi bambini si vendesse di tutto, oltre alla rivendita delle sigarette, delle quali si diceva bene allora, e Ngin Git, che tornato dalla prigionia dopo la fine dell’ultima guerra l’aveva sposata come penso desiderassero anche prima che partisse soldato. Ripenso poi a Dina e al marito Artidoro, non ebbero figli e lei si è dedicata alle adorate nipoti Lidia e Zaira, lui lo ricordo per una foto nell’album di famiglia che lo ritrae con un gruppo di persone nel recinto davanti alla sua casa, l’ultima della parte nuova del paese costruita con i risparmi di una vita di lavoro, e nel gruppo si nota mia madre giovane che tiene tra le braccia un infante nato da poco, mio fratello Salvatore ancora in fasce.

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Le Croci “abbassate” del Monte Calvario, sullo sfondo Vena Grande e il centro storico “la Terra”

E ancora mi ricordo di Pottonio reduce della Grande Guerra, con la mutilazione di un piede che non gli impediva di svolgere i suoi lavori nei campi e in paese, come se avesse il fisico perfettamente integro, l’ho visto tante volte salito sopra il tetto del suo pagliaio per sistemarlo da solo, la sua cara moglie negli anni sessanta sarebbe scomparsa prematuramente e la sorella di lei Mariannella, che spesso capitava a casa nostra legata alle mie zie praticamente coetaneee, nella famiglia c’erano anche le due figlie, bimbe carine e poi giovani donne, di età poco meno della nostra, Freda la maggiore, il nome una chiara reminiscenza del passato militare del papà che in quelle zone di guerra lo aveva sentito e gli era piaciuto…o ne aveva ammirata una in carne ed ossa, e Nivia dolce sorriso e maniera di porsi, scomparsa di recente, l’altra prematuramente molti anni fa.

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Una delle “pitture rupestri” del “Pastore bianco” di Guido Montauti distrutte dalla frana del 2010

Si affollano i miei ricordi, c’è Luna con l’amato Osvaldo, una famiglia ammodo con le figlie, lei una bella donna, occhi chiari luminosi, forse li ritrovavi anche in quelli della figlia minore Stellina e lui, maestro elementare, nelle lunghe estati “pretarole” si scatenava valente giocatore di bocce, la sua perizia si palesava soprattutto quando bocciava senza…  pietà la boccia avversaria ben posizionata, uno spettacolo i tre passi della rincorsa di prammatica tenendola di mira con lo schiocco dell’impatto conclusivo che sostituiva di netto con la propria l’altra boccia espellendola, e accanito giocatore di carte sia napoletane che francesi, tressette o ramino, nelle due osterie del paese allora pienamente funzionanti. Era bravo nel giocare  a bocce anche il padre di Corrado Adriani – con Corrado siamo stati compagni nelle comitive estive e rimasti amici, ha avuto importanti incarichi amministrativi in Abruzzo, ha una bella famiglia – ricordo anche la madre così dolce e riservata.

Una delle due “pitture rupestri” del “Pastore bianco” di Guido Montauti sopravvissute all frana e restaurate, la più grande con davanti il restauratore Corrado Anelli

E come non ricordare Mariuccia “di Sofia”, con l’immancabile appellativo che così la identificava, bella e ammirata in paese, andata sposa al medico Sivitilli, prematuramente scomparso e risposata poi da Venturino, che l’aveva amata da sempre, non l’aveva potuta avere con sé prima e poi per i casi della vita era riuscito  a coronare il suo sogno; e ancora il medico Panza detto Pallino che però non esercitava a Pietracamela per essere la condotta medica tenuta prima dal mitico medico Montauti, che c’era già quando i miei genitori erano giovani, l’abbiamo conosciuto negli anni quaranta, ero piccolo; mio fratello Salvatore di due anni più grande di me ricorda qualche pomeriggio quando con i miei siamo andati a trovarlo nella sua casa, autorevole quanto lui stesso, con il portone sulla sommità di una scalinata all’esterno, erta e dritta, sormontata da una volta ad arco e chiusa da un cancello dabbasso che incuteva timore reverenziale. Ricordo anche i nipoti figli figli di una sorella del medico Pasquale e Alberto, da picolo, insieme a mio fratello Salvatorem giocavo con loto sul terrazzo interno semicircolare, divennero affermati professionisti, quante discussioni nei ritorni estivi soprattutto con Pasquale, molto motivato! Al medico Montauti  successe nella condotta Bruno Marsilii, scalatore, fece parte come medico a diverse spedizioni sull’Himalaya, ne ricordo le lunghe sistematiche passeggiate fino al bivio di Collepiano anche nell’età molto avanzata.

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La secondo “pittura rupestre” del “Pastore bianco” di Guido Montauti sopravvissuta e restaurata

Ancora rivedo l’imponente Lucia, alta con i capelli raccolti a corona intorno al capo e suo marito Curino, bonario e silenzioso, brav’uomo tutto dedito al lavoro quotidiano nelle “terre”, che tornava a sera dopo una giornata di fatiche e soprattutto, nella stessa famiglia – abitavano tutti nella casa sulla piazzetta proprio davanti a noi – suo fratello Ferrante, distinto e autorevole, segaligno e molto alto anche lui, che doveva essere stato importante in paese, soprannominato Cavallo, perché aveva l’onorificenza di Cavaliere…del Regno; credo l’avesse avuta per intercessione di mio nonno Salvatore, anche lui Cavaliere, la sorella Elvira, che stava soprattutto in casa e si vedeva poco nella piazzetta; e poi Giovanna, la sorella di Mario di Ferrante. Nella casa attigua con il caratteristico portico d’ingresso  Calata con  la figlia Dilvira che tornava d’estate, a fine stagione prima di ripartire faceva una grande raccolta di funghi ch essiccava; la invidiavo, io sono andato a funghi pochissime volte al seguito di conoscitori. .

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Il Belvedere Guido Montauti, a sinistra una sua caratteristica sagoma

I ricordi si susseguono, penso adesso a Dario e Romolo,  il primo gran conduttore della Corriera che univa il paese al… resto del mondo, abile nel sistemare con le valige dei passeggeri i più svariati involucri sul tetto dell’automezzo che si chiamava con nome altisonante l’“imperiale” e vi si accedeva da una scaletta che faceva bella mostra di sé sul retro e per noi era perfettamente naturale che ci fosse. Era succeduto in quell’incombenza ad Aladino, altra persona notevole per le sue molteplici iniziative, era stato lui il primo con la Corriera e dai trasporti era passato all’allevamento e macellazione delle pecore: non ho dimenticato il disgusto che si provava nelle nostre passeggiate quotidiane verso il mulino al sentire il puzzo nauseante che emanava dalle loro pelli ad essiccare al sole poco sotto la strada, poi abbandonò anche questa attività per impegni di ben maggiore livello, divenne affermato albergatore, realizzando  un albergo ai Prati di Tivo ben dimensionato per l’entità della richiesta turistica e in posizione di primo piano all’arrivo sul Piazzale, senza essere da meno delle realizzazioni degli altri due pretaroli albergatori da sempre in paese e poi anch’essi ai Prati, Mimì Amorocchi con il fratello – cui è intitolato il piazzale di ingresso dei Prati – e i fratelli Montauti, Gino, Lino e Tonino, scomparso di recente.

Guido Montauti al Grottone, che trent’anni dopo crollerà sulle sue “pitture rupestri”

Ritornando ai fratelli Dario e Romolo, del primo ho già parlato, l’altro è stato un bravo professionista, geometra tra Pietracamela e Teramo, era molto libero d’estate come noi e anche con lui chiacchierate in piazza e qualche gita insieme, particolarmente apprezzata la moglie Berta, donna affabile e molto in gamba con una professione preziosa, la levatrice, come si chiamava allora, i loro due figli conosciuti da bambini sono bravi professionisti. Aggiungo alla lista i bravi e rispettati agenti forestali – venivano chiamati “guardiaboschi ” – Gianni Filippi da Longarone e il maresciallo Ernesto Villani, i maestri Iepa e Giggit, i cinque fratelli De Laurentiis Gabriele e Peppino, Giuliana, Vittorio e Mario cari cugini con cui ho condiviso tanti momenti nell’infanzia e adolescenza, con i loro genitori; e  ripenso a “La Volpe” e a “La Visciuccia”, che riposano in Canada, capostipiti di una grande famiglia che ha fatto fortuna in America, insieme ai figli Mimì e Ardino, Orlando e Pierino, il quale si gode meritatamente la vita a Toronto con la sua bella famiglia, e le sorelle Giuseppina e Teresina, tutti protagonisti di una epopea migratoria che fa onore al nostro paese inteso anche come Nazione.  

La parte pianeggiante della “Terra” verso Porta Fontana,
in fondo la residenza citata dell’antico medico Montauti

Poi molti altri, penso a Mimì “il Signore”, con Luigina e Stellina, a Silvana e Luciana, a Peppino Trinetti, chiamato Jeppson per la sua maestria calcistica esibita nelle sfide estive ai Prati di Tivo che hanno anticipato le”partite del cuore” – la “Terra” contro la “Villa” – seguite con un tifo da Palio di Siena, poi sarà acuto commentatore sul bollettino  della Pro Loco; infine, Enrico e Diego, Tutuccio e Nivia, Giuseppina e Tonino, Marina, Lea e Carla accomunate in tempi diversi dalla fine prematura, che riporta a tempi lontani: a Nando, faceva il muratore come suo padre che gli aveva insegnato il mestiere, di lui mi è rimasta impressa  la struggente epigrafe della compagna, “Nando, aspettami”.  

L’ingresso al centro storico da Via Roma

Sono assenze e insieme presenze virtuali dei paesani i cui occhi mi guardano quando visito, ora idealmente, lo “Spoon River” pretarolo, e ripenso anche alle tragedie montanare, evocate nella mia infanzia, di Cambi e Cichetti, Annina e Rubina cui Pasquale ha dedicato scritti e iniziative encomiabili: in particolare, il libro “L’ultima ascensione” per i due bravi e sfortunati alpinisti –  il monumento al Piano delle Mandorle e il cippo sul vicino Rio d’Arno dove li avevano ritrovati erano una meta carica di emozione delle mie gite – e il sentiero da Forca di Valle a Cima alta dove la tormenta fu fatale per le due coraggiose e sfortunate paesane a loro intitolato. E’ di pochi giorni la dolorosa notizia della scomparsa del figlio di Giovanni e Fiorina, Alberto, mi fa pensare con vicinanza e partecipazione alla famiglia riunita Lassù anche con Marina, un pensiero triste e dolce insieme.

Un edificio con il caratteristico antico balcone

Il ricordo dei tornei al campo da tennis dinanzi all’Hotel Miramonti, sempre ai Prati di Tivo, prima tra paesani, a cui ho partecipato, poi anche con i turisti, attenua la malinconia di queste storie con tanti cari assenti che restano pur sempre presenti: la Comunità rimane intatta nella sua consistenza, con le sue storie, che ne evocano la vita, si è solo spostata….; come si spostava per la festa della Madonnina la prima domenica di agosto in un pellegrinaggio devoto con la santa Messa ai 2000 metri.  Vedo con commozione la Comunità pretarola stretta intorno ai miei genitori Argene e Gino e ai miei avi che mi sorridono da Lassù.

Un altro angolo del centro storico

Dalle persone indimenticabili alla vita di allora che torna a sprazzi nella mia memoria. Le teorie di muli carichi di legna portata a valle dalle teleferiche provvisorie guidati dai “cavallari”, il gregge di pecore che la sera sciamavano dal largo sentiero che scendeva dal Canale, quasi un tratturo, e attraversavano la piazza verso le stalle alle “Pagliare” fino a quando non fu vietato perché “si faceva brutta figura con i forestieri”. Ricordo anche il rullo dei tamburi nell’intera giornata da una parte all’altra del paese con libagioni di vino, alla festa di San Rocco dopo Ferragosto, anche questo mi pare che cessò perché sembrava poco elegante per i forestieri. 

Uno dei caratteristici “archetti”

Non facevano brutta figura le donne vestite di nero che tornavano dai Prati di Tivo con in testa le fascine, e neppure quelle che  prendevano l’acqua nella fontana in piazza con le conche portate sulla testa protetta dal  “torcinello”, dato che alla Villa – il quartiere sorto successivamente in posizione rilevata e separata dall’agglomerato dei vecchi quartieri dal Rio della Porta – non arrivava l’acqua finché non finì questa grave limitazione; allora noi, che per tale motivo andavamo nei ritorni estivi nella casa paterna alla “Terra”, ci spostammo nella casa materna alla “Villa”.

Una delle tante scalinate tra muri di pietra

E poi le processioni, solo una volta ho assistito a quella del Cristo morto, con il canto struggente, “sono stato, io l’ingrato…”, mentre la santa Messa domenicale era “obbligata” fin da quando con don Andrea c’era la divisione dei banchi tra Donne e Uomini, con gli uomini che però restavano fuori lasciando vuoti i “loro” banchi – mentre molte donne si affollavano in piedi –  per sottrarsi alla filippica alla Savonarola del parroco, ma è preistoria. Poi ci sarà padre Archimede, cugino alla lontana e compagno d’infanzia di mio padre, rientrato dall’America con il suo clergyman – allora motivo di cutiosità mista a stupore – scorrazzava in auto tra il paese e i Prati di Tivo. Don Andrea era stato un prete dimesso e ieratico nello stesso tempo, ineguagliabile il suo carisma paesano, e fino alla sua scomparsa “padre Archimé” fu devoto coadiutore pieno di attenzioni che venivano dal rispettoso affetto che nutriva per lui, poi si applicò con impegno per sostituirlo degnamente.  

Un’altra scalinata

Archimede ben diverso dal beneamato predecessore, era uomo di mondo con tanta esperienza sacerdotale americana, di lui ho ancora in mente un quadro solennemente esposto in casa, nel quale vi era l’Attestato di Benedizione che Papa Pio XI impartiva agli sposi miei genitori “come implora da S.S. padre Archimede De Luca umilmente prostrato”. Uno strascico dell’altra sua vita in America fu il servizio sensazionale che Maurizio Costanzo gli dedicò con una appariscente foto a figura intera che occupava tutta la prima pagina del suo giornale “L’Occhio”, quotidiano dalla vita breve lanciato a quel tempo sulla ribalta nazionale, servizio nel quale si rivelavano particolari che il nostro doveva conoscere sui tanti misteri degli italiani emigrati colà ed entrati in “cosa nostra”, non escluso addirittura lo stesso Al Capone, ma lui sempre e soltato uomo di fede.

Ancora scalinata con “archetto”

Mi vengono in mente altri due parroci:  don Marco, che celebrò le esequie di Mamma riportata al paese nella settimana di Pasqua ai primi di aprile del  1984, nell’ideale unione del lutto familiare con la Passione di Cristo, usando parole toccanti rimaste nel cuore; l’anno successivo se ne andò Papà, nell’estate senza di lei andava ogni mattina a trovarla al cimitero, riposano vicini nella pace eterna.  Fino  al giovane  don Filippo,  mi ricordo quando, nella messa di insediamento come parroco officiata dal Vescovo, a lui da poco sacerdote il sindaco Giorgio Forti, con tanto di fascia tricolore, disse che quel primo compito era particolarmente formativo, c’era da”spaccarsi le ossa” nei rigori invernali, e lui, come prima don Marco, “si fece le ossa”, entrambi hanno ottenuto in seguito importanti destinazioni, don Filippo ad Atri con la cura anche del celebre Museo.

Un altro “archetto” caratteristico

Ora il mio pensiero va al sindaco Forti che non c‘è più, a lui si deve l’ingresso del paese tra i “borghi più belli d’Italia” un riconoscimento meritato ma non facile da ottenere, è stato sindaco per dieci anni.  Di don Marco ricordo anche una messa suggestiva alla Madonnina, a 2000 metri, la prima domenica di agosto come sempre, da piccolo ci andavo con i miei attraverso il bosco dell’Aschiero su un mulo che camminava rasente il bordo del sentiero anche in punti molto esposti; poi l’annuale visita alla Madonnina lungo l’era erbosa dei Prati di Tivo, attraverso Fonte Monaca e Fonte Cristiana fino alla roccia della Luna. In una di queste visite con altri paesani riscendemmo lungo i prati insieme a don Marco e gli chiedemmo scherzosamente rispetto alla fede: “E se non fosse vero niente, che … fregatura sarebbe per noi!” Stette allo scherzo e rispose: “Figuratevi per me!”.

Un angolo caratteristico

Da questi ultimi, indimenticabili,  personaggi torno ai lontani ricordi di vita. La mia fantasia di adolescente si scatenava sul Monte Calvario, con le grandi rocce al culmine che erano una calamita, finché una frana non indusse a “spianare” la vetta e spostare le croci più in basso. Ma prima del Calvario c’era una modesta paretina rocciosa che provocava… la mia ansia di arrampicarmi. Sì, perché anche in questo sono stato “turista” particolare, un’unica ascensione sulla “Ciai Pasquale” con la guida di Angelino, l’indimenticabile Clorindo Narducci con cui trascorrevo molte delle mie serate di conversazioni, anche lui gloria del paese con gli altri “Aquilotti del Gran Sasso” di cui il 30 dicembre 2023 si è celebrato il centenario inaugurando il monumento nella “Piazza degli Eroi”; da “vigile urbano” in una breve stagione, a “turista” estivo anche lui dopo il trasferimento per lavoro a Fossa nel versante aquilano del “suo” Gran Sasso che ha celebrato in “Un vecchio zaino pieno di ricordi”  come ha celebrato la “sua “Pietracamela, tra storia e leggenda” nell’altro aureo libretto, ho reso omaggio alla sua scomparsa commentando queste sue opere scritte con il cuore..

I ruderi del vecchio mulinoi sul Rio d’Arno

Un’unica “ascensione” alpinistica la mia, dunque, quella che ho citato sulla “Ciai Pasquale con la guida di Angelino, ma da “turista” escursionista estivo un punto di orgoglio. la prima salita a Corno Grande da solo, a vent’anni, a piedi dai Prati, ovviamente nella via “normale”, impiegai due ore in tutto, come scrissi narcisisticamente nel registro in vetta. Torna alla memoria la settimana trascorsa al Rifugio Franchetti, con mio fratello Salvatore, al mattino si doveva attendere che l’acqua si scongelasse, più in alto  la Sella dei due Corni, il ghiacciaio allora ben innevato, vi andavano a sciare; io no di certo, le uniche mie sciate ai Prati di Tivo dove tornai eccezionalmente in una invernata nell’anno della maturità classica, con l’amichevole insegnamento di un campione come il caro paesano Mario di Ferrante,  e molto dopo ci tornai nelle settimane bianche con moglie, figlio e nipoti schierati disciplinatamente alle lezioni nella scuola di sci rimaste a livello elementare.

La piccola “cavea” per spettacoli all’aperto vicinissima ai ruderi del vrcchio mulino

Invece sono state infinite le mie “arrampicate”, sempre estive, salivo spesso sugli alberi usando il reticolo di rami come una scalinata, ma soprattutto le rocce avevano su di me una forza attrattiva irresistibile, quelle sotto il ponte al vecchio mulino diventarono una palestra continua. Ed era piena di fascino la santa Messa domenicale nella chiesetta di Collemulino purtroppo caduta in rovina ma con immagini sacre miracolosamente intatte. Come mi attiravano i boschi, dove mi inoltravo non temendo di perdermi, e il Rio d’Arno dove facevo il bagno nelle “caldaie”  allora piene di acque risalendolo di roccia in roccia sentendomi come un esploratore, indimenticabile l’emozione della prima volta alle sorgenti, con l’imponente cascata del Calderone; mi torna in mente l’emozione provata nell’infanzia quando Papà mi portò a vedere il mulino in funzione, con l’acqua del Rio d’Arno che piombava tumultuosa nella “gora” per far muovere le macine in basso, ne rimasi molto impressionato.

Don Andrea, fuori della “Villa”, 1954

Mi piaceva, da ragazzo e poi adolescente, “esplorare” nel cuore del paese, con l’intrico di scalinate e di discese con tanti archi e archetti, in un sorta di labirinto che eccitava la mia immaginazione, come quando mi avventuravo nei boschi.  “Vena grande”, la roccia identitaria che sovrasta Piazza degli Eroi, mi affascinava, ci sono salito con molta circospezione, e la prima volta mi sentivo come giunto in vetta; mi è rimasto impresso quando, dopo il 25 luglio 1943, eravamo in vacanza e dalla piazza in basso assistetti con i paesani alla demolizione della scritta DUX che campeggiava sul grande pilone di sostegno della roccia, ad opera di alcuni saliti su una lunga scala con gli scalpelli; analoga scritta continuai a vederla da giovane nei ritorni in auto da Roma e viceversa, impressa dall’apposito taglio degli alberi in un bosco che si vedeva in alto lungo il percorso, a Pietracamela era bastato scalpellare, ma lì restava.

Primi passi di arrampicata…, rimasti tali

Nei ricordi personali si inserisce a questo punto una memoria coinvolgente, non la fienagione di luglio, ma la raccolta del grano che la terra povera poteva dare, ricordo di aver visto quando si “scamava” per separare grano dalla pula sollevando all’aria le spighe nel “Pagliai”, poi venne la trebbiatrice. Ho anche una esperienza “contadina”, ero ancora piccolo e andammo a “cavare” le patate in un pezzo di terra nostro che si coltivava ancora, ricordo l’emozione nel trovare le patate ad una ad una come fosse ogni volta una conquista.

Controluce al Grottone, a vent’anni…..

E’ troppo poco, a parte l’”Antologia di Spoon River” pretarola….. rispetto a quanto possono evocare i “residenti” effettivi e non solo i “naturali” come il sottoscritto, del resto la mia è stata una “Spoon River” forzatamente “da remoto” pur se quanto mai evocativa. Ma è comunque una testimonianza che può rievocare tante cose al cuore di ognuno come è successo a me: : ho scritto di getto queste sentite parole appena mi è stato ripetuto l’invito che in un primo momento avevo declinato proprio per i limiti appena ricordati, con le parole “Grazie Romano. Però se pensi di mettere giù qualche ricordo dei mesi estivi trascorsi a Pietracamela non mi dispiacerebbe, Un abbraccio”.  E allora l’ho fatto subito, è stata una immersione nel tempo e nei ricordi, un tuffo nel “natio borgo selvaggio” tanto amato nel quale gli immancabili ritorni estivi si sono arrestati, da cinque anni, per il Covid e per problemi familiari persistenti. Poi ho integrato con le storie del nostro “Spoon River” suggerite da mio fratello Salvatore, sempre presente con me nei ritorni estivi e dalla memoria quanto mai lucida per questa rievocazione appassionata.  

Prati di Tivo, Berardino Giardetti al mandolino con Francesco Bonaduce, “Tarantella”, alla chitarra,
a dx Osvaldo Trinetti che canta, a sin. in primo piano la fronte dell’allora piccolo Aligi Bonaduce

Mi viene di citare il poeta.. “per ch’i no spero di tornar giammai, ballatetta, in Toscana, va tu leggera e piana dritt’a la donna mia che ti farà tanto onore.”….  Spero di essere pessimista, comunque  la destinazione non è la Toscana né una donna, ma il grande Pasquale che  con il suo inatteso invito mi ha fatto  tornare spiritualmente e idealmente al mio “natio borgo selvaggio” alle falde del Gran Sasso e non posso che ringraziare immedesimandomi con tanta emozione. Non è una “ballatetta” la mia… ma uno sfogo genuino profondamente sentito con il cuore e con l’animo.

28 luglio 2024

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Pietracamela, un insolito panorama ravvicinato

Info

Si tratta della parte della manifestazione di domenica 28 luglio “Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione a Pietracamela” dedicata alla testimonianza dei paesani sui tempi passati, con il nostro ricordo che è stato letto ai partecipanti. Cfr. i nostri articoli in questo sito, per la cronaca della manifestazione citata, insieme con la “Festa dell’arrampicata”, e per la contemporanea “Riapertura della chiesa di San Leucio”, sempre a Pietracamela, il 10 e 8 agosto 2024. Ai numerosi nostri articoli su Pietracamela si accede, in questo sito, cliccando “Pietracamela” in “cerca”, posto sulla sinistra; qui citiamo solo quelli cui abbiamo fatto riferimento: su Guido Montauti, nel centenario 2018, 1. Il ricordo dell’uomo 13 luglio, 2. L’uomo e l’artista 22 luglio, 3. Dagli esordi alla svolta plastica 29 luglio, 4. Dal periodo parigino alle ‘Pitture rupestri‘ 3 agosto, 5. Dal Pastore bianco all’empireo 11 agosto, 6. Il recupero delle ‘Pitture rupestri’ 19 agosto; 2012, Mostra fotografica su di lui al Grottone 29 agosto (le immagini degli articoli sul centenario sono saltate nel trasferimento a questo sito, saranno reinserite prossimamente). Clorindo Narducci-Angelino 2016, 1. Il ‘suo’ Gran Sasso che domina il ‘nido delle aquile’ 3 luglio, 2. La storia del ‘natìo borgo selvaggio rivissuta con amore 6 luglio (; Bruno Bartolomei- Brunitt In memoria di Brunitt, caduto sul lavoro 2021, 21 maggio ( e 1990 luglio-settembre su “Mondo Edile”) Ginevra Bartolomei-“la Gina” 2024, 1. Il ‘pretarolo’, l’analisi linguistica sui versi della poetessa popolare ‘la Gina’ 3 giugno, 2. I versi della ‘Gina’, la poetessa del ‘pretarolo’: amore per il paese, devozione, umanità. 17 giugno (in questi ultimi due articoli molte altre immagini del centro storico di Pietracamela).

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Pietracamela immersa nel verde, alle falde del Gran Sasso d’Italia

Photo

Le immagini inserite nel testo sono a fini evocativi legate ai ricordi, a parte le 3 foto (di Marta Iannetti) che seguono l’immagine di apertura (di Aligi Bonaduce) su alcuni momenti della manifestazione “Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione di Pietracamela”; dalla n. 5 alla 9 foto d’epoca (Fondo Aligi Bonaduce), la 10 e la 11 meno antiche (di Salvatore Levante), la 12 sulle Croci abbassate del Monte Calvario (di Romano Maria Levante), dalla 13 alla 17 su Guido Montauti (le 13 e 17 di Aligi Bonaduce, da 14 a 16 di Romano Maria Levante), dalla 18 alla 27, centro storico con la residenza del medico Montauti nell’itinerario pianeggiante verso Porta Fontana la 18, e soprattutto angoli, scalinate e archetti caratteristici, fino alle 28 e 29 con i ruderi del vecchio mulino sul Rio d’Arno e la vicinissima piccola “cavea” per gli spettacoli (tutte di Romano Maria Levante); in conclusione la foto 30 dell’antico parroco don Andrea e le 31 e 32 personali che seguono, più la foto 33 della scampagnata canora ai Prati di Rivo (tutte e 4 di Salvatore Levante); infine 3 panorami, la 34 veduta insolita di Pietracamela (di Aligi Bonaduce), le 35 e 36 immagine panoramica del paese nel verde con il Gran Sasso la prima, il Gigante che dorme o la Bella addormentata al risveglio… la seconda (di Romano Maria Levante). A tuti gli autori delle immagini inserite nel testo, che abbiamo citato espressamente, il nostro più vivo ringraziamento.

Il “Gigante che dorme” o “la Bella addormentata” al risveglio….