Ieri abbiamo ripubblicato il primo dei nostri due articoli, uscito il 20 luglio 2013 nel sito web www.arteculturaoggi.com, sull’annuale mostra fotografica nella chiesa dei Santissimi Martiri dell’Uganda; ora ripubblichiam l’articolo del 23 ottobre 2015, precisamente ieri sono stati sei anni. L’intento è colmare il vuoto dato dall’assenza della mostra quest’anno per la pandemia, e così rispondiamo anche al richiamo del ministro Franceschini che tre giorni fa, il 21 ottobre, ha dichiarato al summit UE-Africa per le piccole e medie imprese alla Galleria Nazionale di Roma: “Mi piacerebbe che, oltre al programma Erasmus, fosse varato un programma nazionale per studenti tra l’Italia e l’Africa, per aiutare lo scambio delle conoscenze: l’unico strumento che può aiutare a superare le diffidenze, aiutare a trovare obiettivi comuni, vivere i problemi dell’altro Paese come fossero i propri. Questa prospettiva è stata al centro dei lavori del G20 cultura, che s’è tenuto lo scorso luglio a Roma”. E ha aggiunto: “Tra Europa e Africa è necessario un lavoro che, oltre i rapporti economici e la costruzione di infrastrutture, vada in profondità, alla radice, che punti alla conoscenza reciproca, agli scambi culturali, in particolare quelli tra i giovani. L’Italia da questo punto di vista riveste un ruolo fondamentale anche grazie alla sua geografia che la pone come una specie di molo naturale nel Mediterraneo”. Il “reportage” fotogarfioco, e non solo, sul villaggio ugandese mostra una realtà che va tenuta ben presente, e non muta nel tempo come si vede dal confronto tra il 2013 e il 2015. Giustissimo promuovere la conoscenza reciproca con scambi tipo Erasmus, e anche tipo le benemerite missioni di questa Parrocchia, ma quando si decideranno i paesi ricchi al Piano Marshall per l’Africa troppe volte evocato, con cui darebbero slancio anche alle loro economie opulente che abbisognano di nuovi sbocchi? La lotta alla pandemia potrebbe accelerare tale processo e nel nostro piccolo, con questi “reportage” religiosi di alto valore civile e umano, vorremmo contribuire a risvegliare coscienze che sembrano addormentate.
di Romano Maria Levante
Una mostra fotografica, a sostegno dei progetti della Parrocchia Santi Martiri dell’Uganda della diocesi ugandese di Lira, dall’11 ottobre al 30 novembre 2015, all’interno della Chiesa dei Santissimi Martiri dell’Uganda, a Roma, quartiere Ardeatino, dall’eloquente titolo “God is Working”, autori Don Ivan, Francesca, Marco, Muffin, del gruppo missionario della parrocchia. E’un reportage appassionato della visita-pellegrinaggio svoltasi nella seconda quindicina del luglio 2015 su iniziativa del parroco don Luigi D’Errico, in Uganda, nella diocesi di Lira, dov’è il santuario dei Santissimi Martiri ugandesi sacrificatisi per la fede voluto da Paolo VI dopo un viaggio sui luoghi del martirio. I martiri sono Carlo Lwanda e 21 giovani ai quali Paolo VI volle dedicare anche la nuova chiesa romana nel quartiere Ardeatino; la consacrazione fu opera di Giovanni Paolo II, fu la prima del suo pontificato.
Ne abbiamo raccontato la storia commentando la mostra dell’estate 2013 nella stessa chiesa, dopo la precedente visita-pellegrinaggio con don Davide Lees. Abbiamo citato le parole di padre Torquato Paolucci, missionario in Uganda,, richiamato in Italia dopo trent’anni, tornato malvolentieri a Roma con il cuore rimasto tra i parrocchiani ugandesi, un “mal d’Africa” religioso il suo.
Le mostre religiose
Questa mostra è un nuovo esempio di come il mezzo fotografico sia idoneo a rendere anche quei concetti e valori di natura religiosa attinenti alla spiritualità interiore piuttosto che alla realtà esteriore che è possibile catturare con l’obiettivo; la forza dello spirito è tale da trasmettersi anche mediante immagini che restano impresse per la loro immediatezza. E’ avvenuto con le mostre fotografiche romane su Giovanni Paolo II, a Piazza Esedra, a Palazzo Valentini e a “Spazio 5”, avviene anche con la mostra attuale.
Pertanto ci soffermeremo sui contenuti spirituali e sui messaggi tramessi senza parlare degli aspetti estetici delle fotografie esposte, delle quali ci limitiamo a sottolineare la qualità: alcune di esse sono di tono pittorico fino a toccare un vero livello artistico. Sono stati bravi gli autori, che le hanno corredate di didascalie utili ad approfondirne i contenuti. C’è un’unità di tempo, oltre che di spazio, nel reportage fotografico, le fotografie sono state scattate tutte nell’ultima decade di luglio 2015, nella diocesi ugandese di Lira.
E’ anche un nuovo esempio di mostre presentate all’interno della chiesa, cosa che avviene in circostanze eccezionali come fu per la mostra “Arché”, con i dipinti di quattro grandi artisti contemporanei in omaggio ai terremotati d’Abruzzo nella basilica di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila dissestata dal sisma; e come è stato per la mostra fotografica di due anni fa in questa stessa chiesa.
La religione è strettamente legata all’arte, essendone il soggetto prevalente soprattutto nell’epoca d’oro della creazione artistica, da Giotto al Rinascimento, dal ‘600 all’ ‘800 e ‘900, per cui le opere ispirate alla religione sono di gran lunga prevalenti nelle mostre d’arte, non considerando l’arte contemporanea che si sbizzarrisce altrimenti. Ma sono poche le mostre dichiaratamente a tema religioso, tra queste vogliamo ricordare le esposizioni d’arte a Illegio sugli “Apocrifi”, ad Ancona nel Congresso eucaristico sull’Ultima cena, “Alla mensa del Signore”; e, prima, a Palazzo Venezia a Roma , su “Il Potere e la Grazia”, imponentemostra tematica sui protagonisti della fede: eremiti e martiri, sovrani cristiani e missionari.
La vicenda eroica dei Santi Martiri ugandesi
Questa mostra fotografica, come la precedente, rimanda ai missionari anche se non è più l’epoca dell’evangelizzazione in continenti inesplorati, ma è altrettanto eroica per i sacerdoti che fanno opera di carità in zone spesso tormentate da guerre tribali, e anche per gli stessi convertiti, come dimostra la storia dell’Uganda che ha avuto martiri cristiani tra i suoi giovani.
Abbiamo già raccontato la loro vicenda eroica, ricordiamo solo i momenti salienti. ‘Nel 1877 le prime predicazioni, poi la penetrazione della parola di Dio al sud con i Padri bianchi, al nord con i Comboniani; quindi il martirio, nel 1885-87 nel sud uccisi Carlo Lwanga e 21 compagni; nel 1918 nel nord i catechisti Daudi Okelo e Jildo Jrwa, tutti giovanissimi.
A loro è dedicata la chiesa romana dove si svolge mostra; Carlo Lwanga, il cui nome è stato dato al teatro annesso alla chiesa, era molto vicino al re, e tanti suoi coetanei di famiglie nobili frequentavano la corte. Ma la fede lo portò a respingere il ruolo di efebo sottomesso ai piaceri del sovrano, e anche i suoi compagni si ribellarono, per questo furono arsi vivi. Pure i due giovani catechisti del nord furono uccisi con protestanti e islamici, in un tragico sincretismo del martirio per fede.
Furono canonizzati nel 1964 da Paolo VI che nel 1969 andò sul luogo del martirio in Uganda, ne fu così impressionato da farvi erigere un Santuario e disporre di dedicare ai Martiri ugandesi la prima delle nuove chiese da costruire a Roma. Il 20 giugno 1970 fu posta la prima pietra al quartiere Ardeatino, nell’11° Municipio, ora 8°, dove si trova il Santuario delle tre Fontane e il sacrario dei Caduti della Montagnola, martiri laici e martiri cristiani celebrati in luoghi vicini; il 26 aprile 1980 la chiesa, con le reliquie dei martiri ugandesi sotto l’altare, fu la prima ad essere consacrata da Giovanni Paolo II succeduto a Paolo VI.
La peculiarità della mostra, un viaggio dell’anima
La mostra di quest’anno non è ripetitiva di quella che abbiamo commentato due anni fa; è la seconda parte di un racconto che ci auguriamo continui nei prossimi anni con immagini e storie altrettanto appassionanti, penetrando sempre di più nella comunità della diocesi ugandese per continuare a comporre un libro della fede e dell’umanità che non può avere mai fine.
Non ci sono questa volta le immagini del santuario ugandese realizzato per volere di Paolo VI sul luogo del massacro, un tempio circolare a capanna con immagini impressionanti delle reliquie; nè le altre istantanee di testimonianza immediata presentate allora il cui valore resta immutato nel tempo. Ma c’è la foto della chiesa della parrocchia africana dei Santi Martiri dell’Uganda, definita la “Casa”.
La nuova mostra – con gli ingrandimenti fotografici collocati, come nell’altra, sulle pareti della chiesa dove sono le stazioni della Via Crucis e davanti all’altare – non è solo la testimonianza della visita in una terra con bellezze naturali straordinarie e un’umanità sorprendente; è un viaggio dell’anima alla scoperta non solo di un altro mondo ma soprattutto del proprio mondo interiore sfrondando gli orpelli fuorvianti del consumismo e andando alla radice dei pensieri, dei sentimenti e dei valori.
E’ stato un modo per entrare in contatto diretto con la povertà, quella vera, non quella che si traduce in una limitazione a certi consumi indotti dai meccanismi economici più che da bisogni effettivi. Così, dicono gli autori, “vi racconteremo come l’estrema povertà si trasforma in uno strumento per conquistare una libertà e una gioia così rare a noi sconosciute da considerarle un mistero”. Nell’estrema povertà, dunque, si può essere liberi e provare una gioia che nessuna società dei consumi può arrecare; questo hanno scoperto i visitatori-pellegrini, e ci raccontano il percorso che li ha tanto coinvolti.
Si sono talmente immedesimati in questo mondo povero ma libero, da offrire come regalo una coppa di termiti, cibo molto apprezzato dalla comunità ugandese, ma quanto mai lontano dal nostro mondo: la foto “Dono” ne dà testimonianza.
Naturalmente l’ottica è religiosa, come rivelano le loro parole: “Nei poveri si incontra Gesù, quello vero, presente, tanto che lo puoi toccare: gli altri intorno si fanno prossimo, e non possiamo più smettere di pensare che ciò che accade ad un nostro fratello ci riguarda”. I laici non credenti incontrano la propria coscienza che dovrebbe sentire vicino il prossimo non meno dei credenti.
Certo, è un altro mondo quello che scorre nella galleria fotografica, la sua alterità è tale da scuotere le coscienze e indurre a profonde riflessioni sull’essere in generale e sul proprio essere in particolare. Le didascalie alle fotografie esposte spiegano cosa c’è sotto le immagini riprese dall’obiettivo, spesso un iceberg tutto da esplorare.
I bambini, e i loro insegnamenti
Innanzitutto i bambini, ne vediamo ripresi due che raccolgono l’acqua per le esigenze della loro famiglia, nella foto intitilata “Sete”. Sono mobilitati per la sopravvivenza laddove nel nostro mondo si dividono tra scuola di nuoto e di tennis, di danza e di ginnastica artistica secondo il sesso e le preferenze, impegnati già da piccoli in una corsa al consumismo sfrenato.
Nonostante tutto i bambini ugandesi sorridono nella loro innocenza , anzi “bastava guardarli per farli sorridere, una faccia buffa, un gesto semplice e i loro occhi si illuminavano”, è questa “la ricchezza delle piccole cose”. La foto intitolata “Sorridi” con le due bambine unite nel sorriso ne è una manifestazione visibile.
Ma c’e una bambina molto piccola che non sono riusciti a far sorridere: “Teneva il muso osservandoci attentamente come può fare un capo”, per questo la foto è intitolata “Il boss”:lei non ha ceduto come gli altri bambini, i quali dopo la diffidenza iniziale che li faceva scappare dinanzi agli insoliti intrusi, non hanno resistito all’offerta di caramelle che è stata la chiave per conquistare la loro fiducia. Torna in mente l’immagine della mostra precedente in cui una piramide di mani si protendeva verso le caramelle offerte da don Davide, la cui statura lo faceva apparire un albero della cuccagna.
Ne nasce una lezione per i visitatori-pellegrini e per tutti: “E’ stato importante per noi imparare a rispettare la paura dell’altro quando fuggiva e a gioire quando tornava”. Di qui l’esortazione: “Non abbiate paura”, è il titolo della sequenza di immagini che mostra il lento avvicinamento al piccolo per conquistarne la fiducia, sono tre foto collocate nella postazione a lato dell’Altare dove si leggono le scritture e il Vangelo e il sacerdote tiene l’omelia nelle funzioni religiose.
Particolarmente toccanti le immagini dei bambini ciechi. L’apposita struttura scolastica dove imparavano l’alfabeto braille per comunicare è stata dissestata dalle violenti piogge, si raccolgono offerte per ripristinarla, mancano solo 2000 euro per i pavimenti, il tetto è stato già riparato. Sorridono con una letizia che è senza dubbio interiore e riesce a sconfiggere la cecità.
“Ora ci vedo” si intitola l’immagine di uno studente cieco della scuola primaria di Ngetta che, “quando ha sentito le nostre voci, si è subito avvicinato a noi facendosi largo con una canna di bambù utilizzata da bastone guida”. Una nuova riflessione: “Forse è vero che non si vede solo con gli occhi”.
D’altra parte, la foto scattata durante una lezione di educazione fisica nella sezione per non vedenti della scuola primaria di Ngetta reca questa didascalia che non richiede commenti: “Una delle due bambine è cieca e l’altra è la sua guida: sapreste distinguerle? Noi abbiamo fatto fatica perché gli studenti ciechi sono perfettamente integrati ed aiutati dagli altri”. Un altro insegnamento, “Affidarsi”, il titolo dato all’immagine edificante.
Ecco il commento: “L’entusiasmo degli studenti di ‘Ngetta Girls’ ha coinvolto tutti noi. La scuola cerca di dare a questi ragazzi una possibilità di studiare e di vivere un’infanzia spensierata e serena”.Nell’immagine “Si vola solo da leggeri” colpiscono i salti di gioia sincronizzati in una sorta di grande girotondo di donne festanti nell’ampia radura intorno ai ragazzi.
C?è anche un bambino che accudisce stabilmente uno più piccolo cieco e ipoudente, Steven Emmanuel, abbandonato dai genitori, lo vediamo piegato su di lui mentre lo lava alla fontana, è un’immagine così eloquente da essere stata scelta come testimonial della mostra, e sigillo della visita, è nel Manifesto posto a lato dell’altare vicino al Crocifisso, oltre che all’ingresso della chiesa. Un piccolo è in primo piano nella foto intitolata “Gesù Bambino”, è sempre Steven Emmanuel, lo incontreremo ancora.
Poi i piccoli invalidi nell’orfanotrofio, di Ngetta, “Babies home”, ce ne sono 16 seguiti da suor Gertrude, suor Francis, suor Mary. Vediamo una bambina con la paresi agli arti, calza due scarpe sinistre, sorride nell’abbraccio, la foto è intitolata “Tienimi con te”.
Un’altra immagine mostra il disabile in carrozzina che si allontana da solo nella campagna, il titolo è “Guardami”. Leggiamo questa riflessione: “Abbiamo avuto l’occasione di incontrare molte persone disabili, ognuna mite nella propria condizione e gioiosa nello stare con noi in semplicità. L’estrema povertà trasforma la condizione delle persone disabili da difficile a drammatica. Rimane esemplare comunque il modo con cui la affrontano”. Un altro esempio, gli insegnamenti proseguono.
Ai bambini viene data una piccola croce e una madonnina ” che li accompagna nella vita e di cui loro vanno fierissimi”, è il commento della foto intitolata “Fede” con un bambino che viene da Ichema. Vediamo anche l’immagine suggestiva del bambino ugandese al’interno della chiesa di Ichema dedicata a Maria, dove i comboniani padre John e padre Ferdinando Moroni: sono dediti all’assistenza dei bambini: il titolo “Rifugio” esprime la protezione offerta dalla fede tramite l’opera dei missionari.
Il bambino crescerà, come cresceranno i bambini i cui volti si affollano festosi e richiamano il grappolo di mani protese verso le caramelle di don Davide nella foto che abbiamo già citato della mostra precedente. “Apwayo” il titolo, nella lingua locale significa “grazie” ed è usato anche per salutare: sono i bambini della parrocchia Santi Martiri dell’Uganda della diocesi di Lira fuori dalla chiesa nella quale hanno cantato la vecchia canzone che il parroco precedente, il compianto don Alfio, faceva cantare ai bambini italiani nella chiesa Santi Martiri dell’Uganda di Roma, dov’è la mostra. Il gemellaggio così diventa canoro.
I volti si affollano festosi anche nell’immagine intitolata “Semi”, per esprimere la fiducia riposta in queste risorse del futuro così vitali e promettenti: “Durante la nostra visita nei villaggi l’accoglienza è stata la protagonista. Questi bambini ci hanno accompagnato fino a quando siamo andati via, mostrandoci la gioia che viene dall’incontro”.
Vediamo una fotografia che riprende un momento della cerimonia religiosa con la presenza dei sacerdoti, sono celebrazioni che durano tre ore, è intitolata “Festa”:ecco “la processione tra canti e balli che accompagna l’uscita del Vangelo”, con le ragazze felici nei loro abiti bianchi.
Immagini festose anche con gli adulti, viene ripreso un folto gruppo di diocesani locali e componenti del gruppo missionario nella foto intitolata “Urrah” , spicca il bianco delle camicie e dei camici.
La testimonianza di padre Torquato, il sacrificio del dott. Matthew
L’elemento religioso torna nella esaltazione dei catechisti, che “in Uganda sono i pilastri della Chiesa”, una vera garanzia. Per questo l’immagine che ritrae riuniti tutti i catechisti del Centro pastorale di Ngetta come in una foto di famiglia, anzi di una squadra di calcio, è intitolata “Chiesa”;e quella che ne ritrae alcuni in un suggestivo controluce si intitola “Futuro”.
Sono “una figura più che preziosa, fondamentale” per il funzionamento delle parrocchie ugandesi dove la dispersione in grandi spazi non consentirebbe un’assistenza costante da parte dei pochi sacerdoti se non fosse delegata ai catechisti dopo una preparazione che li tiene per ben tre anni lontani da casa. E’ intitolata “Coraggio” un’immagine della preparazione al Centro pastorale catechistico diretto da padre Cosimo, mentre gli aspiranti catechisti seguono attenti il docente che tiene la lezione dinanzi alla lavagna.
Ricordiamo la bella storia che ci raccontò padre Torquato Paolucci – tra gli officianti delle attuali messe domenicali nella chiesa romana dei Santi Martiri dell’Uganda – durante una lunga intervista sulla sua esperienza missionaria di trent’anni nel paese africano, che abbiamo riferito a suo tempo nel commentare la mostra precedente.
Quando un parrocchiano gli chiese di ammetterlo alla formazione dei catechisti, avendo saputo che aveva moglie e quattro figli, volle verificare con lei l’assenso a lasciare la famiglia per i tre anni previsti, credendo che lo negasse, ma ebbe questa risposta: “Se Dio ha chiamato a sè mio marito con questa vocazione, chi sono io per andare contro il suo volere?”. Ebbene, padre Torquato, quando ci fu il suo richiamo a Roma per la fine della missione trentennale, dopo una prima reazione negativa perché voleva restare in Uganda, lo collegò al volere di Dio e ripensando a quell’episodio si disse: “Chi sono io per andare contro il suo volere?”. Sentiamo un’assonanza con quanto ha detto di recente Papa Francesco interrogato sull’omosessualità:: “Chi sono io per giudicare?”. Un insegnamento che viene da lontano, dalla sua Argentina ma anche dall’Uganda della moglie del giovane aspirante catechista con quattro figli e dal missionario che ne ha dato testimonianza.
Vengono evocate storie come quella del dottor Matthew Lukwiya nell’Holy Mary Lazar Hospital – l’ospedale realizzato dal chirurgo Piero Corti, il primo nel Centro Africa – che nel 2000 si battè strenuamente contro l’epidemia di Ebola e riuscì a debellarne il focolaio in quattro mesi con un numero limitato di morti, tra cui alcuni tra il personale sanitario. Diceva al riguardo: “Se guardiamo alla morte del nostro personale vediamo lo spiegarsi di un mistero, un mistero di luce, davanti a noi c’è il martirio e la santità”. E aggiungeva: “Ora capisco chiaramente che la professione di medico è piuttosto una vocazione a cui il Signore chiama per fare vita”. Di qui la sua totale dedizione: “Ho fatto la mia scelta. Ti chiedo solo, Signore, ch’io sia l’ultimo a morire, per aiutare e curare prima gli altri”. E fu proprio l’ultimo a morire nel suo ospedale, “un missionario nella sua stessa terra”. Le sue parole sono incise in inglese nella lapide commemorativa la cui fotografia è intitolata “Vocazione”.
Il lavoro e l’Eden della natura
Non solo storie eccezionali o storie di bambini, troviamo nella mostra anche la normalità del lavoro.
L’agricoltura è l’attività prevalente, di sussistenza, serve a ricavare il necessario per vivere, si conta sull’aiuto reciproco: per questo è intitoilata “A vicenda” la foto che mostra il lavoro comune tra sacchi di derrate agricole. A questa accostiamo l’immagine della donna che offre la merce al mercato, è sorridente e assisa come una matrona, il titolo è “Mitezza”.
Un istituto tecnico fondato e diretto dal comboniano Gilberto Bettini, che ha fatto dell’Uganda la sua terra, è impegnato nelle formazione di muratori, falegnami, operai; li vediamo mentre lavorano con i mattoni in un muro nella foto intitolata “Costruire” , e con delle assi di legno nella foto dal titolo “Opportunità“.
E la natura? L’Uganda è “la perla dell’Africa”, immersa in “una natura quasi ancestrale, incontaminata che non è possibile non amare”, afferma una didascalia; e prosegue: “Quando siamo partiti per il safari Padre Cosimo – direttore del Centro pastorale catechistico a Ngetta – ci ha salutato dicendoci:: ‘Vedrete il Creato come ai tempi di Adamo ed Eva’. Questo ne è un piccolo esempio”.
Infatti sembra un miraggio, nella foto “Eden”, la giraffa che si erge al lato di un albero in un’atmosfera suggestiva; e nella foto “Bellezza”, l’antilope che ci guarda trepida e armoniosa. Poi un gruppo di elefanti, che la più grande tribù degli Acholi, uno dei maggiori gruppi etnici dell’Uganda del nord, ha preso come simbolo rassicurante, perché quando si spostano mettono al centro i più piccoli: il titolo dato all’immagine è dunque “Proteggimi”, foto scattata al Murchinson Falls National Park.
La solidarietà attiva e il legame profondo
Un’altra bella immagine ci riporta dalla natura all’umanità, è intitolata “Attesa”: mostra una giovane donna incinta ricoverata nel reparto maternità del dispensario di Minakulu; i servizi sono carenti, ma “il più delle volte dove possibile l’impegno e la dedizione del personale sanitario migliorano questo stato di cose”.
E’ ripreso anche un gruppo di operatori del Centro dispensario medico di Ngetta, con Suor Gabriella che lo dirige, davanti ai bagni realizzati con le donazioni della chiesa romana, prima c’erano soltanto buche per terra come servizi igienici, per questo la foto è stata intitolata “Dignità”. Bene in vista è la targa che ricorda la donazione, il titolo dato alla foto è “Presente”, parola usata nelle commemorazioni eroiche, qui per marcare un segno concreto della solidarietà tra la parrocchia romana e quella ugandese.
Dinanzi all’altare e alla sua destra sono poste due immagini che rendono visivamente il legame sorto tra i visitatori e la comunità locale, la loro collocazione sotolinea la centralità del messaggio.
La prima mostra don Ivan tra una folla di bambini, uno dei quali gioiosamente sulle spalle di una componente del gruppo, il titolo è “Promessa” con questa didascalia: “Il legame che abbiamo stretto con la diocesi di Lira e con tutti gli amici giù in Uganda è il cuore della nostra missione che permane anche qui a casa. Abbiamo l’ardire di credere che sia per sempre”.
Nel commento della seconda immagine, intitolata “Eraestate” – anche qui un bimbo tenuto amorevolmente tra la folla di bambini festanti – si legge: “Durante l’ora di educazione fisica il privilegio di giocare anche noi. Diventiamo parte della squadra e ci sembra di essere in parrocchia con i nostri bambini. Aver cura anche di uno solo di questi piccoli può sembrare poco, in realtà è tutto”.
Dalla comunità ugandese alla famiglia di profughi eritrei, fuggiti dalla guerra, vorrebbero venire a Roma per motivi di studio il prossimo anno, il padre Ghebrè, i figli Abigail, Ezrom e Karmen: “Ci accolgono a braccia aperte e ci mostrano le loro tradizioni. Il cibo mangiato con le mani e offerto vicendevolmente. Il caffè fatto al momento, il lavaggio delle mani prima e dopo il pasto”..
Poi la condivisione di quello che hanno sofferto: “Deve essere molto pesante non poter tornare nel proprio paese, restare senza terra, sperduti. Dover ricostruire la propria vita in un posto dove parlano lingue diverse, hanno usanze diverse, e non trovi accoglienza”. Nasce la necessità di dare accoglienza ” a chi viene per cercare pace, sicurezza e ristoro”.
Basta immedesimarsi, e a noi italiani non deve essere difficile per il nostro passato di emigrazione, soprattutto transoceanica: “Perché ciò che vive un altro potresti sentirlo sulla tua stessa pelle un giorno”, e lo puoi sentire subito “se ti fermi a guardare negli occhi un fratello straniero”. In termini religiosi è “vedere Gesù nell’altro”, in termini laici l’incontro è espressione di profonda umanità.
L’abbraccio affettuoso ai tre figli di Ghebrè profughi in Uganda ne è la sintesi toccante, la foto intitolata “Accoglimi” reca nella didascalia le parole che abbiamo appena riportato.
Al culmine della visita-pellegrinaggio in Uganda troviamo dunque il messaggio “Accoglimi”. Trova immediato riscontro nel messaggio espresso mirabilmente nell’immagine intitolata “Eccomi”: “Questa è la manina di Steven Emmanuel che con la dolcezza connaturale ai bambini si affida” ad una grande mano bianca che le si accosta con altrettanta dolcezza. Incontriamo di nuovo il piccolo Steven Emmanuel che viene ad impersonare i valori fondanti dell’umanità più autentica.
Il continuo, accorato invito di Papa Francesco all’accoglienza ha la stessa delicatezza e umiltà. Le due mani non si stringono nel senso di una protezione che può divenire prevaricazione se non sopraffazione, si accostano quasi timidamente, per conoscersi. C’è parità tra il bambino e l’adulto oltre che la parità degli esseri umani al di là del colore della pelle, delle storie personali e collettive e di tutte le differenze vere o presunte.
Quello che conta è la volontà comune di proseguire affiancati nel cammino della vita. E’ l’insegnamento della mostra.
Il parroco don Luigi D’Errico lo mette in pratica da tempo nella parrocchia dedicata ai Santi Martiri dell’Uganda.. La sua iniziativa “Un rifugio per Agar” accoglie, in una struttura idonea, donne in difficoltà con i loro figli. “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” dice un proverbio africano. Questo villaggio è la parrocchia di don Luigi con i suoi dodicimila mila abitanti, che ne asseconda le iniziative benefiche; e dopo questa mostra sente ancora più vicini i fratelli ugandesi.
Info
Chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda, Roma, Via Adolfo Ravà 31, Quartiere Ardeatino, 8° Municipio, Poggio Ameno nei pressi di Piazza Caduti della Montagnola. Da lunedì a venerdì, ore 8,00-12,30 e 16,30-19,00; domenica 8,00-19,00 esclusi gli orari delle Messe. Ingresso gratuito. La mostra è a sostegno dei progetti della Parrocchia Santi Martiri dell’Uganda nella diocesi di Lira in Uganda, per questo si accettano offerte e si possono avere dei pannelli della mostra ad offerta libera. Per la mostra precedente cfr. il nostro articolo “Uganda, nella chiesa dei Martiri, fotostory di fede e vita” 20 luglio 2013, con 9 immagini, in questo sito, e l’articolo in “fotografia.guidaconsumatore.it”. Sulle mostre citate e altri temi religiosi cft. i nostri servizi seguenti. Per le recenti beatificazioni di due papi. in questo sito,“Esposito, Carlo e Maurizio Riccardi ricordano i due papi santi” 4 luglio 2014, “Spazio 5” e “Papi della memoria” 15 ottobre 2012, Castel Sant’Angelo., in “fotografia.guidaconsumatore.it” “I due papi santi nelle foto dei Riccardi” giugno 2014, e “Giovanni Paolo II ‘tutto nostro’ nelle foto di Maurizio Riccardi” 24 maggio 2012, “Spazio 5”; “Una mostra fotografica celebra la beatificazione di Papa Wojtyla” 1° maggio 2011, Piazza Esedra, “Beatus, Mostra fotografica dopo 150 giorni” 4 settembre 2011, Palazzo Valentini. Per gli altri temi religiosi, in questo sito, “Divino Amore, 13 artisti oltre la notte” 12 maggio 2013, Madonna del Divino Amore, “Congresso eucaristico e la mostra ‘Alla mensa del Signore'” 29 giugno 2013, Mole Vanvitelliana di Ancona, “Preghiere per l’Italia” 19 luglio 2013, al Vittoriano; in “cultura.inabruzzo.it”, “Arché” 9 dicembre 2011, L’Aquila, “Il Potere e la Grazia” 28 e 29 gennaio 2010, Palazzo Venezia, “Apocrifi nell’arte ” 29 settembre e 3 ottobre 2009, a Illegio, “Perdonanza 2009″ 3 settembre 2009, L’Aquila. In materia di archeologia cristiana in “notizie.antika.it”: sulla mostra “L’archeologia del colore” 23, 30 aprile e 7 maggio 2010, Assisi, sui resti dell’antica basilica di “Santa Maria Aprutiensis a Teramo” 29 ottobre 2010, sulla “Cripta della Cattedrale di Palermo” 10 dicembre 2010; su ipogei cristiani romani, i “Sotterranei di Santa Maria Maggiore” 5 marzo 2010, la “Cripta di santa Maria in Lata” con la cella di san Paolo 22 ottobre 2012; sull’archeologia umana, le “Catacombe dei Cappuccini di Palermo” 20 novembre e 4 dicembre 2010, e il “Nuovo museo dei Cappuccini di Roma” 16 luglio 2012. Per l’arte africana in “cultura.inabruzzo.it” “Africa? Una nuova storia” 15 e 17 gennaio 2010; sui singoli paesi del progetto “Roma verso Expo”, nel 2015 Mozambico 7 luglio, Congo 28 aprile, Tunisia 25 marzo, 2014 Egitto 8 novembre. I tre siti sopra citati, “fotografia.guidaconsumatore.it”, www. antika.it, cultura.inabruzzo.it”, non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti in questo sito.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella chiesa della parrocchia dei Santi Martiri dell’Uganda, si ringrazia il parroco don Luigi D’Errico con i visitatori-pellegrini autori delle fotografie, in particolare don Ivan, e i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, il Manifesto della mostra all’ingresso della chiesa, seguono, nell’ordine con cui sono citate nel testo, tutte le fotografie esposte nella mostra, con i relativi titoli: “Casa” e “Dono”, “Sete” e “Il boss” ,”Non abbiate paura” e “Ora ci vedo”, “Affidarsi” e “Vola solo chi è leggero” , il Manifesto vicino al Crocifisso e “Gesù Bambino”, “Tienimi con te” e “Guardami”, “Fede” e “Rifugio”, “Apwayo” e “Semi”, “Festa” e “Urrah”, “Chiesa” e “Futuro”, “Coraggio” e “Vocazione”, “A vicenda” e “Mitezza”, Costruire” e “Opportunità”, “Eden” e “Bellezza”, “Proteggimi” e “Riparo”, “Attesa” e “Dignità” , “Presente” e “Promessa”, “Era estate” e “Accoglienza” , infine “Eccomi” ;in chiusura, l‘Altare della chiesa romana dei Santi Martiri dell’Uganda con il sacerdote officiante una messa domenicale, nella parete e davanti all’altare le fotografie.