di Romano Maria Levante
Nella chiesa di Santa Rita vicino Piazza Campitelli a Roma come in un cortile di Piazza di Spagna, si è potuto ammirare, di “Marcella Morlacchi il colore della città”, attraverso le sue riproduzioni minuziose delle facciate dei palazzi su strade e piazze soprattutto di Roma ma non solo. Come nelle miniature riproduce con precisione microscopica i particolari più minuti, comprese ringhiere e lampioni, pur in fogli di grandi dimensioni, in uno stile calligrafico illuminato da stesure cromatiche fedeli e nel contempo suggestive. Nel bel Catalogo troviamo la sfilata delle splendide facciate romane e di altre sue opere con saggi descrittivi sull’arte dell’autrice.
“Ogni volta che mi capita i trovarmi di fronte a un disegno di Marcella Morlacchi, a quei fogli smisurati sui quali riesce a rappresentare le facciate delle palazzate delle strade del centro storico di Roma, o addirittura lo spaccato dell’isola intera di Ponza, ogni volta mi chiedo: ‘Ma come farà s realizzare un disegno così? Qual è la prima cosa che fa, qual è il primo segno di matita, , e quando comincerà a precisare forma e proporzioni? E il colore? Quando stenderà la prima pennellata e come? Che matita usa, quale tipo di pennello, che qualità di carta?”.
Sono parole di Gaspare De Fiore, ma le facciamo nostre perché ci sono venuti spontanei gli stessi interrogativi, colpiti dalla straordinarietà delle sue opere, nelle quali le facciate degli edifici assumono una identità e una personalità come esseri viventi, l’identità è nel colore, la personalità è nei particolari architettonici resi con una precisione microscopica che non si traduce in freddezza topografica, tutt’altro.
L’aspetto architettonico e il livello artistico
Da ciò che scrive l’autrice sembra che non si renda conto dall’alto livello artistico raggiunto, interessata soprattutto all’aspetto architettonico, alla missione di tutelare l’immagine cromatica di Roma, “quel colore ambientale che conferisce ad ogni Centro Storico la sua particolare e irripetibile fisionomia”, come premette lei stessa.
E’ sorprendente come l’esigenza planimetrica abbia portato alla precisione millimetrica che rappresenta uno dei grandi pregi della sua opera, insieme con la resa coloristica che rappresenta l’altro elemento caratterizzante le sue riproduzioni della realtà. Una realtà che , fissata con tanta precisione e accuratezza, diventa paradossalmente irreale, quasi fossero castelli fantastici e non gli edifici che si incontrano girando per la capitale, magari senza guardarli, con la superficialità indotta dalla vita quotidiana.
Al contrario l’autrice ne fa l‘oggetto di una ricerca quasi da laboratorio, servendosi di aerofotogrammetrie e di centinaia di immagini fotografiche che riprende lei stessa e spiega che lo fa ” per realizzare l’effetto della profondità nello spazio e quindi della lontananza”‘.
Ecco come descrive il processo realizzativo: “Si parte dalle planimetrie aeree, le piante delle strade viste dall’alto. Attraverso un sistema di ingrandimenti vengono aggiornate ad una ad una, grazie alle centinaia di fotografie che scatta per ogni edificio da un punto di vista privilegiato: i tetti”. Poi sul lavoro artistico vero e proprio poche parole: “Poi la costruzione viene riportata in scala, disegnata nei minimi particolari e infine colorata ad acquerello” .
Sul rilievo fotografico è straordinaria la cura nel procedere a foto ravvicinate, per ogni edificio, dal piano terra ai piani superiori fino alle coperture. E nel darne conto non manca di accennare alle difficoltà incontrate: “Per questa operazione di rilevamento fotografico è emersa- notevolissima . la difficoltà di accedere al piano di copertura dei vari edifici: accesso necessario e inderogabile , peraltro, per ‘vedere’ (e fotografare quindi) lo stato di fatto , per poi rappresentarlo graficamente”.
Il procedimento seguito nel disegno prospettico e nel cromatismo
A questo riguardo ci viene da sottolineare l’indicazione “disegnata nei minimi particolari” , che porta l’attenzione su questa fase del procedimento; sono due parole, “minimi particolari” che sottendono un lavoro di precisione che ha dell’incredibile per la miriade di .particolari ripresi e fedelmente riprodotti. “Il diavolo si annida nei particolari” è il ben noto avvertimento, qui dai particolari nasce l’incredibile visione offerta all’osservatore. l'”infine viene colorata ad acquerello” evoca, con lo stesso tono minimalista, l’operazione principale, come dice l’artista: “Ma il mio interesse principale è indirizzato particolarmente al colore della città che dà vita e significato ai disegni”.
Un colore che non si è accontentata di cogliere soltanto attraverso le fotografie, per la consapevolezza che i contrasti di luce possono falsarlo: “Quindi ho operato direttamente sul posto, controllando via via il colore di base, e curando in particolare di segnalare sul disegno il posizionamento di macchie di muffa, scrostature, colature, etc., riportando, il più fedelmente possibile, lo stato di fatto”.E per meglio rendere la resa cromatica delle facciate a quarzo plastico alquanto diffuse, ha associato la tempera all’acquerello: “L’acrilico infatti impedisce l’effetto trasparente dei colori ad acqua, e pertanto la tempera si abbina perfettamente all’acquerello, per la resa opaca e omogenea del colore”.
Un impegno costante per la tutela dell’immagine urbana
L’autrice non pensa all’arte ma alla tecnica, del resto si muove in un campo professionale. E’ architetto e docente universitaria che fin dal 1984 ha svolto, nel Dipartimento di Rappresentazione e Rilievo della Facoltà di Architettura di Roma, uno studio sul colore della città per la salvaguardia del valore cromatico e ambientale delle strade e delle piazze del centro storico di Roma, attraverso il rilievo delle cortine edilizie.
E’ seguita la redazione del Piano del Colore dell’isola di Ponza nel 2000, il “Piano di Tutela dell’Immagine dell’area urbana del Municipio II del Comune di Roma: Piano del Colore e Piano dell’Arredo urbano” tra il 2004 e il 2006, è stato approvato nel 2008, poi dopo Ponza viene Ventotene, con il Piano del Colore nel 2006.
Tornando a Roma, la vediamo incaricata di rendere l’immagine della città vista dall’alto del Vittoriano, risultato, 4 vedute panoramiche di 2,40 m x 0,80 collocate nella terrazza del Vittoriano vicino ai grandi cannocchiali.
Per il 150° dell’Unità d’Italia, una delle 4 vedute è divenuta un francobollo commemorativo. E poi altri lavori come il rilievo grafico cromatico della Rocca di Vignola, i suoi acquerelli sono stati proiettati sulle pareti della Rocca nel 2015. Molteplici e le sue pubblicazioni in materia di architettura soprattutto sul tema del colore rispetto alla città e alla tutela dell’immagine urbana.
Perché abbiamo riportato questi particolari professionali della biografia dell’autrice? Perché ci intriga la correlazione tra tecnica e arte, che in misura larvata esiste anche negli artisti senza specializzazioni professionali, per il fatto stesso di utilizzare materiali dai quali trarre gli effetti voluti, nell’escalation dell’atte di Van Gogh ha avuto un ruolo anche la scoperta di colori particolarmente brillanti, e così per tanti grandi artisti. Ma qui il discorso è diverso, una grande professionista riesce a sorprenderci sul piano artistico mentre opera a livello professionale.
L’acquerello, tecnica difficile dai risultati incomparabili
E la spiegazione è semplice, le sue non sono planimetrie tecniche, ma disegni ad acquerello che, come afferma Mario Docci, “con le sue vibrazioni e le sue trasparenze, consente di ricreare atmosfere difficilmente raggiungibili con altre tecniche pittoriche”. Tanto che, dopo aver lamentato l’esclusione dell’acquerello dal piano di studi universitari sull’onda iconoclasta della contestazione del ’68, si sfoga così: “A partire dagli anni ottanta, mi sono posto più volte questo problema senza trovare una soluzione, finché un giorno, vedendo alcuni disegni di Marcella Morlacchi, capii che lei poteva riprendere il dialogo con l’acquerello”.
E non è poco,dato che l’acquerello è una tecnica che presenta particolari difficoltà “e può essere utilizzata solo da chi ne è in possesso”. Difficoltà che nascono da una serie di peculiarità, così descritte da Docci: “Com’è noto l’acquerella non consente ripensamenti, come altre tecniche pittoriche; infatti occorre che l’artista, dopo aver tracciato con la matita l’impianto della rappresentazione, proceda senza esitazione, stendendo prima le velature delle zone più chiare e poi quelle delle zone più scure fino agli ultimi rapidi tocchi finali , ma avendo cura di lasciare intatto, fin dall’inizio, con accorta perizia, il bianco della carta per ottenere i punti di massima luminosità”.
Viene citato il legame tra la scuola romana e quella inglese dell’acquerello nella seconda metà dell’800, con gli artisti del “grand tour” romano, con i loro epigoni quali Mariano Fortuny, Enrico Coleman e soprattutto Ettore Franz con le sue vedute della Roma ottocentesca, Non viene citato Turner che non ha riferimenti con i “grand tour” ma nell’acquerello è un maestro insuperabile.
Il collegamento con la Morlacchi viene trovato nella figura di Angelo Marinucci come “continuatore ideale” dell’opera Franz ma con una variante decisiva, Roma vista non con “l’occhio romantico del viaggiatore” alla ricerca di scene bucoliche ma con l’occhio dell’architetto che “‘legge’ la struttura della città”. E Marinucci è stato a lungo docente nella facoltà di architettura alla quale appartiene la Morlacchi.
La sua impronta tecnica si vede nella perfezione delle proporzioni architettoniche e nel “dialogo” tra gli edifici che delimitano strade e piazze, l’impronta artistica nello stile calligrafico e nel magistrale cromatismo. Così conclude Docci: “I suoi fronti stradali di alcune storiche vie di Roma , costituiscono oggi un punto di riferimento e materiale di base per tutti coloro che si occupano dello studio del colore di Roma, ma anche la rappresentazione di alcuni spazi straordinari, come Piazza Navona, o prospetti di edifici come Villa Giulia, che a mio avviso costituisce un pezzo di straordinaria bravura, dimostrano il livello qualitativo raggiunto dalle sue ricerche sul colore attraverso l’impiego dell’acquerello”. Del resto è stata premiata dall’Unione italiana per il disegno.
L’arte unita alla tecnica con l’apporto del colore
Consideriamo quelle che vengono definite “icone della città” attraverso la sua “architettura del colore” sulla base del giudizio di Elio Mercuri che ha coniato queste definizioni per l’opera della Morlacchi della quale dice: “Scienza e arte – scuola e professione. E’ vero che figure così autonome e originali, toccate dalla creatività poetica, strutturate dal rigore della scienza, impegnate nella scuola come formazione e ricerca, si saldino, come in Marcella Morlacchi, in una grande erica professionale”.
E, ancora più direttamente: “Ha così elaborato una metodologia e una tecnica del rilievo cromatico come strumento di memoria e di conoscenza, di un rigore assoluto di scienza, là dove la scienza nella sua creatività sconfina e si incarna nell’arte, che poi costituisce l’esperienza artistica, la forma più alta e compiuta di conoscenza…”.Non l’ha solo elaborata, l’ha anche adottata con quella che Gianfranco Ferroni ha definito una monumentale indagine scientifica, sul territorio, analizzando, edificio per edificio, le cromie che caratterizzano il panorama architettonico capitolino… Tanti piccoli e grandi segreti vengono svelati con un rigore che ricorda i fasti dell’Illuminismo”. Così ci offre , secondo la definizione di Ludovico Pratesi, “una strada ‘al taglio'”, con tutto il resto..
La Morlacchi non fa mai il minimo riferimento all’aspetto artistico, è troppo impegnata nella difesa attiva dell’immagine urbana attraverso la tutela del suo colore minacciato dai restauri cromatici degli edifici volti a “ringiovanirli tramite una nuova tinta” e non a “ripristinarli in modo corretto restituendoli semplicemente alla primitiva immagine cromatica”, come ritiene sia doveroso.
I suoi prospetti dal cromatismo particolarmente curato si basano su un’analisi approfondita delle componenti strutturali delle facciate, individuati nel travertino – con la “cortina valadieriana” ottocentesca- e nel laterizio, con aggiunta in casi particolari del peperino grigio-azzurro”in una sapiente tricomia”. Sono materiali pregiati che nelle parti non visibili dei maggiori edifici e nell’edilizia povera vengono imitati con intonaco o stucco “sui quali un magistrale velo di scialbatura annulla del tutto la differenza tra vero e simulato”. La compresenza del bianco dorato del travertino e del rosso mattone del laterizio fa dare l’appellativo di “Roma, città rosa”, mentre sono episodici e legati al ‘700 il “dolce color d’oriental zaffiro” e il “color aria” (“gris de line” o “pavoncello”) .
“L’effetto illusionistico ottenuto permetteva così di realizzare, per questa edilizia, una architettura di apparenza prestigiosa… Oggi, negli edifici ‘restaurati’, viene negata in tutti i modi la presenza di quegli ordini architettonici in travertino e di quei fondi in laterizio; l’armoniosa biocromia scompare…”.
E la Morlacchi spiega in modo estremamente dettagliato con tutti i particolari tecnici, come questo si stia verificando in pratica. “Ma noi non abbiamo alcun diritto di cambiare i valori cromatici degli ordini in rapporto ai piani di fondo, perché una superficie architettonica non è come un abito intercambiabile secondo la moda o il gusto”.
Proprio questo è l’oggetto della sua contrapposizione a questo inaccettabile degrado, che non si limita alla denuncia, ma rassicura affermando che “non è poi tanto difficile curare con amore e sapienza, ed eliminare quindi – le piaghe che stanno distruggendo la pelle dei suoi edifici”. E fornisce l’uovo di Colombo risolutivo: “E’ un procedimento elementare , che evita o rende minimo qualsiasi errore interpretativo ed inoltre di semplice attuazione: si tratta infatti solo di restituire al materiale di superficie (vero o simulato che sia) il suo tono originari”. Ma occorre “amore e sapienza”, e la Morlacchi ne dispone certamente, non sappiamo quanti altri ce ne siano come lei.
I “luoghi iconici” nei prospetti grafico-cromatici della Morlacchi
E‘ giunto il momento di una rapida rassegna delle sue opere, riferiti a luoghi celebri a tutti noti, ma visti in modo diverso, più penetrante e rivelatore.
Si inizia con i “rilievi grafico-cromatici di strade e piazze storiche”, con i prospetti degli edifici prospicienti i due lati delle “Strade”, la prima sezione della nostra rassegna: Via Giulia e Via dei Coronari, Via del Corso, Via del Babuino e Via di Ripetta, passando per il Lungotevere, Piazza delle Cinque Lune e Piazza dei Coronari, fino a Piazza Venezia e a Piazza del Popolo. E’ un’impressionante sfilata di edifici miniaturizzati in modo magistrale, opera realizzata tra il 1988 e il 1991, a suo tempo pubblicata dalla rivista “Roma Ieri Oggi Domani”, e presentato dall’autrice come base per il Piano del Colore della Città Storica.
Ci si avvicina ancora dio più ai palazzi con la serie delle “Piazze”, ancora più spettacolare per i primi piani che ne valorizzano la monumentalità, con le straordinarie teorie di finestre, anche con trabeazioni, cupole c scorci paesaggistici, da Piazza Navona a a Piazza del Popolo, con le sue chiese gemelle e la terrazza del Pincio, Piazza Colonna con i colonnati della storica omonima galleria intestata ad Alberto Sordi, Piazza san Silvestro e l’artistica facciata delel poste centrali, Piazza Sallustio con la sezione pittorica degli Orti Sallustiani.
E il poker d’assi finale: Piazza di Spagna nei diversi fronti,con le guglie, l’obelisco e i pini, nella sezione verso il Quirinale il profilo della celebra scalinata con la straordinaria sovrapposizione di un primo piano con intenso cromatismo e nello sfondo, peraltro ravvicinato, il palazzo della Presidenza della Repubblica su cui svetta il tricolore, artisticamente velato,. Piazza San Pietro con l’eccezionale rilievo prospettico della Basilica, la cupola, il colonnato e la teoria di statue mirabilmente cesellate; Piazza Montecitorio con il fronte del Parlamento e il prospetto verso l’Obelisco, questa volta una teoria di palazzi con l’Obelisco e la cupola sullo sfondo.
Al culmine le “vedute a volo d’uccello” dal Vittoriano, Roma vista dalle Quadriglie con straordinari scorci panoramici, dal Teatro di Marcello al Pantheon, da Montecitorio al Quirinale, dal Quirinale al Colosseo, dal Colosseo al Campidoglio al Tevere, uno spettacolo che i visitatori possono ammirare dalla terrazza dell’Altare della Patria.
La Morlacchi non si ferma qui, ed è già tanto. i suoi prospetti artistici si estendono alle Ville e ai Casali, ai Complessi architettonici e alle Isole. E qui entra in campo maggiormente l’ambiente con la vegetazione. Vediamo i casali del conte Vaselli con il colore di cotto nel verde degli alberi e della campagna.
Dai casali alle Ville panoramiche, da alcune terrazze del centro di Roma si dispiega un panorama punteggiato del verde che a Roma è abbastanza diffuso.
Uscendo da Roma, a Grottaferrata l’Abbazia di San Nilo, il profilo B è schermato dal filare di alberi. Visione spettacolare di tipo diverso quella delle isole, da Ventotene a Ponza, i colori mediterranei nei propetti non più di edifici allineati come per Roma, ma di aggregati urbani che si arrampicano, soprattutto per Ponza, in queste opere ha un ruolo importante l’evidenza del rilievo.
L’inesauribile vena della Morlacchi la fa interessare anche alle stampe storiche, in particolare per il Centenario di Roma Capitale ha fornito l’interpretazione cromatica ad acquerello e tempera di una celebre incisione ottocentesca sulla Repubblica romana, come di stampe d’epoca e soprattutto del Prospetto dell’Alma città di Roma di Giuseppe Vasi del 1765, un pannello lungo 3 metri per 1,20 di straordinario interesse artistico che si aggiunge al valore storico della stampa originaria.
Finora abbiamo citato serie di opere importanti per la loro origine e la loro destinazione, l’origine è la volontà di documentare un aspetto urbano primario, “i colori” della città, la destinazione la tutela dell’immagine cromatica della città con appositi piani di intervento e procedimenti.
L’intimità raccolta degli schizzi prospettici
Ora ci piace concludere questa rassegna con opere più personali, diremmo intime, nelle quali la Morlacchi – che nelle opere descritte finora ha espresso la sua maestria dall’indubbia caratura artistica – rivela la propria sensibilità: sono i suoi “Schizzi prospettici”, non più miniature di grandi dimensioni, e non è una contraddizione, di edifici visti da lontano, ma primi piani di luoghi visti da vicino e resi con l’immediatezza dell’attimo fuggente al posto della precisione documentaria.
Ed ecco le piazze,come Piazza San Giovanni della Malva, ripresa nel 1979 con la pavimentazione in sanpietrini e due auto in sosta, il cromatismo delicato nell’atmosfera raccolta; e Piazza Campo de’ Fiori, non si vede il monumento a Giordano Bruno “lì dove il rogo arse”, non è un’immagine da cartolina, ma uno scorcio”la domenica dopo il mercato”, in primo piano un carretto con i rottami di una bancarella, delle auto in sosta; sullo sfondo la cupola di Sant’Andrea della Valle; alla chiesa di “Tosca” dedica un apposito scorcio non della facciata monumentale, ma del retro seminascosto da un edificio, è come se la scoprisse all’improvviso.
Come per il “Lungotevere verso Tor di Nona”, con l’albero scheletrico che protende i rami spogli sulla sinistra, il parapetto di fronte, come in una passeggiata solitaria. Anche Ponte Sant’Angelo, del 1976, e San Giorgio al Velabro sono visti nel modo che abbiamo definito intimo e raccolto: il primo luogo è ripreso dalla strada con la coda di un’auto che passa rendendo il dinamismo della città, sulla sinistra la grande statua dell’Angelo sotto la quale in una magistrale contrapposizione siede quasi accasciato un minuscolo vecchietto; il secondo luogo, la facciata inquadrata sotto un arco, evidenziato che si tratta di un passaggio pedonale.
Pure l’ inquadratura dell’Isola Tiberina – incorniciata dai rami nella visione spettacolare della lingua di terra con il grande edificio dell’Ospedale Fatebenefratelli e il ponte che la collega alal città nello sfondo a sinistra – la sentiamo vicina, sembra di poter entrare nell’acqua.
Ma poi soprattutto i vicoli, vicolo Sforza Cesarini e vicolo del Cedro, vicolo del Gallo e vicolo del Paradiso, con le auto in sosta o i sanpietrini fanno sentire una partecipazione emotiva coinvolgente e contagiosa.
Per questo i suoi schizzi prospettici vengono definiti da Elio Mercuri “fedeli documenti di una realtà e al tempo stesso rinvii sa qualcosa che è stato d’animo e segreto desiderio di ritrovamento di uno spazio e di luoghi, soprattutto di un modo di vivere, di essere in rapporto alla città…” Ma non intende perpetuare una “Roma sparita”, bensì “le forme e la presenza di un proprio sentimento, di un proprio bisogno di ritrovamento e di memoria; di un proprio atteggiamento”, quello che tutti vorremmo avere. Perché “sono aspetti e tracce del nostro desiderio di vivere, in un mondo, che è storia e natura, così come divengono architettura e città, ma soprattutto paesaggio e visione dell’animo”.
Una visione che per l’artista ritroviamo oltre agli schizzi prospettici intimi e raccolti, nei rilievi grafico-cromatici delle immagini della città e nelle vedute dall’alto a volo d’uccello. C’è alla base un grande amore per Roma, il desiderio di viverla da vicino e insieme di ammirarla da lontano. Chapeau!
Info
Catalogo: Marcella Morlacchi, “Il colore della città. Il rilievo cromatico per la tutela della bellezza urbana”, Gangemi Editore, ottobre 2015, pp.80, formato 22 x 24, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.
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