Guido Montauti, nel centenario: 3. Dagli esordi alla svolta plastica

di Romano Maria Levante

Rievochiamo l’itinerario artistico, intrecciato alla vicenda umana, attraverso la mostra, promossa dai comuni teramani di  Bellante, Fano Adriano, Pietracamela e Roseto degli Abruzzi,  “Guido Montauti. ‘Un percorso di creatività. Cento opere nel centenario della nascita” a Roseto degli Abruzzi (Te) dal 6 giugno al 6 luglio 2018, ricordando anche opere esposte in mostre precedenti (quelle dell’esposizione attuale sono in corsivo grassetto rispetto al semplice corsivo delle altre citate). In questo terzo articolo seguiamo l’artista negli “esordi” e nelle prime grandi mostre, dalla travagliata fase bellica alla Liberazione del 1945, fino all’inizio degli anni ’50 alla vigilia del periodo parigino; questa fase iniziale del suo percorso artistico è oggetto delle mostre a Fano Adriano e a Ripattoni Te) dal 13 luglio al 31 agosto. Nei due articoli precedenti si è delineata la sua qualità umana attraverso i nostri ricordi personali e la sua ;figura di uomo e di artista attraverso i giudizi della critica più recente; i prossimi due articoli saranno dedicati alle fasi successive, dal  periodo parigino alle Pitture rupestri, dal “Pastore bianco”, alle fasi verso l’astrazione, con i “cespugli” e le“bande oblique” fino alla rarefazione del “Periodo bianco” con l’“Empireo” ; l’ultimo articolo al recupero delle Pitture rupestri.  Catalogo EditPress srl di Castellalto (Te) per conto dell’Associazione Ambasciatori del Centro Italia.  

Il contadino e le donne”, 1948

Ci accingiamo a ripercorrere, attraverso la mostra, il suo itinerario d’arte e di vita ricordando che Guido Montauti è nato il 25 giugno 1918 a Pietracamela, il “nido delle aquile” alle falde del Gran Sasso d’Italia, ha tenuto la prima mostra personale a 18 anni, nel 1936,  nel ridotto del Teatro Comunale di Teramo – il capoluogo di provincia – e nello stesso anno ha partecipato alla III Mostra Regionale Sindacale a Pescara; nell’anno successivo a luglio ha esposto alla Mostra provinciale d’Arte pura ed applicata, e nel 1938, a 20 anni, in una nuova mostra personale al Teatro Comunale di Teramo. 

Arruolatosi volontario come allievo ufficiale al 28° Reggimento Fanteria di Ravenna il 13 dicembre 1937.  nell’ottobre 1939, ufficiale di complemento, si imbarca per l’Albania e vi resta fino all’aprile 1943, segnalandosi per le gesta compiute tanto da venire decorato con la croce di guerra al valor militare  il 4 aprile 1941. Non lascia la pittura neppure in questi anni, pur tra evidenti difficoltà, anche in Albania riesce a dipingere numerosi acquerelli e oli forzatamente di piccole dimensioni.

Le  operazioni belliche  lo portano dall’Albania alla Grecia,  dall’Austria alla Germania, fino alla Francia, per sette lunghi anni, molti dei quali in prima linea.  Giulio Bedeschi ricorda il suo coraggio unito a un carattere sempre pronto all’umorismo nel libro “Fronte greco-albanese – c’ero anch’io”. Nell’aprile del 1943 va in licenza e sposa Adelaide Di Iorio, che diventerà professoressa di Storia dell’Arte al Liceo Classico di Teramo e gli darà due figli, Giorgio e Pierluigi che si sono prodigati nel mantenere alto il ricordo del padre mobilitandosi anche per la mostra attuale e le altre celebrazioni del centenario.

“Natura morta con bottiglie”, 1945

Termina con la licenza l’impegno militare che si protrae ormai da sei anni? Tutt’altro, al comando di  una compagnia di fucilieri fa da scorta al  Re Vittorio Emanuele III a Crecchio pochi giorni prima dell’8 settembre. Poi, preso prigioniero dai nazisti l’8 febbraio del 1944, viene deportato in Francia passando per la Germania,  ma l’8 maggio evade  con il capitano Renato Molinari;  il rischio è molto elevato, il capitano verrà fucilato, lui riesce a scamparla e si unisce alle forze francesi dell’interno, i celebri “maquis” combattendo con loro  fino a settembre. Poi il ritorno a casa.

Non ne parlava mai pur se questo qualificava la sua caratura di cittadino oltre che di artista, lo sosteneva l’anelito per la libertà, il suo era uno spirito disincantato ma non esitava  a mobilitarsi per valori superiori.  

 Gli esordi dall’inizio degli  anni ’40 alla Liberazione del 1945

All’esordio, anzi agli “Esordi”, la mostra dedica la 1^ sezione con 20 opere esposte. Riflettono questo periodo tormentato, dai venti di guerra alla tragedia di un conflitto mondiale devastante, nel quale, come abbiamo detto, dipinge piccoli oli e delicati acquerelli con qualche influsso morandiano: sempre lontano dalla tradizione accademica ma senza appiattirsi sulle avanguardie, né sull’astrattismo, convinto della validità delle scelte figurative in una accezione molto personale che lo pone al confine con l’informale. Un anti-accademismo il suo che, lo ribadiamo, gli fa superare le categorie tradizionali dell’opera pittorica, dalle superfici ai materiali, attento all’alta qualità del risultato finale.  

“La passeggiata dei prigionieri”, 1944

 Ne abbiamo un riflesso artistico in uno dei 7 acquerelli esposti del 1943, veramente l’esordio nel mondo dell’arte con “L’assalto”, un drammatico protendersi di corpi tra linee spezzate in una forte tensione dinamica sulla sinistra dove c’è il nemico, lo si sente anche senza vederlo.  Poi, 9 corpi femminili, più che protesi, offerti nella loro nudità in “Il lago della follia”, forse onirica, il sogno erotico del soldato…

Siamo sempre nel 1943, quando dipinge Il ritorno alla normalità naturale in “Natura morta con pere”,  dai tratti morandiani nella linearità dei contorni e nella purezza delle forme, “Paesaggio” , un intrigo verde e bianco di alberi e rami  in cui si intravedono forme fluttuanti e al centro una costruzione; è la premessa a “Pietracamela”, un panorama che sembra scolpito del “natio borgo selvaggio” nel quale si distinguono nettamente le  case dell’agglomerato urbano, la piazza, il grande masso di Vena Grande che sovrasta l’abitato. 

Tutto  in delicate tonalità pastello fino al rutilante “Vaso con fiori”, dove invece domina il rosso in un puntinismo quanto mai intenso al servizio di una composizione spettacolare.  

Ballo in maschera”, 1945

Su questi temi torna l’anno successivo, il 1944: le forme naturali in “Natura morta con zucche gialle”, immerse tra grandi foglie verdi, il paesaggio  in “Casa con paglia”  che si delinea appena in una campagna di cui sembra condividere forme e volumi, l’impegno attivo al posto del dinamismo drammatico del già citato “L’assalto” in “Folla in corteo”, una presenza compatta, forte del numero e della determinazione con cui procede inalberando i suoi vessilli. Mentre in “Corteo” lo stesso tema viene declinato in modo speculare, sembra quasi il negativo del precedente, le figure con i loro vessilli appena distinguibili immerse in una caligine grigia che sembra inghiottirle e sopraffarle. Con il diapason della drammaticità  in “La passeggiata dei prigionieri,”  quasi il risvolto negativo del precedente  “L’assalto”, una visione dantesca del mesto incedere in circolo nell’ora dell’aria, una litania silenziosa di disperati sotto un cielo plumbeo e opprimente.   

Nel 1945 un’esplosione di opere. La sua pittura acquista un forte impasto materico, di tipo fauvista e in qualche caso con marcature segniche alla Rouault, ma senza derivazioni dirette; la sua cultura artistica lo porta ad assimilare gli influssi in un forte impianto compositivo e un’intensa resa cromatica, le immagini sono in un equilibrio esemplare, lontane dal figurativo in senso stretto.  Quasi  come sigillo personale all’anno della Liberazione raffigura se stesso in due “Autoritratti”,  ha 27 anni,sempre con un cappello triangolare in testa, il volto atteggiato ad espressioni diverse: quasi di sorpresa nell’acquerello con la dominante viola della giubba, di riflessione nell’olio su tela di maggiori dimensioni con pesanti addensamenti cromatici tendenti allo scuro. Non sappiamo se precedono o seguono il 25 aprile, ma siano orientati a ritenerli precedenti, dato che non si avverte nessun senso di liberazione, tutt’altro, sembra  sentire ancora il peso degli eventi drammatici.

“Il brindisi”, 1947

Esplode invece l’esultanza nel  “Ballo in maschera”, dove c’è anche la liberazione dalle vesti, nelle 4 coppie che ballano, e nelle 2 vicine ai tavolini, una seduta e una in piedi, la donna è nuda e l’uomo è una sagoma nera, in una delle coppie danzanti la sagoma nera si allontana sostituita da un’altra donna svestita. Nudi anche i due suonatori sul cubo che con i loro tamburi danno il ritmo alla danza mentre  un vessillo svetta sulla quinta teatrale in uno sfondo verde che evoca montagne lontane.

L’acquerello delle opere della guerra è un ricordo, da ora quasi soltanto oli anche se non solo su tela, e con qualche eccezione. Come sono un ricordo i temi  sui cortei e i prigionieri, subentra la riconquistata serenità.

Sono 4 le nature morte esposte di quest’anno cruciale sul piano umano e artistico, 2 con le bottiglie che non potevano mancare –  Morandi nel 1962 gli invierà una lettera di apprezzamento dei suoi disegni – 2 con vasi e libri.  Del primo tipo vediamo “Natura morta con vaso di fiori, bottiglie e panni”  e  “Natura morta con bottiglie”, ben delineate e dai colori netti che spiccano sul fondo giallo-verde; del secondo tipo “Natura morta con fiori e panni appesi” e “Natura morta con vasi, libri e candelabro”, i titoli dicono tutto, i vasi sono più elaborati delle bottiglie, nel primo in 4 vasi si riconosce il caratteristico “fioraccio” della ceramica di Castelli, il borgo nella provincia teramana che eccelle nell’artigianato artistico. 

“Il poeta in montagna”,1947

 Serenità anche in “Case senza sole”, un abbraccio al paese natale in uno scorcio ben riconoscibile con scalette e archi, usci e finestre socchiuse, una piazzetta silente e deserta; un’atmosfera metafisica anche se mancano le ombre taglienti e le figurine isolate; c’è quel clima di attesa che si sente nella “Città ideale” e concorre a darle il suo fascino indescrivibile.

Il sole non si vede ma si sente in un altro abbraccio nell’anno della liberazione, quello con la natura. Ne nasce la “Composizione di 20 piccoli oli”, cm. 71 x 120 in tutto: sono bozzetti nei quali trionfa la vegetazione, gli alberi fronzuti con i colori delle diverse stagioni, dal verde al giallo ruggine, c’è anche un lago con la barchetta. Sì, ora la liberazione è completa anche per l’artista.

Il decennio 1946-57, le grandi mostre a Venezia, Milano, Parigi

Prende avvio  una stagione di intensa temperie artistica, continuano opere di chiara ispirazione dai grandi maestri prediletti, ma nel breve giro di un triennio la prima svolta, comincia a definirsi la sua caratteristica impronta plastica mentre anche i contenuti si focalizzano sui temi che saranno un suo sigillo personale.Siamo nella 2^ sezionedell’esposizione del centenario, presenta 33 “Opere in mostra a Venezia; Milano, Parigi”  nel periodo 1946-1957, un decennio di maturazione artistica, dopo la fase degli “Esordi” che abbiamo visto contenuta nell’agitato  triennio bellico 1943-45., mentre cominciò a dipingere nel 1935 a 17 anni e tenne le prime mostre a Teramo nel 1937 e 1938, poi il richiamo alle armi nel 1939 che, pur limitando molto la sua pratica artistica, non la arrestò del tutto.   

“Carnevale (studio)“, 1948

Già nel 1946, l’anno dopo la fine alla guerra, espone a febbraio a Milano nella galleria “Casa degli artisti” e partecipa alla collettiva sul “Lavoro ed il sacrificio per la libertà” al Castello Sforzesco, soggiorna sei mesi nel capoluogo lombardo dove viene presentato a Carlo Carrà. Inizia uno stretto rapporto di amicizia con il pittore di Teramo Giovanni Melarangelo e con lo scultore Amilcare Rambelli

Di tale anno 2 opere che definiremmo preparatorie, “Maternità” e “Natura morta  con la maschera (studio)”,la forma è definita dal colore, verde e azzurro nella seconda con tonalità molto scure. L’anno successivo  – siamo nel 1947 – a gennaio partecipa al Premio Domira con un disegno giudicato meritevole di essere esposto alla galleria del Naviglio a Milano; nel mese di ottobre è al Premio Michetti.

“Colazione in campagna (studio)”, 1949

Si dedica alla figura umana dalle chiare ascendenze nei corpi nudi di “Colazione nel bosco”, un “dejuneur sur l’erbe”  particolare con figure sedute e sui rami in una composizione movimentata; e in “Il brindisi”, figure anch’esse nude con le braccia distese che nell’accostare i bicchieri compongono una diagonale nel quadro su cui una figura volteggia alla Chagall;; mentre è statica “Eva e lo spauracchio”, con  una croce e dei simboli in un clima di allucinazione. La serenità torna con “Il poeta in montagna”, seduto tranquillamente tra l’esplosione cromatica in cui sentiamo trasformarsi i suoi versi. 

Mostra personale a Venezia, nell’ottobre 1948, alla “Galleria Sandri”, conosce Vedova e Santomaso, Viani e Breddo e diviene amico del critico Virgilio Guidi.   E’ un anno dall’ampia produzione pittorica e dall’evidente evoluzione artistica: esplosione cromatica con la figura umana che prende sempre maggiore consistenza, passando dalla “Donna che coglie fiori” dall’assonanza chagalliana, ma con un effetto rilievo del tutto  originale – a “Le donne e il mago”,con la barba bianca che spicca tra verdi e rossi, blu e viola shocking, da ““Il contadino e le donne”, sei figure allineate in modo dinamico con colori diversi, tutti intensi, allo studio  “Befana e spazzacammino” , un abbraccio da favola pieno di colori.

“Le quattro amiche”, 1948, la svolta plastica

 Come lo sono i due “studi”, “Carnevale” e “Anno  ‘48”, il primo con la novità degli animali, che diventerà la regola, il secondo con l’attesa messianica a piedi nudi del nuovo anno.  Poi nello studio “Sciatore che vola” torna l’immagine chagalliana, la vediamo mentre incombe sulle due figure sedute che guardano in alto.  Ma soprattutto la marcia di avvicinamento a uno stile più personale ha un’improvvisa accelerazione con “Le quattro amiche”, i cui corpi acquistano una plasticità inconsueta nelle precedenti opere con figure filiformi, qui sono più che giunoniche, possenti. Nel 1949 partecipa a Pescara alla 1^ Mostra d’Arte Regionale Abruzzese.

Dopo la svolta plastica del 1948 sembra di assistere a un ritorno indietro con lo studio  “Quattro donne” e “Donne al mare”,  le figure sono del tipo di “Le donne e il  mago”, non più filiformi ma neppure plastiche come “Le quattro amiche”. Lo stesso per gli altri 4 studi sempre del 1949, “Colazione in campagna” e “I mietitori”, Lacrime verdi” e “Crocefissione”,con in comune, oltre alla forma stilistica, un insolito sigillo cromatico nel bianco di due corpi, uno piegato e l’altro in piedi, candidi come la barba del “mago”. 

“Tre mucche (studio)”, 1949

Non è una regressione rispetto alla svolta plastica, è una pausa per prendere la rincorsa, “Due figure sedute”, dello stesso anno, sono ancora più imponenti e, quel che più conta, i contorni iniziano a definire la sua forma plastica d’eccellenza. Anche lo studio “Tre mucche”  ci sembra marcare la svolta, nascono le inconfondibili sagome. 

Una sua nuova esposizione a Venezia nel marzo 1950 alla “Galleria Sandri”, dove conosce Diego Valeri di cui diventerà grande amico; nella città lagunare partecipa alla XXV Biennale d’Arte..  

In tale anno si ha conferma della svolta plastica con “Il venditore di vesciche”, la prova del nove che la via ormai è tracciata, mentre in “Uomini seduti” le forme non sono altrettanto ridondanti solo perché le 7 figure devono essere compresse per entrare nel quadro del quale riempiono interamente la superficie.

“Il venditore di vesciche”, 1950

Ma anche nel “Venditore di vesciche” le forme non hanno il gonfiore alla Botero, bensì una solidità corporea che dà forza alla loro presenza e al radicamento nell’ambiente disadorno.  Nel 1951, a gennaio, è di nuovo a Venezia, sempre nella “Galleria Sandri”, e ad aprile a Milano, nella “Galleria San Fedele”: dopo Lionello Venturi anche Virgilio Guidi ne parla, questa volta sulla “Fiera Letteraria”. 

Una serie di studi pittorici proseguono nella stessa direzione, le figure riempiono sempre il quadro dilatandosi più o meno a seconda del loro numero. Così per le 3 “Donne di Pietracamela”, i 6 “Pastori”, le 6 figure di “Corteggiamento pastorale”, accomunate dall’elemento bianco che torna a contrassegnarle, per ora è un fatto transitorio, ma al termine sarà il sigillo finale, come vedremo.  

Siamo alla vigilia del periodo parigino e dell’ulteriore escalation della svolta plastica, che culminerà nelle Pittore rupestri del “Pastore bianco”. Ne parleremo prossimamente. 

“Uomini seduti”, 1950

Info

Roseto degli Abruzzi (Te), Villa Paris. Catalogo  “Guido Montauti,’ un percorso di creatività’. Cento opere nel centenario della nascita”, EditPress srl per conto dell’Associazione Ambasciatori  del Centro Italia, maggio 2018, pp. 136, formato 24 x 26. Nel Catalogo, contributi critici di Paola Di Felice“Guido Montauti, un maestro abruzzese del Novecento”, Nerio Rosa,  “Per Guido Montauti”, Bruno Corà “Guido Montauti: Paesaggi e figure dell’interiorità”, Romano Maria Levante “Ricordo di Guido Montauti”. Cataloghi delle due mostre precedenti:“Guido Montauti, Omaggio all’artista del suo paese natale”, luglio 2001, pp. 60, formato 29,5 x 30, con Presentazione del sindaco di Pietracamela Giorgio Forti, “Ricordo di un amico” di Luigi Muzii, e contributi critici di Enrico Crispolti, “Per una diversa collocazione della diversità di Guido Montauti” e  Nerio Rosa “Attualità del percorso artistico di Guido Montauti”. Catalogo “Guido Montauti”, della  Mostra nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze, e nella Pinacoteca Civica di Teramo, Comuni di Teramo e di Firenze, aprile 2002, pp. 100, formato 28 x 29,5, contributi critici di Paola Di Felice “Per una doverosa riscoperta”,  Nerio Rosa“La divina indifferenza delle immagini di Guido Montauti” e Bruno Corà “Guido Montauti: Paesaggi e figure dell’interiorità”. Dai Cataloghi citati, e soprattutto da quello della mostra attuale, sono tratte le citazioni del testo.  Il nostro servizio sul centenario in questo sito è in 6 articoli, con 13 immagini in ognuno dei 4 articoli centrali di commento alla mostra, più 22 immagini nel 1° e 17 immagini nel 6° articolo. I primi due articoli del servizio sono usciti, il 1° il 13 luglio,  “Montauti, nel centenario: 1. Ricordo dell’uomo”, il 2° il 22 luglio, “Montauti, nel centenario. 2. L’uomo e l’artista”; gli altri 3 articoli usciranno, il 4°  il 3 agosto “Montauti, nel centenario: 4. Dal periodo parigino alle Pitture rupestri”, il 5° l’11 agosto “Montauti, nel centenario: 5. Dal Pastore bianco all’Empireo”, il 6° e ultimo il 19 agosto “Montauti, nel centenario: 6. Il recupero delle Pitture rupestri”.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra a Villa Paris, Roseto degli Abruzzi,  tranne una (la 12^) tratta dal Castalogo, si ringraziano gli organizzatori e l’Editore, con i titolari dei diritti, in nodo particolare i figli dell’artista Giorgio e Pierluigi Montauti, per l’opportunità offerta. In apertura,  “Il contadino e le donne” 1948; seguono, “Natura morta con bottiglie” 1945, e “La passeggiata dei prigionieri” 1944; poi, “Ballo in maschera” 1945, e “Il brindisi” 1947; quindi, “Il poeta in montagna” 1947, e “Carnevale (studio)” 1948; inoltre,  “Colazione in campagna (studio)” 1949, e  “Le quattro amiche”  1948, la svolta plastica; ancora, “Tre mucche (studio)” 1949, e “Il venditore di vesciche” 1950; infine, “Uomini seduti” 1950 e, in chiusura, “Donne di Pietracamela (studio)” 1951.

“Donne di Pietracamela (studio)”, 1951