di Romano Maria Levante
La mostra “La ricerca della modernità. Opere dal divisionismo al futurismo”, espone dal 22 febbraio al 15 marzo 2018 alla Galleria Russo a Roma, quasi 90 opere di 25 artisti con delle piccole “personali” di Balla e Boccioni, Thayaht e Tato, in una rassegna rappresentativa delle tante anime del movimento fino all’aeropittura e alle ultime testimonianze del secondo dopoguerra. Catalogo di Manfredi Editore con introduzione di Fabio Benzi e testo critico di Massimo Duranti.
Il meritorio impegno della Galleria Russo nel mantenere viva l’attenzione sul Futurismo – il movimento italianissimo così innovativo e spettacolare – segna nella mostra attuale una nuova iniziativa di notevole interesse e di grande importanza. Dopo le prime mostre del 2008 e 1010 su Delle Site e Balla, quelle dal 2012 su Marinetti e Dottori, Tato ed Erba, fino a Tato nel 2015, e la più recente su Marchi all’inizio del 2018, ecco un’esposizione evocativa delle diverse personalità del movimento futurista con i più giovani adepti, partendo dalle premesse divisioniste fino agli echi nel secondo dopoguerra, nonostante la tendenza alla rimozione, del futurismo protrattasi per tanto tempo per evidenti motivi politici.
Così presenta questo movimento Fabio Benzi, che ha pubblicato nel 2008 il monumentale volume “Futurismo”: “Nella sua proteica multiformità, nell’elan vital di un nuovo secolo di tecnologie e ideologie, il Futurismo vuole spingersi a coprire tutte le possibilità di intervento, invenzione, novità, con una bulimia centrifuga che irradia di sé il cinema e la poesia, il teatro e la musica, la pittura e la radio, la fotografia e l’architettura, la filosofia e la scultura, l’arredamento e la politica, il design e la scenografia, la cucina e la religione, la grafica e il giornalismo, la ceramica e la moda”.
Alla molteplicità dei campi interessati dalla rivoluzione futurista si aggiungono le modalità in cui si è manifestata e sviluppata: “E tutto ciò con avvedutezza, perspicuità sottile e profonda, con reale capacità innovativa e teorica, pensando sempre che l’universo intero si dovesse (come di fatto è successo) piegare alla novità estetica ed etica del futuro e della sua religione, il futurismo, propagata dal suo profeta, Marinetti”.
I futuristi nelle regioni italiane, dal Trentino alla Sicilia
Massimo Duranti passa in rassegna “i futuristi dei ‘luoghi del futurismo’, a partire dagli anni ’10 quando a Perugia fervono i dibattiti sul “Manifesto” di Marinetti nella rivista “Il Refrattario” di Dottori e di altri artisti; e in Lombardia Marinetti e Boccioni, Severini e Russolo lanciano il “Dinamismo plastico” cui aderisce anche Carrà, all’insegna dell’ “elitarismo estetico”; cui seguirà, negli anni ’30, il “dinamismo più applicativo, anche macchinista”, di Andreoni, Munari, Regina, sull’onda della “Ricostruzione futurista dell’universo”.
A Roma, nella seconda metà degli anni ’10, viene contrapposta sulle riviste futuriste l'”espressività democratica” da Balla capofila con Depero e Prampolini., mentre negli anni ’20 e ’30 ci sarà la “seconda generazione” di Delle Site e Belli, Benedetto e Dottori molto presente nella capitale.
In Liguria, il futurismo si manifesta tra gli anni ’10 e ’20 con Farfa e D’Albisola nella ceramica e nel design in senso “produttivistico”. Mentre a Torino e in Piemonte negli anni ’20 e ’30 è all’insegna del “macchinismo” e del “protoastrattismo” con Pozzo e Rosso, Dulgheroff e Oriani e della ricerca della spiritualità nel sacro da parte di Filia, scomparso prematuramente. Nel Trentino troviamo Depero, attivo anche a livello nazionale, a Roma, e all’estero, in particolare a New York, all’insegna dell’ “Artemeccanica futurista”, a Rovereto fonda la “Casa d’arte”, e il seme germoglierà dato che vi ha sede tuttora una delle maggiori sedi museali ed espositive nazionali.
Anche nelle altre regioni il fervore futurista è notevole, nel Veneto si manifesta con Ambrosi, Crali e Di Bossoi, in Emilia-Romagna con Bot e Caviglioni, dal Monte e Tato.
Verso il centro della penisola, a Firenze fervono i dibattiti sul futurismo sin dagli anni ’10, nelle riviste “Lacerba”, “Italia futurista”, “Giubbe rosse”, poi il movimento si sviluppa negli anni ’20 e ’30 in sintonia con i futuristi piemontesi, i principali artisti sono Peruzzi, Conti e Marasco, che tentò di fare una scissione.
In Umbria, dopo gli inizi di natura letteraria con i dibattiti negli anni ’20 sulla rivista “Griffa!”, negli anni ’30 il futurismo si sviluppa con artisti giovani, Bruschetti e Angelucci-Coinazzini, Meschini e Preziosi. Mentre nelle Marche il gruppo futurista che si rifà a Boccioni, è molto nutrito, inizia con Pannaggi,cui si aggiungono Tano e Peschi, Monachesi e Tulli.
Anche nel Mezzogiorno il futurismo prende piede. A Napoli dibattiti animati anche sulle riviste, tanto che viene definito “futurismo della parola”, protagonista Cangiullo molto considerato da Marinetti, poi artisti definiti “circumdivisionisti” come Cocchia e Peirce, Lepore e Pepe Diaz.
In Sicilia, dopo una fase iniziale di “futurismo letterario”, animato da De Maria e Jannelli, si sviluppa il “futurismo narrativo” molto cromatico e coinvolgente di Corona e D’Anna, Rizzo e Varvaro, con una presenza del giovane Guttuso.
Questi “luoghi del futurismo” li ritroviamo negli artisti presenti in mostra, 25 che abbiamo citato nella nostra cavalcata storica e geografica sulla scia della ricostruzione di Duranti, ma naturalmente non vi è un’articolazione regionale, bensì uno sviluppo cronologico cui ci siamo attenuti solo in parte avendo voluto raggruppare le opere degli stessi artisti, per alcuni delle piccole “personali”.
L’antefatto artistico del Futurismo
Si inizia con la sezione “Prima del futurismo”, richiamandosi al divisionismo, ma con artisti che saranno i capofila del futurismo nelle loro opere dei primi del ‘900, quando ancora Marinetti non aveva lanciato il “Manifesto”: sono Balla, Severini e Boccioni, con l’aggiunta di Cambellotti.
Di Giacomo Balla vediamo “Ritratto di Duilio Cambellotti, il cesellatore””, 1905, .un carboncino scuro con un taglio quasi fotografico dell’immagine; e di Gino Severini un pastello ugualmente scuro, “Autoritratto con cappello”, immagine giovanile con la dedica “ai miei genitori” .
Avendo citato Duilio Cambellotti, notiamo che 2 delle 3 opere a carboncino esposte, “Illustrazione dantesca” 1902-03 e “La falsa civiltà” 1905, sono sfumate e relativamente oscure come il suo ritratto di Balla, entrambe di taglio fotografico come riprese dal basso, con la scala o il suolo in primo piano, la figura in ciascuna vista dal basso verso l’alto; la terza opera è una scultura in bronzo post 1910, .“Il guerriero detto anche ‘La corazza’”, la figura abbozzata è molto dinamica.
Le opere di Umberto Boccioni nella prima sezione, degli stessi anni, 2004-06, sono radicalmente diverse, nulla di sfumato e oscuro, le tempere su cartoncino hanno contorni netti, quasi ritagliati, colori brillanti senza chiaroscuri né ombreggiature. Così “Caccia alla volpe” e “La partita a tennis”, e le 3 figure, “Donna seduta davanti a una finestra”, “Uomo col cappotto” e ” Donna di spalle davanti a una finestra”.
Invece le opere dei due anni successivi, 1907-08, quasi richiamano quelle tenebrose di Balla e Cambellotti sopra citate, così le due acqueforti “Casa in laguna”, “Porto” e “Giudecca”, come in misura minore la puntasecca “Gisella”, mentre “Scaricatori di carbone” è lineare e calligrafica.
L’ultima di questa piccola “personale”di 11 opere di Boccioni pre-futurismo, è l’olio su tela “Paesaggio lombardo”, di cui c’è anche il bozzetto tracciato a matita, un grande albero in primo piano con il casolare rimpicciolito dalla lontananza, anche qui taglio fotografico in un cromatismo pastello con i colori campagnoli, molto sfumato in uno stile tra impressionismo e puntinismo.
Anche l’opera esposta di Gerardo Dottori, “Studio per albero” 1909, presenta il tronco in primo piano con i rami a raggiera, in un marrone quasi omogeneo tra albero, campo e cielo, differenziati essenzialmente dall’intensità del colore.
L’escalation, gli sviluppi del Futurismo
Con questa cospicua anteprima, frutto di un’attenta ricerca sui primordi del Futurismo, si apre la sezione “Sviluppi del Futurismo” con oltre 60 opere di 25 artisti, i maggiori e gli epigoni.
Anche qui, dopo il suggestivo “Controluce” di Boccioni, troviamo Balla, questa volta è sua la piccola personale di 6 opere. Le prime 2 sono sommari schizzi a matita del 2013, “Studio di volumi” e “Interno di teatro e altri studi”, altre 3 riflettono il suo inconfondibile stile futurista: “Velocità astratta” 1913 e “Progetto per linee di forza di un pugno di Boccioni” 1915-16, a matita su cartoncino, sono delle sciabolate lineari come frecciate nel senso della spinta propulsiva e del dinamismo, mentre “Canto patriottico in piazza di Siena” 1915, nel cromatismo intenso con le frecciate gialle e le onde avvolgenti e convergenti blu e celesti, evoca le contaminazioni espressive tra le forme di arte e di vita. Sappiamo che nell’atelier di Balla si svolgevano incontri con giovani studenti ai quali sia lui che Marinetti rivolgevano appelli esaltanti non solo all’arte ma al patriottismo e all’interventismo, motivo ricorrente anche nell’azione pratica dei futuristi i quali si arruolarono volontari e provarono i gravi traumi della vita di trincea che ne spense gli entusiasmi.
Di questa prima fase futurista fa parte Carlo Erba, di cui sono esposti 2 “Ritratti maschili”, 2 “Studi di figure” e una “Figura femminile”, semplici disegni a matita su carta del 2012-14 dal taglio particolare che, soprattutto nelle figure, rimanda alle linee di forza futuriste pur nella forma figurativa. Ripensiamo alle vicende personali dell’autore – cui la Galleria Russo ha dedicato una personale – della ben nota famiglia di industriali che scelse l’arte dedicandosi ad essa con passione, e con la spinta dell’interventismo futurista si arruolò anch’egli volontario.
Carlo Carrà si avvicinò al futurismo in quei primi anni, il suo “Ritratto di Papini” in inchiostro acquerellato sprizza energia e vitalità aggressiva e prorompente. Mentre la “Composizione futurista” di Julius Evola, il ben noto filosofo che viene associato alla mistica del regime con quel che segue, è un’immagine che sembra precorrere l’aeropittura nelle grandi ali aperte nel volo sopra agli edifici visti dall’alto in una ardita prospettiva
Tipicamente futuriste le linee che sottendono l’energia dinamica della “Danzatrice” di Enrico Prampolini, siamo nel 1916, lo ritroveremo nel 1939 e soprattutto nel 1947, con le residue velleità futuriste in un mondo diventato pericolosamente ostile per la “damnatio memoriae” politica. Mentre “Composizione astratta” di Arnaldo Ginna, del 1917, è l’anticipo di un futuro che non mancherà di arrivare diffondendo l’astrazione nell’arte a largo raggio.
Siamo giunti così a un’altra “personale”, quella di Thayaht, non tanto piccola, dato che presenta 15 opere di un artista straordinariamente eclettico. Ritroviamo i “Motivi decorativi” circolari del 1915-20 con l’elegante simmetria e delicatezza cromatica, e quelli rettangolari rigorosamente geometrici, fino alle composizioni senza simmetria né geometria ma con forme dal cromatismo intenso e contrapposto, e alla espressione pittorica che sembra un “collage”, per l’assemblaggio di tanti arnesi, coltelli, e seghe, cesoie punteruoli, dal titolo “Le mani dell’uomo” 1934. E soprattutto le celebri sculture in marmo, “Il flautista” del 1929 e “Il tennista” del 1935, non c’è “Il tuffatore”, ma ci sembra di rivederlo dopo l’esposizione nella stessa galleria nella recente personale sull’artista.
Di quest’ultimo anno, 1935, sono gli altrettanto celebri disegni a matita su carta, 3 “Progetti per Altoparlante italico (Ritratto di F. T. Marinetti)” fino al definitivo in bronzo argentato, una maschera impressionante per il suo vigore.
La mostra, a questo punto, cala il poker d’assi, con Dottori e Severini, Sironi e Depero.
Vediamo, di Gerardo Dottori, “Studio per Simpatie di donna paesaggio” in sanguigna su carta, con sul retro “Studio per primavera umbra”, a matita, del 1923, tonalità ocra, la figura femminile ha la testa dolcemente reclinata, e “Paesaggio dal terrazzo” 1928, una pianta su vaso stilizzata in primo piano sul pavimento all’esterno mentre nel vano della finestra si apre una distesa collinare fino all’orizzonte con la cima rotonda della pianta che si irradia in cerchi concentrici quasi fossero dei soli che si inseguono nel firmamento. L’orizzonte si apre sul lago con un’isola al centro e le colline all’orizzonte in “Paesaggio del Trasimeno, Isola Polvese” dei primi anni ’40.
“Sorge il sole” di Antonio Marasco, 1919-30, mostra un cielo cosparso di nubi con pesanti strutture a terra, una delle quali sembra proiettare i suoi volumi verso l’alto, forse alla ricerca del sole che non si vede.
Ritroviamo il tema del “Paesaggio dal terrazzo” di Dottori in Gino Severini, “Natura morta davanti a una finestra”, un vaso con frutta, si distinguono pera e grappolo d’uva, una chitarra sopra un tavolo, non c’è la visione esterna come in Dottori, ma è concentrato sulla composizione interna; in fondo la firma con data novembre 1928 e la scritta “Ai miei amici carissimi”.
Dello stesso 1928 2 “Studi di copertina per ‘Gerarchia’” di Mario Sironi, a matita, sul retro di uno di essi una “Composizione con aerei”, interessante prova di aerofuturismo, a Sironi la Galleria Russo ha dedicato una mostra delle vignette satiriche a Villa Torlonia, questo è solo un assaggio.
A matita su carta anche “New York” di Fortunato Depero, con tratti a china, un assemblaggio di grattacieli, finestre e insegne, in una composizione di grande modernità.
E siamo al grande aerofuturista Tato, anche lui protagonista di una personale nella Galleria Russo, qui è presente con 5 opere: “Sensazioni di volo/tempo” 1929, una tempera su carta con una visione dall’alto di un abitato che, pur nella sua diversità, ci fa tornare con il pensiero alle “Periferie” di Sironi, ma mentre quelle sono desolate, le strade di questo quartiere sono animate da gente apparentemente agitata. Inequivocabilmente aeropittura “Rovesciata” 1930 con il primo piano dell’aereo che sorvola un abitato che dall’alto sembra un ammasso di scatole, e, dieci anni dopo, nel 1940, “Idrovolante” , questa volta l’aereo in primo piano sorvola un golfo, tra mare e terra, l’acqua ha un cromatismo intenso che vira dal ceruleo al viola, il verde della vegetazione è altrettanto intenso, nonché “Aerosilurante italiano a caccia di torpedini”, un volo aggressivo tra il nero della notte e dei bagliori rossi segno della battaglia nel cielo.
L’aerofuturismo di Mino Delle Site è rappresentato dall’acquerello su carta “Stormo” 1931, una composizione geometrica di aerei in volo che puntano in alto, allineati come una “pattuglia acrobatica”; nonché da due carboncini su carta, “Ritratto del pilota” 1932, un disegno stilizzato con linee geometriche e chiaroscuri, nel volto del pilata la forma dell’aereo, che troviamo identica in “Carosello tra i cieli” 1935, originale composizione su diversi piani accostati ma distinti.
Un mare di nuvole sui campi solcati da strade nel quale si scorge un piccolo aereo occupa la metà inferiore del dipinto a olio su tela di Alfredo G. Ambrosi, nella parte superiore domina un aereo che punta verso l’alto come un crocifisso tra sagome di aerei celesti in dissolvenza, titolo emblematico “Il sacrificio” 1938.
Mentre l’olio su tavola di Cesare Andreoni, ““Aeropittura con carri armati” 1936 fa entrare nel vivo della battaglia terrestre oltre che aerea con le figure dei soldati all’attacco all’arma bianca. Clima liliale ben diverso da quello epico dell’opera appena citata nel suo “Simultaneità di balletto” del 1935, una grande figura di ballerina in primo piano, altre sagome più piccole in una scenografia con cuspidi, fiore e farfalla. Cinque anni prima aveva realizzato il “Ritratto di Mussolini (o il Duce)” 1930, una testa-elmo che anticipa, per così dire, le forme assimilabili di Thayaht per l'”Altoparlante Italico”.
Sono schematiche e asettiche le due “Aeropitture” del 1932 e 1934 di Osvaldo Peruzzi, che con tecnica mista su carta presenta il sole più o meno sfumato e il cielo attraversati da una sagoma geometrica stilizzata che solo nel secondo ha la forma di un aereo; dello stesso artista “Verso l’infinito” 1940, un sole nero tra le nuvole con due triangoli anch’essi neri con la punta verso l’alto. Intermedio tra le due “Aeropitture”, “Studio per incrocio stradale” 1933, analogo schematismo nel vigile a braccia aperte, con lo sfondo di edifici stilizzati.
Ancora aeropittura, anzi “Aeropittura simultanea” 1938, nell’olio su tavola di Renato Di Bosso, una sorta di spirale avvolgente con cieli, terre e oggetti vaganti; suo è anche “Golfo di La Spezia” 1933, in pastelli colorati su carta, non sembra ripreso dall’alto, l’acqua è appena accennata, la composizione ocra è costituita soprattutto da strutture con archi, finestre e aperture.
Invece “Volo su colline” degli anni 30, olio su compensato di Alessandro Bruschetti, è una visione dall’alto della campagna verdeggiante con le cime degli alberi e otto piccoli tetti rossi.
L’ “Autoritratto + 2″ di Vladimiro Tulli presenta addirittura il suo volto stilizzato sotto la sagoma di un aereo in volo, aereo ripetuto nella parte bassa del disegno su carta e cartone, e sempre in basso in “L’aeroporto di cartone” con una forma circolare marrone e piani sovrapposti, entrambe del 1942, siamo nell’ultima fase di questa temperie artistica.
Concludiamo questa sezione con “Risveglio”, di Lenadra Angelucci Cominazzini, anteriore del precedente essendo del 1940, ma anticipatore di un lustro del vero risveglio dopo l’incubo della guerra: un grande occhio che si apre pur se appesantito da coltri che riesce a sollevare, in una sinfonia sul viola con sprazzi gialli e rosa.
Il filo si interrompe, le ultime testimonianze
La terza sezione, “Dopo la seconda guerra” cala il tris d’assi Depero-Prampolini-Dottori, i primi due con disegni su carta, “Bozzetto per paravento” di Fortunato Depero“, “Studio per Cassandra al mare” di Enrico Prampolini, sono del 1946-47. esprimono l’emarginazione, per non parlare di ostracismo, dei futuristi; mentre in “Capri solare” del 1939 l’artista esprimeva vitalità ed energia.
Di Gerardo Dottori, invece, 2 opere in tecnica mista su faesite e su tavola, colorate e luminose, “Lago, fiume, monti” dei primi anni ’50, e “Paesaggio” di fine anni ’60, riflettono un clima meno chiuso e ostile, soprattutto il secondo con il sole che brilla su delle vere e proprie cuspidi che si elevano sulla natura, nel quadro precedente c’era soltanto la natura senza quel vertice volitivo.
Termina così la nostra carrellata futurista, l’ascesa fino alle vertigini dell’aeropittura, la caduta con la fine delle illusioni e l’emarginazione, il risveglio e le residue testimonianze negli anni ’60, allontanatosi lo spettro della “damnatio memoriae”. E’ la storia nazionale di un movimento artistico tutto italiano che ha investito con una ventata di entusiasmo e di dinamismo l’intera vita del paese, dando una sferzata di innovazione e movimento alla società civile ben al di là del mondo artistico.
“Una grande avventura, ormai conclusa, ma davvero indimenticabile per chiunque”, così termina la presentazione di Benzi. Ma anche se la grande avventura si conclude, e “il filo si interrompe” con i tragici eventi della guerra e ciò che ne deriva, e restano solo le testimonianze dei superstiti negli anni del dopoguerra, non tutto il seme gettato è andato perduto.
Ne è una prova il gruppo dei “futuristi calabresi”, attivo e vitale – citiamo al riguardo le due mostre di Lina Passalacqua al Vittoriano – che come la Galleria Russo svolge una azione meritoria nel riannodare il “filo” vitale del futurismo.
Info
Galleria Russo, via Alibert 20, Roma. Aperta il lunedì dalle ore 16,30 alle 19,30, dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 19,30, domenica chiuso. Tel. 06.6789949, 06.60020692 www.galleriaarusso.com, . Catalogo “La ricerca della modernità. Opere dal Divisionismo al Futurismo”, introduzione di Fabio Benzi e testo critico di Massimo Duranti, Manfredi Edizioni, febbraio 2018, pp. 170, formato 22,5 x 22,5, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli in questo sito, sulle mostre di futuristi alla galleria Russo, su Marchi, 24 novembre 2017, Thayaht 27 febbraio 2017, Tato 19 febbraio 2015, Dottori 2 marzo 2014, Erba 1° dicembre 2013, Marinetti 2 marzo 2013, Sironi 2 novembre 2015; per la mostra su Sironi al Vittoriano 1, 14, 29 dicembre 2014; per la mostra “Dolce vita? ” su modelli e oggettistica dell’epoca, 1°, 14, 23 novembre 2015.
Foto
Le immagini sono state tratte dal catalogo della mostra, si ringrazia l’editore, con il titolare della Galleria e i titolari dei diritti, per l’pportunità concessa. In apertura, Giacomo Balla, “Canto patriottico in Piazza di Siena” 1915; seguono, Duilio Cambellotti, “La falsa civiltà” 1905, eGerardo Dottori, “Studio per albero” 1909; poi, Umberto Boccioni, Controluce” 1910, e Julius Evola, “Composizione futurista (Etere)” 1915-16; quindi, Enrico Prampolini, “Danzatrice” 1916; e Thayaht, “Motivo decorativo” 1920-25; inoltre, Gino Severini, “Natura morta davanti a una finestra” 1928, e Gerardo Dottori, “Paesaggio dal terrazzo” 1928; continua, Antonio Marasco, “Sorge il sole” 1919-30, e Tato, “Rovesciata” 1930; prosegue, Alessandro Bruschetti, “Volo su colline” anni ’30, e Thayaht, “Ritratto S. E. Marinetti (Altoparlante italico) 1935; avanti, Cesare Andreoni, “Aeropittura con carri armati” 1936, e Alfredo G. Ambrosi, “Il sacrificio” 1938; infine, Osvaldo Peruzzi, “Verso l’infinito” 1940, e Leandra Angelucci Cominazzini, “Risveglio” 1940; conclude, Gerardo Dottori, “Paesaggio del Trasimeno, Isola Polvese” primi anni ’40; in chiusura, Gerardo Dottori, “Paesaggio” fine anni ’60.