di Romano Maria Levante
Ad ottant’anni dall’approvazione delle leggi razziali in Italia, la mostra “1938. La storia”, aperta dal 17 ottobre 2017 al 30 marzo 2018 a Roma, nella Casina dei Vailati al Portico d’Ottavia dov’è il Museo della Shoah, ripercorre, mediante un gran numero di fotografie e documenti, l’itinerario nel quale gli ebrei, comunità inserita nella società e in normali rapporti con le istituzioni, sono stati schedati, poi discriminati ed esclusi dalle professioni fino alla persecuzione e allo sterminio. La mostra realizzata da C.O.R., “Creare Organizzare Realizzare, presidente Alessandro Nicosia, “ è a cura di Sara Berger e Marcello Pezzetti come il Catalogo Gangemi Editore International.
La Locandina della mostra
Prosegue la ricostruzione della tragedia dell’olocausto passando da mostre incentrate sull’orrore dei campi di sterminio, come “Auschwitz e Birkenau” e “I ghetti nazisti”, a mostre che cercano di analizzarne i prodromi nella persecuzione antisemita come “La psichiatria tedesca” e “La propaganda”.
Nelle ultime due mostre una sezione era dedicata alla situazione in Italia, ma di gran lunga prevalente lo spazio e il peso dedicato alla Germania ovviamente per essere la maggiore responsabile della folia antisemita. La nuova mostra invece è totalmente dedicata alla situazione italiana e ne approfondisce l’evoluzione iniziando con la convivenza nel nostro paese delle diverse religioni, e in particolare dei cittadini di fede ebraica con i rispetto ai cattolici, rapporti normali prima che le cose cambiassero fino a precipitare.
Ci guida nella visita il curatore Marcello Pezzetti, forse il maggiore esperto della materia documentata con rigore e dovizia nella mostra, che passa in rassegna con l’obiettività del ricercatore frenando la passione.
Caratteristiche e contenuto della mostra
L’allestimento è molto appropriato, si passa da una stanza all’altra nel Museo della Shoa posto nel “Portico d’Ottavia”, dove la comunità ebraica ostenta con legittimo orgoglio nei tanti negozi caratteristici i suoi costumi nell’abbigliamento e le sue specialità nella gastronomia.
Quando si arriva alla sede espositiva si è già entrati in un mondo che oggi suscita ammirazione pensando a come ha saputo creare uno stato, dalla popolazione non di molto superiore a quella di Roma, simbolo di coraggio incommensurabile percome resiste vittoriosamente all’assedio di 100 milioni di arabi, che ha sconfitto militarmente più volte. Mentre viene un senso di angoscia profonda nel ricordare come 80 anni fa fu travolto da una furia criminale.
Si celebrano, infatti, gli ottant’anni dal prodromo della tragedia successiva che in Italia ha nome “leggi razziali” approvate nel 1938 nella colpevole acquiescenza all’alleato tedesco che portò il nostro paese in modo sconsiderato ad una guerra che ha provocato diecine di milioni di morti in Europa e nel mondo.
In 13 sezioni la mostra racconta con una dovizia di immagini e di documenti, la storia di una comunità che, dopo aver acquisito con il proprio spirito d’iniziativa e il proprio lavoro una posizione di rilievo nel corpo sociale del nostro paese, si è vista prima schedata ed emarginata, poi perseguitata fino alle criminali deportazioni nei campi di sterminio. Le leggi razziali vengono analizzate nei prodromi e nei contenuti, e soprattutto nell’applicazione nei diversi campi del lavoro, istruzione e cultura, fino all’internamento e al lavoro coatto; la reazione, oltre che degli ebrei, della comunità nazionale dà uno spaccato del nostro paese che è bene conoscere senza infingimenti. Si conclude la mostra con le conseguenze di quello che da ostracismo riprovevole è divenuto genocidio criminale.
Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah ci tiene a sottolineare che “l’esposizione ribalta, tra l’altro, uno stereotipo che è stato affermato e sostenuto per anni da più parti: che la legislazione antiebraica fu una ‘legislazione all’acqua di rose’. Il materiale esposto dimostra che fu, al contrario, sistematica”. E afferma: “Il visitatore avrà gli strumenti necessari epr comprendere che l’azione persecutoria antiebraica del’Italia fascista è stata infondo, un colossale tradimento, il tradimento di una parte fondamentale di sé, quella ebraica, che era e si sentiva profondamente italiana, ma che aveva una colpa biologica’, quella di avere origini ebraiche. Gli italiani ebrei vennero trasformati da cittadini in perseguitati, e anche abbandonati a se stessi”.
Questa la definizione di Pizzetti: “Si tratta dell’esposizione di una delle pagine più vergognose della storia d’Italia, ovvero del momento in cui questo Paese, autodefinitosi ‘ariano’, mise a disposizione tutte le sue risorse per escludere dal mondo del lavoro, dalla scuola, dalla vita pubblica una parte rigogliosa di sé, quella di ‘origini ebraiche’,in base a criteri razzistici-biologici, assolutamente pseudoscientifici”. E conclude: E’ la storia delle trasformazione, avvenuta durante il ventennio fascista, dell’Italia in uno Stato antisemita. E’ la storia di una ferita che, in parte, è rimasta ancora aperta”.
Cerchiamo di raccontare la mostra per dare il senso di come questo sia potuto accadere, le fotografie, i documenti e i cartelli esposti sono come i fotogrammi di un film che inizia in modo pacifico e anche festose per incupirsi progressivamente fino alla tragedia e l ‘orrore come “La vita è bella” di Roberto Benigni.
Prima del diluvio, una comunità ben inserita anche con il regime
Festose le immagini della 1^ sezione, “Gli ebrei in Italia dall’emancipazione al fascismo”, da album di famiglia del ‘900 fino agli anni ’30. La prima è della famiglia “Tabet-Belinbau” nella festa in giardino con alcuni dei componenti che suonano degli strumenti, è la più antica, del 1895, poi altre riprese nel lavoro in panetteria oppure davanti a un grande negozio, scolaresche schierate, famiglie riprese in posa casa e in gite in campagna, al mare o a passeggio. Una collettività di persone e di famiglie come tutte le altre, che vive in armonia con l’intera comunità. In questi e nei casi successivi, la didascalia indica se e quando la loro vita si è conclusa con la deportazione. .In effetti , per i meriti acquisiti nel Risorgimento e nella prima Guerra mondiale, e per il loro spirito patriottico mostrato anche verso il fascismo, gli ebrei facevano parte a pieno diritto della comunità nazionale senza le discriminazioni che in qualche caso erano state perpetrate nei secoli precedenti per i difficili rapporti con i rappresentanti della religione dominante risalenti alle origini del Cristianesimo.
Non solo, ma per la loro maggiore alfabetizzazione e lo spirito di intraprendenza avevano raggiunto elevate posizioni nella pubblica amministrazione e nelle libere professioni, nell’assicurazione e nella finanza, nel commercio. Pochi lavoravano nell’agricoltura, molti nel commercio ambulante, tra cui tanti ebrei poveri.
Si potrebbe pensare che si resero invisi al regime per suscitare, sia pure a scoppio ritardato, la reazione antisemita, ma le 2^ sezione della mostra, “Gli ebrei di fronte al fascismo”, nega questa eventualità: “Con l’avvento del fascismo il comportamento degli ebrei si caratterizzò come quello del resto della cittadinanza non ebraica, soprattutto attraverso il consenso e il patriottismo. Essi non smisero di sentirsi e di comportarsi da italiani. La progressiva fascistizzazione della nazione condizionò anche la vita quotidiana delle comunità ebraiche”.
Alcuni ebbero anche incarichi politici, ci fu un ministro, come ci furono quelli che si opposero al regime e per questo furono esiliati, come gli altri italiani, i fratelli Rosselli , ebrei, furono assassinati, era il 1937, impressionante per partecipazione di popolo la fotografia del loro funerale. Vediamo le immagini delle “piccole italiane” di una scuola ebraica, una delle quali premiata dalla “Gioventù italiana del Littorio”, dei ragazzi ebrei in uniforme di “Figli della Lupa”, di ebrei membri della Milizia Volontaria per la Sicurezza nazionale, uno dei quali, si legge, deportato e ucciso ad Auschwitz nel 1944.
Le leggi razziali, identificazione e censimento degli ebrei
Dopo questa premessa sulla “normalità” preesistente nei rapporti con la comunità nazionale e il regime fascista, ecco la svolta cui è dedicata la 3^ sezione, “Le leggi antiebraiche”. Vengono emanate due anni dopo il 1936, per due eventi combinati, la guerra d’Etiopia con la proclamazione dell’Impero che diffuse in razzismo, anche se contro i neri, e l’Asse Roma-Berlino con i legami più stretti al paese antisemita, che diede il via a una campagna propagandistica antiebraica.
Mussolini ha scritto dell’ “antisemitismo inevitabile” in un articolo sul “Popolo d’Italia” e ne ha parlato in un comizio a Trieste il 18 settembre del 1938 in cui definiva esplicitamente l’ebreo “un nemico irreconciliabile del fascismo”, accusandolo di essere “il popolo più razzista dell’universo”; una fotografia mostra la folla oceanica che applaudiva il comizio, su “la Stampa” il giorno dopo il ttiolo a 9 colonne “Il Duce ha parlato”.
A luglio era stato pubblicato il “Manifesto fascista della razza”, in agosto era uscita la rivista “La Difesa della Razza” e soprattutto veniva fatto il censimento della popolazione ebraica e si istituivano uffici appositi. Erano trascorsi 5 anni dalla legislazione tedesca, l’Italia era pronta a imitarla.
Tra i mesi di settembre, dopo il discorso, e dicembre, escono i decreti antiebraici “per la difesa della razza”, con la fissazione dei criteri per definire la “razza ebraica” e altre misure, controfirmati dal re e convertiti in legge da Camera e Senato. Erano criteri razzistico-biologici e non religiosi, per cui colpivano anche i cattolici. Furono vietati i matrimoni “parzialmente misti” e si concesse la possibilità di evitare la persecuzione a chi aveva benemerenze e poteva essergli concessa la cosiddetta “discriminazione”.
E’ esposta non solo la documentazione sui provvedimenti, ma anche 13 vignette esplicative dei diversi settori della vita nazionale cui si applicavano le misure entrate in vigore. C’è anche la lettera in cui inaspettatamente Italo Balbo chiede al Ministero dell’Africa italiana di rinviarne l’applicazione alla Libia di cui era governatore, viene ascoltato, l’estensione alla colonia avverrà soltanto nell’ottobre 1942.
Le leggi antisemite non ebbero conseguenze pesanti soltanto sul piano dei diritti civili ed economici degli ebrei colpiti, ma compromisero la crescita della comunità che si impoverì e diminuì notevolmente anche il numero dei matrimoni tra ebrei, non toccati dalle misure repressive, e quindi al natalità con rischio di estinzione, quello che in fondo era il desiderio inespresso del regime.
Nella 4^ sezione, “Definizione e censimento”, viene documentato un momento importante, il censimento, che ha la grave responsabilità di consentire di individuare con precisione le persone “potenzialmente perseguitabili”, e non solo con misure amministrative come in una prima fase. Furono censiti oltre 58 mila individui con ascendenti ebrei, si dichiararono ebrei quasi 47 mila, di cui più di 37 mila italiani, gli altri stranieri, l’1,1% della popolazione. Bastava un genitore di razza ebraica per essere censito come ebreo se aveva mantenuto tale religione. Veniva richiesta in modo perentorio la “denuncia di appartenenza alla razza ebraica”, come vediamo in un manifesto del Podestà di Fiume, pena l’arresto e l’ammenda per chi non ottemperasse spontaneamente.
Oltre a documenti, statistiche e fotografie, è esposta una serie di”tavole genealogiche” con incroci di componenti a palline rosse o blu poste a triangolo, per definire l’appartenenza alla “razza ebraica” o alla “razza ariana”. Sembra una farneticazione, ma sono state emesse nel settembre 1938 dalla “Direzione Generale per la Demografia e la Razza”, chiamata “Demorazza”, istituita “ad ho”” insieme all’ “Ufficio studi del problema della razza” presso il Ministero della cultura popolare..
L’estromissione degli ebrei dal lavoro, le proprietà e l’istruzione
E siamo all’applicazione, la 5^ sezione riguarda “Lavoro e proprietà”, gli ebrei identificati con i criteri cui si è accennato furono espulsi dalle amministrazioni pubbliche centrali e periferiche, compreso il settore dei trasporti, e anche dall’amministrazione di imprese private e da banche e assicurazioni, nel 1939 tocca alle libere professioni di tutte le categorie: come avvocati e notai, ingegneri e architetti, geometri e ragionieri, medici e veterinari, chimici e farmacisti.
Tra il 1939 e il 1942 è il turno degli insegnanti privati e dei lavoratori in imprese “ausiliarie alla produzione bellica”, come i cantieri navali, la Fiat, la Montedison e la Magneti Marelli; nonché dei commercianti, anche del commercio ambulante in cui la comunità ebraica era molto attiva, e degli addetti ai servizi di ogni tipo: affittacamere, venditori di preziosi e di oggetti sacri, perfino i gestori di scuole da ballo e i saltimbanchi, i venditori di stracci e gli allevatori di piccioni viaggiatori, nemmeno il senso del ridicolo frenò l’estromissione dal lavoro.
Ne seguì l’impoverimento delle famiglie, cui fu negato qualunque sussidio.
L’ostracismo degli ebrei riguardava anche le proprietà, che non potevano essere detenute per quanto superava l’estimo di 50 mila lire per i terreni e di 20 mila lire, la parte eccedente andava a un ente apposito.
Tutto ciò è esemplificato in documenti dei Ministeri e delle Questure nonché in lettere di licenziamento di banche, oltre a perizie con distinta la quota ammessa da quella espropriata, oltre a fotografie dei negozi sbarrati e ad elenchi sul ritiro delle tessere, come per l’ingresso nella Borsa.
L’applicazione al settore dell’“Istruzione e cultura”, cui è dedicata la 6^ sezione, fu radicale, gli ebrei furono esclusi da tutte le scuole pubbliche fino all’Università, salvo gli universitari che avevano già iniziato il ciclo di studi, mentre altri paesi antisemiti si erano limitati al numero chiuso. Subirono la stessa sorte docenti e studenti ebrei, gli alunni espulsi potevano frequentare le scuole di associazioni ebraiche, a parte i casi di classi separate nelle scuole pubbliche, l’effetto sarebbe stata la drastica riduzione del loro numero nelle libere professioni, peraltro già precluse. Analoga esclusione della loro presenza dall’editoria, dall’arte, da ogni settore dello spettacolo.
Nelle scuole pubbliche furono eliminati non solo i libri di testo di autori ebrei, che da allora non furono più editi, ma anche i libri di autori “ammessi” che però citavano ebrei morti dopo il 1850, la precisazione burocratica del discrimine temporale aggiunge sconcerto a sconcerto. I giornali con i titoli a 9 colonne e una serie di documenti ufficiali, come lettere dei Ministeri,per quello dell’Interno da parte della “Direzione generale per la Demografia e la Razza” fanno rivivere questa atmosfera terribilmente xenofobica con il paradosso che riguardava italiani veri e propri.
Fa effetto l’elenco di “114 ebrei purosangue” ma ancora di più il numero degli esclusi dalle scuole: nelle elementari 100 e nelle medie e superiori 279, all’università 96 più 200 liberi docenti e 133 aiuti e assistenti, oltre 800, e alcune migliaia di studenti. E i nomi lasciano senza fiato, alcuni di fama internazionale nella fisica e chimica, economia e diritto, medicina e letteratura, storia e storia dell’arte. Citiamo coloro che diventeranno premi Nobel, Emilio Segrè, escluso dall’insegnamento, Franco Modigliani e Rita Levi Montalcini esclusi dagli studi. Aggiungiamo solo alcuni nomi: Vito ed Edoardo Volterra e Federico Enriquez, Guido Castelnuovo ed Eugenio e Guido Fubini, Giuseppe e Mario Giacomo Levi, Del Vecchio e Luzzatto, D’Ancona e Momigliano. Colpiscono le copertine di libri scritti o curati da ebrei tolti dalla circolazione, Si potrebbe pensare che sono testi politici ritenuti eretici rispetto alla mistica di regime, tutt’altro. Tra quelli vietati, i testi letterari riguardano “La Divina Commedia esposta al popolo” di Eugenio Levi e “Sommario di storia delle civiltà antiche” di Arnaldo Momigliano, “Le più belle novelle italiane” di Giuseppe Morpurgo e “Fiabe vecchie e nuove di Zia Mariù” di Paola Carrara Lombroso”. Possibili metafore nascoste? Non è questo il motivo, perché sono vietati anche l”Algebra complementare. Teoria delle equazioni” di Salvatore Pincherle e il “Manuale di cultura musicale” di Arnaldo Bonaventura; perfino il “Vocabolario delle lingue italiana e tedesca” di Massimo Grunhut,
L’ossessione antiebraica, stimolata e portata al parossismo dal patto stretto con il potente alleato la prodotto questi accessi di stupidità che farebbero sorridere se non ci fossero state le misure ricordate nel settore cruciale dell’istruzione e della cultura.
Benedetto Croce, con un lettera del 21 settembre 1938 sul questionario trasmessogli in ritardo per il “censimento” degli ebrei nelle accademie e nelle istituzioni culturali, ridicolizza i richiedenti affermando: “In ogni caso io non l’avrei riempito, preferendo di farmi escludere come supposto ebreo”; e concludendo:che sarebbe “arrossito” dinanzi “all’atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo proprio quando questa gente è perseguitata”. Purtroppo fu una delle poche lodevoli eccezioni, lo vedremo prossimamente dando conto delle 7 restanti sezioni della mostra, tra cui quella sulla posizione degli italiani non ebrei.