di Romano Maria Levante
Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, nella Sala Aldrovandi, la mostra “Palma Bucarelli. La sua collezione” presenta poco meno di 50 opere da lei raccolte nei quasi 35 anni di soprintendenza alla Galleria cui le ha donate con il lascito testamentario del 1998, alla sua morte. Sono esposte anche circa 10 fotografie in una celebrazione del ventennale della sua scomparsa che porta a ricostruirne la figura, personale e professionale, nel quadro dei sommovimenti a livello artistico nel dopoguerra, nei quali è stata al centro con il suo spirito combattivo. La mostra è a cura di Marcella Cossu. In significativo parallelo nella stessa sala la mostra, a cura di Barbara Tommasi, “Renato Guttuso. Un uomo innamorato”, ma non di lei, che apprezzava poco il suo realismo sui temi più scottanti della società rispetto all’approccio disimpegnato dell’astrattismo.
“Palma e sangue freddo” la definì Marino Mazzacurati, altri “Palma dell’eleganza”, “Regina di quadri” è nel titolo della biografia di Rachele Ferrario, “La sua vita e le sue passioni”, lei amava dire “La Galleria sono io”. Queste definizioni ne riassumono l’immagine e i comportamenti, nel privato e nel ruolo per così dire istituzionale di soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna per quasi 35 anni, dal 1941 al 1975. Un periodo lunghissimo nel quale ha potuto mettere insieme le tante opere d’arte lasciate poi alla Galleria Nazionale, che vengono esposte in questa commemorazione del ventennale dalla morte, in una sorta di “summa” delle preferenze con le quali ha orientato la sua direzione con mano d’acciaio nel guanto di velluto della sua raffinata eleganza.
Ma cominciamo dalle due prime definizioni sulla sua personalità e sul suo modo di porsi, che ne riflettono i dati caratteriali. Pur nella sua irruenza nel dare corso alle decisioni senza guardare in faccia a nessuno era fredda e contenuta, come se avesse un temperamento nordico.
I suoi grandi occhi le davano un innegabile fascino, il pittore Vittorio Bodini li definì “occhi di ghiaccio, simili a quelli di un animale sacro”, avevano quel tanto di algido che ne raffreddava la bellezza. Era questa la sua corazza; , le ha consentito di resistere agli attacchi che da tante parti le vennero per le sue scelte controcorrente, incomprensibili agli occhi di molti perché anticipatrici e ben comprese nella loro importanza decisiva per coloro che erano schierati dalla parte opposta. Il grande giornalista Vittorio Gorresio evidenziava, della sua anima, “il lato oscuro, spietato, ai limiti della crideltà”.
Non si pensi però a una persona scostante, tutt’altro. E qui interviene la sua eleganza sia nell’abbigliamento sia nel portamento. Si impegnava senza risparmio, non solo nello studio dell’arte fino ad acquisire una profonda competenza, ma anche nel perfezionare la sua presenza pubblica al punto di andare a lezioni di dizione da Andreina Pagnani. Usava il vogatore per la ginnastica casalinga e sapeva sciare e nuotare, per imparare a cavalcare prese lezioni da D’Inzeo, aveva capelli alla Greta Garbo, sulla sua auto scoperta richiamava l’immagine cult della “donna al volante” della De Lempicka.
D’altra parte, è stata direttrice della Galleria Nazionale quando le posizioni di vertice erano soprattutto maschili e doveva resistere in una posizione così esposta, per di più si è trovata nei tremendi anni della guerra a dover prendere delle decisioni gravi e impegnative.
Ma andiamo con ordine nel ripercorrerne la biografia per poi entrare nelle sue valutazioni e orientamenti artistici con i quali ha dato un’impronta ben precisa alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che vediamo riflessa nella propria collezione di un sessantina di opere raccolte donate per testamento alla Galleria. Ha inoltre lasciato le carte che documentano i suoi rapporti con artisti, intellettuali, autorità, all’Archivio di Stato e la propria Biblioteca all’Accademia di San Luca; il suo elegante guardaroba guardaroba con i gioielli al Museo delle Arti Decorative Boncompagni Ludovisi di Roma.
Il percorso professionale e le prime scelte
Fu nominata soprintendente unica alla Galleria Nazionale nel 1941, dopo esserne stata ispettrice dal dicembre 1939 allorché il direttore Roberto Papini fu trasferito a Firenze. Era stata ispettrice alla Soprintendenza del Lazio dall’agosto 1937 e nel 1936 alla Soprintendenza di Napoli dove era giunta dopo tre anni di lavoro alla Galleria Borghese nella quale era entrata a 23 anni come prima destinazione dopo aver vinto il concorso per la carriera direttiva degli storici dell’arte insieme a Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi; nel 1936 nella sua vita entra il giornalista Paolo Monelli, che sposerà molti anni dopo, nel 1963.
I suoi studi si sono svolti a Roma dove si è laureata in Storia dell’Arte con Pietro Toesca e ha frequentato un corso di perfezionamento con Giulio Carlo Argan con il quale ha mantenuto una stretta intesa. Nell’infanzia e adolescenza i trasferimenti del padre, funzionario prefettizio, le hanno fatto cambiare più volte ambiente, è vissuta soprattutto nell’Italia settentrionale e in Libia a Tripoli.
Scoppiata la guerra dopo la nomina a soprintendente nel 1941, ha dovuto affrontare la situazione di emergenza dovuta ai fondati timori di bombardamenti, mette in salvo le opere d’arte prima fuori Roma al Palazzo Farnese di Caprarola, poi quando i dintorni della capitale diventano sempre più insicuri le fa riportare a Castel Sant’Angelo sotto la protezione del Vaticano anche dalle mire predatorie dei tedeschi che furono frustrate per i tesori di Montecassino in cui l’evacuazione ad opera dei tedeschi fu scortata dai frati in contatto con il Vaticano.
Il diario su un anno cruciale come il 1944, “Cronache di sei mesi”, è eloquente, anche perché la Galleria riaprì con 11 sale dedicate alle opere di giovani pittori italiani. Tra loro Morandi e Savinio, mancano invece de Chirico e Guttuso, che lei tenderà a trascurare per scelte sempre più orientate verso le avanguardie italiane e internazionali, era una fase in cui si faceva strada l’astrattismo.
Concepisce “il Museo come avanguardia”, per usare il titolo del saggio su di lei di Mariastella Mangozzi del 2009, in occasione di una mostra alla Galleria Nazionale, cioè come un’istituzione avanzata e non conservatrice com’era allora l’immagine museale.
Per essere tale, sostiene che il pubblico nel museo deve poter avvicinare e comprendere tutta l’arte, inclusa quella del presente. Ma perché non resti incompresa lei si adopera per svolgere una vera e propria politica culturale con una funzione educativa, tanto che già dal 1946 apre una scuola, con l’aiuto di Lionello Venturi.
Il suo impegno in questa direzione si manifesta soprattutto nelle mostre e nelle acquisizioni di opere d’arte, orientate verso le tendenze più avanzate come l’astrattismo, che mancavano totalmente nella collezione preesistente; l’esigenza di colmare la lacuna diviene presto una scelta definitiva che difese da tutti gli attacchi. Lo fa dando un respiro internazionale all’attività della Galleria Nazionale, stringe rapporti con i maggiori musei del mondo, europei, giapponesi e americani.
Organizza due mostre innovative in tre anni, nel 1948 “Arte astratta in Italia”, nel 1951 “Arte astratta e concreta in Italia”, alle quali partecipano Corpora e Consagra, Dorazio e Scialoja, Capogrossi e Turcato.
Tra gli artisti internazionali dà spazio a Klee e Picasso, Ernst e Moore. I suoi orientamenti si manifestano anche negli acquisti della Galleria Nazionale, e questo provoca anche l’intervento dei politici che ne contestano gli indirizzi di spesa per opere di cui contestano il valore artistico.
L’escalation nel segno dell’anticonformismo
Si identifica sempre più con la Galleria Nazionale, al punto da trasferire la propria abitazione nel 1952 in un appartamento posto in un’ala dell’edificio della Galleria. Negli anni successivi si susseguono le mostre di artisti di arte contemporanea all’avanguardia per il loro stile astratto e informale, ma non trascura l’aspetto didattico accompagnandole con cicli di conferenze esplicative.
Eloquenti le mostre negli anni ’50, da quella sui “Pittori astratti americani” nel 1950, a Picasso nel 1953 e a Mondrian nel 1956, a Pollock nel 1958 e a Burri nel 1959; negli anni ’60 quelle di Moore nel 1961 e Rothko nel 1962, Pascali nel 1969, seguita da quella di Manzoni nel 1971 .
Al centro delle nette contrapposizioni tra astrattismo, realismo e figurativo, ne fu contestata anche la gestione, fino all’accusa di una spesa folle per acquistare il “Sacco grande” di Burri, peraltro avuto gratuitamente. Giulio Carlo Argan e Lionello Venturi sono dalla sua parte. Entrò in aspri contrasti per l’aperto dissidio con de Chirico e la sottovalutazione di Guttuso.
Negli anni si fa sempre più evidente la sua dimensione e notorietà internazionale: la vediamo nel 1961 negli Stati Uniti, invitata per un ciclo di conferenze; poi in Canada, Brasile e Giappone. Il presidente della Repubblica Segni la nomina commendatore.
Il suo anticonformismo nelle scelte artistiche la porta a spingersi sempre più avanti nel fare spazio alle novità anche quando sono contestate, citiamo per tutte che nella mostra del 1971 Piero Manzoni presentò “Merda d’artista”, opera non solo esposta ma anche acquistata dalla Galleria Nazionale.
Naturalmente reagisce da par suo alle accuse dimostrando la propria correttezza, la sua immagine non ne viene di certo appannata, nel 1972 viene insignita della Legione d’Onore francese e del titolo di Accademica di San Luca, nel 1975 dell’onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica.
E’ stata una lunga vita nel segno dell’arte, è scomparsa a Roma a 88 anni nell’estate1998, le è stata intestata una strada nelle vicinanze della Galleria Nazionale ed è stata posta una targa tra le palme che piantò lei stessa; prima di quella attuale fu organizzata una mostra per lei nel 2009.
Il suo “modus operandi” è stato ricordato dalla direttrice della Galleria Nazionale che ha preceduto quella attuale, Maria Vittoria Clarelli, con queste parole: “Palma sosteneva che ‘il museo deve esercitare giudizio e critica; non è un arbitro, ma un attore che prende posizione. Lei rivendicava quindi il diritto di scegliere quali artisti e quali movimenti sostenere e comprare». Difendeva le sue scelte in prima persona affrontando le forti polemiche che ne seguivano.
Particolarmente aspra quella suscitata dalla valorizzazione del pittore e scultore Jean Fautrier, nella quale fu sostenuta da Ungaretti oltre che da Argan, sempre molto vicino a lei. L’artista parigino, autore del ciclo “Ostages” sulle vittime dei lager nazisti, non aveva ricevuto apprezzamenti in Francia, salvo un giudizio di Malraux, mentre lei lo presenta alla XXX Biennale di Venezia e ne acquista un quadro per la Galleria Nazionale.
Il fatto che Fautrier vinse il primo premio a pari merito con Hans Hartung, indicava che lei aveva visto giusto, ma accese di più gli attacchi, in particolare dall’ “Espresso” con Manlio Cancogni – il giornalista dell’inchiesta dirompente “Capitale corrotta, nazione infetta” – perché fu considerata un’azione con finalità commerciali, in effetti le quotazioni dell’artista salirono notevolmente. Ma sia lei che Argan avevano sostenuto la sua importanza nell’arte informale, e lei lo aveva motivato in una biografia critica su di lui nel 1960. Da allora il suo orientamento in tale direzione si accentuò maggiormente.
Abbiamo citato questo episodio sia perché è stata una polemica particolarmente significativa tra le tante nelle quali è stata coinvolta; sia perché 3 opere di Fautrier e un’opera di Hartung, i due vincitori ex aequo della Biennale veneziana citata, fanno parte della Collezione donata alla Galleria Nazionale e sono esposte nella mostra attuale.
Passiamo dunque in rassegna le 46 opere esposte, di cui 28 astratte, 15 figurative e 3 particolarmente ardite, di quelle che lei accettava volentieri, come era stato per la “Merda d’artista”.
La sezione astratta della Collezione
L’orientamento da lei dato alla Galleria Nazionale negli anni ’50 e negli anni ’60 verso l’informale e l’arte astratta nazionale e internazionale con le esposizioni e i relativi acquisti si riscontra nella sua Collezione in una sezione astrattista di 28 opere.
Nello scorrerle tornano alla mente le contrapposizioni tra i gruppi che si andavano formando e scomponendo, ricordiamo il “Fronte nuovo delle Arti” che cambiò orientamento verso l’informale sorprendendo al ritorno da un viaggio a Parigi Renato Guttuso, tra i fondatori, il quale non poteva accettare la sconfessione del realismo, creando un rottura insanabile che portò allo scioglimento del gruppo dopo due anni di polemiche.
Ne facevano parte Birolli e Corpora, Fazzini e Leoncillo, Morlotti e Pizzinato, Santomaso e Viani, Turcato e Vedova. Di Giulio Turcato vediamo esposte 3 opere, 2 degli anni ’40, il “Ritratto di Palma Bucarelli” 1944, e “Rivolta” 1948, e una di oltre un ventennio dopo, “Arcipelago” 1970. Il rapporto con Turcato si protrasse nel tempo come dimostra l’opera del 1970, era tra i giovani artisti delle prime mostre del 1948 e del 1951 dedicate all’arte astratta.
Altri artisti di quelle prime mostre di cui vediamo opere della Collezione esposte sono Toti Scialoja, “Senza titolo” 1954, e due artisti con 2 opere ciascuno: Pietro Consagra, “Plastico in lamiera di ferro” 1949, e “Autoritratto” 1951, Piero Dorazio, “Senza titolo” 1949, e “Nebula” 1962. Enrico Prampolini è presente con “Dissonanze N. 1” 1955.
I “Senza titolo” sono caratteristici dell’astrattismo, come possiamo vedere nella Collezione in una serie di opere non intitolate. Sono le due sculture di Umberto Mastroianni, tra il 1965 e il 1973, e le opere di Vassilij Kandiskij 1939, di Fausto Pirandello 1955-60, e di Mimmo Rotella 1962.
Anche “Senza titolo” le 3 opere del 1957 di Jean Fautrier, la pietra dello scandalo della 30^ Biennale di Venezia, anche se una viene definita “Testa di partigiano” e l’altra “Frog pond”; e anche l’opera del vincitore con lui Hans Hartung 1958. Tra il 1958 e il 1965 l’opera di Antoni Tàpies, “Composizione in nero”.
Di Andrè Masson vediamo esposte 2 opere, “Senza titolo” 1956 e “Passage d’un Chasseur” 1957, così di Nino Franchina, “Senza titolo” 1953-58, e “Orfeo” 1950-60, e Carla Accardi, “Composizione” 1950 e “Frammenti” 1972, in un arco temporale di oltre vent’anni.
Due opere anche per Giuseppe Capogrossi, “Superficie 76 bis” 1954-58, e “Superficie 523”,1963, le sue forme caratteristiche sono un sigillo inconfondibile.
L’ultimo autore che citiamo della sezione “astrattisti” è Dario Cecchi, il suo “Ritratto di Palma Bucarelli” 1946-47 si unisce agli altri due ritratti della soprintendente esposti nella mostra, quello astratto di Turcato, del 1944, già citato, e quello figurativo di Savinio che citeremo.
La sezione figurativa
Cospicua anche la sezione figurativa, anche se con un numero di opere pari alla metà di quelle astratte o più avanzate, al contrario di ciò che si può pensare per la predilezione e la promozione degli astrattisti che le ha fatto sfidare i conservatori di un mondo ancora tradizionalista non disposto a fare largo alle avanguardie, e all’arte astratta che si andava affermando sempre più all’estero. Invece è scontata l’assenza nella sua Collezione di opere di De Chirico e di Guttuso, di cui abbiamo ricordato la sottovalutazione unica pecca, a nostro avviso, nella gestione della Galleria Nazionale.
Due mostre ricompongono, in qualche modo, il rapporto tra questi due grandi artisti e la Galleria Nazionale: quella del 2009, “De Chirico e il museo” che fu parallela alla mostra dedicata allora alla Bucarelli, e l’attuale mostra anch’essa significativamente parallela a questa, “Renato Guttuso, Un uomo innamorato”.
C’è inoltre un significativo parallelismo tra il lascito testamentario della Collezione da parte della Bucarelli nel 1998 e il lascito di 11 opere nel testamento di Guttuso, destinataria di entrambi naturalmente la Galleria Nazionale. Il lascito di Guttuso fu accolto alla fine degli anni ’80 dal soprintendente Eraldo Gaudioso con parole che sottolineavano la lacuna per la sottovalutazione protrattasi tanto a lungo: “La presenza di Guttuso in Galleria, finora limitata a dipinti di certo notevolissimi ms cronologicamente scalati in un ristretto numero di anni, si dilata a tutto l’arco dell’attività dell’artista e assume un peso pari al reale valore che Guttuso ha avuto nelle vicende dell’arte contemporanea italiana”.
“Reale valore”, dunque, che è stato ignorato per una scelta precisa, quasi di natura ideologica oltre che artistica. Ma la si può capire, tornando alla spaccatura di allora tra artisti e critici, alle polemiche su due fronti contrapposti, in cui entrò anche la politica, che richiedevano di schierarsi, e una combattente come la Bucarelli non poteva mediare con la sua predilezione chiara come la sua determinazione.
Comunque, a stare alla Collezione, non sembra esserci stato in lei un ostracismo verso il figurativo, come sembra vi fosse verso la pittura metafisica e il realismo; la sua apertura all’astrattismo non sarebbe dunque esclusivista, se delle 46 opere esposte 15 sono figurative, una compresenza rassicurante sulla rappresentatività di una simile raccolta, De Chirico e Guttuso a parte.
Del resto, il fatto che Picasso alternava nello stesso periodo e non in un processo evolutivo, opere cubiste ad opere neoclassiciste sta a significare che non c’è alcuna contraddizione tra i generi.
Vi sono anche due autori stranieri, mentre tra gli astrattisti ne abbiamo visto 5, Fautrier e Hartung, Tàpies, Masson e Kandinskij.qui vediamo Hans Richter, “Bass + Cello” 1917.
Con un’opera abbiamo Scipione (Gino Bonicchi), “Bozzetto per la copertina di ‘Fronte'” 1931, e Afro (Afro Basaldella) “Ritratto di Leda Mastrocinque” 1941, Filippo De Pisis, “La vecchia alsaziana” 1948, e Mario Mafai, “Natura morta con peperoni” 1951.
Poi tre artisti con più opere, in progressione, Savinio, Mazzacurati e Morandi.
Di Alberto Savinio, “Ritratto di Palma Bucarelli” 1946, e “Ritratto di Paolo Monelli” 1951, la coppia ripresa separatamente ma i due quadri accostati la ricompongono idealmente, lui con l’inconfondibile monocolo, lei i capelli sciolti al vento, come sulla sua spider.
Anche Marino Mazzacurati presenta il suo “Ritratto di Palma Bucarelli” 1952, una testa in cera dall’espressione pensosa ben diversa da quella di Savinio di sei anni prima. Insieme a questo i precedenti “Ritratto di Marino Lazzari” 1944, e “Susanna al bagno” 1946-47.
Citiamo per ultimo, come avviene per l’apparizione della “star” chiamata sul palcoscenico, Giorgio Morandi, presente con ben 5 opere, un nucleo della Collezione che vale come una piccola personale. Due opere hanno il soggetto più noto di Morandi, “Natura morta con bottiglia e brocca” 1915, il più vicino agli inizi, segue “Bottiglie” 1957-59; tra loro “Natura morta” 1956. Poi 2 opere con un altro soggetto “Fiori” 1943-49 e “Vaso con fiori” 1946-48.
Le ultime opere e le immagini fotografiche
Di certo un finale in bellezza con il grande artista il cui figurativo lineare ha sedotto fin dall’inizio chi aveva predilezioni e orientamenti ben diversi; forse perché era avulso dalla realtà scottante che il realismo prendeva di petto, quindi una sorta di astrazione….
Sono esposte altre tre opere di artisti stranieri, ulteriore testimonianza dell’apertura alle innovazioni fino alle provocazioni. Due sono legate alla contestazione del ’68: Pino Pascali, “Ruderi su prato” 1968, e Christo (Christo Javacheff), “Ponte Sant’Angelo wrapped” 1969, il ben noto impacchettamento divenuto un’opera d’arte ricordato nella Collezione.
L’ultima che resta da citare è di Henry Moore, “Mother with Child” 1917, la più antica tra tutte quelle esposte, e anche questa è una notizia.
In una mostra celebrativa del personaggio non potevano mancare delle immagini dirette. La vediamo in veste ufficiale fotografata all’inaugurazione delle mostre di Pablo Picasso nel 1953 con il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, di Piet Mondrian nel 1956 con Alver Aalto, di Jackson Pollock nel 1958 con Carlo Levi, di Alberto Burri nel 1976, quattro artisti che non esitò a promuovere quando non avevano raggiunto l’universale riconoscimento che poi è seguito. Inoltre in un ricevimento al Quirinale nel 1959 in onore dei Reali di Grecia.
Ed eccola in due ritratti fotografici, uno di Ghitta Carell nel 1943, l’altro del 1957, e infine la vediamo fotografata con il bassotto Ariperto nel 1957, che chiamava Ari. Ha avuto anche il barboncino Donatello, che chiamava Don e lo scottish Michi.
Un video con l’intervista data da lei nel 1963 alla trasmissione della RAI “L’Approdo – settimanale di lettere ed arti” conclude la ricostruzione a tutto tondo di un personaggio del quale sarà sempre ricordato lo spirito combattivo e innovatore, pronto a cogliere e valorizzare ciò che si muove nell’arte, al di fuori delle cautele e dei formalismi propri della conservazione.
Abbiamo citato quella che, a nostro avviso, è stata forse l’unica pecca motivata dal clima dell’epoca oltre che dalle sue predilezioni. Ma in fondo, nessuno è perfetto.
Info
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, viale delle Belle Arti, 131, Roma, tel. 06.32298221. Orari di apertura, dal martedì alla domenica ore 8,30-19,30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso, intero euro 10,00, ridotto euro 5,00, gratuito per gli under 18, ridotto con il biglietto del MAXXI e i soci del programma CartaFreccia di Trenitalia. Il nostro articolo sulla mostra parallela “Guttuso. Un uomo innamorato” è uscito in questo sito il 16 ottobre u. s. Per gli artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: in questo sito, Guttuso, sulla mostra al Vittoriano 25 e 30 gennaio 2013, sulla mostra al Quirinale 27 settembre, 2, 4 ottobre 2016, Picasso 5, 26 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Impressionisti e moderni 18, 27 gennaio 2016, cubisti 16 maggio 2013, Secessione 12, 21 gennaio 2015, Klee 1, 5 gennaio 2013, Mondrian 13, 16 novembre 2012, Astrattisti 5, 6 novembre 2012, Pollock e altri del Guggenheim, 22, 29 novembre, 11 dicembre 2012, De Chirico, 1° marzo 2015, 20, 26 giugno, 1° luglio 2013; poi, 17, 21 dicembre 2016; sempre su De Chirico, in “cultura.abruzzoworld.com”, 8, 10,11 luglio 2010 De Chirico e la natura”, in precedenza, nel 2009, 27 agosto sui disegni e 22 dicembre sulla mostra alla Galleria Nazionale “Il lato nascosto dell’artista incompreso”, il 23 settembre con altri artisti del ‘900; a stampa in “Metafisica” n. 11-13 del 2013, pp.403-18, e nell’edizione in inglese “Metaphysical Art” 2013.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Galleria Nazionale alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione della Galleria Nazionale, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Alberto Savinio, “Ritratto di Palma Bucarelli” 1946; segue, dello stesso Alberto Savinio, “Ritratto di Paolo Monelli”, 1951; poi alternati a 7 opere della collezione, i “Ritratti di Palma Bucarelli” di Giulio Turcato 1944, e Marino Mazzacurati, 1952, in cera, quindi un suo ritratto fotografico; in chiusura Christo (Christo Javacheff, “Ponte Sant’Angelo wrapped” 1969.