di Romano Maria Levante
La nostra visita alla mostra aperta dal 16 dicembre 2016 al 12 marzo 2017, alle Scuderie del Quirinale, con il titolo evocativo “Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova” termina con la descrizione delle altre opere esposte, in particolare quelle dei “precursori” del ‘300 e ‘400 dei grandi artisti del Rinascimento di cui abbiamo dato conto in precedenza, nel segno della natura e dell’ideale, oltre ai maestri dell’antichità. La mostra, curata da Valter Curzi, Caterina Brook e Claudio Parise Presicce, con il Catalogo Skira, è organizzata da ALES, la società “in house” del MiBACT, di cui è presidente e A. D. Mario De Simoni, con l’Azienda Speciale Palaexpo, precedente curatrice delle Scuderie, nella fase di transizione gestionale.
Abbiamo rievocato la vicenda storica, prima dolorosa della requisizione e asportazione delle nostre opere d’arte portate in Francia, a seguito della conquista napoleonica; poi gaudiosa con il provvidenziale recupero, anche se parziale, alla sconfitta dei francesi. E ci siamo soffermati sulle motivazioni, il “sogno di Napoleone” divenuto un incubo per i territori italiani, in particolare Roma, spogliata dei capolavori dell’antichità e del Rinascimento nel tentativo di oscurarne l’immagine di “città eterna” a vantaggio di Parigi e del suo imperatore.
Poi abbiamo sottolineato la vicenda gloriosa, a conclusione dell’evento così sconvolgente, la nascita di una coscienza popolare, prima limitata ai singoli territori, poi divenuta sentimento patriottico pur nella frammentazione territoriale, del valore dell’arte come fattore identitario e patrimonio collettivo da tutelare e valorizzare. Fino alle raccolte d’arte in musei legati al territorio.
La visita alla mostra ha permesso finora di dare conto delle opere-simbolo, dell’antichità e del Rinascimentoi, con il ritorno alla natura fino all’ideale della scuola bolognese e ai “maestri del colore”. Proseguiamo la carrellata con i “primitivi” e le opere poste nelle sedi museali sui territori.
Dalle requisizione dei “primitivi” ai musei nati dalle accademie
Come in un dramma in tre tempi, le requisizioni non si sono limitate a quelle della fine del 1796, concluse rapidamente con il trasferimento a Parigi delle opere antiche più pregiate e dei maestri del Rinascimento, di cui le opere esposte nella mostra fin qui commentate sono un campione molto significativo.
Il secondo tempo si apre nel 1802 con la nomina a direttore del Louvre di Dominique Vivant Denon, che intendeva riordinare le collezioni per le scuole artistiche e per questo coltivò l’idea di integrare la raccolta dei sommi maestri del ‘500 e ‘600, anche a fini didattici, con i precursori del ‘300 e ‘400; nella prima razzia era stato preso soltanto il Perugino come maestro di Raffaello e non per i suoi pregi, pur notevoli.E come fare questa integrazione? Ovviamente con una nuova campagna di requisizioni in Italia: Denon era vissuto a lungo a Venezia, Firenze e Napoli, e vi tornò nel settembre 1811 per requisire le opere dei precursori, i cosiddetti “Primitivi”. Fu agevole reperire lquelle che provenivano da congregazioni religiose soppresse da Napoleone, quindi accumulate nei depositi.
Nel terzo tempo si vanifica l’intero disegno, siamo al 1815, “arrivano i nostri”, come nei film western, il “settimo cavalleggeri” infligge l’estrema sconfitta a Napoleone, i predatori devono restituire il bottino, le opere d’arte tornano nei territori di origine.
Vediamo esposta una selezione delle opere di questi “primitivi”, 2 dipinti raffigurano la Madonna, altri 2 i santi, quasi tutte tempere su tavola di medie dimensioni..
Di Zanobi Machiavelli, la “Madonna in trono con il bambino tra i santi Antonio da Padova, Silvestro, Ranieri e Francesco”, 1455-65, la Madonna al centro regge appena il Bambino in piedi sulle sue ginocchia, ha un mantello blu scuro ravvivato dal vestito rosa che si apre sul petto, i santi intorno con abiti per lo più chiari in varie pose oranti, le loro figure sono poste lateralmente, distanziate senza sovrapporsi.
Invece nella“Madonna con il Bambino e sant’Anna con donatrici (Sant’Anna Mettetrza) “, 1468, di Benozzo Gozzoli ,i tre soggetti principali si sovrappongono stretti l’uno all’altro in senso diagonale, con i visi accostati, mentre le figure delle donatrici in preghiera sono poste in basso in dimensioni minuscole, il tutto inquadrato in una specie di teca con in alto il timpano recante l’immagine di Dio padre.
Di profilo le figure nel dipinto centinato di Giovanni Mazone, “San Francesco presenta Sisto IV”, 1490, in una composizione suggestiva per la tonalità cinerea e lo sfondo desertico e roccioso con il Crocifisso che si apre dietro un colonnato che ha una colonna spezzata.
Posti frontalmente i tre santi ritratti da Luca Baudo da Novara, “Sant’Agostino tra i santi Ambrogio e Monica”, 1497, la figura centrale è dominante, su un trono imponente sotto un baldacchino architettonico particolarmente elaborato.
“Il banchetto di Erode”, 1387-88, diLorenzo Monaco , è una composizione ariosa, le figure allineate orizzontalmente con una leggerissima prospettiva, tonalità tenui di un cromatismo comunque vivace, nella scena a prima vista serena spicca al centro la testa recisa del santo che viene portata su un piatto dinanzi a una tavola senza cibo, come se quello fosse il “fiero pasto”.
L’“Imago pietatis”, del Perugino, presenta il Cristo con la braccia larghe in basso che si mostra nella sua inerme nudità , ritroviamo nei sequestri dei “primitivi” l’artista già incontrato nelle prime requisizioni dei rinascimentali, forse perché quest’opera è anteriore al 1500 essendo del 1495.
Ricordiamo che l’arrivo delle opere asportate dei “primitivi” fu celebrato con una grande mostra al museo parigino nel 1814, il canto dl cigno del “sogno di Napoleone”: l’anno dopo la sua sconfitta fece scattare le restituzioni. Intanto dal male venne il bene, la spoliazione fece maturare sempre più la sensibilità per il valore dell’arte come patrimonio collettivo che, oltre a stimolare l’orgoglio per i grandi maestri, fece rivalutare pure le opere di artisti minori, fino ad allora sottovalutate e per questo accumulate nei depositi dopo la soppressione degli enti religiosi che le possedevano senza alcuna intenzione di esporle..
Con le iniziative che seguirono per istituire gallerie museali pubbliche, la cui sedi naturali erano le locali Accademie delle belle Arti, la grave minaccia della spoliazione, solo in parte rientrata perché il recupero fu parziale ma molto consistente, si trasformò in una opportunità positiva, la mostra ne dà conto con alcune opere significative, quasi tutte tempere su tavola.
Della Pinacoteca che fu creata a Bologna con la testimonianza dell’evoluzione artistica emiliana, vediamo esposte 3 composizioni con la Madonna.
Nella “Madonna con il Bambino, angeli e il donatore Giovanni da Piacenza”, 1378, di Simone dei Crocifissi, al secolo Simone di Filippo, quasi l’intero spazio è occupato dalla figura principale su sfondo dorato, gli angeli al lato sono piccoli, quasi incorporati nelle colonne tortili, la figura del donatore anche qui è minuscola, con un rilevo dato dall’abito scuro che spicca sulla tonalità dorata della composizione.
Al contrario, nella “Madonna con Bambino in trono e i santi Agostino, Giorgio, Giovanni,Stefano e un angelo (Pala dei Manzuoli o del cardellino)”, 1490, del Francia, al secolo Francesco Raibolini, la sua figura, anche se collocata più in alto seduta senza un vero trono, è più piccola di quella dei 4 santi, due a destra e due a sinistra in pose alquanto disinvolte, soltanto il piccolo angelo in basso appare in preghiera.
Spicca da sola, in primo piano la grande figura nell’abito tradizionale – ripresa fino alla vita con uno sfondo nel quale si distinguono in lontananza delle rocce, un albero e una costruzione – della“Madonna con il Bambino” di Giovanni Battista Cima, 1495.
Altri 3 dipinti documentano la creazione delle Gallerie dell’Accademia a Venezia, di cui 2 composizioni con la Madonna.
Quella di Bartolomeo Vivarini raffigura la “Madonna in trono con i santi Andrea, Giovanni Battista, Domenico e Pietro”, 1464, si tratta del “Polittico Ca’ Morosini”, quattro formelle separate con le figure dei santi isolate, ciascuna con un proprio simbolo, al centro la Madonna in un abito blu scuro tendente al nero nell’inconsueta posizioni con le mani giunte e il Bambino disteso addormentato sulle sue ginocchia.Stefano “plebanus” di Sant’Agnese, nell’“Incoronazione della Vergine”, 1381, la presenta in una composizione molto originale, al centro l’incoronata con l’incoronante che le pone la mano sul capo, la corona è incorporata nell’aureola; sono entrambi seduti con una abbigliamento simile, mantello sul nero e veste sul rosso, ma sempre con motivi dorati, intorno un tripudio di angeli con aureole, ai loro piedi due angeli musicanti; è un quadro di notevole impatto cromatico e compositivo.
Due figure austere accostate, una con pastorale, l’altra che regge un modellino di basilica, nel dipinto stretto e alto di Carlo Crivelli, “I santi Girolamo e Ansovino”, 1488-90.
Viene ricordata la nascita della Pinacoteca di Brera a Milano che, come capitale della Repubblica cisalpina, risentiva in modo particolare dell’influenza francese, per cui sull’esempio del Louvre non era limitata all’arte del territorio, ma attraverso scambi con Bologna, Venezia e la Francia tendeva a dare un panorama variegato dell’arte occidentale.
Sono presentati nella mostra degli oli su tavole centinate del 1529, di Alessandro Bonvicino, con i santi “Bonaventura da Bagnoregio e Antonio da Padova”, “Berardino da Siena e Ludovico da Tolosa”, e con San Francesco d’Assisi”, quest’ultima è un’immagine frontale, le altre riprese di tre quarti, tutte con la testa leggermente reclinata.
Nasce un sentimento nazionale pur nella frammentazione politica
La nuova sensibilità acquisita con i salvataggi del recupero portò ad impedire la vendita di opere destinate al mercato per acquisirle al patrimonio pubblico, come avvenne per il “Ritratto funebre di Gaston de Foix, del Bambaia, al secolo Agostino Busti, inizi del 1500, che faceva parte di un mausoleo rimasto incompiuto; vediamo esposto il calco in gesso di Pietro Pierotti, del 1870, di 2 metri di lunghezza, celebra la morte eroica a 23 anni di Gaston de Foix duca di Nemours, nipote di Luigi XII, nominato governatore di Milano nel 1512 e caduto nell’aprile dello stesso anno combattendo alla guida dei francesi contro la Lega santa; è ritratto con gli occhi chiusi, le braccia leggermente piegate, le mani incrociate. Con lui le statue alte circa 50 cm dei 5 “Apostoli” marmorei dello stesso Bambaia.
Al culto delle memorie patrie si devono anche le donazioni alle istituzioni cittadine di importanti opere, come la “Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli“, morto nel 1501 a Imola da condottiero e procuratore militare al seguito di Cesare Borgia, scolpita da Tullio Lombardo, 1525. In marmo, lunga 170 cm, fu donata con un esplicito richiamo al “decoro nazionale”. Colpisce il languore del volto esangue con la testa reclinata come nel sonno, vestito di un armatura leggera, immagine dolce e romantica che ha emozionato intere generazioni.
Sono esposte altre opere a testimonianza della nuova attenzione alla tutela dell’arte come espressione delle memorie e dei valori legati ai singoli territori: immagini sacre verso le quali la considerazione è di molto accresciuta, venendo ritenute un vero patrimonio locale. Completano la galleria llustrata fino a qui, che vista in sequenza appare un caleidoscopio in cui l’oro si mescola al rosso e al blu e celeste delle vesti, le figure sembrano animarsi nelle diverse posizioni in cui sono riprese.
Ancora tempere su tavola, le ultime che vediamo esposte sono le 4 Madonne con Bambino e santi di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, 1458, e Giovanni Santi, 1484-89, Nicolò Rondinelli, post 1495, e Defendente Ferrari, 1505-10; nonché altre rappresentazioni della Madonna con Bambino in trono e angeli musicanti di Giovanni Martino Spanzotti, 1526-28, come Vergine annnnciata, con il cartiglio “Ecce ancilla Dni”, in una piccola tavola a fianco a quella con l’“Arcangelo Gabriele“.
Ma al di là del territorio, il sentimento nazionale comincia ad affiorare alimentato dalle memorie del passato, anche se lo ostacola la frammentazione politica in tanti “staterelli” prima del sospirato raggiungimento dell’unità d’Italia.
A simbolo del patriottismo emergente la serie di busti di una sorta di “Pantheon degli italiani illustri”, promosso da Antonio Canova commissionando le statue ad artisti a lui vicini – ne vediamo esposti 3 di Alessandro d’Este, e altri 4 di Biglioschi e Trentanove, Manera e Albacini, sono volti pensosi con in basso l’iscrizione del nome.
Sono state realizzate tra il 1813, quindi prima della restituzione delle opere requisite. Vediamo i busti di artisti che, salvo Giotto e il Beato Angelico, sono autori di opere asportate prima e restituite poi: Correggio e Tiziano Vecellio, Paolo Veronese e Andrea del Sarto, il Domenichino e il Perugino. Fu un’intuizione quasi profetica, la celebrazione ci fu prima con la partecipazione popolare al ritorno delle opere, poi con l’esposizione al Pantheon dei busti voluti da Canova..
Abbiamo ricordato all’inizio come lo scopo fosse di alimentare il sentimento nazionale, al di là dell’ambizione personale di Canova, che vedeva nel Pantheon la destinazione permanente, essendo il monumento-simbolo in cui Raffaello aveva chiesto fossero poste le proprie spoglie.
Infine, al culmine di questa galleria, troviamo la “Venere Italica” che Canova aveva realizzato nel 1809-11, allorché il governo della Toscana gli commissionò una copia della “Venere degli Uffizi”, portata a Parigi con le requisizioni nel 1802: lo scultore creò invece una statua di propria concezione, ponendola, con il titolo che le assegnò, a simbolo dell’immagine dell’Italia nell’arte unita alla bellezza.
Alla nudità della Venere antica aggiunse un panneggio con cui si copre in un gesto pudico all’uscita dal bagno, e le diede nell’espressione e nella positura una dimensione psicologica che, sottolinea il curatore Curzi, “non sfuggiva a Ugo Foscolo”, il grande poeta così sensibile ai motivi patriottici, vedi “i Sepolcri”, “in estatica ammirazione di fronte alla scultura canoviana, non nascondendo la sua predilezione per l’opera moderna giudicata ‘voluttuosissima donna’”. .
Per sottolineare il carattere allora ancora utopistico dell’immagine patriottica di Canova viene presentata nella stessa sala terminale del percorso “La Meditazione (l’Italia del 1848)”, di Francesca Hayez, 1851, che raffigura una Venere popolare, bella e sensuale nella sua parziale nudità, ma come indifesa e umiliata, dimessa e smarrita con in mano una croce simbolo del sacrificio nei moti risorgimentali del 1848, espressione dello smarrimento del paese lacerato dalle divisioni e dai conflitti.
E’ un colpo di teatro che suscita la riflessione sulla storia patria dopo aver ripercorso una vicenda così particolare nella quale l’arte si collega alla storia, come avviene nei momenti critici per il valore simbolico ed evocativo delle creazioni artistiche.
Tema molto attuale questo al giorno d’oggi, allorché non si tratta più di spoliazioni e bottini di guerra ma di distruzioni ancora più deprecabili e dissennate volte a rimuovere la memoria di quanto di più prezioso ci sia: le radici della nostra civiltà.
Dalla mostra viene, dunque, anche un ammonimento e un monito a difendere il patrimonio artistico come inalienabile scrigno di valori, oltre a una evocazione storica di alto significato morale e civile.
Info
Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio 16, Roma. Aperto tutti i giorni, da domenica a giovedì ore 10,00-20,00, venerdì e sabato chiusura protratta alle 22,30. La biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 12,00, ridotto 9,50. Tel. 06.39967500; www.scuderiequirinale.it. Catalogo “Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova”, a cura di Valter Curzi, Carolina Brook, Claudio Parisi Presicce, Skira, dicembre 2016, pp. 312, formato 23,5 x 28. dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I primi due articoli sulla mostra sono usciti in questo sito il 9 gennaio e 21 febbraio u. s., con altre 11 immagini ciascuno.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante in parte nelle Scuderie del Quirinale alla presentazione della mostra, in parte dal Catalogo, si ringrazia Ales, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Tullio Lombardo, particolare della “Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli”, 1525; seguono, Stefano “plebanus” di Sant’Agnese, “Incoronazione della Vergine”, 1381, e Tintoretto (Jacopo Robusti), “Sant’Agnese resuscita il figlio del prefetto (Miracolo di sant’Agnese”, 1563-78 (spostare); poi, Perugino (Pietro Vannucci), “Imago Pietatis”, 1495, e “Testa di Giove”, prima metà I sec. a. C.; quindi, Alessandro d’Este, “Giotto di Bondone”, 1815, e Pietro Pierotti, “Ritratto funebre di Gaston de Foix”, 1870; Antonio Canova, Venere Italica”, 1809-11, e Francesco Hayez, “La Meditazione (L’Italia del 1848)”, 1851, inoltre, inquadrate nella penombra, la “Vergine Italica” e , in chiusura, la “Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli“.