Thayaht, futurismo eccentrico e geniale alla Galleria Russo

di Romano Maria Levante

Alle Galleria Russo, a Roma, dal  9 febbraio al 2 marzo 2017  la mostra “Thayath, un futurista eccentrico. Sculture, progetti, memorie” espone  oltre 200 opere tra decorazioni ed oggetti, disegni e progetti,  pitture e sculture, un’immersione in un mondo affascinante, dall’eleganza unita a una linearità  associata a un cromatismo variegato, alla ricerca della perfezione formale. Ha collaborato con la Galleria Russo l’Associazione per il patrocinio e la promozione della figura e dell’opera di Ernesto e Ruggero  Alfredo Michahelles, i nomi suo e del fratello con il nome d’arte”Ram”, e l’Archivio  Seeber Michahelles. Curatrice della mostra Daniele Fonti, Catalogo Manfredi Edizioni con saggi della curatrice, di Carla Cerutti e di Agnese Ferrazza,e “un ricordo” di Elisabetta Seeber.

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La figura di Thayaht è indubbiamente intrigante, dal nome palindromico cui ha aggiunto l’h dopo l’iniziale Taiat, al futurismo eccentrico e tardivo, per così dire, ma così geniale, incisivo  e personale, all’apertura a diverse arti orientate verso il pubblico, con un design artistico di alto livello, alla sintesi tra influssi anglosassoni e spirito italianismo, fino alla fiducia nel regime fascista cui dedicò un’originalissima effigie del Duce in linea con la semplificazione estrema dei suoi volumi.

Questa esposizione alla Galleria Russo si inserisce meritoriamente nella riproposizione del futurismo con l’evocazioni di esponenti di spicco a partire da Marinetti, proseguendo con Erba e Dottori,  fino all’aeropittura di Tato. 

Al futurismo Thayath approdò tardi, negli anni ’30,dopo un incontro con Marinetti che lo colpì profondamente, ma di certo lo seguì fin dall’inizio, anche se una certa mentalità cosmopolita – derivante dalle origini, dall’educazione e  cultura familiare e dalla propria curiosità che lo portò a viaggiare  in Europa e negli Stati Uniti – e in particolare gli influssi anglosassoni,  lo preservarono da una adesione pronta e totale, cui si opponeva anche la sua poliedricità artistica e la sua ripulsa degli atteggiamenti esteriori spesso eccessivamente movimentisti e non certo eleganti del futurismo montante nella prima fase.

Ben prima della consacrazione futurista, comunque,  c’erano state le decorazioni negli anni ’10,  l’intuizione della Tuta al termine del decennio, che rifletteva l’estensione del futurismo dall’arte alla vita in tutte le sue manifestazioni salienti compreso l’abbigliamento,  del qualericordiamo  gli abiti di Depero e di Balla, con i suoi giubbotti futuristi, fino alle prove plastiche  del 1922 che chiamava “ritmi plastici” in assonanza alle ricerche di Boccioni del”ritmo plastico puro”. 

Uno dei primi ispiratori – ricorda la curatrice Daniela Fonti nella sua accurata ricostruzione dell’arte di Thayaht – sembra fosse stato il pittore americano Giulio Roslshoven,  che viveva a  Firenze; da lui apprese la ricerca dell’armonia attraverso la linea e l’equilibrio della composizione; il risultato doveva essere qualcosa di semplice e immediatamente percepibile. Questa impostazione derivava anche dalle tesi di Arthur Wesley Dow, che in più negava la gerarchia tra arti maggiori e arti minori perché tutte ispirate al principio dell’armonia, basato a sua volta su tre elementi, linea, colore e rapporti tra luce e ombra intesi in senso astratto e decorativo e non in senso plastico. Anche le prove nella scultura lo portavano a far perdere alla materia la sua plasticità e gravità per assumere un puro ritmo dinamico di tipo musicale.

Siamo nel 1920, Thayaht  imbevuto di queste teorie, va in America, ad Harward, ai corsi di Denman Ross, che era stato allievo proprio di Doss, come Georgia O’‘Keeffe,  e aveva apprezzato  alcune sue prove grafiche astratte definendolo “giovane e promettente designer”, e in effetti sentiva la vocazione per il “fashion design” e voleva aggiornarsi.

Così  inizia dalle decorazioni per passare a disegni per abiti, agli oggetti fino alle piccole sculture, tutto destinato al pubblico; si aggiungono progetti e disegni “privati” anch’essi esposti.

Le decorazioni e i modelli

Dalle decorazioni inizia la nostra rassegna delle opere in mostra seguendo il percorso artistico e di vita di Thayaht Vediamo
esposti 10 acquerelli e tempere su carta inseriti nelle più diverse figure geometriche, tra il 1915 e il 1925, con il titolo “Motivo decorativo”: 6 rettangolari, con diverse tonalità e intensità cromatica, 4 ovali, di cui 3 con tonalità fredde e una calda,  2 circolari e 1 triangolare. Non se ne conosce la destinazione, dovrebbero essere studi per  mattonelle o ceramiche, tessuti o vetrate. Vi sono poi 2 “cartoncini” con 12 e 15 disegni di motivi decorativi e 2 “Prove di decori” con diverse forme gometriche o arabescate come poste a confronto per la scelta, un “Disegno per potiche“e 2 “Disegni per vaso”. .

Negli stessi anni, in particolare tra il 1919 e il 1925, la collaborazione  con la famosa stilista Madeleine Vionnet, conosciuta in un suo viaggio a Parigi, che gli aveva chiesto  di soggiornare due volte all’anno nella capitale francese per progettare tessuti, abiti e accessori, i suoi disegni per abiti femminili erano di foggia marcatamente geometrica, lo “stile Thayaht” celebrava la donna dinamica e sportiva liberata sia dal ruolo di madre di famiglia sia da quello di “femmina fatale”.

Il “Manifesto per Madeleine Vionnet, con una figura femminile ammantata che domina una colonna ionica, divenne il logo della maison, riprodotto sulle etichette di abiti e profumi, su cartoline, inviti e perfino sulle fatture. Ed ecco alcuni suoi disegni in tempera o acquerello su carta con 2 ” modelli per vestito” da lui disegnati nel 1918, prima di conoscere la Vionnet, un figurino sul retro di una cartolina postale e un modello in una stanza davanti  a una scrivania; del 1919 sono esposti i disegni di modelli ambientati all’esterno, un “Modello per costume da bagno” tra il verde in riva a uno  specchio d’acqua, un altro per un vestito con la donna che guarda il sole al tramonto in uno scenario suggestivo, questo fa capire come non son semplici schizzi ma ambientazioni. Era già con Voinnet quando ha realizzato la tempera su carta “Manekinios”, con due modelle in piedi alla prova di un tessuto che ancora non è divenuto abito.  Nella “Composizione con figura” del 1920 la figura nuda con in mano la mela dinanzi a un albero stilizzato con geometrie sferiche sembra evocare il peccato originale, viene ritenuto  un disegno preparatorio per una scena teatrale.

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E al teatro sono dedicati circa 20 “Bozzetti per costume teatrale” che si aggiungono ai disegni di modelli per la maison parigina. A differenza da questi ultimi, per lo più  non sono stati commissionati, ma creati sulla spinta del  suo interesse per il teatro, nato dai contatti a Parigi anche con i balletti russi, tanto che organizzava  rappresentazioni a Firenze nel proprio giardino. Mentre i modelli per la moda sono ambientati in interni ed esterni suggestivi ma sono statici, i bozzetti per il teatro non hanno sfondi ma sono molto dinamici: non più mannequin in posa, ma figure in movimento molto accentuato con le gambe allargate nel passo di danza e le braccia protese  spesso in movimenti acrobatici, alcuni con un forte cromatismo in modelli variegati e variopinti.

Parlando di modelli non si può non concludere con il clou del suo spirito creativo in questo campo, l’invenzione della “Tuta” , di cui vediamo esposti alcuni disegni, in particolare “Due figure maschili in tiuta” e “Modello di bituta“, entrambi del  1919. Ideato insieme al fratello Ruggero, in arte Ram, fu un’innovazione allora rivoluzionaria,  l’abito universale come anticipazione del futuro, largamente pubblicizzato anche con un cartamodello allegato al quotidiano fiorentino “La Nazione”, e con un evento spettacolare, regolarmente filmato, di centinaia di fiorentini in tuta e bastone da passeggio mescolati ai passanti divertiti tra Piazza della Signoria e Piazzale Michelangelo. Siamo in linea con l’impostazione futurista di favorire anche nel vestito il dinamismo e il movimento che propugnava, come dimostra l’ “abito maschile futurista” di Balla che abbiamo già citato.

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Lo ricorda la curatrice della mostra Daniela Fonti spiegando che proprio nell’anno della Tuta  aggiunse due “h” al palindromico nome d’arte, prima Taiat, nel quale spiccano le due “T”, e l’assonanza con Tight, l’abito anch’esso universale di gala, peraltro congeniale all’artista,  che veniva quasi contestato dal nuovo abito da lui creato per l’uso generalizzato. Così la Fonti: “Curiosamente  verrà dunque proprio dall’artista più dandy e conservatore del panorama italiano fra le due guerre l’intuizione assolutamente profetica di un indumento che, come il moderno jeans, è in grado di cancellare, nel segno dell’economia, della praticità e dello standard le differenze sociali che si manifestano attraverso l’abbigliamento”.  

E’ una delle manifestazioni contraddittorie quanto geniali del talento dell’artista descritto da Tullio Crali “elegantissimo vestito di bianco, bianco come l’immancabile baschetto”, quindi proteso non a omologarsi, ma a distinguersi anche nell’abito; e da Antonio Maraini, citato da Carla Cerutti, cone “un insieme di contrasti da spiegare benissimo quanto era in lui di singolare e, nello stesso tempo, da far accettare l’espressione del suo dandismo come un fatto genuino e spontaneo”.

Maraini “tenne a battesimo Thayaht a Monza nel 1923”, alla 1^ Mostra d’Arte Decorativa ripetuta poi ogni due anni, dove sì si apre un nuovo scenario nelle espressioni poliedriche del suo talento.

L’oggettistica e le sculture

A Monza, nella sala della Toscana, Thayaht presentò una serie di oggetti realizzati tra il 1920 e il 1922  che vediamo esposti nella mostra attuale: due “Candelabri” e una “Coppa”, un “Portacipria pentagonale” e un “Portacipria rotondo” in legno dorato, un “Piatto” in talattite – la lega cui diede il proprio nome da lui realizzata con alluminio e silicio, stagno e nichel –  e alcuni vassoi e vasi in metallo e ceramica dalle superfici lisce o incise con disegni geometrici, anche colorati.

Si trattava di lanciare l’arte applicata in un artigianato di qualità, con i mobili di Duilio Cambellotti, le ceramiche di Gio Ponti e i vetri di Zecchin, i maestri e precursori del design moderno – che abbiamo visto rievocato nella mostra romana “La dolce vita” al Palazzo Esposzioni – tra cui si colloca anche Thayaht, soprattutto dopo la partecipazione alla biennale di Monza del 1927, saltata quella del 1925.  Prende quota il nuovo design artistico, si afferma lo stile novecentesco anche in questo campo con la presenza molto qualificata di alcuni dei  grandi sopra citati e anche del nostro artista, che espone in una saletta definita “piena di garbo, di gusto d’intelligenza e d’ardire”  in un articolo sulla mostra  della rivista “Emporium”.  

Nel 1929 aderisce al futurismo dopo il colpo di fulmine dell’incontro con Marinetti, e presenta i suoi oggetti in talattite all’Esposizione internazionale di Barcellona, dove viene premiato, poi di nuovo a Monza e alla XVII Biennale di Venezia, con un vetrina di sue opere sempre nel campo dell’oggettistica. Si afferma il suo spirito di designer di oggetti per produzione in serie destinata al pubblico, anche quando dagli oggetti passa alle sculture, per lo più piccole come soprammobili..

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E una delle sue più celebri sculture, “Il violinista”, spicca nella foto d’epoca sul lungo tavolo della mostra di Monza del 1927, tavolo che vediamo nel suo disegno del 1928 “Progetto per interno di negozio”. 

Siamo così giunti alla scultura, senza soluzione di continuità con le altre espressioni artistiche in un percorso parallelo a
quello del futurismo ma con delle proprie peculiarità molto pronunciate.

Le sue sculture non avevano destinazioni celebrative, quindi non erano monumentali, costtituivano un’estensione del design artistico; concepite in piccole serie per il pubblico; potevano essere realizzate con differenziazioni nei materiali, dall’ottone, al bronzo all’alluminio, e nelle patinature, dal rame al bronzo fino all’oro. Per il gusto,  siamo nell’ “Art Nouveau” degli anni ’20.  definita con il nome di “Déco”, che assecondava lo slancio vitale  verso la modernità e il futuro liberandosi dalle scorie del passato. Era questa la molla della rivoluzione futurista, e anche Thayaht ne fu protagonista, però in lui la figura umana non esprimeva un’energia fisica prorompente, bensì un’energia  definita da Daniela Fonti “etérica e impalpabile che la figura raccoglie e riverbera nell’ambiente, onda più emotiva che fisica, destinata perciò a trasformarsi in puro ritmo”.  

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Viene trovato  in questo un qualcosa di medianico secondo le tendenze spiritualiste verso l’irrazionale e l’occulto – del resto vediamo esposto un suo “Tavolino per sedute spiritiche” del 1930 –  ma ciò che risulta evidente è la matrice musicale, il ritmo compositivo e la ricerca di esprimersi mediante figure legate alla musica. Abbiamo così il “Violinista”, 1921,  e il “Flautista”, 1929, alti circa 70 cm, esposti insieme a due disegni per “Direttore d’orchestra”, 1929,  e “Contrabasso”, 1933. Tra queste opere di ispirazione  musicale ve ne sono di più piccole, alte meno di 30 cm, come “La sentinella” e “Bautta”, figura  caratteristica che vediamo anche disegnata in “Scena veneziana”, 1922-25, e “Bautta e il timoniere”, 1930; di ambiente veneziano anche il disegno “Gondoliere al tramonto. Spiccando il volo”, 1930-33.

Oltre alla musica lo sport, vediamo la scultura, altrettanto celebre del “Violinista”, “Tennista”, 1935,  ancora più esplicita nel gesto con la racchetta, realizzata in gesso per la Mostra internazionale di Arte sportiva dell”XI Olimpiade di Berlino del 1936 – di cui si ricorda il memorabile exploit di Owens nell’atletica davanti ad Hitler – ma non ci fu il tempo per la fusione, che avvenne per presentarla alla  XX Biennale di Venezia dello stesso anno; c’èanche un disegno preparatorio “Backand”, 1935, con appunti in inglese sul colpo di rovescio raffigurato.

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E soprattutto vediamo “Tuffo”, 1932, la più spettacolare, alta quasi 3 m, ma non ha nulla della scultura monumentale perché la sua verticalità esasperata, con l’essenzialità e la linearità del gesto atletico ne fa quasi l’evocazione immateriale del sogno di perfezione stilistica del tuffatore, si resta affascinati da tale forza evocativa, c’è chi vi vede la macchina perfetta. Realizzata dopo una progettazione iniziata nel 1929, fu presentata alla XVIII Biennale di Venezia nella sala dei Futuristi italiani, poi una versione ridotta alla citata Mostra di Arte sportiva delle olimpiadi berlinesi del 1936.  Successivamente il disegno  “Mani del ‘Tuffo’“, 1934, con il primo piano di braccia e viso in una sequenza sempre più stilizzata; mentre “Doccia”, 1934, è diretta discendente da “Tuffo” nella sua verticalità.  Altri progetti scultorei: “Starter”, 1927-30, con la figura che spara in aria , “Quadriga in corsa”, 1931, con il dinamismo nelle ruote moltiplicate per rendere la velocità.

Altri studi di sculture sono esposti in mostra: “Nike di Samotracia”, 1913, e “Studio” con testa rivolta ll’indietro”, 1916, ” Io sono te”, 1935, e “Progetto per scultura polimaterica”, 1936, il primo con una figura seduta e un’interessante annotazione, il secondo per una scultura polimaterica sul “Bollettino meteorologico. Probabilità”, 1934-36.

Ma vogliamo sottolineare tre progetti su temi che lo esaltarono, li riportiamo nel crescendo ideologico ad essi sotteso. :

Il primo “Palombartiglio”, 1933,  e “Artiglio”, 1934, per celebrare la  nave-recupero inabissatasi nel 1930 con la morte di tre palombari nel recupero del piroscafo “Egypt” nelle acque francesi, operazione che fu portata a termine da “Artiglio II” con riconoscimenti encomiastici, sono schematizzati degli scafandri per grandi profondità.  

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Il secondo è la serie di “Progetti per l’Altoparlante italico (Ritratto di F. Marinetti”, 6 disegni del 1935 con una testa che combina casco da aviatore, altoparlante  e fari, una trasposizione e sintesi di motivi che si muove verso l’astrazione. Alquanto astratti, oltre ai citati “Direttore d’orchestra”,“Madonna con bambino”, 1920 e “Ondina”, 1927, “Maschera”, 1929 e “Pesci”, 1935-36 , quest’ultimo realizzato anche in gesso, con una sequenza di  piccoli siluri geometrici identici..

Siamo al terzo progetto, ideologico per eccellenza perché riguarda l’ “Effigie del Duce”, 1929, vediamo  il primo  disegno della scultura “Dux” presentata a Palazzo Vecchio e donata, su indicazione di Marinetti, al Duce che scrisse su una fotografia che la raffigurava “Questo è Benito Mussolini come piace  a Benito Mussolini”, e l’artista la riportò sul disegno esposto. E’ una testa stilizzata in cui viene rimarcata la forma squadrata del volto con la mascella volitiva per esprimerne la forza virile, come in altro senso nel dipinto “Madonna di Montenero” dello stesso anno con la forma geometrica a uovo

La scultura “Dux” segnò  la sua consacrazione tra i futuristi alla XVII Biennale di Venezia, con l’evoluzione verso l’aeroscultura in opere come “Vittoria dell’aria”, 1931, e “Liberazione dalla terra”, 1934, definiti da Marinetti “vita aerea solidificata”, senza essere monumentali e neppure retorici. Si moltiplicano le sue partecipazioni alle mostre e iniziative futuriste, ne dà conto Agnese Ferrazza nell’accurata biografia dell’artista, “Da Firenze a Marina di Pietrasanta”.

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La pittura e i disegni

Siamo alle ulteriori forme  espressive di un artista poliedrico, aderisce all’aeropittura  nel 1930  e, nel 1931 partecipa a  ben 5 mostre per lo più  futuriste in Italia, e ad una all’estero, a Berlino; inoltre organizza a Firenze la “Mostra futurista . Pittura Scultura- Aeropittura”.  Ci fermiamo qui, ma l’escalation prosegue  negli anni successivi.

Di aeropittura forse si può parlare per due oli esposti, “Paesaggio marino in tempesta”, 1940, e “Tromba marina”, 1941, nel primo i nembi incombono su due isolette, nel secondo sono due barchette con le vele al vento esposte alla violenza dell’aria e dell’acqua, nel 1934 c’era stata una  tromba d’arta e nel 1937 tre trombe marine che evidentemente gli erano rimaste impresse.

Altre opere pittoriche  esposte sono anch’esse umbratili, su immagini prevalentemente ravvicinate, come le due intitolate “Giardino”, del 1915 e 1916, che in “Giardino controluce”, 1917, virano verso l’astrazione; come in  “Tramonto”, 1916 un modo diverso di vedere lo stesso orizzonte raffigurato cinque anni prima in “Paesaggio”, 1912, siamo nella fase iniziale.

Intense e cupe le ombre nei due “Notturno”, 1913-14, nel primo si intravede con molta difficoltà un pianoforte con pianista al centro di un giardino, nel secondo lo stesso ambiente è animato da una diecina di sagome sedute intorno a un tavolo tondo, quasi quello per sedute spiritiche presentato a Monza nel 1930, come abbiamo ricordato, c’è l’atmosfera mediatica..

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Un’atmosfera che ritroviamo in “I Quattro elementi”, 1929, dei volti che simboleggiano  terra e fuoco, acqua e aria, compenetrati in una composizione molto scura da lui utilizzata come biglietto augurale per l’anno nuovo, come ha fatto anche la Galleria Russo in occasione della mostra.  Altra incursione originale e inattesa, questa volta in materia geometrica, l’olio su tavola del 1942, “Teorema di Pitagora”,  con evidenziati cromaticamente i triangoli che compongono i quadrati costruiti sui cateti e l’ipotenusa, nei suoi “Diari”  c’è uno schizzo del terorema con qualche variante e alcuni appunti.

Poi abbiamo i dipinti  a olio “Mani e uovo”, 1930, e “Le mani dell’uomo”, 1934, “Pesci (Ritmi subacquei)”, 1931, e  “Composizione”, 1929, una tempera su carta che ricorda le opere  futuriste con linee di forza e una figura librata nell’aria, fino ad  “Acrobazia contro sole”, 1934, e  “Ombrelloni”, 1940,  sintesi geniali di situazioni e ambienti. L’estrema varietà dei motivi ispiratori l’arte pittorica di Thayaht è dimostrata anche dalle  figure umane, come “Ritratto di Elio”, e “Autoritratto”, entrambi del 1925, nello stesso atteggiamento del volto pensieroso con la testa appoggiata alla mano.

Molti volti e figure umane nei disegni, che si aggiungono a quelli preparatori di sculture già citati. Vediamo tre “Ritratti”, 1914, 1920 e 1925, due maschili e uno femminile, e “Fanciulla”, 1915-18, “Nudo femminile”, 1916,  e due “Autoritratti” – uno con i baffi, 1916, e l’altro con il cappello, 1930 –  “Donna che cuce”, 1919,  e “Studio di figura”, 1920-25, “Giovane che dorme”, e “Giovane disteso”, entrambi 1925, “Ermindo”,  1926, e “Fosco”, 1930.

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Colpisce la sua tendenza a disegnare giovani addormentati e distesi in piaggia, segno del suo spirito di osservazione che lo
portava a riprodurre, anche nei taccuini, ciò che vedeva in Versilia, dove le visioni balneari erano prevalenti. Tutto questo si è accentuato nel dopoguerra allorché, deluse le aspettative riposte nel regime mussoliniano nel segno del rinnovamento sociale da lui auspicato e in cui aveva creduto, si ripiegò in un visione sempre più intimistica, come del resto Mario Sironi.

I disegni dei giovani popolani ripresi in spiaggia, che abbiamo visto interessarlo anche trent’anni prima, diventano  sempre più numerosi, è esposto in mostra “Giovane sulla spiaggia”, 1950, che nella magrezza e nell’abbandono sconsolato esprime una realtà deprimente; dello stesso anno  “Autocalco”, si ritrae con fattezze forzatamente giovanili.  Cerca l’evasione nella ripresa dei temi esotici  di Gauguin, quasi l’aspirazione alla vita primordiale e innocente che vediamo in “Paesaggio tahitiano”, 1949. 

L’astronomia è un’altra passione liberatoria, nella “casa bianca” di Fiumetto aveva un grande telescopio, lo vediamo in unafotografia con Ettore Toto, il giovane che gli faceva compagnia e fu da lui adottato.L’immagine è dell’aprile 1958. Morirà nel 1959.

Ci sembra che quest’ultima citazione completi il quadro della sua poliedricità artistica senza bisogno di  lteriori precisazioni. Ma la sua personalità?  la evochiamo ancora con le parole di Antonio Maraini, che lo conosceva da vicino: “All’esteriore pittoresco ed un po’ eccentrico corrispondeva nel carattere e nelle idee una strana mescolanza d’ingenuità e d’astuzia, di senso pratico e di estetismo quasi superstizioso. Il tutto in buona fede con lampi geniali e inverosimili scarsezze”. Di certo i lampi geniali erano di gran lunga prevalenti, ci sentiamo di concludere.

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Info

Galleria Russo, via Albert  20, Roma. Aperta il lunedì dalle ore 16,30 alle 19,30, dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 19,30, domenica chiuso. Tel. 06.6789949, 06.60020692 www.galleriaarusso.com, . Catalogo  “Thayaht. Un futurista eccentrico”, a cura di Daniela Fonti, Manfredi Edizioni, gennaio 2017, pp. 218, formato 22,5 x 22,5, dal catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli in questo sito, per i futuristi alla galleria Russo, suTato 19 febbraio 2015, Dottori 2 marzo 2014, Erba 1° dicembre 2013, Marinetti 2 marzo 2013; per la mostra “Dolce vita? ” su modelli e oggettistica  dell’epoca, 1°, 14, 23 novembre 2015.

Foto

Le immagini sono state tratte dal Calogo, si ringrazia l’Editore con i titolari dei diritti per l’opportunità concessa.  In apertura, “Figura” 1919; seguono 3 “Motivi  decorativi” 1915-21;  poi,“Disegno per potiche” 1919, e “Modello per costume da bagno” 1919; quindi, “Manekinos” 1922, e  “Modello di bituta” 1919-20; inoltre, 2 “Bozzetti per costume teatrale” 1918; ancora, “Il flautista” 1929, e “Tuffo” 1932; infine, “Il tennista” 1935, e “Composizione” 1929; conclude “Ombrelloni” 1938-40; in chiusura, “Teorema di Pitagora” 1942.

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