di Romano Maria Levante
Alle Scuderie del Quirinale, dal 16 dicembre 2016 al 12 marzo 2017, la mostra “Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova” espone un gran numero di capolavori che erano stati prelevati dall’esercito di Napoleone per l’istituendo Museo del Louvre nella vittoriosa campagna d’Italia, e furono riportati nel nostro paese nel 1816 dopo la sconfitta dell’imperatore. Sono dipinti e sculture dei periodi d’oro, Rinascimento e antichità, e dei maggiori artisti, di forte presa spettacolare anche per le loro notevoli dimensioni, come le pale d’altare. Organizzata da ALES, Arte, lavoro e Servizi s.p.A., la società “in house” del MiBACT, presidente e .A.D. Mario De Simoni, con il supporto dell’Azienda Speciale Palaexpo in fase di transizione gestionale, a cura di Valter Curzi, Caterina Brook e Claudio Parise Presicce curatori anche del Catalogo Skira.
Un ritorno in grande stile quello delle Scuderie del Quirinale che la Presidenza della Repubblica ha affidato dal giugno 2016 alla gestione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo tramite ALES, la società “in house” del Ministero di cui, dopo la fusione per incorporazione con “Arcus” nel marzo 2016, è stato nominato Presidente e Amministratore Delegato Mario De Simoni, già direttore generale dell’Azienda Speciale Palaexpo. Un rinnovamento per il rilancio con la garanzia di un trapasso senza scosse, quindi con una certa continuità, dato che De Simone ha gestito come direttore generale dell’Azienda Speciale Palaexpo le Scuderie con il Palazzo delle Esposizioni, la Casa del Cinema e il Museo del Jazz e in tale funzione ha organizzato dal 2008 oltre 4000 eventi. Nelle Scuderie, in particolare, tra le grandi mostre monografiche realizzate dal 2008 al 2016, ricordiamo quelle su Giovanni Bellini e Frida Kahlo, Tiziano e Lorenzo Lotto, Caravaggio e Tintoretto, Lippi con Botticelli e Correggio con Parmiginino; e tra le grandi retrospettive quelle su Vermeer, il secolo d’oro dell’arte olandese e Memling, Rinascimento fiammingo, il Futurismo e i Pittori del Risorgimento, fino alla Scultura buddista giapponese.
Perchè ritorno in grande stile? Per l’importanza dell’evento, che prende lo spunto dal secondo centenario del recupero dello straordinario patrimonio artistico portato in Francia dalle truppe napoleoniche, per la qualità delle opere esposte, pitture e sculture di eccezionale valore artistico, e per il magistrale allestimento; un percorso spettacolare e insieme istruttivo che consente di rivivere passo per passo i fatti storici conosciuti nelle grandi linee ma non nei particolari illuminanti.
Arte e storia, come spesso accade, marciano insieme, e in questo caso pongono questioni intriganti. E’ scontata la condanna drastica e senza appello delle razzie di opere d’arte dei nazisti tramite la famigerata Divisione Goering, anche perché legate a un regime che si è macchiato di crimini orrendi; non è altrettanto severo il giudizio sull’appropriazione da parte delle truppe francesi dei maggiori capolavori, forse perché i francesi erano alfieri di libertà ed erano all’avanguardia nella concezione del “museo universale” dove collocare tali opere, e sono stati maestri per i nascenti musei italiani; tanto che la mostra si intitola al “sogno di Napoleone” e non alla spoliazione rientrata per la sua sconfitta e la restituzione imposta dal Congresso di Vienna.
L’organizzazione della società in-house del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, cui la Presidenza della Repubblica ha voluto fossero affidate le Scuderie, rappresenta una sorta di ritorno alle istituzioni di una sede espositiva così prestigiosa, che viene inaugurato con una mostra celebrativa del ritorno alle nostre istituzioni nazionali dei tesori artistici asportati dai francesi tra il 1896 e il 1914. Per carità, nessuna assimilazione tra il ritorno da una spoliazione e l’avvicendamento di società specializzate nel settore espositivo, ma la presenza delle istituzioni nei due casi porta a questo parallelo.
L’ambizioso disegno dei francesi alla base delle requisizioni
Il sottotitolo “dal sogno di Napoleone a Canova” è intrigante, perché da un lato nobilita in sogno quella che è stata una appropriazione, per non dire una rapina, dall’altro fa finire il “sogno” con Canova che fu protagonista nella fase del recupero, in particolare dei beni pontifici. E’ stato possibile nobilitare la spoliazione delle maggiori opere d’arte all’insegna del “fine che giustifica i mezzi”, dato che l’obiettivo era la creazione di un “museo universale” , il Louvre, dove le opere sarebbero state valorizzate inserendole in una cornice altamente prestigiosa di respiro europeo.
D’altra parte, non era ancora invalso il concetto dell’arte come patrimonio pubblico di valore incommensurabile per la comunità, e solo l’esaltazione dovuta al recupero riuscì a far emergere questa nuova coscienza popolare, che portò ad una radicale revisione delle concezioni museali.
“Artisti, accademici, eruditi – ricorda uno dei curatori, Valter Curzi – si unirono nel progetto di valorizzazione della storia delle scuole pittoriche locali, ripercorsa, per la prima volta, a partire dalle testimonianze più antiche, per il decoro della patria o il vantaggio della nazione”; mentre in precedenza il territorio, “perduta in molti casi la propria identità e tradizione storica, aveva abbandonato per secoli nel totale degrado affreschi e tavole dei cosiddetti primitivi, opere ridotte a deboli testimonianze di un passato difficile da valorizzare e perfino da decifrare”.
E il museo universale? Di certo la nuova sensibilizzazione a gestire in modo autonomo l’eredità culturale nel segno dell’identità e del patrimonio nazionale, confliggeva con l’idea di una coscienza estetica identificata nel museo e valida per l’intera Europa, tanto più che l’estremo tentativo dei francesi di ostacolare il ritorno delle opere asportate in Italia aveva proprio questa motivazione.
Il direttore del Louvre Vivant Denon, dopo aver accompagnato i sovrani dei piccoli stati italiani che si erano presentati per reclamare le opere prese dai loro territori in visita al museo nell’estate del 2015, pensava di averli convinti della sua impostazione tanto che la stampa alla fine di agosto informava fiduciosa i parigini della proposta di “dichiarare le collezioni di dipinti e statue attualmente riunite nella galleria del Louvre, Museo europeo. Le collezioni saranno considerate come una proprietà comune delle nazioni europee, affidate alla custodia dei parigini”.
Troppo strumentale e tardiva per essere sincera, anche se anticipava i tempi, perché è stata in fondo la via seguita dai grandi musei, rappresentativi di una storia universale come lo è l’arte senza confini. D’altra parte il Louvre, aperto nel 1793 con il nome di Museo nazionale, e non universale, aveva bisogno di rivolgersi al pubblico europeo per riaffermare la grandezza della Francia anche nelle arti, sull’esempio di Roma che anche per il suo predominio artistico aveva assunto un ruolo dominante nel ‘700. Ma ci si rendeva conto che le collezioni venute dalla Corona e dagli aristocratici “emigrates” non erano all’altezza degli ambiziosi propositi, e allora il “sogno di Napoleone”, non potendo realizzarsi con le risorse francesi poteva essere alimentato soltanto con le grandi risorse artistiche del paese del Rinascimento, che le conquiste napoleniche consentivano di prelevare.
L’ambizioso progetto museale, che con la spoliazione di Roma a favore di Parigi avrebbe potuto spostare nella capitale francese l’indiscusso prestigio culturale della città eterna, era funzionale anche rispetto all’ambizione di Napoleone di diventare l’erede delle antiche civiltà, nel segno di Augusto e di Alessandro Magno. Va considerato, comunque, che il papa, non potendo opporsi alla spoliazione, cercò comunque di limitare i danni operando in tre direzioni: fece fare i calchi delle principali sculture, effettuò importanti acquisti di opere e radunò le sculture di Antonio Canova. Queste nuove opere furono inserite al posto i quelle asportate colmando almeno i principali vuoti.
Il recupero contrastato dai francesi e il ritorno delle opere
Per questo nella campagna d’Italia del 1796 di Napoleone, al seguito dell’esercito occupante vi era una Commissione di artisti e scienziati per selezionare le opere destinate al Louvre, in particolare i grandi maestri dell’antichità e del Rinascimento, pietre miliari della civiltà artistica europea, considerati veri modelli per la formazione degli artisti e del buon gusto, criterio cui si ispirarono le scelte della Commissione: fine nobile, mezzi spregevoli.
Una parvenza di legittimazione a quella che, al di là delle coperture diplomatiche fu un’appropriazione di rapina da parte di chi la compì e una spoliazione da parte di chi la subì, viene trovata nel trattato di pace di Tolentino del 29 febbraio 1797, dopo l’armistizio di Bologna del 23 giugno 1796, laddove entrambi agli articoli rispettivamente 8 e 13 imponevano alla Stato Pontificio di consegnare alla Francia 100 opere d’arte, precisate in 17 dipinti e 83 sculture, oltre 500 manoscritti.
La motivazione era a metà tra le riparazioni e il bottino di guerra, infatti la loro consegna avrebbe evitato l’occupazione di Roma, e viene un brivido al ricordo dell’analogo ricatto dei nazisti agli ebrei romani, un secolo e mezzo dopo, con la consegna di tonnellate d’oro per evitare la deportazione, che poi invece avvenne tragicamente.
Claudio Parisi Presicce, altro prestigioso curatore della mostra, ricorda che a Valadier fu dato l’incarico di progettare i carri di trasporto e provvedere all’imballaggio delle opere, e che “due incisioni del 1798 mostrano il convoglio che passa sotto Monte Mario al momento della partenza e il corteo trionfale che si svolse nel campo di Marte all’arrivo a Parigi”. Avremo poi, nel 1816, .la scena analoga ma di segno opposto, la partecipazione popolare al ritorno nei territori d’origine.
Non solo questo, sempre Parisi Presicce osserva: “L’imperialismo francese, che aveva trasformato le collezioni pontificie in bottino di guerra e determinato il saccheggio delle opere d’arte e la prigionia del papa, accelerò la fioritura di sentimenti patriottici anche tra coloro che osteggiavano l’unificazione”. E sulla spinta di questa sensibilizzazione popolare il grande scultore Antonio Canova nel 1806 impegnò 9 apprendisti per le erme marmoree degli italiani illustri destinate al Pantheon; ma con il ritorno alla normalità i busti commemorativi furono collocati altrove, sono restati a testimonianza della temperie artistica e morale del tempo, anche se il curatore vi vede l’interesse dello scultore a collegare la sua figura a quella dei patrioti.
Siamo al termine del dominio di Napoleone, con la sua sconfitta il Congresso di Vienna sancì il diritto al recupero delle opere d’arte asportate, per lo Stato pontificio proprio Canova fu nominato Commissario straordinario dal papa Pio VII. Svolse la sua missione a Parigi dall’agosto all’autunno del 1815, andò a Londra per ringraziare Giorgio IV, il sovrano il cui forte appoggio aveva favorito il successo nell’operazione di recupero, e il 29 dicembre dello stesso anno assisteva a Bologna all’apertura delle casse con i dipinti della scuola emiliana, mentre le opere d’arte restituite a Roma sarebbero giunte nella città eterna una settimana dopo, il 4 gennaio 1916. L’attesa era tale che tanti andarono incontro al convoglio per molte miglia prima del suo arrivo. Il 4 gennaio del 1916; nel mese di settembre altre 52 casse giunsero a Civitavecchia sulla nave dal nome fatidico di “Abbondanza”, partita da Aversa alcuni mesi prima, una vera “suspence”.
A missione compiuta il papa chiese alle autorità cittadine di inserire il nome di Canova nel libro d’oro del Campidoglio, con una rendita annua di 3000 scudi, e gli conferì la più alta onorificenza pontificia, l’ordine di Cristo. L’operazione non era stata semplice per le resistenze dei francesi, che si appellavano a presunte cessioni diverse dalle requisizioni e rendevano difficile l’identificazione delle opere, tanto che gli alleati convinsero il papa a donare 45 dipinti e 20 sculture al re francese Luigi XVIII rinunciando alla restituzione, con la motivazione formale della sua cristianità. Il sostegno degli alleati che esigevano anch’essi al restituzione delle opere prese in Italia, fu molto importante, per questo, Canova andò in Inghilterra per ringraziarli.
Di fatto, prosegue la precisa ricostruzione di Parise Presicce, “dei cinquecentosei dipinti asportati, solo duecentoquarantanove furono riportati a Roma. Nove invece non furono ritrovati e altri centoquarantotto rimasero in Francia. Nonostante l’annuncio nel giornale romano ‘Cracas’ pubblicato due giorni dopo l’arrivo del convoglio a Roma, il cardinale Consalvi preferì evitare qualsiasi celebrazione solenne dell’avvenimento, temendo possibili tumulti popolari”:
Non solo, ma “a causa dei costi ingenti che i proprietari avrebbero dovuto sostenere per il trasporto fino a Roma, delle centoventinove sculture della collezione Albani ben poche rientrarono a Villa Albani e la maggior parte sono messe in vendita a Parigi stessa. Ventinove le acquista il re Luigi XVIII”. Ilaria Sgarbozza fornisce questa contabilità: “Dei cento tesori requisiti dai commissari direttoriali nel 1797, ne tornano a Roma settantasette, mentre rientrano soltanto quarantacinque dei centoventiquattro dipinti asportati dalle altre città dello Stato pontificio nel biennio 1796-98. Trentanove pitture umbre, marchigiane, romagnole ed emiliane restano in Francia, e quaranta di esse risultano disperse prima dell’approdo al Louvre. Si tratta per lo più di dipinti cinque-seicenteschi, ascritti ad artisti di solida fortuna storiografica e abbondante produzione”.
Canova si concentrò sul recupero dei dipinti del Louvre, rinunciando a quelli nei musei provinciali, nei palazzi reali e nelle chiese. La spoliazione non aveva riguardato solo Roma, ma anche Bologna, Cento e Forlì, Perugia e Foligno, Todi e Città di Castello, Pesaro, Fano e Loreto, soprattutto per i dipinti; per le sculture Venezia e Verona,, Modena e Parma, Firenze e Torino. la restituzione riguardò anche loro, e al ritorno delle opere emiliane ci fu una viva partecipazione popolare.
I criteri di selezione, dai maestri del Rinascimento ai “primitivi” del ‘300 e ‘400″
Le opere asportate, selezionate dall’apposita Commissione al seguito di Napoleone in base ai requisiti di cui si è detto, erano soprattutto opere del Rinascimento che, a seguito dei criteri adottati, celebravano il ritorno alla natura, e la sublimazione nell’ideale, fino al trionfo del colore, in modo da poter esercitare un’efficace educazione artistca.
Per la natura vi era l’arte antica, cui si ispiravano i maestri del Rinascimento, dopo le presunte deviazioni della seconda metà del ‘500 che avrebbero allontanato dalla visione del bello: l’“Apollo del Belvedere” , ad esempio, era considerato il canone del bello, e il “Laocoonte” pur esso un simbolo, anche se dei tormenti, nelle sue contorsioni angosciose tra le spire del serpente.
Il passaggio dalla visione naturalistica a quella idealizzata raggiunge livelli di eccellenza con Guido Reni e i Carracci, il Guercino e Domenichino – protagonisti della scuola bolognese nella prima parte del ‘600 che avevano conosciuto anche l’arte antica a Roma – le cui opere furono requisite intorno al 1796. Il messaggio educativo è la purezza morale resa anche dall’eleganza delle forme di ispirazione classica, l’esemplare di spicco è la “Fortuna” di Guido Reni, presa come “testimonial” della mostra, sembra volare nel cielo azzurro con qualche nuvola come una Venere antica, accanto a lei un putto che le tira i capelli facendole girare il volto all’indietro in un gesto vezzoso.
Dopo la scuola bolognese quella veneta, Tiziano, Veronese e Tintoretto, le cui opere furono portate a Parigi nel 1798, insieme alle opere d’arte dello Stato pontificio e alla quadriga prelevata dalla Basilica veneziana insieme al suo simbolo, il Leone di San Marco. I grandi maestri del colore ebbero molto successo sui visitatori del Louvre, non soltanto emozionando il pubblico ma anche influenzando profondamente la pittura francese.
In quei primi anni non si andò oltre da parte dei francesi, ed era già tanto, troppo; non per limitarsi nell’appropriazione, bensì per la precisa scelta di prendere soltanto i sommi maestri, in particolare Raffaello, di cui fu asportata l’intera opera che era possibile spostare, affreschi ovviamente esclusi, oltre ai dipinti del Perugino solo perché era stato il maestro dell’urbinate.
Con la nomina, nel 1802, del nuovo direttore del Louvre, Vivant, figura di grande spessore culturale vissuto a Firenze, Venezia e Napoli, il programma cambiò: lui stesso nel 1811 venne in Italia per requisire anche i cosiddetti “Primitivi”, che avevano preceduto Raffaello, i maestri del ‘300 e ‘400 con i quali poter ricostruire il percorso artistico che aveva portato al Rinascimento. In effetti, erano artisti fino ad allora trascurati, le cui opere furono prelevate agevolmente essendo state accumulate nei depositi dopo la soppressione da parte di Napoleone degli enti religiosi. Nel 1814, completato il trasferimento e la sistemazione, al Louvre fu fatta una grande esposizione. Poi la restituzione, di cui abbiamo già ricordato le circostanze.
Parleremo prossimamente di ciò che questi eventi produssero nei singoli territori, creando una visione più ampia, e poi racconteremo la visita alla mostra che testimonia momenti divenuti fondamentali per il formarsi di una coscienza nazionale.
Info
Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio 16, Roma. Aperto tutti i giorni, da domenica a giovedì ore 10,00-20,00, venerdì e sabato chiusura protratta alle 22,30. La biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 12,00, ridotto 9,50. Tel. 06.39967500; www.scuderiequirinale.it. Catalogo “Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova”, a cura di Valter Curzi, Carolina Brook, Claudio Parisi Presicce, Skira, dicembre 2016, pp. 312, formato 23,5 x 28. dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il secondo e il terzo articolo sulla mostra usciranno in questo sito il 21 febbraio e 5 marzo p. v., con altre 11 immagini ciascuno. Sulle mostre alle Scuderie richiamate e gli artisti citati cfr. i nostri articoli: in questo sito, nel 2016, per la Scultura buddista giapponese 24 agosto, Caravaggio 27 maggio, Correggio e Parmigianino 3 maggio; nel 2014, per Memling 8 dicembre, Kahlo 24 marzo, 12, 16 aprile 2014; nel 2013, per Lippi e Botticelli 24 giugno, Caravaggio 6 giugno, Tiziano 10, 15 maggio, Tintoretto, 25, 28 febbraio, 5 marzo, i Carracci e Reni 5, 7, 9 febbraio; nel 2012, per Vermeer 14, 20, 27 novembre; in cultura.inabruzzo.it.,. nel 2011, per Lorenzo Lotto 2, 12 giugno, I pittori del Risorgimento 2 articoli 8 gennaio; nel 2010, I pittori del Risorgimento 29 dicembre, Caravaggio 8, 11 giugno, 21, 22, 23 gennaio; nel 2009, per il Futurismo 30 aprile e 1° settembre, Giovanni Bellini 4 febbraio. .
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante in parte nelle Scuderie del Quirinale alla presentazione della mostra, in parte dal Catalogo, si ringrazia Ales, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Autore sconosciuto, “Laocoonte (calco)” XIX secolo (?); seguono, Guido Reni, “La strage degli innocenti”, 1611, e Antonio Canova, “Marte e Venere”, 1816; poi, Thomas Lawrence,”Ritratto di Antonio Canova”, 1815-19, e Vincenzo Camuccini, “Ritratto di Pio VII”, 1814-15; quindi, Thomas Lawrence, “Ritratto di Giorgio IV d’Inghilterra”, 1816, e Perugino (Piero Vannucci), “L’arcangelo Gabriele o angelo annunciante (pala di Sant’Agostino”, post 1508; inoltre, Perugino (Piero Vannucci), “San Giovanni Battista tra i santi Francesco Girolamo, Sebastiano e Antonio da Padova”, 1510, e Correggio (Antonio Allegri), “Compianto sul Cristo morto”, 1523-24; infine, Federico Barocci (copia dal Correggio), “Madonna con il Bambino e i santi Girolamo, Maria Maddalena, Giovannino e un angelo (il Giorno o Madonna di san Girolamo), tra il ‘500 e il ‘600, e, in chiusura, Laboratorio restauri e calchi Musei Vaticani, “Apollo del Belvedere”, ricostruzione in gesso 1982.