di Romano Maria Levante
“Manifesto” dal 26 febbraio al 22 aprile, e “Il Corpo della voce” dal 9 aprile al 30 giugno 2019 protagonisti Julian Rosefeldt nella prima, Carmelo Bene nella seconda, presentano due approcci di rottura e in un certo modo rivoluzionari. “Manifesto”, definito “call of action” dall’autore chiama all’azione contro le regole del mondo attuale, motivo di base i manifesti ideologici del ‘900, forma espressiva 13 brevi filmati interpretati dal premio Oscar Cate Blanchett,; “Il corpo della voce”, “esplora la voce tra scienza, teatro e canto”, motivo di base la rottura del legame indissolubile tra il significato della parola e la sua dimensione sonora”, forma espressiva le performances di tre grandi protagonist, oltre a Carmelo Bene, Cathy Barberian e Demetrio Stratos. Collaterali per “Manifesto” “incontro con Julian Rosefeldt e 4 pomeriggi con suoi video in marzo; per “Il corpo della voce” visite, incontri, laboratori, e una Rassegna cinematografica in aprile-maggio di 22 titoli.
“Manifesto” di Julian Rosefeldt
Una breve presentazione dell’autore, nato nel 1965 a Monaco, dove è docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle Arti, ha studiato architettura nella città natale e a Barcellona, vive a Berlino dal 2011; la mostra nasce dalla sua attuale presenza all’Accademia Tedesca di Roma a Villa Massimo. Artista di matrice cinematografica vicino alla cultura pop, con formazione storica, è noto per le sue installazioni visive anche in più schermi, come nella mostra attuale, di tipo teatrale con impronta surreale perché utilizza in ambienti di normale quotidianità personaggi che li rendono bizzarri. Le sue opere si trovano in collezioni private e in alcuni dei più grandi musei, dal MoMA, il Museum of Modern Art di New York alla Burger Collection di Hong Kong, dallo Sprengel Museum di Hannover alla Nationalgalerie di Berlino. Attualmente è borsista.
Una breve presentazione dell’autore, nato nel 1965 a Monaco, dove è docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle Arti, ha studiato architettura nella città natale e a Barcellona, vive a Berlino dal 2011; la mostra nasce dalla sua attuale presenza all’Accademia Tedesca di Roma a Villa Massimo. Artista di matrice cinematografica vicino alla cultura pop, con formazione storica, è noto per le sue installazioni visive anche in più schermi, come nella mostra attuale, di tipo teatrale con impronta surreale perché utilizza in ambienti di normale quotidianità personaggi che li rendono bizzarri. Le sue opere si trovano in collezioni private e in alcuni dei più grandi musei, dal MoMA, il Museum of Modern Art di New York alla Burger Collection di Hong Kong, dallo Sprengel Museum di Hannover alla Nationalgalerie di Berlino. Attualmente è borsista.
E’ senz’altro suggestiva la messa in scena dei 13 schermi cinematografici nella “Rotonda” del Palazzo, in una oscurità rotta dai bagliori delle immagini che rimbalzano da uno schermo all’altro, ben distanziati ma sufficientemente vicini per la sintonia corale che esplode in certi momenti.
Si passa dall’uno all’altro trovando sempre Cate Blanchett protagonista di 12 brevi storie – ispirate ciascuna a un gruppo di “manifesti” ideologici – anche se non riconoscibile nelle sue camaleontiche incarnazioni in tanti personaggi diversi, quante sono le denunce-appelli che l’autore rivolge al mondo nelle fiction di 10 minuti e 30 secondi con diverse ambientazioni, significati e intenti: dall’aula scolastica al cimitero, dalla scuola di danza all’inceneritore di rifiuti, dalla ricerca scientifica al brockeraggio, dal management imprenditoriale all’”homeless”, dalla televisione alla esibizione adolescenziale. Tutti personaggi femminili tranne uno, in contrasto con l’origine dei manifesti ispiratori, per lo più di marca maschile, molto diversi al punto che non ci si accorge neppure che sono interpretati dalla stessa bravissima attrice. australiana.
Per la piena comprensione si sente la mancanza dei sottotitoli al parlato in un inglese che rende i filmati poco intellegibili ai non anglofoni, tanto più che la compresenza di altri video non favorisce la concentrazione, Ma ciò ha acuito l’interesse sui “manifesti” d’epoca che sono la base ideologica della creazione artistica, una sintesi dei quali è stata opportunamente fornita dall’organizzazione.
L’interesse, e la sfida a cui è chiamato il visitatore è di collegare la trama del filmato, scarna ed essenziale, con i rispettivi manifesti ispiratori, ma non trova delle risposte bensì nascono interrogativi, in netto contrasto con la forza, spesso la violenza delle enunciazioni dei manifesti, i cui intenti sono sempre rivoluzionari nell’arte con le avanguardie, e spesso anche nella società.
Non è automatico collegare immagini della quotidianità – anche domestiche e non trasgressive – con gli ardenti proclami sulla necessità di superare il passato, per usare un eufemismo, espressi in un linguaggio aggressivo che rivelava la giovane età degli autori e l’impazienza di rivoluzionare il mondo per ricostruirlo su nuove basi.
Non è automatico collegare immagini della quotidianità – anche domestiche e non trasgressive – con gli ardenti proclami sulla necessità di superare il passato, per usare un eufemismo, espressi in un linguaggio aggressivo che rivelava la giovane età degli autori e l’impazienza di rivoluzionare il mondo per ricostruirlo su nuove basi.
Si tratta di manifesti della prima parte del ‘900, quindi “datati” e precedenti le vere rivoluzioni del progresso tecnologico che ha fatto passi da gigante cambiando radicalmente la vita e sconvolgendo con la telematica e Internet il mondo delle comunicazioni su scala globale. Ma il collegamento è più nella citazione che nella rappresentazione, per cui si evitano queste possibili incoerenze. Al riguardo ricordiamo intanto i manifesti novecenteschi con le principali scene dagli stessi ispirate.
Il manifesto del Futurismo evocato dall’agente di cambio,che declama nella grande sala dove si svolgono le contrattazioni borsistiche, e il manifesto dei Stuazionisti nelle grida del senzatetto sperduto in uno stabilimento in rovina; il manifesto dell’Architettura negli scorci avveniristici di un inceneritore di rifiuti dove si muove un’operaia nella sua tuta argentata, e il manifesto del Vorticesmo con l’Espressionismo astratto e il Cavaliere azzurro nell’intervento a un party di una manager, amministratore delegato; il manifesto dello Stridentismo e Creazionismo nelle farneticazioni di una punk fuori di sé, e il manifesto dei Suprematisti con i Costruttivisti nell’azione di una scienziata in un laboratorio di alta tecnologia; il manifesto dl Dadaismo nell’orazione funebre sulla morte e sul nulla; il manifesto dei Surrealisti con gli Spazialisti nella confezione del pupazzo con la propria immagine di una burattinaia; il manifesto della Pop Art nella recita sommessa come una preghiera di una madre intorno al desco familiare, degli intenti trasgressivi di una artista pop; il manifesto degli Happening, con Flexus e Merz nelle parole rivolte in modo energico da una severa coreografa alle ballerine nelle loro tute argentate; infine il manifesto del Nuovo cinema negli insegnamenti ai suoi scolari di una maestra elementare. Prologo il manifesto dei Comunisti, di Marx ed Engels, una miccia accesa.
Ed ora spigoliamo fior da fiore nei Manifesti del ‘900 con i loro messaggi rivoluzionari che l’artista ha voluto evocare nei 13 filmati per la “chiamata in azione” alla ribellione creatrice di nuova arte.
Il manifesto del Futurismo (con il Broker), di Filippo Tommaso Marinetti, seguito dal Manifesto dei pittori futuristi di Boccioni e Carrà, Russolo, Balla e Severini, fino all’Antitradizione futurista di Apollinaire: “Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno. Noi vogliamo glorificare la guerra e le belle idee per cui si muore. Esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima…. Noi dobbiamo ispirarci ai miracoli della vita contemporanea, alla ferera rete di velocità che avvolge la terra lanciata a corsa, essa pure, nel circuito della sua orbita… Distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico. Noi vogliamo liberare l’Italia dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli. Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscire fatalmente, esausti, diminuiti e calpesti?”.
Il manifesta dei Situazionisti (con il senzacasa),di Guy Debord,con Lucio Fontana e il suo “Manifesto bianco”, “Noi continuiamo l’evoluzione dell’arte. Le idee non si rifiutano, si trovano in germe nella società, poi i pensatori e gli artisti le esprimono… Il vecchio mondo sta morendo, un altro sta nascendo… La crisi generale del capitalismo si riflette nella sua cultura… L’arte moderna, soffrendo di una tendenza permanente verso tutto ciò che è costruttivo e di un’ossessione di obiettività , rimane isolata e impotente in una società che sembra incline alla sua stessa distruzione. L’arte occidentale, un tempo celebrazione di imperatori e di papi, sta diventando strumento di glorificazione di ideali borghesi… Glorifichiamo la rivoluzione a gran voce come unica motore della vita. Glorifichiamo le vibrazioni degli inventori… Facciamo appello a tutti gli intellettuali onesti, a tutti gli scrittori ed artisti, perché abbandonino l’illusione dell’arte e che l’artista si possa isolare dai conflitti storici”.
Nel manifesto dell’Architettura (con la lavoratrice inceneritore rifiuti), dall’Architettura futurista di Antonio Sant’Elia, l’Architettura deve bruciare di Coop Himmelb(I)au, Una Architettura non semplice di Venturi fino a Bruno Tau: “”Oggi più che mai crediamo nella nostra volontà, che rappresenta il nostro unico valore nella vita: il continuo cambiamento. Lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista, Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari, ma dei grandi alberghi, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari.. Buttiamo all’aria monumenti, marciapiedi, porticati, gradinate, sprofondiamo le strade e le piazze, innalziamo il livello della città. Noi dobbiamo inventarla e ricostruirla simile a un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e le nostre case devono essere simili a macchine gigantesche… L’architettura se fredda che sia fredda come un blocco di ghiaccio. Se calda sia calda come un’ala in fiamme. L’architettura deve bruciare”.
Passando al manifesto del Vorticismo, ’Espressionismo astratto e il Cavaliere azzurro (con la manager A.D.)di Lewis, Newmann e Kandinskij, leggiamo: “Si apre una grande stagione: il ‘risveglio’ spirituale, la tendenza a recuperare l’’equilibrio perduto’, la inevitabile necessità di seminagioni spirituali, lo schiudersi delle prime gemme.. Siamo alla soglia di una dell più grandi epoche che l’umanità abbia mai vissuto, l’epoca della grande spiritualità. L’arte, la letteratura, e perfino al scienza ‘positiva’ rivelano gradi diversi di conversione alla nuova era; ma vi soggiacciono tutte… Ci stiamo liberando delle catene della memoria, delle associazioni automatiche, della nostalgia, della leggenda, del mito. Invece di costruire cattedrali su Cristo, sull’uomo o sulla ‘vita’, le stiamo traendo da noi stessi, dai nostri sentimenti… Il nuovo vortice si immerge nel cuore del Presente… Con il nostro vortice il Presente è l’unica cosa attiva. Il Passato e il Futuro sono le uniche cose fornite dalla Natura.
Il manifesto dello Stridentismo e Creazionismo (con la ragazza punk tatuata), di Maples Arce con Huidobro, Gabo e Pevsner, lancia questo messaggio: “L’uomo non è un meccanismo a orologeria sistematicamente bilanciato. Le idee spesso deragliano. Non sono sempre consequenziali, una dopo l’altra, ma simultanee e intermittenti. La logica è un errore, e il diritto alla completezza uno scherzo di cattivo gusto. Tutto il mondo viene diretto da una banda di dilettanti… Non cerchiamo la verità nella realtà delle apparenze, ma nella realtà del pensiero. Dobbiamo creare. L’uomo ha smesso di imitare. Inventa , aggiunge qualcosa ai fatti del mondo, nati in seno alla Natura, nuovi fatti nati nella sua testa : una poesia, un quadro, una statua un piroscafo, un’automobile, un aeroplano. Dobbiamo creare. E’ questo il sego del nostro tempo… Basta con la retrospezione! Basta col Futurismo! Ognuno, silenzioso, a bocca aperta, miracolosamente illuminato dalla vertiginosa luce del presente: unico ed elettronicamente sensibilizzato all’IO ascendente”.
Si prosegue con il manifesto del Suprematismo e Costruttivismo (con la scienziata),alfieri Malevic e Rodchenko con la sua “pittura non-oggettiva”con Olga Rozanova: “La vita dev’essere liberata dal fracasso del passato, dall’eclettismo parassitario, per essere riportata alla sua normale evoluzione. L’arte non deve andare verso al sua riduzione e la sua semplificazione, ma verso la complessità. La Venere di Milo è un modello palese di decadenza. Non è una donna reale ma una parodia. Il David di Michelangelo, quale mostruosità… I maestri del Rinascimento hanno conseguito grandi risultati nell’anatomia… Qul che è vivo si trasformava in uno stato di immobilità, di morte… Il pittore è votato ad essere un creatore libero, non un libero predatore. Solo nella creazione assoluta acquisirà il proprio diritto. creare vuol dire vivere, produrre eternamente cose sempre nuove. deve verificarsi un miracolo nella creazione artistica!”.
Ed ora il manifesto del Dadaismo (con l’oratrice funebre), capofila Tristan Tzara, con Picabia e Ribemont-Dessaignes, Eluard e Aragon: “Si muore da eroi e da idioti, che è proprio la stessa cosa. La sola parola che non sia effimera è la parola morte. Amate vivere, probabilmente. Ma avete cattive abitudini, amate troppo quello che vi hanno insegnato ad amare… Vediamo tutto, non ci piace niente. Siamo indifferenti….Io sono contro tutti i sistemi, l’unico sistema accettabile è quello di non seguirne…. Dada non è follia né saggezza né ironia. Dada non significa nulla… E’ il nulla, come le vostre speranze: nulla. Come il vostro paradiso: nulla… Basta con i pittori e letterati, musicisti e scultori, religiosi e repubblicani, monarchici e imperialisti, anarchici e socialisti, bolscevichi e politici, proletari e democratici, borghesi e aristocratici, polizie, eserciti, patrie, basta con tutte queste idiozie, niente più, niente più, niente, NIENTE; NIENTE, NIENTE… Abbiamo bisogno di opere forti, diritte, precise e incomprese una volta per tutte. La logica è una complicazione. La logica è sempre falsa. Sposata alla logica, l’arte vivrebbe un incesto, inghiottendosi, ingoiandosi la coda, sempre del suo corpo si tratta, fornicando con se stessa”.
ligioni: nulla. Abbiamo bisogno di opere forti, diritte, precise e incomprese una volta per tutte. Prima di spegnere così in voi ogni desiderio di orgasmi, di filosofia, di pepe e di cetrioli metafisici, matematici e poetici – Prima di tutto ciò – Ci tufferemo in un bel bagno antisettico – E vi avvertiamo – Siamo noi gli assassini – Di tutti i vostri piccoli neonati”.
Segue il manifesto del Surrealismo e Spazialismo (con la burattinaia), Capofila André Breton, con due manifesti e Lucio Fontana, del Manifesto bianco: “Viviamo ancora sotto il regno della logica. Il razionalismo assoluto che rimane di moda ci permette di considerare soltanto fatti strettamente connessi alal nostra esperienza. Con il pretesto del progresso e della civilizzazione, si è arrivati a bandire dallo spirito ogni possibile ricerca della verità che non sia conforme all’uso… Vorrei dormire er potermi abbandonare ai sognatori; per far cessare il ritmo cosciente del mio pensiero. Non può essere anche il sogno utilizzato per risolvere i problemi fondamentali della vita? E nel sogno sono presenti questi problemi?… la ragione non crea. Nella creazione delle forme la sua funzione è subordinata a quella del subcosciente. Il subcosciente, magnifico ricettacolo dove si collocano tutte le indagini che l’intelligenza percepisce, ospita le nozioni che informano la natura. Il subcosciente modella l’individuo, lo integra e lo trasforma”.
Come manifesta della Pop Art (con la madre tradizionalista), l’orazione di Claes Oldenburg: “Sono per un’arte che cresce inconsapevole di essere arte. Sono per un’arte che s’ingarbuglia con le schifezze di tutti i giorni & riesce comunque a emergere. Sono per un’arte che imita l’umano, che è comica, se necessario, o violenta, o qualsiasi cosa sia necessario Sono per tutta l’arte che prende la sua forma dalla vita, che si contorce e si estende e accumula e sputa e sgocciola, ed è pesante e volgare e brusca e dolce e stupida come la vita stessa… Sono per l’arte che zoppica, e rotola, e corre e salta. Sono per l’arte che si avvita e ruggisce come un lottatore…. Sono per l’arte che si srotola come una mappa, che si può baciare come un amato cagnolino. Che si espande e scricchiola come una fisarmonica, su cui puoi rovesciare la tua cena come su una vecchia tovaglia… Sono per l’arte che cade, che schizza, che si agita, salta che va e viene…”.
Per il manifesto dell’Happening, Fluxus e Merz (con la coreografa), tanti protagonisti, da Rainer a Williams, e Corner; Cage e Higgings, fino a Vautier, Maciunas per Fluxus, Schwitters per Merz: “La vita è un’opera d’arte e l’opera d’arte è vita. Più sappiamo, meno capiamo, e meglio è. Io accolgo tutto quello che verrà… Purgare il mondo dalla cultura intellettuale, professionale e commercializzata. Purgare il mondo dall’arte morta, dall’imitazione, dall’arte artificiale, dall’arte astratta, dall’arte illusionistica, dall’arte matematica. Promuovere l’arte della Non Realtà che tutti possono capire, non solo i critici, gli intellettuali e i professionisti. Promuovere un’inondazione e un’ondata rivoluzionaria in Arte. Promuovere l’arte viva, l’anti-arte…. Tutto quello che dico è Arte è Arte. Tutto quello che faccio è Arte è Arte. Pretendo il principio di uguali diritti per tutti i materiali, uguali diritti per persone abili, idiote, reti metalliche fischianti, pompe pensanti”.
Il manifesto dell’Arte concettuale e Minimalismo (con la telecronista-reporter), teorici Le Witt, Sturtevant e Piper: “Le idee possono essere opere d’arte. Nell’arte concettuale l’idea, o concetto, costituisce l’aspetto più importante del lavoro. Quando l’artista utilizza una forma di arte concettuale vuol dire che tutto il progetto e tutte le decisioni vengono prese anticipatamente e e che l’esecuzione si riduce a un fatto meccanico. L’idea diventa una macchina che realizza l’arte. Questo tipo di arte non è teoretica né illustra teorie; è invece intuitiva e senza scopo. Qualunque sia la forma finale, deve cominciare con un’idea. L’aspetto dell’opera d’arte non è troppo importante. E’ con il processo di ideazione e di realizzazione che ha a che fare l’artista. L’opera, una volta che l’artista le abbia conferito realtà fisica, è aperta alla percezione di tutti, anche dell’artista… L’arte concettuale non è necessariamente logica. La logica può essere utilizzata per camuffare il vero intento dell’artista, per cullare lo spettatore nella convinzione di capire il lavoro oppure per suggerire una situazione paradossale – ad esempio logico contro illogico”.
Come manifesto del Cinema (conl’insegnante), una serie di postulati di Brakhage e Jarmusch, con Trier, Vinterberg e Herzog: “Si immagini un mondo prima del ‘principio e della parola’. Si permetta alla cosiddetta allucinazione di entrare nel regno della percezione, di accettare le visioni oniriche, i sogni a occhi aperti e quelli notturni. L’occhio della mente non si deve necessariamente spegnere dopo l’infanzia. Niente è originale. Ruba da qualsiasi cosa che risponde all’ispirazione o alimenta la tua immaginazione. Divora i vecchi film, i nuovi film, la musica,i libri, i quadri, le fotografie, le poesie, i sogni, le conversazioni casuali, l’architettura, i ponti, i segnali stradali, gli alberi, le nuvole, i bacini d’acqua, luci, ombre… Scegli di rubare solo le cose che parlano direttamente alla tua anima. Se fai questo, il tuo lavoro e il tuo furto saranno autentici. L’autenticità è preziosa, l’originalità inesistente”.
Con questo Epilogodal manifesto di Wood (nel collage dei manifesti di cinema): “Io sono in guerra con il mio tempo, con la storia, con ogni autorità contenute in forme fisse e spaventate… Non ho modo di sapere il tuo nome. Né tu il mio. Domani inizieremo insieme la costruzione di una città”.
Il Prologo era stato il manifesto del Partito comunista (con al miccia che brucia): autori Marx ed Engels con riferimenti al Dada di Tzara: “Sono contro l’azione; per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono né favorevole né contrario e non do spiegazioni perché detesto il buonsenso. Scrivo un manifesto perché non ho nulla da dire… Parlo sempre per me perché non voglio convincere nessuno non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte che gli pare… Si crede forse di aver trovato una base psichica comune a tutta l’autorità? Come si può far ordine nel caos di questa informe entità variabile: l’uomo?”.
Un interrogativo ancora più stringente dopo la carrellata nei manifesti novecenteschi che l’opera di Rosefeldt, pur se di difficile decifrazione pur nella sua apparente semplicità ha avuto il merito di riproporre. Un merito esteso alla direzione del Palazzo Esposizioni sebbene l’allestimento della forma espositiva non agevola di certo il visitatore comune. Ma la silloge dei manifesti è preziosa!
“Il corpo della voce”, Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos
Protagonista è la voce, definita così: “La voce è lo strumento con il quale diamo volume ai nostri pensieri, registra e diffonde le nostre emozioni e ci permette di comunicare con il mondo. L nostra voce parla, ride, piange, urla, canta e si tace… insomma, è il più straordinario strumento di partecipazione alla vita, il più naturale e al tempo stesso misterioso del nostro essere al mondo”.
E sulla voce c’è una prima sezione della mostra dedicata alla foniatria, dei video con sequenze di bocche atteggiate alle più diverse fonazioni fanno entrare nella carnalità vocale, se si può usare un ossimoro, con le sperimentazioni della ricerca vocale, le pratiche vocali diffuse nel mondo e le indagini sulle potenzialità vocali. Le installazioni interattive consentono di rendersi conto di ciò.
Il “clou” è nel trio Cathy Beberian, Demetrio Stratos e Carmelo Bene perché si passa dalla voce in un’ottica di ordine fisiologico e foniatrico alla voce come strumento di espressione artistica.
Con Cathy Berberian ci si immerge nelle sperimentazioni di musica elettronica degli anni ’50, e ‘60 la sua straordinaria vocalità ha ispirato artisti quali Cage e Berio, Maderna e Bussotti. Il suo “Stripsody”, del 1966, definito un “brillantissimo saggio sull’onomatopea vocale”, ispirato ai u fumetti comici, anche Umberto Eco si interessò alla”popular culture” della Berberian. Di Demetrio Stratos sono presentate prove coinvolgenti della sua straordinaria potenzialità vocale.
Ma per noi nulla è più coinvolgente, a livello uditivo, della voce di Carmelo Bene, la cui azione teatrale è stata basata sulle possibilità date dalle straordinarie modulazioni piuttosto che sulla recitazione e lo stesso contenuto. Con i laboratori della Biennale Teatro, a porte chiuse esplorò le possibilità della “parola di smarcarsi dal senso e della voce di farsi puro ascolto”.
La locandina del Teatro delle Arti del 1992 reca citazioni da lui prescelte che riassumono i presupposti della sua sperimentazione vocale nel corpo vivo del teatro: Nietsche:”Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma, LA MUSICA CHE STA DIETRO LE PAROLE, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto NON PUO’ ESSERE SCRITTO. Per questo lo scrivere ha così poca importanza”. Lacan: “IL DISCORSO NON È NELL’ESSERE PARLANTE”. Artaud:
“Un teatro subordinato al testo “è un teatro di idioti, di pazzi, di invertiti, di pedanti, di droghieri, di antipoeti, di positivisti, in una parola di occidentali”. La voce sovrasta il testo, il tono le parole.
L’ascolto delle interpretazioni teatrali di Carmelo Bene, che ricordiamo fotografato in scena da Abate, con le memorabili modulazioni della voce dà compitamente il senso della rivoluzione vocale dell’immaginifico artista, che intitolò un suo libro “Sono apparso alla Madonna” per marcare di essere controcorrente, dalle iniziali esibizioni trasgressive nei teatrini romani alle recitazioni nei grandi teatri.
Il Palazzo Esposizioni è andato oltre l’abituale corredo di incontri e laboratori per i piccoli, questa volta anche per studenti più grandi e adulti con sollecitazioni canore delle curatrici, e addirittura ogni sabato e domenica “esercizi di riscaldamento vocale di gruppo all’interno della mostra” con insegnanti specializzati del metodo Linklater, il cui motto è “liberare la voce vuol dire liberare la persona”.
Ma è solo il contorno, abbiamo gli “esercizi di memoria per quattro voci femminili” e la performance “Quattro voci dalla città stanca”, i sei incontri della serie “A voce alta” e l’“Omaggio a Carmelo Bene” con 6 sue performance teatrali di cui l’artista è stato regista, interprete e e voce solista-recitante, da “Macbeth Horror” a “Hommelette for Hamlet “L’Adelchi” e “Manfred”, fino a “Quattro diversi modi di morire in versi” e “In-vulnerabilità d’Achille”. Inimitabile!
Il programma “Vedere la voce” presenta 10 film:con “ grandi storie cinematografiche che hanno in comune un protagonista sotterraneo: la voce. Una mappatura della comunicazione attraverso esperienze molto diverse tra loro… voci della natura o mediate dalla tecnologia… voci deliranti e sinistre, sovrumane o divine, ricostruiscono un’immagine sonora della nostra presenza nel mondo”.
Anche in questa occasione, come in casi precedenti – citiamo tra i tanti “ Human” e “Dna” – il Palazzo Esposizioni svolge una funzione pubblica di approfondimento e divulgazione su temi scientifici. Il lato spettacolare viene curato, e se ne può apprezzare lo sforzo pedagogico: anche se viene meno il Palazzo Esposizioni delle grandi mostre d’arte, soprattutto dopo il divorzio dalle Scuderie del Quirinale cui evidentemente è stata demandata la frontiera artistica. Un peccato!
Info
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Da martedì a domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato apertura fino alle 22,30, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 10, ridotto euro 8. Tel. 06 39967500; www.palazzoesposizioni.it. Su Carmelo Bene cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com, “Abate. Le foto a Carmelo Bene al Palazzo Esposizioni” 2 gennaio 2013, e in fotografia.guidaconsumatore.it, “Roma. le foto di Claudio Abate a Carmelo Bene al Palazzo Esposizioni” 3 gennaio 2013 (quest’ultimo sito non è più raggiungibile, le foto saranno trasferite su altro sito, saranno fornite a richiesta).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione delle mostre al Palazzo Esposizioni, si ringrazia la direzione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Si inizia con la mostra “Manifesto”, in apertura, un quadro d’insieme di 8 interpretazioni di Cate Blanchett; seguono 13 immagini riprese dagli schermi, alternando scene delle singole storie con lprimi piani dell’interprete in diverse incarnazioni; poi mostra “La voce e il corpo”, si inizia con un’immagine della sequenza “Le bocche” di Stratos, poi 2 immagini di Cathy Berberian, quindi un’immagine di Demetrio Stratos, inoltre 3 immagini di Carmelo Bene, la seconda in “Nostra Signora dei Turchi” con Margherita Paratich; in chiusura, una sala con video-audio per i visitatori.
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