di Romano Maria Levante
Nella galleria RvB Arts tre manifestazioni per la settimana dal 24 al 29 ottobre 2016 dedicata alla 1^ edizione del “RAW – Rome Art Week”, il cui programma ha mobilitato intorno all’arte contemporanea la molteplicità di gallerie cittadine con 99 mostre e 207 eventi, oltre a 153 visite agli atelier e alle performance degli artisti che hanno aderito, più di 200: in tutto 459 appuntamenti, accompagnati da 18 critici d’arte. Per la galleria di via delle Zoccolette, associata all’Antiquariato Valligiano di via Giulia, si è trattato di tre eventi, “l’aperitivo con Nicola Pucci” il 25 ottobre, il “cocktail d’arte con Bato e Matta” il27 ottobre in una mostra che prosegue fino al 12 novembre, l'”incontro con Alessio Deli” presentato da Lorenzo Canova il 29 ottobre. In tal modo la galleria RvB Arts colloca in un contesto più vasto, che abbraccia l’intero spettro del contemporaneo romano e non solo, l’impegno meritorio con cui la titolare animatrice Michele von Buren da anni si prodiga nella promozione di artisti giovani e affermati e nella diffusione dell’arte contemporanea mediante “Accessible Art”, programma basato su opere accessibili economicamente e compatibili con gli ambienti domestici.
La mobilitazione del RAW e la “Quadriennale di Roma”
Un missile a tre stadi quello lanciato dalla galleria RvB Arts nel quadro della manifestazione che ha mobilitato gallerie, fondazioni e istituzioni romane intorno all’arte contemporanea in concomitanza con la “!6^ Quadriennale di Roma”, rilanciata dal presidente Franco Bernabè, con il fermo sostegno del ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini. Anzi, il RAW è inserito nel programma delle manifestazioni esterne alla mostra “Altri Tempi altri Miti”, in corso al Palazzo Esposizioni dal 13 ottobre al 7 gennaio 2017, e curiosamente abbiamo constatato che il numero 99 c’è sia nella Quadriennale come numero di artisti espositori, sia nel RAW come numero di mostre.
Ci auguriamo che tutto ciò possa portare a interessanti sviluppi e convergenze, anche nel laboratorio permanente che la Quadriennale di Roma aprirà nei 1500 metri quadrati dell’antico Arsenale pontificio ristrutturato e dedicato al contemporaneo, come ha annunciato il ministro Franceschini.
Il presidente della Quadriennale Franco Bernabè ha detto che ha già chiamato a raccolta i musei, le fondazioni private e le gallerie che operano sul territorio, per avere il loro contributo “all’inventario di protagonisti e idee che concorrono a formare l’arte italiana in questo avvio di secolo”.
Le 99 mostre e i 200 artisti della settimana di Raw Art hanno fornito nuovo materiale artistico all’inventario di protagonisti e di idee promosso da Bernabè, e la galleria RvB Arts con i quattro artisti che ne sono stati protagonisti è in prima linea per la sua impostazione all’insegna dell'”Accessible Art” volta ad avvicinare l’arte contemporanea al pubblico diffondendone l’inserimento nelle comuni abitazioni con l’accessibilità economica e la compatibilità ambientale.
Una prestigiosa partecipazione, quindi, quella della galleria diretta da Michele von Buren, molto significativa dal punto di vista della scelta operata. I quattro artisti presentati, ai quali sono state dedicate in passato mostre personali e collettive nella galleria, configurano forme diverse di arte contemporanea, mediante visioni ed espressioni molto personali della libera creatività dell’artista.
Ne evochiamo i motivi e i contenuti senza descriverne le singole opere, di cui peraltro abbiamo parlato in occasione delle loro precedenti mostre a RVB Arts, dato il carattere della manifestazione.
Ed ecco ora i tre stadi del missile di RvB Arts, cominciando dalla prima testata, il cui percorso più lungo porta nell’atmosfera, un’atmosfera rarefatta, ma nel contempo percorsa da impulsi elettromagnetici con quelle che sono state definite “vertiginose presenze in camere fibrillanti”.
La “terra di vertigine” di Nicola Pucci
Si tratta di Nicola Pucci, l’artista siciliano che abbiamo presentato in occasione delle sue mostre, personale e collettiva, nella stessa galleria, ma di cui ora intendiamo approfondire il peculiare carattere, come si è fatto nella giornata del 25 ottobre a lui dedicata, sulla base di opere presentate nella mostra di Spoleto, “Vertigoland”, conclusa lo scorso 25 settembre. Una mostra il cui titolo apre scenari psicologici e psicanalitici, fa ripensare al film “Vertigo” nel quale Hitchock si avvalse dell’arte magnetica e parossistica di Salvador Dalì per scavare nell’inconscio. Il regista del brividoè citato da Gianluca Marziani nel commentare la mostra di Spoleto: di lui “Pucci ha capito la lezione e sta lavorando sulle camere in modo simile, distillando atmosfere da thriller cerebrale”.
Sono “terra di vertigine”, dunque, le opere di Pucci, e con quali contenuti e prospettive? In precedenza abbiamo evidenziato l’aspetto “circolare” delle sue composizioni, come le letture alternate, i voli e i tuffatori. Ma anche l’aspetto paradossale dei suoi interni, apparentemente normali, nei quali irrompe l’assurdo, come negli ambienti domestici con la rovesciata del calciatore e la parata del portiere, lo scatto del ciclista in una stanza, cui associamo il fantino a cavallo che salta dentro al tram, gli ambienti pubblici con il treno che sfreccia nella sala sopra al bigliardo, i tuffatori in una piscina inesistente o i saltatori nella scala mobile della metropolitana, in una visione dello sport pervasiva, ma soprattutto eversiva del sentire comune; come lo è lo specchio deformante dell’improbabile compresenza di animali giganteschi con persone e bambini.
Ora cerchiamo di entrare in questa “terra di vertigine”, pur considerando l’ampio margine di indecifrabilità dell’arte contemporanea che va rispettato; è lo stesso artista a “provocare” questo tentativo di scavare all’interno, con i suoi titoli e le sue “trappole” figurative. Perché il suo è un figurativo seducente, apparentemente normale, nel quale si scatena l’inatteso e inimmaginabile.
Marziani parla di “scenari meta temporali. Sono ambienti densi di energia, esistenti ma astratti nell’essere palcoscenico per fulminei incontri ravvicinati”. Ripensiamo a quelli “del terzo tipo” nei quali si svolgevano con il misterioso essere extraterrestre, qui si tratta, invece, di incontri con la realtà, rivissuta così dall’artista: “Osservo i comportamenti, mi interessano le cause che generano effetti, soprattutto sugli esseri viventi. Dall’osservazione scaturisce una nuova interpretazione della realtà in cui il possibile e l’improbabile si mischiano. Il movimento diventa elemento essenziale, focalizzato nel suo durante, ed è un moto senza compimento, un accadere senza succedere, pura sospensione di un gesto”. Un’interpretazione autentica, un’autoanalisi che dà già una prima risposta agli interrogativi che nascono da opere così allusive e misteriose.
Nel sottolineare la compresenza del dinamismo futurista e della introspezione visionaria del surrealismo alla Magritte, il critico aggiunge: “Si veleggia sul filo lungo del costante mistero, dell’irrisolto metafisico, dentro un climax drammaturgico che sospende il giudice assieme al giudizio”. E non ci si lasci fuorviare dal figurativo eclatante, che parte dall’osservazione di disegni e fotografie: “Il risultato parla di verisimiglianza ma non di puro realismo, è come se l’artista avesse inventato una lente Zeiss per plasmare i corpi pittorici, le loro contorsioni plastiche, gli scatti sinuosi, le posture anomale”. Lo afferma lo stesso artista: “In ambito pittorico amo la verosimiglianza della realtà, mi accanisco su quel dettaglio, cerco di dargli la terza dimensione rispetto al resto. Poi il lavoro si sviluppa strato su strato con decine di velature e pennellate più o meno materiche. Cerco di farmi guidare dalle linee delle immagini, a quel punto vorrei che tutto restasse sospeso, che il tratto preciso e definito lasciasse il posto al gesto emozionale”.
Non è in gioco soltanto la forma esteriore, dunque, si scava nel profondo: “Senti che circola un moto centrifugo e gravitazionale, un’energia invisibile che teatralizza le scene e alza il livello del quotidiano secondo accenti onirici che non sono mai puro sogno ma neanche piena aderenza al vero”. Lo verifichiamo anche nella realtà quotidiana, con quei sogni prima del risveglio che deformano i sedimenti dell’inconscio abbinando ricordi lucidi a sovrapposizioni paradossali, e di certo lo sport come gli animali sono una presenza immanente dentro di noi che riaffiora in modi inusitati.
“Si tratta di un percorso tra viaggio mentale e realtà, stranezza e presumibile, artificio e provocazione muscolare, tra dimensioni relazionali che creano qualcosa d’inclassificabile, nel canone inverso della ‘realtà altra’”. Ci troviamo dinanzi all’ “alterazione della realtà”, che crea nell’osservatore una forte impressione, Marziani la descrive così: “Difficile non emozionarsi davanti alla sua pittura misteriosa, drammaturgica, dinamica, ambigua , realistica, eppure assurda… è una visione che inventa immagini, una pittura cinematica dal montaggio interno, puro movimento implicito come poche volte capita in un quadro”.
Non si dimenticano i protagonisti della sua messa in scena, sempre teatrale anche se in ambienti domestici, gli sportivi, e ne abbiamo parlato, le donne, gli animali, e ciò che sta intorno, in una “anomalia narrativa” con ossimori paradossali. Ci si sente coinvolti nell’accettare l’insensato come normale o almeno possibile in astratto, e quante volte la cronaca presenta eventi impensabili ma pur accaduti!
L’assurdo è tra noi e può verificarsi, fa bene Pucci a ricordarcelo, forse è anche questa la chiave del futuro già iniziato.
I vuoti e i pieni di Matta e Bato
Il secondo stadio del missile di RvB Arts sono due artisti, tanto diversi da rappresentare estremi che alla fine si toccano. Si tratta di Arianna Matta e Bato, anche di loro già parlato in occasione di una precedente mostra rievocandone la formazione, soprattutto artistica in Matta, filosofica in Bato, la prima ricerca l’effetto pittorica, il secondo scava nell’essenza delle cose.
Arianna Matta presenta i suoi interni domestici dettagliati e “pieni” di particolari, ma risultano “vuoti” per l’assenza di coloro che dovrebbero abitarli; è un vuoto, tuttavia, che si riempie di un calore solo immaginato, lo si sente emergere da ciò che viene vissuto e solo momentaneamente abbandonato: “E’ come se le poltrone, le sedie, le gabbie contenessero vivo il calore delle presenze che le abitavano”, osserva Viviana Quattrini, che aggiunge: “Se nei contesti intimi gli oggetti appaiono distinguersi per una loro presenza metafisica, nei luoghi della collettività si assiste invece ad una sorta di alienazione dove questi si moltiplicano”.
L’intenso cromatismo si coniuga a una costruzione geometrica della composizione, abbinando gli effetti sensoriali, quindi istintivi, dati dalle macchie di colore, alla razionalità architettonica dell’insieme: è come se l’artista volesse raccogliere, in scenografie private e pubbliche incentrate sul fondamentale aspetto abitativo, le due matrici dell’azione umana, l’impulso e la ragione.
Nelle opere di Bato, invece, contorni essenziali fatti di segni isolati, qualche volta colorati, delineano immagini lontane dalla realtà come sembrerebbero lontani i semplici segni che le richiamano. Ma nella loro semplicità sfidano l’osservatore a riempire quei vuoti, a considerare quei contorni come una citazione lasciata volutamente incompleta per aprirla alla fantasia e all’immaginazione che potrà dare ad essa compiutezza di contenuti.
Anche qui vediamo la compresenza di due opposti, pur se molto diversi da quelli di Matta: da un lato un’arcaicità di segni che richiama i graffiti primordiali; dall’altro una modernità estrema nel rendere la percezione fuggevole, un baleno che lascia negli occhi e nella memoria soltanto delle tracce, ma molto profonde, che l’artista riesce a fissare con un segno altrettanto rapido e scarno.
“La sua pittura si libera così dal peso della materia – commenta la Quattrini – rispecchiando l’istantaneità percettiva con cui oggi ci troviamo sempre più a dover decifrare messaggi ed immagini”. Ed evidenzia altri due opposti che coesistono nel modo in cui l’artista rende le sue percezioni: “Si tratta di un lavoro di analisi e sintesi volto a cogliere il meccanismo interno delle cose”. Quindi a coglierne l’essenza, in un processo mentale filosofico prima che pittorico.
E’ la trasposizione della filosofia in pittura, ma c’è dell’altro, le figure rappresentate con segni scarni, sinuosi e avvolgenti, sono il risultato di un percorso che l’artista ci rivela, parlando della profonda impressione ricevuta nel visitare a Berlino la ricostruzione della porta d’ingresso di Babilonia con le figure delle divinità Ishtar, Adad e Marduk. Dalla filosofia alla religione la sua matrice si arricchisce, del resto è pura filosofia la prova ontologica dell’esistenza di Dio, il nostro Dio, e a un giovane sensibile e aperto come Bato anche l’Ishtar babilonese ispira forti suggestioni.
Il classicismo con materiale povero di Alessio Deli
Un riferimento agli archetipi rupestri c’è anche in Alessio Deli, anche se come motivo ispiratore piuttosto che come mezzo espressivo, dato che il suo mezzo è ben più elaborato e composito.
Si tratta di un artista con forti basi nel classicismo che declina fino alle fonti più arcaiche, per immergerlo nella realtà attuale mediante l’uso di materiali di risulta da lui reperiti nelle discariche.
Nulla di casuale neppure in questo, è stato il contatto con la discarica umana che sono le carceri, in un corso d’arte per detenuti, a fargli maturare la consapevolezza che nei rifiuti, umani o materiali, c’è un materiale prezioso da recuperare, riportando alla luce il vissuto che è in loro.
Ma procediamo per gradi, dalla ricerca di questo materiale che avviene nelle aree più degradate all’isolamento dagli scarti accumulatisi sopra di esso e intorno ad esso, fino a liberare la figura o l’oggetto che già vi vede incorporato, anzi impersonato, quasi fosse il marmo per lo scultore.
Così i rifiuti scartati diventano componenti da assemblare e modellare nelle forme classiche predilette, il materiale povero quant’altri mai viene nobilitato dall’arte, che diventa la pietra filosofale nel trasformarlo in oro, in una trasfigurazione che solo il talento può realizzare.
Guardiamo questo materiale, sono elementi semplici come lamiere e chiodi, pezzi di legno e profilati, e anche compositi come apparecchiature e marmitte, parti di elettrodomestici e di macchinari, eliminati dal consumismo nel suo inarrestabile spreco di risorse che non contempla riparazioni anche di guasti modesti, bensì sostituzioni complete, alla ricerca spasmodica di una spinta produttiva senza fine per la quale al meccanismo galbraithiano dei consumi indotti dalla produzione si aggiunge l’obsolescenza programmata con la sua azione preordinata autodistruttiva.
In Deli, tuttavia, non c’è l’intento di contestare questi meccanismi, la sua non è una ribellione come quella di alcune opere esposte nella mostra della 16^ Quadriennale di Roma nelle quali la qualifica artistica è data solo dal loro inserimento nel contesto curatoriale, spesso di matrice ideologica; anzi vede questi materiali come espressione positiva di un vissuto, dell’uomo contemporaneo tutto da scoprire, e valorizzare, non soltanto fisico con le sue abitudini, ma anche ideale, con i suoi sogni.
Oltre ai contenuti forti che esprimono, questi materiali hanno una forza plastica che l’artista definisce “dirompente”, e riadatta ai soggetti che gli vengono ispirati e intende rappresentare.
Sono soggetti forti e imponenti, come le grandi sculture metalliche di “Summer” e “Big”, oppure minuscoli e delicati, come delle gabbiette e dei nidi, che ci rimandano al ciclo dei gabbiani, con l’uccello marino declinato nelle sue tante positure che emana un indefinibile fascino.
Grani figure classiche, uccelli dal chiaro contenuto simbolico, ma anche piante, in una ricca serie di sculture sempre metalliche con gli steli rigogliosi, in una contraddizione apparente tra la delicatezza del vegetale e la durezza del materiale usato, ma anche qui il vissuto che esprime lo trasfigura.
Di Deli sono in atto sviluppi ulteriori in un processo continuo che aggiunge sempre nuovi motivi espressivi in una gamma quanto mai ampia di forme e di contenuti. Sono incessanti gli stimoli reali ricevuti dai materiali di risulta che si offrono al suo talento perché liberi i tanti “prigioni” racchiusi nella loro materia degradata riportandoli alla luce e alla vita con il tocco magico dell’arte.
Così i tre stadi del missile lanciato da Michele Von Buren per “Rome Art Week” hanno messo in orbita 4 artisti molto diversi, accomunati oltre che dal talento dalla formula di “Accessible Art” che rende le loro opere alla portata in tutti i sensi delle normali famiglie per i loro ambienti domestici. L’augurio di centrare l’obiettivo al missile dell’arte è il minimo che si possa rivolgere per un’attività benemerita di diffusione dell’arte a largo raggio.
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Le immagini saranno inserite prossimamente.