Shakespeare, 7 artisti lo celebrano alla galleria Russo

di Romano Maria Levante

La Galleria Russo celebra il 400° anniversario della morte di William Shakespeare con la mostra “Shakespeare  in Rome”,  che espone  dal 16 aprile al 7 maggio 2016  le opere di 7  artisti ispirate al grande drammaturgo. Gli artisti sono Enrico Benetta e Diego Ceresa Molino, Roberta Coni e Manuel Felisi, Michael Gambino, Massimo Giannoni e Tommaso Ottieri; le loro opere vanno dai dipinti ad olio su tela e stampa fotografica alla tecnica mista su tela e resina, ai collage e alle sculture in vetro di Murano.  La mostra è progettata e curata da Maria Cecilia Vilches Riopedre, catalogo bilingue italiano-inglese Manfredi Edizioni.

E’ un omaggio diverso da quello che c’è stato per Gogol, dato che del grande romanziere russo si sono celebrati i rapporti con Roma, dove soggiornò a lungo considerandola una sua seconda patria e dedicandole espressioni di grande ammirazione. Il titolo della mostra non si riferisce alla sua presenza a Roma in vita, bensì alla sua evocazione oggi nella città eterna come è eterna la sua arte letteraria. 

A Roma viene celebrato anche al “Globe Theatre”, l’unico teatro elisabettiano del nostro paese,  con la direzione artistica di Gigi Proietti in un ciclo di spettacoli tra l’estate e l’autunno promossi da  Roma Capitale con la partecipazione di Zètema. In scena sei  delle sue opere più note, ambientate in Italia e imperniate sul valore della giustizia e il rispetto della legge, “Re Lear” e “Sogno di una notte di mezza estate”, “Il Mercante di Venezia” e “Il racconto d’inverno”, “Romeo e Giulietta” e “La tempesta”; inoltre un recital di Proietti di brani da “Kean” e una serata sui suoi “Sonetti d’amore”.

Paul Sellers, direttore del British Council Italia, consigliere culturale presso l’Ambasciata britannica, ne ha evocato la figura sottolineando che “più del cinquanta per cento della popolazione mondiale lo studia a scuola, quando nessun’altro poeta viene studiato da più dell’uno o due per cento. Oggi è rappresentato più di qualsiasi altro drammaturgo, includendo anche gli autori contemporanei”.

Il motivo di tale successo planetario viene trovato nel fatto che è stato il primo a rappresentare i diversi aspetti della condizione umana affrontando temi come l’avidità e l’invidia, la gelosia e la lussuria, la rabbia e il tradimento, fino alla fede e all’amore “che, alla fine, è la dinamica fondamentale dei trentotto mondi creati da Shakespeare per i nostri palcoscenici contemporanei”. Inoltre  è stato antesignano nel propugnare la tolleranza e l’integrazione mettendo in rilievo le diversità di ogni tipo, di età e genere, con la valorizzazione della donna, di etnia e religione, di sessualità e disabilità.

L’assenza delle arti visive nelle sue opere

Nei suoi mondi, però – osserva il critico inglese Andrew Dickson, il cui ultimo libro del 2015 tratta l’influenza di Shakespeare a livello globale – sono praticamente assenti le arti visive.. C’è soltanto una scultura, nell’ultima scena del “Racconto d’inverno”, attribuita “a quell’illustre maestro italiano Giulio Romano, un’opera testé completata dopo anni di lavoro”.   Ma la “statua dipinta”  come monumento di  Ermione,  si rivela essere Ermione stessa considerata morta da sedici anni e ora riportata alla vita con “il più stupefacente colpo di teatro”,  quindi neppure qui va in scena l’opera d’arte.

In “Amleto”   vengono additati i ritratti  del padre e dello zio di Geltrude per sottolineare le diverse sembianze,  e nel poema “Lo stupro di Lucrezia”  la protagonista dopo la violenza si lancia contro “un pezzo di sapiente pittura” sulla caduta di Troia per lacerarlo con le proprie unghie, ma il dipinto non si vede.  Nessun quadro, cavalletto o cornice viene citato nei 40 manoscritti giunti fino a noi dove sono indicati gli oggetti di scena,dai libri alle lettere, dalle candele alle spade, fino a un set di scacchi.

Ciò è dovuto all’essenzialità del suo teatro, che rende reale il mondo rappresentato non attraverso oggetti ed elementi naturalistici, ma tramite il linguaggio,  si andava  a teatro “per ascoltare”, non “per vedere”, Dickson nel ricordare questo, osserva che “c’erano poche opportunità per l’inganno visivo che potessero rivaleggiare con le trasformazioni create dal testo”.  Del resto, per la pittura,  i maggiori artisti erano stranieri e non erano familiari nella società inglese. Lo stesso Giulio Romano, lo scultore del “Racconto d’inverno”,  era architetto,  “un malizioso scherzo shakespeariano” come Ermione al posto della statua.

La presenza  della pittura nella raffigurazione del suo teatro

Per un paradosso o una compensazione della storia, mentre  l’arte visiva e la pittura erano assenti nelle sue opere,   sono state invece presenti in modo massiccio nella loro raffigurazione.

Dickinson osserva: “il fatto stesso che le opere di Shakespeare siano principalmente opere dell’immaginazione, non legate  a periodi o luoghi specifici, offre agli artisti una libertà assoluta: la libertà di reinventarsi  volontà”.  Per questo,  dopo la sua scomparsa nel 1616, “con la crescita della sua fama, le successive generazioni di pittori e di incisori si precipitarono a teatro per ammirare le opere e fissarle su carta o tela”. Così Shakespeare è stato  il riferimento e l’ispirazione per gli artisti visivi soprattutto inglesi di inizio e metà XVIII secolo.  La carrellata fatta da Dickinson è particolarmente ricca ed espressiva.

Inizia con le incisioni di Elisa Kirkall del 1709 per i sei volumi dell’Opera omnia curata da Nicholas Rowe, che oltre a raffigurare le scenografie, si sbizzarrivano nelle più libere interpretazioni. Nel  1745  William Hogart, tra i più importanti artisti del ‘700 inglese, riproduce in un dipinto ad olio l’attore-imprenditore David Garrick nei panni di Riccardo III in una delle ultime scene della tragedia.

Altri attori sono stati ritratti da diversi artisti nei panni di personaggi shakespeariani, tra loro nel 1750 Susannah Cibber e James Quin nelle vesti di Falstaff, riprodotto anche in statuette di terracotta fabbricate per oltre un secolo; Sarah Siddons e John Philip Kemble furono ritratti  da Thomas Lawrence, il secondo come Coriolano e Amleto con pose in studio oltre che a teatro, in modo da creare una vera e propria icona;  Charles Macklin fu ritratto da Johann Zoffany.

Nel 1789 l’incisore Josiah Boydell creò una “Galleria shakespeariana” raccogliendo le opere che ne interpretavano la visione teatrale, e non solo riproducevano gli attori in scena, ritenendo che “nessun soggetto è più appropriato per creare una scuola inglese di pittura storica  delle scene dell’immortale Shakespeare”. Tra i presenti nella sua galleria altri importanti artisti del ‘700, Joshua Reynolds, per “Oberon, Titania e Puck con Fate Danzanti”, e Joseph Wright of Derby, con interpretazioni di “Racconto d’inverno” e “La Tempesta”; c’erano anche  Angelica Kaufmann e Francis Smirke.

Una citazione  a parte merita Henry Fuseli perché, oltre a partecipare alla galleria di Boydell prima con 9 dipinti in stile gotico ispirati ad “Amleto”, “Macbeth” e “La Tempesta”, poi con altri 4 ispirati a “Sogno di una Notte di mezza estate”e a “Macbeth”, restò legato fino alla fine a tale ispirazione con  85 opere. 

Come lui,  William Blake, pur non facendo parte della galleria di Bloydell,  dal 1780 mise Shakespeare al centro della sua ispirazione per più di quarant’anni con acquerelli sia illustrativi sia di libera interpretazione, di opere tra cui citiamo “Riccardo III” e “Fantasmi”, “Oberon, Titania e Puck con Fate Danzanti” e “Macbeth”.

Aderenti alla lettera del teatro shakespeariano altri artisti, come John Everett Millais, in una Ofelia da “Amleto” del 1852,  Charles Robert Leslie e William Holman Hunt in “Valentino che libera Silvia da Proteo” del 1851;  poca genuinità in molte altre interpretazioni del XIX secolo, ad eccezione di “Enrico VI a Towton” in cui nel 1860 William Dyce,  conclude Dickson è l’unico che “si avvicina al mondo immaginativo e psicologico di Shakespeare”.

In Francia, sebbene i suoi personaggi fossero molto conosciuti, tanto che “venne adottato nel XIX secolo come un onorario figlio nativo”, pochi artisti si ispirarono a lui, ma tra loro Eugene Delacroix che iniziò con 13 litografie, realizzate nel 1827 e pubblicate nel 1843, sull'”Amleto”  parigino interpretato da Charles Kemble, e proseguì a lungo con molti studi ad olio, come quello su Lady Macbeth,  e piccoli dipinti.

Nei giorni nostri l’interesse per il mondo shakespeariano è virato soprattutto sull’ironia in relazione alle tante reinterpretazioni trasgressive delle sue opere, come il punk “Romeo + Giulietta” di Baz Luhrmann del 1996 e le molte versioni di Bollywood; ed ha riguardato anche gli artisti giapponesi di manga e gli autori di fumetti, tra cui Neil Gaiman con la serie “Sandman” del 1889-96 illustrata da vari artisti. 

Questa la conclusione di Dickson dopo l’accurata ricognizione di cui abbiamo fornito i dati essenziali: “Negli ultimi anni molti artisti si sono ispirati al drammaturgo, ma pochi artisti di punta hanno raccolto la sfida, forse timorosi di cadere dentro un letteralismo storico o accademico. E tutto ciò rende ancora di più ‘Shakespeare in Rome’ un progetto assai gradito. Presentando sette artisti europei provenienti da diverse tradizioni e discipline e che utilizzano diversi linguaggi e tecniche, il progetto racchiude in sé un interessante corpus di lavoro – dalla ritrattistica al paesaggio, dalla scultura alle creazioni a tecnica mista  che corrispondono alla multiformità  degli scritti del drammaturgo”.

E’ il momento di passare in rassegna le opere presentate dalla mostra, dopo averla  inquadrata nel mondo shakespeariano e nelle sue interpretazioni artistiche: un contesto che  fa risaltare il valore dell’iniziativa non soltanto sotto l’aspetto celebrativo, e l’importanza della sfida raccolta dai 7 artisti espositori con opere, tutte del 2016, create espressamente per questa occasione.

Metà circa delle opere sono dipinti ad olio, le altre sono in tecnica mista, in vari materiali e collage.

I dipinti ad olio sui temi shakespeariani

Quattro gli espositori di dipinti ad olio e in acrilico,  con opere di stile figurativo in chiave contemporanea.

Cominciamo con Tommaso Ottieri, che ci presenta le sue spettacolari visioni, le abbiamo viste in precedenza in mostre curate dalla stessa Galleria Giulia riferite ai panorami delle grandi città, agli interni delle basiliche e dei grandi teatri, ora al dramma shakespeariano “La Tempesta”:   in “WS Tempest 1”  sul palcoscenico c’è il mare in burrasca, in tonalità rosse e oro, in “WS Tempest III” un veliero in naufragio con l’acqua che sembra riversarsi sulla platea, i toni sono plumbei.  

La sua ben nota impostazione, derivante dalla formazione in architettura, emerge anche da queste opere. Ma non finisce qui, espone anche un’interpretazione di “Macbeth”, “Lady M”, un busto di profilo, nella sua conturbante nudità, con il volto avvolto dall’ombra, torna “la funzione del nero” della sua personale del 2015 alla stessa galleria Giulia.  E un’interpretazione di “Amleto” con “Yorick”, il teschio che nella tragedia è nelle mani del principe di Danimarca, qui emerge dal buio  dipinto a olio sulla stampa fotografica.

Dalla  visione trasognata di “Lady M.”  a “Lady Macbeth” di  Roberta Comi, anch’essa conturbante nel suo mantello rosso con cui si copre parte del viso come fosse uno “chador”  rendendolo misterioso pur senza ombre, anzi in una luminosità che fa risaltare il viso e le mani.  I grandi ritratti rappresentano un importante filone nell’arte della Coni, insieme alla rappresentazione sanguigna dei canti dell’Inferno, anche per apprezzare questa artista le mostre della galleria Russo sono state preziose.

Vediamo la  sua interpretazione di “Romeo e Giulietta” nel grande dipinto “Juliet”, la testa è cinta da una coroncina di fiori, ma l’espressione è corrucciata, quasi disperata, un contrasto netto espresso anche dal volto per metà in piena luce e per metà nell’ombra più scura. E’ questa, in fondo la sintesi di una storia d’amore e di morte, traspare dallo sguardo della fanciulla che sembra implorare aiuto dinanzi al destino. 

Di “Amleto”vediamo “Ophelia”, un corpo  abbandonato sull’acqua sopra al quale galleggiano dei fiori, ripensiamo alla coroncina di “Juliet”, l’espressione distesa e insieme angosciata, anche qui aleggia la sorte infausta segnata dal destino, la grande immagine è rovesciata come se venisse verso l’osservatore.

Con Diego Cerero Molina un’interpretazione disincantata, quasi a voler stemperare i toni cupi della tragedia con quelli della commedia e dell’ironia. Il suo “Macbeth” è un’immagine quasi satirica del Re, dall’espressione spiritata con una grande corona che gli balla in modo ridicolo sul capo, il petto coperto di onorificenze, le grandi mani in primo piano che sembra vogliano afferrare l’osservatore ma senza incutere timore, tanto grottesco.

Uguale tono satirico in “William Shakespeare”, questa volta la sua ben nota immagine incorniciata viene presentata tra le mani di un sogghignante individuo che fuma un grosso sigaro,  e forse per questo la grossa cornice sembra una scatola di sigari con sopra la relativa etichetta offerta in vendita. Potrebbe alludere alla mercificazione della società consumistica che non risparmiare nulla, neppure un anniversario come questo.

Celebra l’anniversario in due modi che ne riassumono i motivi Massimo Giannoni: “Shakespeare”  presenta una grande antica biblioteca carica di libri, con in primo piano in basso sulla sinistra un’immagine del drammaturgo che sembra far capolino con discrezione; “1616-2016” dedica ai 400 anni un omaggio floreale, rose ed altri fiori, tra il bianco, il rosa e il rosso. Dalla solennità all’intimità, dunque.

Le  opere in vari materiali e forme espressive

Dopo i dipinti ad olio passiamo alle opere in materiali e alle tecniche di vario tipo, alle sculture e ai collage.

Vediamoun grande pannello lungo 3 metri e alto quasi 2,  di  Manuel Felisi lin tecnica mista su tela,  “A Midsummer Night’s Dreams”,  una composizione con 55 riquadri attraversati da sottili alberi con dei rami leggeri e aerei che convergono in una visione di tipo onirico anche se quanto mai reale, perché rami e alberi sembra di toccarli, ma si possono vedere così soltanto nei sogni di una notte di mezza estate.

Ha lo stesso titolo  “A Midsummer Night’s Dreams” un pannello più piccolo in tecnica mista su resina in 10 riquadri nei quali all’elemento dei rami degli alberi che si prolungano da un riquadro all’altro si aggiungono le scritte di brani della stessa opera, in una materializzazione dei sogni anche attraverso il testo.

Un altro pannello su resina con 49 riquadri si intitola “Caducità”, in ogni riquadro dei fiori e si intravvedono delle scritte, e delle immagini sfuggenti,  la visione suggestiva dell’artista del mondo shakespeariano.

Fin qui siamo nel figurativo pittorico pur declinato con modalità e contenuti diversi. Cambia tutto con gli ultimi due artisti della galleria shakespeariana.

Enrico Benetta  ci dà tre diverse forme interpretative. Per l’ “Amleto”  scolpisce una testa  in vetro di Murano trasparente che riproduce il teschio di Yoprick, ricoperto di grandi lettere maiuscole a caratteri Bodoni, il titolo inequivocabile è “To be or not to be”,  mentre per “The Merchant of Venice”  utilizza una  sorta di installazione lunga 3 metri  divisa in sei scomparti di 50 cm, con elementi in vetro rosso di Murano che sembrano grosse gocce di sangue applicati a una lamiera nera. E’ l’elemento risolutivo del dramma, Shylock non può pretendere di avere la libbra di carne perché nell’impegno preso dal debitore non era compreso il sangue che sarebbe stato versato.

Ancora diverso “Sonnet”,  in rame ha realizzato un volume aperto con i fogli sollevati, ci sono anche grosse lettere Bodoni.  Il pensiero va  all’indimenticabile immagine del  Vangelo sfogliato dal vento sulla bara di papa Woytila  nella cerimonia funebre di Piazza San Pietro.

Concludiamo con un ‘omaggio che ci è parso straordinario, per la sua capacità di esprimere con semplicità e inarrivabile suggestione la miriade di pensieri e sentimenti ispirati da un personaggio così grande che con le sue opere ha incantato e continua ad incantare il pubblico di tutto il mondo.

Siamo stati presi  dalle farfalle ritagliate di Michel Gambino, che “volano”  nei cinque collage esposti.

Sono applicate su fondo fosforescente in “Sogno di una notte di mezza estate/ A Midsummer Night’s Dream”, dove escono dal libro con la copertina rossa, il testo dell’opera teatrale per innalzarsi come  nella fumata bianca del conclave; in “Shakespeare’s Words”,  dal libro con la scritta Shakespeare si dipartono verso destra come  un arco teso che scocca le sue frecce; e in “Existence Shakespeare”, si irradiano ad aureola circolare con al centro il colore blu da un libro recante sulla copertina marrone la scritta “Potrei vivere  nel guscio di una noce e sentirmi il re dello spazio infinito”, dal secondo atto di “Amleto”.

Non finisce qui, le farfalle sono appuntate su tela in “United Kingdom” con la sagoma geografica in cui differenti colori segnano la divisione tra Inghilterra e Scozia, Galles e Irlanda del Nord.

E soprattutto le farfalle compongono il “Ritratto di Wllliam Shakespeare/ Portrait of William Shakespeare”, il più suggestivo omaggio che si potesse immaginare.

Sono farfalle che fanno volare nel cielo dell’immortalità.

Info

Galleria Russo, via Alibert 20. Lunedì ore 16,30-19,30, da martedì a sabato ore 10,00-19,30, domenica  chiuso. Ingresso gratuito. http://www.galleriarusso.com, tel. 06.6789949 – 06.69920692. Catalogo“Shakespeare in Rome”, Manfredi Edizioni, aprile 2016, pp. 72, formato  22 x 22, bilingue italiano-inglese; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.  Cfr. i  nostri articoli: in questo sito per mostre  precedenti della Galleria Russo su Tommaso Ottieri 11 maggio 2015,  e su Roberta Comi il 20 febbraio 2013; in “cultura.inabruzzo.it”  sulle mostre celebrative a Roma di Gogol  16 e 25 novembre 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito).

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra nella Galleria Russo, si ringrazia la galleria con i titolari dei diritti, in particolare gli artisti, per l’opportunità offerta.  In apertura, una bella “enclave” con 4 opere poi riprodotte singolarmente, di Roberta Comi (di fronte), Tommaso Ottieri (a dx e sin) ed Enrico Benetta (al centro); seguono, Tommaso Ottieri, “WS Tempest I” e “WS Tempest III“; poi, Roberta Comi,  “Lady Macbeth”,  “Juliet” e “Ophelia”; quindi, Diego Cerero Molina, “Macbeth” e “William Shakespeare”; inoltre, Massimo Giannoni, “Shakespeare”, e Manuele Felisi,  “A Midsummer Night’s Dream”, e “Caducità”; infine,  Enrico Benetta, “The Merchant of Venice” e “Sonnet”; in chiusura, Michael Gambino, “Shakespeare’s Words” e “Ritratto di William Shakespeare/ Portrait of  William Shakespeare”.