L’età dell’angoscia, dagli imperatori alla Roma del III d.C., ai Musei Capitolini

di Romano Maria Levante

La mostra “L’Età dell’Angoscia”. Da Commodo a Diocleziano”  espone dal 28 gennaio al 4 ottobre 2015  una galleria di 240 reperti, del  periodo dal 180 al 305 d. C., che vide 35 imperatori dei quali sono esposti 92 tra busti e statue, comprese mogli e personaggi; inoltre  affreschi e vasellame, sarcofaghi e rilievi funerari, iscrizioni e plastici di edifici romani.  Realizzazione dei  Musei Capitolini,  insieme a  Mondo Mostre e Zètema Progetto Cultura.  La mostra è a cura di Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presicce, Annalisa Lo Monaco che hanno curato anche  il Catalogo con 135 pagine di 11 accurati saggi, 180  di riproduzioni e 140 di schede tecniche.

Abbiamo presentato la mostra iniziando con il significato del titolo: perché l’età dell’angoscia e non dell’ansietà  nell’ambivalenza dell’espressione inglese“An Age of Anxiety”  cui si richiama?   Quindi ne abbiamo descritto i contenuti rievocando la situazione dell’Impero romano del III  sec. d. C: una forte instabilità politica e un’incertezza diffusa, la minaccia dei barbari ai confini e  un intenso sforzo bellico che squilibrò il bilancio a danno del tenore di vita della popolazione.

Di qui i timori e l’ansia mista ad angoscia, con il ricorso consolatorio a religioni meno rigide e istituzionali che mettevano in rapporto diretto con la divinità, magari attraverso carismatici mediatori, dal Cristianesimo ai culti orientali. L’assetto cittadino e le dimore dei grandi personaggi, con le loro decorazioni statuarie e pittoriche, completano il quadro della vita a Roma nel periodo, che si conclude con i costumi funerari,  venendo considerata la tomba “il luogo che libera dagli affanni”  come si legge in un’iscrizione.

Dopo questa doverosa preparazione, necessaria per la vastità e complessità dei temi sviluppati, inizia la visita ai 240 reperti esposti:  daremo conto delle prime tre sezioni,  i protagonisti, cioè gli imperatori, l’esercito e la città di Roma, rinviando a un momento successivo il resoconto delle altre quattro sezioni, la religione e le dimore private , vita e morte nell’Impero  e i costumi funerari.

I protagonisti, gli imperatori 

La 1^ sezione, “I protagonisti”, contiene 92 reperti scultorei, soprattutto busti e qualche statua,  dedicati agli imperatori e a personaggi maschili e femminili di notevole importanza. E’ una galleria, collocata nel lungo salone dei  Musei Capitolini, che consente di seguire le rappresentazioni del potere imperiale nel periodo considerato, che va  dal 180 al 305 d. C.,  nel quale si sono succeduti ben 35 imperatori, largamente rappresentati nella mostra, con mogli ed eredi al trono..

Una carrellata storica e artistica insieme, attraverso la quale si può penetrare nella logica con cui i sovrani presentavano la propria figura,  valorizzando gli aspetti che ritenevano utile sottolineare dinanzi al popolo,  in relazione alla situazione politica e sociale  peraltro molto mutevole.

“Le numerose statue degli imperatori esposte in contesti pubblici  – esordisce Marianne Bergmann  nell’accurato saggio che ricostruisce  il percorso storico e stilistico del periodo – erano senza eccezioni dedicate a loro come onori. Solo per gli imperatori esistevano funzioni speciali. I ritratti potevano sostituire l’imperatore in funzioni ufficiali o servire come immagini di culto imperiale, che esisteva però sempre fuori Roma”.

Del resto, anche le statue e i busti per altri personaggi del ceto altolocato, come magistrati e militari, benefattori e patrizi, erano considerate “rappresentazioni di status”, cioè onorificenze prestigiose  da esporre in modo visibile come celebrazione  pubblica degli onori legati alla loro posizione.

Per questo motivo i ritratti imperiali seguivano regole ben precise dettate dagli imperatori per sottolineare determinati aspetti del proprio “imperium”; addirittura sembra vi fossero esemplari di gesso come modelli per una  riproduzione fedele di quanto si aveva interesse a mostrare. Questo riguardava anche le persone altolocate che emulavano i modelli imperiali  quando il sovrano era il primo dei senatori, quindi vicino alla gente comune. Si agiva sui caratteri fisiognomici con l’omologazione  nelle acconciature e dei segni dell’età, tanto che si può parlare di “volto d’epoca”.

Non fu più così quando all’insegna di un realismo sempre maggiore, si accentuarono i segni espressivi; mentre  la figura  degli  imperatori con il consolidarsi del potere assoluto assunse connotazioni divine trasmesse nei ritratti scultorei ma non più applicabili alla gente comune.

L’evoluzione in termini generali vede il passaggio da immagini rilassate senza i segni dell’età, con capelli in  morbidi boccoli e lunghe barbe per esprimere uno stile di vita colto e tranquillo, a  nuove forme rappresentative: “Le minacce crescenti all’impero già nel II secolo d.C. accrebbero presso le elites al potere il bisogno di nuove forme di auto-rappresentazione: con capelli e barbe corti che da sobri diventano di una durezza  provocatoria, con rughe ed espressioni energiche che promettevano efficienza operativa”; e non fu soltanto opera  degli imperatori-soldato nominati dalle legioni che operavano ai confini dell’impero. Nei ritratti delle mogli degli imperatori  nessuna trasposizione di questo tipo,  non si dovevano trasmettere contenuti diversi dalla grazia e bellezza muliebre.    

Anche nelle statue, oltre agli aspetti concernenti il ritratto del viso, vi erano delle regole che riguardavano  la veste e le calzature, in relazione alla funzione svolta e alla classe sociale. Per gli imperatori la toga purpurea,  per i militari la toga loricata, in generale la toga contabulata con fasce ripiegate e, prima, il mantello greco, per esprimere gli interessi culturali e filosofici del personaggio.

La galleria iniziale, da Marco Aurelio ai Severi

La galleria imperiale inizia con Marco Aurelio, di cui vediamo un busto da giovane e uno con il mantello militare ma poco marziale, in entrambi i capelli sono ondulati a boccoli per sottolinearne la serenità e lo stile di vita aperto alla cultura. Segue il busto di Commodo come Ercole con torsi di Tritoni,  l’espressione è assorta, l’atmosfera è mitologica. Poi  Commodo venne  ucciso e divenne imperatore Pertinace, per le qualità di amministratore e di militare, espresse dal volto segnato e riflessivo, capelli corti e barba, raffigurazione ben diversa dalle precedenti degli Antonini.

Dopo tre mesi anche Pertinace fu ucciso  e gli successe Settimio Severo: con lui un ritorno alla rappresentazione in voga sotto gli Antonini, con i capelli ondulati, in due busti, quello “tipo dell’Adozione” che ha la stessa corazza e atteggiamento del busto di Claudio Albino, suo rivale alla carica imperiale, e il “busto tipo Serapide”, con una tunica dalle morbide pieghe annodata sulla destra. C’è anche un ritratto e una intera statua della moglie, Giulia Domna,  avvolta fino ai piedi in una tunica con molte pieghe e il  copricapo.

Il suo omaggio agli  Antonini non si limitò a questo, chiamò il figlio Marco Aurelio Antonino,  e lo fece raffigurare da fanciullo come il giovane Marco Aurelio, nel confronto tra delle opere esposte i due ritratti quasi non si distinguono; c’è anche il ritratto da adolescente dell’altro figlio Geta. 

Quando Antonino divenne imperatore con il nome più noto di Caracalla, si fece ritrarre da “imperatore unico” con la stessa immagine giovanile, capelli arricciati corti, espressione decisa, è possibile confrontare anche queste figure; il “busto tipo Tivoli”, invece, mostra un’espressione più distesa. Fu ucciso nel 217 d.C. non in una congiura di palazzo ma nella guerra contro i Parti. Sono esposte anche raffigurazioni di familiari, come il Ritratto di Geta, con gli stessi caratteri.

Per le circostanze della sua morte il successore fu eletto sul campo di battaglia:  la scelta cadde su  Opellio Macrino,  prefetto del pretorio, anch’egli volle richiamarsi agli Antonini dando a sé il soprannome di Severo e al figlio il nome di  Antonino; inoltre cercò di emulare Marco Aurelio negli atteggiamenti e nello stile di vita, nonché nell’interesse per la filosofia.  Lo testimoniano i tre ritratti esposti, nei quali i capelli restano corti, mentre la barba si allunga fino a diventare folta, secondo le raffigurazioni dei filosofi e intellettuali presenti in mostra con quattro busti.

Tornò la dinastia dei Severi con M. Aurelio Antonino, il nome da giovane era  Elagabalo, ne  vediamo un ritratto quasi coincidente con quello di Caracalla, suo presunto padre naturale, e un altro ritratto invece molto diverso, con una differenziazione quasi ostentata..

Morte violenta anche per lui dopo quattro anni di impero , e successione a un cugino , che  prese il nome di  Severo Alessandro, e avendo 13 anni regnò con la madre  Giulia Mamea di cui è esposto un ritratto dall’espressione volitiva; di lui vediamo un ritratto da giovane e uno colossale da adulto.

Gli imperatori senatorii e gli imperatori-soldato

Ucciso dalle truppe ribelli nel 235 d. C., a Severo Alessandro successe il primo nella lista degli imperatori-soldato, Giulio Vero Masssimino, detto Trace dalla sua Tracia, era un militare e non stette mai a Roma nei tre anni di regno troncato dalla sua uccisione; il ritratto si distacca dai precedenti per i tratti irregolari del volto senza barba, l’espressione decisa, una grinta da militare.

I quattro imperatori successivi  furono invece di origine senatoria e i loro ritratti non potevano che essere  di tipo aristocratico,nella barba e nell’ espressione benevola:  in Pupieno  la barba lunga da filosofo, di Gordiano III vediamo un busto giovanile dall’espressione mite anche se con corazza.

Siamo giunti al 244 d.C., si torna agli imperatori-soldato con Filippo l’Arabo, originario della Siria, fino al 248 d. C., e il successore Traiano Decio  fino al 251, che essendo morto in battaglia e non ucciso in una cospirazione, ebbe grandi onori.  I loro ritratti sono molto diversi, quello di Filippo esprime calma fermezza, il ritratto di Decio,  invece, ha i tratti più duri e, per usare le parole della Bergmann, “esprime direttamente o a un meta-livello angoscia e disperazione”.  La studiosa si chiede  se “rispecchiano il sentimento della vita dell’epoca”  oppure se “la sua esecuzione scultorea, come intagliata,  è un segno dell’incipiente declino dell’arte”;  e se “entrambi sono espressioni della crisi del III secolo d. C.”, fino all’ultima alternativa: “O dobbiamo vedere l’espressione di un gusto grezzo di soldati ascesi dalla provincia, in contrasto con quello tradizionale delle classi più alte?”  Di certo si può dire solo che la forma usata è intenzionale e, trattandosi di imperatori-soldato, il ritratto vuol dare la garanzia della forza unita all’esperienza e alla volontà di agire con energia.

Anche due ritratti femminili, di Otacilia Severa e di Erennia Etruscilla mostrano qualcosa di diverso delle rappresentazioni muliebri ispirate alla grazia,soprattutto nel secondo ritratto una piega amara della bocca rende l’espressione del viso contrariata.

Gli imperatori della seconda metà del III sec. d. C.

Siamo alla seconda metà del III  sec. d. C., l’impero è minacciato da più parti, occorre rassicurare il popolo con forme espressive ancora più efficaci. Esercitano la potestà imperiale Valeriano e Gallieno, padre e figlio,  che governano insieme dal 253 al 259 d. C.;  poi,  catturato il primo dai Sassanidi,  resta imperatore da solo Gallieno fino al 268 d.C.  Vediamo un ritratto  di Valeriano  del tipo severiano,  con l’espressione tranquilla come nel primo dei 3 ritratti di Gallieno, mentre gli altri due mostrano diverse  tipologie espressive tanto da non sembrare riferiti allo stesso soggetto, con delle astrazioni formali di tipo geometrico su linee orizzontali e verticali.

Analoga particolarità stilistica nei ritratti dei tre successori di Gallieno, ucciso nel 268 in una cospirazione di militari,  Claudio Gotico (268-270 d. C.), Aureliano (270-275 d. C.) e Probo (276-282 d. c.) che hanno governato con la breve interruzione di due imperatori di transizione. Le linee orizzontali  delle sopracciglia e quelle verticali  dei contorni di capelli e barba nel viso costituiscono una forma di base quasi astratta che fa assomigliare i ritratti le cui particolarità fisiognomiche sono dei dettagli, del resto i tre provenivano dalla stessa regione. Probo aveva interesse ad essere assimilato ai due predecessori, perché Claudio Gotico, morto di peste, era stato divinizzato e Aureliano aveva  acquisito il grande merito di aver unito all’impero la Gallia e l’Oriente.

I ritratti del  successore Carino segnano  il ritorno alle figure precedenti,  con i riccioli e la corta barba, le  linee del volto sono armoniose e l’espressione tranquilla tanto che, osserva la Bergmann, “non conoscendo il personaggio rappresentato, si potrebbe datare il, ritratto a 50 anni prima”.

La  tetrarchia di Diocleziano

E siamo giunti alla tetrarchia di Diocleziano, con i ritratti preparati per lui nel 285 d. C., e per i Tetrarchi dal 293 d. C. in poi.  Anche qui si agisce sull’espressività ma non più mediante stilizzazioni astratte bensì con vere e proprie deformazioni  dei visi solcati da rughe e con una mimica  accentuata  che ne sottolinea i tratti individuali: in Costanzo Cloro la bocca,il  mento e lo zigomo sono molto particolari, si ritrovano nei ritratti del figlio Costantino.  Sono esposti sei ritratti singoli di tetrarchi e due a coppie, tra questi il ritratto in porfido di Galieno.

Un aspetto caratteristico  è  la somiglianza tra il tetrarca e il Cesare più giovane designato per la successione,  espressione visiva della stretta intesa che doveva esservi; un altro aspetto è  la diversità di stile tra i ritratti prodotti in Oriente e quelli in Occidente, tanto che per lo stesso imperatore si trovano fattezze molto diverse;  questo avveniva sebbene si ricercasse l’omogeneità attraverso modelli precostituiti dovendo governare insieme, sia pure ai due estremi dell’impero; soprattutto quando le statue onorarie dei quattro tetrarchi venivano realizzate ed esposte insieme.

Ma ci sono due elementi di portata più generale.  Il primo è il raggiungimento, attraverso “guerre condotte felicemente”, di  quello che veniva definito  uno “stato del mondo indisturbato, adagiato nella quiete di una pace profonda”; il secondo, che ne è la logica conseguenza,  il definitivo affermarsi nell’iconografia ritrattistica  di una rappresentazione scopertamente monarchica, non più velata dal rispetto formale per il Senato, con un particolare abbigliamento e le insegne imperiali. A questo fine fu adottato largamente il porfido rosso, di provenienza egiziana, così l’imperatore sembrava fosse impregnato di porpora. Venivano usate  pietre preziose  e si impiegava  la pittura sul porfido per far risaltare sul rosso della pietra componenti  del viso come occhi e barba.

La galleria si conclude con il ritratto colossale di Massenzio, dall’espressione tranquilla. Seguirà la rivoluzione di Costantino nel 310 d. C., con la fine della Tetrarchia  e l’adozione di un  ritratto carismatico  con il ritorno alla classicità nei capelli riccioluti lunghi e nell’espressione placida e solenne; inoltre il volto del sovrano resterà sempre giovane, come quello di Augusto, scelta che verrà seguita fino al Medioevo.

Conclude la Bergmann: “Presto le persone comuni ritennero che l’iconografia di questo ritratto non potesse più essere adottata, e quindi si giunse alla separazione tra il ritratto imperiale carismatico, immobile e senza età, e quello dei ritratti privati ‘realistici’, di età tardo-antica”.

I ritratti privati  e la statuaria nuda

Sono esposti soprattutto busti e ritratti femminili e maschili, ma non mancano le statue. Nei  7 Ritratti femminili notiamo la folta capigliatura, in genere ondulata, l’espressione assorta e, nei busti,  le vesti modellate in  pieghe;  in un busto,  l’espressione e  l’abbigliamento richiamano  l’immagine istituzionale dell’Italia turrita, anche se i capelli annodati su due livelli non recano le torri dell’iconografia nazionale.

Dei 25  Ritratti maschili,  6 raffigurano filosofi e intellettuali dalle lunghe barbe, 10 sono  per lo più generici, 1 di auriga, 3 di personaggi togati di cui una statua in armi, e infine 5 statue di nudi, di cui 2 cacciatori e 2 armati.

Riguardo alla tendenza verso la statuaria nuda, presente sin  dall’età adrianea, Matteo Cadario afferma: “Essa interpretava al meglio l’esigenza di illustrare le qualità individuali (virtus) degli onorati, qualità che trovavano del resto uno spazio sempre maggiore  anche nelle epigrafi dedicatorie contemporanee, a discapito proprio dei meriti civici e del rango illustrati invece dai tipi statuari tradizionali”.  Anche gli imperatori richiesero statue nude accanto a quelle equestri, in una “imitatio Alexandri” evidente in Settimio Severo e Caracalla, in mostra è esposta la statua-ritratto di Triboniano Gallo, che nella possanza e nell’ampio gesto ricorda i bronzi di Riace.

L’esercito imperiale e la città di Roma

“Imperatori e l’esercito”  si intitola  la 2^ Sezione,  ma per gli imperatori,  dopo  il profluvio di ritratti e statue imperiali della 1^ sezione, è esposto soltanto il rilievo raffigurante una Quadriga con Settimio Severo e i figli Caracalla e Geta; a parte 2 busti maschili loricati, abbiamo5 stele con soldati dotati di lancia e scudo. 

La questione dell’esercito, poco rappresentato in mostra, è sviscerata da Alexandra Busch  nel saggio  in Catalogo, del quale ci limitiamo a segnalare una notazione  che può sembrare paradossale nella fase in cui l’angoscia era per la minaccia esterna: “Negli  scritti di Cassio Dione ed Erodiano è chiaro come i membri dell’èlite senatoria abbiano registrato l’aumento della forza militare e ne abbiano osservato gli sviluppi con grande preoccupazione, poiché la loro stessa posizione ne poteva risultare compromessa. Da ultimo Settimio Severo aveva persino eletto a senatori alcuni dei militari. La crescente presenza militare nella capitale fu perciò percepita come una minaccia”..

E siamo alla 3^ sezione, “La città di Roma”, anche qui pochi reperti esposti i quali servono più a ricordare il tema che ad illustrarlo. Sono alcuni frammenti che evocano la “Forma urbis Romae”, dal Porticus Liviae e  dal tempio di Diana, vi sono delle iscrizioni e delle planimetrie. Poi 4 modelli, tre  riproducono l’Arco di Costantino, la  Porta Asinaria e quella degli Argentari, il quarto un’aula  a pianta ottagonale delle Terme di Caracalla.

Si  tratta di rapide citazioni  di un tema, a cui è dedicato nel Catalogo il saggio “Roma nel III secolo d. C.: la città al tempo della crisi”, di Domenico Palombi. Viene ricordato che dopo  la saturazione monumentale e infrastrutturale da Domiziano ad Adriano e “l’età dell’oro” di Antonino Pio iniziò il periodo di crisi che pose fine all’impero “umanistico” degli imperatori filosofi i quali crearono centri di cultura, scuole e biblioteche, in una concezione di “urbanitas” di tipo ellenistico.

Nella nuova fase, osserva lo studioso, “accanto alle nuove costruzioni dettate da specifiche motivazioni ideologiche e politiche, emerge una particolare attenzione alla conservazione e al restauro dell’immenso patrimonio monumentale preesistente, consapevolmente riconosciuto  come testimone della storia e dell’identità di Roma quale caput imperi e sede legittima (e legittimante) del potere imperiale. Si osserva, altresì , un incremento costante delle infrastrutture utilitarie al servizio della popolazione, con particolare attenzione a quelle idriche e annonarie”.

Dopo “I protagonisti”, cioè gli Imperatori, “Gli Imperatori e l’esercito” con particolare riguardo a quest’ultimo,  e “La città di Roma”, siamo giunti alle successive 4 sezioni della mostra, su “La Religione”  e “Le Dimore private”, “Vivere e morire nell’impero”  e “I costumi funerari”.  Le racconteremo prossimamente.

Info

Musei Capitolini,  Piazza del Campidoglio 1, Roma. Tutti i giorni ore 9,30-19,30. Ingresso intero euro 15,00, ridotto euro 13,00, per i residenti 2 euro in meno, gratis minori di 6 anni e portatori di handicap e un accompagnatore. Tel. 060608; http://www.museicapitolini.org/. Catalogo  “L’Età dell’angoscia. Da Commodo a Dioleziano (180-305 d. C.)”, a cura di Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presicce, Annalisa Lo Monaco, 205, pp.  469, formato  24 x 28,5, dal catalogo sono tratte le citazioni del testo.  Il primo articolo è uscito in questo sito il  31 luglio 2015, il terzo e ultimo articolo uscirà il  22 agosto.  Cfr. per la precedente mostra citata su “L’Età dell’equilibrio” i nostri due articoli: in questo sito il 26 aprile 2013 e in http://www.antika.it/ nell’aprile 2013 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito).

Foto

Le immagini sono state riprese ai Musei capitolini da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione, in particolare Zétema Progetto Cultura e MondoMostre, con i titolari dei diritti,  per  l’opportunità offerta. Sono  immagini rappresentative dei reperti esposti nelle prime sezioni della mostra relative, in particolare, ai Protagonisti  (foto da 1 a 7), agli Imperatori e l’esercito  (foto 8 e 9); in chiusura  uno scorcio della Galleria dei Busti (foto 10).