di Romano Maria Levante
Alle Scuderie del Quirinale, dall’11 ottobre 2014 al 18 gennaio 2015 la mostra “Memling. Rinascimento fiammingo” espone per la prima volta in Italia le opere del maestro olandese ricomposte con i prestiti dei più grandi musei, e compie un prezioso lavoro di approfondimento sugli influssi del Rinascimento fiammingo sul Rinascimento italiano. La mostra, organizzata dall’Azienda speciale Expo con Arthemisia e la collaborazione di Flemish Art Collection of Fine Arts, è curata da Till-Holger Borchert, curatore del Memling Museum di Bruges, che ha curato anche il Catalogo Skira nel quale sono riportati saggi sui rapporti con l’Italia del Rinascimento fiammingo. Dal 22 ottobre al 10 dicembre sono in programma 6 incontri, a cadenza settimanale, il primo con il curatore, sui temi della mostra, come i rapporti con la pittura italiana, la committenza, e il paesaggio dipinto; inoltre gli “Spot! 20 minuti un’opera”, il 14, 19 novembre, 20 gennaio 2015.
La mostra nella presentazione di Franco Bernabè
“Una mostra di rara bellezza e di grande qualità” l’ha definita il presidente dell’Azienda speciale Expo da cui dipendono le Scuderie del Quirinale e il Palazzo delle Esposizioni, Franco Bernabè, il 10 ottobre 2014 nel presentare l’esposizione, consigliando di vederla due volte per poter apprezzarne meglio i particolari e la qualità delle opere. A prima vista sembra fuori dai binari delle mostre delle Scuderie, sugli “Old Masters”, maestri italiani e maestri stranieri vissuti in Italia. Messling non è mai stato nel nostro paese ma la sua pittura ha una notevole vicinanza con la nostra, il Rinascimento fiammingo ha anticipato il Rinascimento italiano, influenzandolo notevolmente. Si è avuta anche l’azione decisiva dell’alta borghesia italiana, in testa i grandi banchieri, come committenti del maestro di Bruges, dove si trovava una vasta e ricca comunità originaria dell’Italia.
Bernabè ha indicato anche altre motivazioni della mostra, in primis “la grande qualità e l’alto impatto culturale” che ha fatto accettare il rischio di presentare per la prima volta l’artista nel nostro paese, in coerenza con la programmazione pluriennale delle “Scuderie”. E al riguardo ha ricordato le mostre alle Scuderie dal 2006 su Antonello da Messina, Giovanni Bellini e Filippino Lippi.
Infine la presidenza semestrale dell’Unione Europea affidata all’Italia: cosa di meglio che celebrarla con un artista che esprime “la contaminazione tra l’arte italiana e l ‘arte europea” fonte di tanti grandi capolavori? Nella prima parte della mattinata c’era stata la visita del Presidente della Repubblica a dare maggiore solennità all’evento e a sottolinearne questo particolare aspetto.
La mostra ha consentito di ricostituire l’unicità dei famosi Trittici le cui componenti sono in diverse sedi museali, come di effettuare 10 importanti interventi di restauro su opere delicatissime e di approfondire il tema dei collegamenti e degli influssi tra le scuole artistiche in campo europeo: motivi permanenti di interesse e di validità che vanno ben oltre il tempo espositivo.
Fin qui il presidente Bernabè, da parte nostra possiamo dire che nel visitare la mostra ci è parso del tutto appropriata la definizione di “rara bellezza e grande qualità”: il tratto pittorico e cromatico dell’artista è tale da dare alle composizioni una precisione, chiarezza e espressività notevoli, sia nei piccoli ritratti sia negli spettacolari Trittici. E ci siamo trovati a visitarla veramente due volte, per soffermarci meglio sui particolari delle opere, alcune delle quali di portata narrativa coinvolgente.
L’allestimento valorizza queste positive caratteristiche, la penombra dell’ambiente espositivo è rischiarata dai fasci di luce sui dipinti come l’occhio di bue sulle “star”, le opere sono distribuite in ampi spazi nelle 7 Sezioni che scandiscono il percorso artistico e umano con appositi cartelli illustrativi: è come se si dipanasse una storia narrata da opere di forte impatto visivo, con didascalie luminose e con discrete quanto documentate schede per le più importanti. Allestimento magistrale !
Il contesto ambientale e artistico
Sembrerà strano che un simile artista ancora nel 1953 fosse definito “grande maestro minore” da Erwin Panofsky, un ossimoro apparente perché l’accento è sul “minore” piuttosto che sul “grande maestro”, in quanto ritenuto mediocre discepolo del famoso Rogier van der Weisen, il più importante artista di Bruxelles, cosa peraltro rimasta incerta; eppure nel 1540 un dotto di Bruges lo aveva definito “il più dotato ed eccellente pittore dell’intero mondo cristiano”. Soltanto nel 1994, nel 500° anniversario della morte, la grande mostra della sua città Bruges che espose metà di tutti i dipinti pervenuti consentì la totale rivalutazione della sua arte, fino alla successiva mostra itinerante per l’Europa del 2005 dopo 20 anni di approfondimenti che lo hanno qualificato tra i più grandi maestri fiamminghi e i ritrattisti più esperti del Rinascimento.
Originario della Germania, nato presso Francoforte, dovette compiere il tirocinio di 4 anni, ma non si hanno notizie delle visite di formazione alle città, tranne dei segni di presenza a Colonia, la cui cattedrale con le gru appare in alcune sue opere. Nel gennaio 1465 si trasferisce a Bruges dove acquista la cittadinanza forse per iscriversi alla corporazione dei pittori nella quale rimase fino alla morte nel 1494; era nato in una data imprecisata, la più probabile è il 1440.
Vasari lo ricorda apprendista di Rogier van der Weyden a Bruxelles dal 1459-60 fino alla morte del maestro nel 1464, ma restano molti dubbi, non è ritenuto attendibile sui fiamminghi e non ci sono documentazioni certe; d’altra parte le opere di Memling, tranne due, non sono datate e molte neppure firmate, cosa che ha posto notevoli problemi di attribuzione. Né sono sufficienti per farne un discepolo le analogie del Trittico del suo “Giudizio Universale”, oltre che di altri Trittici, con le pale del maestro sullo stesso tema, anche perché le opere erano state tolte dallo studio diversi anni prima del presunto arrivo di Memling e vi sono notevoli differenze; inoltre erano disponibili ovunque, quindi alla sua portata, disegni e riproduzioni delle opere di van der Weyden.
Più che a Van der Weyden di Bruxelles viene accostato a Van Eyck e Christus, i più famosi pittori di Bruges, i cui influssi si notano sia nelle rappresentazioni della Madonna sia nella ritrattistica, in particolare negli sfondi semplici e in quelli paesaggistici, nei dettagli e nell’ambientazione.
Memling ebbe una bottega molto prolifica a Bruges, con diversi assistenti che svolgevano un ruolo importante. La società cittadina era dedita ai traffici, da Bruges venivano esportate merci raffinate, dai velluti ai broccati, che troviamo in molti dipinti; era anche amante delle arti, quindi ricca e colta, l’ambiente ideale. Si moltiplicavano le committenze di quadri da parte di facoltosi borghesi, tra cui molti italiani della comunità locale, in cui vi era un Banco Mediceo diretto in successione da due banchieri fiorentini, Angelo Tani e Tommasi Portinari, che favorirono le relazioni con l’Italia, li troviamo tra i committenti. Oltre ai ritratti venivano commissionati i trittici devozionali: grandi per le cappelle, tra i più spettacolari il “Trittico Moreel” del 1494; piccoli e portatili per uso privato.
Degli ultimi anni sono i dipinti di maggiori dimensioni, come la “Pala della passione” e la “Pala Nàjera”, di 3 e 7 metri di larghezza, a riprova che mantenne fino all’ultimo notevole vitalità, grande fama e presa sulla committenza: tali opere sono del 1989-91, l’artista morirà nel 1994.
L’arte di Memling e l’influenza sulla pittura italiana
Tra l’Italia e le Fiandre si intrecciavano legami economici e finanziari; tra Bruges e Gand da un lato, Firenze e Genova dall’altro fiorivano gli scambi. Il realismo che nel Rinascimento italiano si esprime nel segno della prospettiva geometrica, nel Rinascimento fiammingo predilige la mimesi naturalistica, il cromatismo e la luminosità: di qui gli scambi e le contaminazioni. Della pittura fiamminga colpiva l’imitazione della natura ritenuta il principale criterio dell’arte; il realismo e la precisione dei dettagli, sue caratteristiche salienti, erano particolarmente apprezzati per la loro “verosimiglianza”, tanto che dei ritratti di Van Eyck si disse che “manca solo il respiro”, e piacevano gli effetti cromatici e luminosi. Queste peculiarità erano possibili per l’uso della nuova tecnica dei “colori ad olio” che dava precisione alla raffigurazioni naturali e realistiche ed era molto più versatile, brillante e luminosa della tradizionale “tempera all’uovo” degli artisti italiani.
Nell’approfondire l’influenza di Memling sulla pittura italiana sono stati evidenziati i caratteri peculiari di questo artista e del Rinascimento fiammingo di cui è un vero protagonista, caratteri che ritroviamo nell’arte a Firenze e altrove, e furono anche i motivi del grande successo e della ricca committenza soprattutto italiana, stimata pari al 20% di quella complessiva; Memling era il pittore fiammingo più presente in Italia con le sue opere. Per le sue peculiarità, l’arte fiamminga esercitava una forte attrazione, i pittori fiamminghi erano chiamati nelle corti italiane, e gli artisti italiani andavano nelle botteghe fiamminghe, principi e ricchi borghesi acquistavano e commissionavano opere che entrate in Italia influenzavano gli artisti locali che le potevano conoscere da vicino
La penetrazione nel nostro paese – soprattutto a Firenze e Venezia – dell’arte fiamminga nella interpretazione di Memling, fu molto rapida. D’altra parte si è trattato di un processo biunivoco, l’artista cercava a sua volta di aderire alle aspettative della committenza in atto e potenziale, quindi egli stesso era influenzato dal gusto degli italiani, tenendo conto che doveva farsi preferire ai concorrenti molto attivi a Bruges; ciò viene rilevato in particolare nei ritratti e nella scelta dei paesaggi di sfondo, derivanti dalla committenza italiana e spesso ripetuti in dipinti italiani. Osserva il curatore: “Non erano solo i membri della nazione fiorentina o veneziana a richiedere ritratti impreziositi dai paesaggi tanto ammirati in patria, ma esisteva anche una vivace domanda locale”.
Non si pensi a un‘omologazione, gli sfondi dei ritratti vanno dalla forma più semplice e neutra a quella paesaggistica a diversi livelli di dettaglio, forse decisi con il committente anche in base al prezzo. Quindi convivevano le varie forme, anche a seconda dell’utilizzazione: gli sfondi neutri o monocromatici per far risaltare la figura, a fini memoriali e funebri, mentre gli sfondi paesaggistici aggiungevano alla figura un elemento spettacolare. Anche le opere devozionali, di carattere sacro ma destinate spesso a cappelle private, hanno queste caratteristiche, cui si aggiunge in alcuni casi l’aspetto narrativo, per Memling e per ad altri artisti di Bruges vissuti nello stesso periodo.
Lo scopo era dare lustro al proprietario committente, le opere erano oggetti da collezione e insieme da esibizione, tipico il caso dei banchieri Tani e Portinari che gli commissionarono dei Trittici, il primo su “Il Giudizio Universale”, il secondo su “La Vergine e san Benedetto”, e una pala, sempre con funzioni celebrative e penitenziali; Portinari invitò perfino Lorenzo il Magnifico a Bruges.. A questi si aggiungono i distici devozionali, con il donatore e le figure sacre viste come miniature.
Un aspetto particolare della produzione di Memling è dato dal fatto che molte opere si basano su un certo numero di composizioni standard combinate di volta in volta in immagini nuove secondo le richieste dalla specifica committenza; lo si vede ad esempio nella posizione delle mani che torna con frequenza, presumibilmente presa da cartoni di bottega, come nelle raffigurazioni della Madonna in cui la figura della Vergine e la sua collocazione sembrano frutto di composizioni che utilizzano elementi precostituiti mutando di volta in volta soggetto, posizione e ambientazione.
Le sue raffigurazioni sono spesso delle narrazioni, ma l’intento non è solo illustrativo: sono intese come espressione di pietà religiosa nello spirito di una moderna “devotio” perché i fedeli si potessero immedesimare dinanzi a quella che voleva essere una testimonianza veritiera dei fatti evangelici. Questo contenuto sentimentale, tipico dell’arte fiamminga, era apprezzato soprattutto dalla committenza di élite in quanto cercava di rappresentare l’anima oltre all’aspetto esteriore curato con la precisione del tratto e la cura nei dettagli.
In occasione della mostra è stato approfondito l’influsso dei fiamminghi sugli artisti italiani. Scrive il curatore: “Colori, realismo dei particolari, ritratti e paesaggi: questi gli elementi, particolarmente elogiati negli scritti italiani, che determinano anche la ricezione dei primitivi nederlandesi nelle opere di maestri fiorentini, veneti, lombardi e napoletani. Tutti costoro accolsero le bizzarre formazioni rocciose di Van Eyck, come pure la posizione di tre quarti caratteristica dei ritratti fiamminghi che, nel Quattrocento italiano, venne ad affiancare la resa rigorosamente di profilo. Anche la lucentezza dei colori fiamminghi fu imitata in Italia; un effetto che tuttavia non veniva raggiunto per assimilazione della tecnica, ma semplicemente attraverso un’imitazione meticolosa”.
Nel Catalogo vengono passati in rassegna i principali richiami sotto il profilo stilistico di opere di artisti italiani con i fiamminghi, Memling in particolare, nelle diverse forme espressive.
Elementi del “Ritratto di uomo con una moneta romana”, committente il diplomatico veneziano Bembo, li ritroviamo in Botticelli nel “Ritratto d’uomo con medaglia di Cosimo il Vecchio” e nella “Ginevra de’ Benci” di Leonardo sia per la posizione di tre quarti sia per lo sfondo paesaggistico. “E’ possibile – scrive Paula Nuttali – che Memling abbia sviluppato questa formula per venire incontro ai gusti della committenza italiana, dal momento che il paesaggio costituiva uno degli aspetti della pittura fiamminga più ammirati in Italia. Non è certo casuale che la maggior parte dei ritratti di italiani eseguiti da Memling includa un paesaggio sullo sfondo, e che quella formula di per se stessa esercitò un’influenza radicale e ‘trasformativa’ sulla ritrattistica locale, venendo ampiamente adottata dagli artisti italiani nell’ultimo quarto del secolo e rimanendo in auge anche all’inizio del secolo successivo”.
Tra loro il Perugino – si cita il ritratto di “Francesco delle Opere” – e persino Leonardo nel paesaggio di sfondo della “Gioconda” e Raffaello nei suoi “Dama con il liocorno” e “Madonna col Bambino”, ispirati, si afferma, al Trittico di Benedetto Portinari; così altri minori. “Le citazioni dirette dei paesaggi di Memling – prosegue la Nuttali – non sono inusuali nella pittura italiana di questo periodo, potrebbero forse costituire una forma di omaggio al maestro fiammingo, interpretato dai vari pittori italiani con intento virtuosistico e ostentativo delle proprie capacità”. Ritroviamo i motivi del mulino e delle rocce del Trittico di Pagagnotti in una serie di opere dai “Santi Paolo e Frediano” di Filippino Lippi alla “Pietà” e “Ritratto d’uomo” di Giovanni Bellini fino a “San Giorgio e il drago” e “Sacra Famiglia con l’agnello” di Raffaello.
Alla difficoltà da parte degli artisti italiani di conoscere opere – come il ritratto per Bembo e i Trittici di Portinari e Pagagnotti – strettamente private, quindi non esposte al pubblico, si controbatte che alcuni di loro erano in contatto con i committenti di Memling, e che per gli altri “è più verosimile che tali citazioni derivassero invece da un disegno o da una copia tratta dall’originale e poi divulgata nella cerchia delle botteghe fiorentine per poter adeguatamente rispondere alla crescente richiesta di sfondi paesaggistici ‘alla fiamminga’. Il successo dei paesaggi di Memling raggiunse l’apice nella Firenze di tardo ‘400 e inizio ‘500 quando era quasi un obbligo per i pittori includere sfondi paesaggistici secondo il suo stile”. Per il paesaggio il “Trittico Galitzin” del Peugino, cioè la “Crocifissione con la Vergine, san Giovanni Evangelista, san Gerolamo e Maria Maddalena” , 1485 circa, “è spesso considerato un esempio paradigmatico dell’influenza di Memling sulla pittura italiana di paesaggio”.
Oltre che per il ritratto e il paesaggio, gli artisti italiani si ispirarono ai fiamminghi, e a Memling in particolare, nella pittura devozionale, cui questi ultimi erano più portati, come osservava Vittoria Colonna nel 1546: “Il dipingere di Fiandra mi sembra più devoto che il modo italiano”. D’altra parte, nelle opere religiose di uso privato, come quelle di Memling, era fondamentale creare l’atmosfera adatta alla contemplazione e alla preghiera trasmettendo all’osservatore il “pathos” dei personaggi raffigurati. Si tratta della “maniera devota”, di cui un esemplare particolarmente efficace è il dittico di Memling con “Cristo benedicente” e “Mater dolorosa”, tanto commovente e verisimile da influenzare il Ghirlandaio sicché il dipinto fu ritenuto a lungo opera del fiammingo.
Un’influenza dell’arte fiamminga viene trovata anche nel nudo femminile, anche se sono pochi gli esemplari conosciuti, per Memling il “Trittico della vanità terrena e della salvezza divina”, con l’immagine della Vanitas o Lussuria in posa provocatoria; a questa è accostata l’opera altrettanto allegorica di Giovanni Bellini, che successivamente tornerà nel nudo a uno stile più tradizionale; nudi soprattutto nel Trittico del “Giudizio Universale” che per le loro forme filiformi abbiamo associato al Rinascimento nordico e freddo di Cranach.
Gli influssi italiani recepiti da Memling
Abbiamo accennato che gli influssi non sono stati a senso unico, dati gli intensi scambi tra le Fiandre e l’Italia che si svolgevano a diversi livelli.
Vi erano scambi di artisti con la presenza di italiani nelle botteghe delle Fiandre e i viaggi degli olandesi nel nostro paese, ma non solo. Data la prevalente committenza italiana venivano portate a conoscenza opere di artisti italiani o motivi che si voleva fossero contenuti nel dipinto da realizzare, e poiché Mermling tendeva ad assecondare la committenza, osserva la Nuttali, “sembra sia stato il primo a incorporare motivi e modelli italiani nelle proprie opere”. E quando si evidenziano nei suoi dipinti gli elementi che si ritrovano in artisti italiani, in molto casi ci si accorge che Memling “utilizza una iconografia spiccatamente italiana”, come in “San Girolamo nel deserto” del Perugino e Pinturicchio che richiamano “San Girolamo penitente” dell’artista fiammingo il quale si è ispirato a opere sul santo che il committente deve avergli mostrato.
Sull’influsso italiano vengono portate varie prove, come i putti e le statuette nude del “Trittico Pagagnotti” più vicini alla tradizione italiana di stampo classico che a quella fiamminga, e la decorazione architettonica come le piccole palme di ispirazione classica. Dinanzi a queste evidenze la Nuttali osserva: “La presenza congiunta di un certo numero di motivi fortemente italianizzanti in un dipinto commissionato da un fiorentino non è casuale; tuttavia non è certo se essi siano stati inclusi dietro richiesta dell’eminente Vescovo di Firenze o su iniziativa del pittore, il quale ha forse voluto fare sfoggio di tutta la propria abilità nel competere con l’arte italiana o l’arte antica in una sorta di ‘paragone'”. In ogni caso questo dimostra come Memling fosse aperto alle idee italiane, che lo hanno influenzato nel momento stesso in cui esercitava la sua influenza sull’arte italiana.
Così conclude: “Hans Memling, l’ultimo dei grandi fiamminghi ad aver esercitato un impatto rivoluzionario sull’arte italiana, fu anche il primo ad aprire la porta, lasciandola socchiusa, al Rinascimento italiano”.
Le sezioni della mostra
Ce n’è quanto basta per convenire con i motivi esposti da Franco Bernabé sulla presenza di Memling alle Scuderie sebbene non sia italiano né avesse operato in Italia: è come se lo avesse fatto, tanta e tale è stata la sua influenza sull’arte italiana e l’influsso italico da lui stesso recepito.
Tutto questo è reso compiutamente anche mediante confronti con opere consimili, alcune le abbiamo citate. In apertura due piccoli ritratti-simbolo particolarmente preziosi, uno maschile e uno femminile, poi gli esordi con la “Deposizione” di van der Weyden insieme al suo “Trittico per Jan Crabbe”; seguono i grandi Trittici di committenza italiana, e la sezione dedicata ai piccoli Ritratti, quindi la pittura di narrazione, e straordinarie composizioni come quella sulla “Passione”.
Spettacolare la sezione sulla pittura devozionale, grandi Trittici per cappelle private e piccoli Trittici e quadretti per l’uso personale anche in viaggio; sono posti a confronto con artisti a lui coevi, rimasti ignoti ma con i nomi legati alle loro opere più rappresentative.
Ricordiamo i tre grandi trittici, di Adriaen Reins di Bruges, della Resurrezione del Louvre e il Trittico Pagagnotti ricomposto nelle componenti degli Uffizi e della National Gallery.
Non resta che visitare la mostra dopo aver fatto tesoro degli approfondimenti da noi fin qui riassunti, che consentono di apprezzare i collegamenti con l’arte italiana e i reciproci influssi.
L’abbiamo visitata due volte, la racconteremo prossimamente da cronisti effettuando una carrellata delle opere esposte e cercando di trasmettere le sensazioni e le emozioni che abbiamo provato.
Info
Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio 16, Roma. Tutti i giorni, da domenica a giovedì ore 10,00-20.00; venerdì e sabato 2 ore e mezza in più, fino alle 22,30; entrata ammessa fino a un’ora prima della chiusura. Ingresso intero euro 12,00, ridotto per le categorie ammesse euro 9,50, tra 7 e 18 anni euro 6,00, riduzioni speciali per scuole e gruppi. Tel. 06.39967500 e 848082408. Catalogo “Memling. Rinascimento fiammingo”, a cura di Till-Holger Berchet, Skira, 2014, pp. 248, formato 24 x 31, dal quale sono state tratte le citazioni del testo. Il secondo articolo conclusivo, con altre 10 immagini, uscirà in questo sito il 10 dicembre 2014. Per le mostre precedenti citate nel testo cfr. i nostri articoli: in questo sito su Filippino Lippi il 26 giugno 2013; in “cultura.inabruzzo.it” su Giovanni Bellini il 4 febbraio 2009, sui Pittori fiamminghi e olandesi alla Fondazione Roma il 9 febbraio 2009, su “Cranach, l’altro Rinascimento” alla Galleria Borgese il 10 e 11 febbraio 2011.
Foto
Le immagini sono state fornite dall’Azienda speciale Expo, si ringrazia l’Ufficio stampa per la cortesia. Di Memling, in apertura, “Ritratto di donna (frammento)”, 1480-85, Rhode Island; seguono “Madonna col Bambino in trono e due angeli musicanti“, 1465-70, Kansas City, e “Ritratto d’uomo”, 1470-75, New York, poi “Passione di Cristo”, 1470, Torino, e “Trittico di Adriaan Reins”, 1480, Bruges, quindi “Trittico di Jan Crabbe“: Crocifissione con Jan Crabbe”, pannello centrale, Vicenza, e “Annunciazione”, verso degli scomparti laterali, Bruges, infine Cristo benedicente”, 1985, Genova, e “Madonna col Bambino”, 1485, Lisbona, in chiusura, di Rogier van der Weyden (e aiuti), “Compianto sul Cristo morto”, 1480, Firenze.