di Romano Maria Levante
A Roma, al Museo dell’Ara Pacis, il 16 settembre 2014 è stato presentato il 2° Rapporto su “L’arte di produrre Arte”, a cura di Pietro Antonio Valentino, realizzato dal Centro studi “G. Imperatori” dell’Associazione Civita presieduta da Gianni Letta con il contributo e la collaborazione della Fondazione Roma-Arte-Musei, la sezione dedicata all’arte della Fondazione Roma presieduta da Emmanuele F. M. Emanuele. Il rapporto che segue il precedente del 2012 “Imprese culturali a lavoro” approfondisce l’aspetto particolare delle “Imprese italiane del design al lavoro”, sottolineando la vitalità del comparto rispetto allo scenario europeo dopo un’ampia analisi sull’Industria Culturale e Creativa in complesso di cui vengono documentati i segni di grave crisi.
Prima di dare qualche cenno sui risultati della ricerca nelle due prospettive, generale per l’ICC e particolare per il design, ci preme sottolineare quanto detto in apertura del convegno dai Presidenti dei due organismi realizzatori, perché rappresenta un vero e proprio manifesto per la ripresa di un settore basilare della nostra economia, al punto che si è parlato anche di PIC, Prodotto Interno Culturale, come indicatore di sviluppo più adeguato nel nostro paese del Prodotto Interno Lordo.
Civita e Fondazione Roma hanno collaborato sul piano operativo e delle risorse in un’unità di intenti e di azione concreta che dà loro un ruolo di punta nella collaborazione pubblico-privato ritenuta la formula portatrice di fecondi risultati suscettibile di essere estesa ben oltre le limitate sperimentazioni attuali. L’intervento dei due presidenti ha mostrato l’assoluta sintonia sul piano strategico e propositivo cui si unisce la attuazione pratica in iniziative comuni cui il 2° rapporto fornisce un apreziosa cornice analitica.
L’impostazione di Civita, parla il presidente Gianni Letta
Gianni Letta, presidente di Civita, ha preso avvio dai dati del Rapporto che evidenziano come l’Industria Culturale e Creativa risenta pesantemente della crisi che ha colpito l’assetto produttivo. “Il nostro – ha detto – è un paese sull’orlo del declino che arretra e deve trovare la forza per il riscatto, per la ripresa dello sviluppo. Può e deve riprendersi valorizzando cultura e arte coniugate insieme, il migliore investimento in un paese il cui capitale culturale e artistico è unico al mondo. E’ un capitale che non può oggetto, come per altri settori, di delocalizzazione né di estinzione, anche se andrebbe conservato meglio di come avviene”.
La ricerca, volta a documentare senza enfasi né pretesa di dare soluzioni, offre informazioni e dati frutto di analisi approfondite che fotografano il settore e aiutano a risolvere i problemi evidenziati. Ha reso merito a Ruberti, il direttore di Civita anima dell’iniziativa, e ai precedenti presidenti Imperatori e Maccanico che hanno dato corso alla realizzazione del progetto ideato con lungimiranza; e ha sottolineato l’importanza decisiva del contributo del presidente della Fondazione Roma che ha reso possibile l’iniziativa.
Ma non si è trattato di un mero riconoscimento per una collaborazione pur fondamentale, Letta ha ricordato come il presidente Emanuele abbia teorizzato per primo, dal 2011, l’importanza decisiva del rapporto pubblico-privato e abbia impresso operativamente alla Fondazione da lui presieduta quella svolta che soltanto adesso viene attuata anche dalle altre fondazioni, ma che lo vide allora solitario e coraggioso innovatore. Il privato, inteso come imprese e fondazioni, è in grado di sostituire il pubblico in molti servizi, con “più società e meno Stato”, la formula su cui si basa il “terzo pilastro”. Dalla teorizzazione alla pratica, Emanuele con la sua Fondazione Roma è stato all’avanguardia, ha proseguito Letta, “abituato a guardare avanti prima degli altri che solo dopo lo hanno seguito. Nelle fondazioni ha visto in anticipo su tutti, ora le fondazioni bancarie sono uscite dalle banche, lui ne uscì per primo perché intuì in solitudine quello che dopo anni ha costretto altri a seguirlo”. Grazie a quella scelta ha ottenuto grandi risultati con la gestione illuminata di interventi in un settore fondamentale nel settore culturale che ritiene basilare anche per lo sviluppo economico. “Un settore non sempre messo a frutto, ma Emanuele da buon banchiere sa che i capitali devono essere messi in condizione di fruttare e al meglio come i talenti. Dalla collaborazione pubblico-privato può venire la valorizzazione del patrimonio immenso di cui l’Italia dispone per trarne le risorse in grado di far tornare il paese ai primi posti in settori fondamentali dove oggi arretriamo. Civita è nata per questo 25 anni fa, ma c’è il problema di risorse: per superarlo la via obbligata è il rapporto pubblico-privato, ora tutti ne parlano ma pochi lo realizzano in concreto”.
Dopo il secondo rapporto, reso possibile dalla collaborazione tra Civita e la Fondazione Roma, l’augurio è di trovare forme e strumenti per un nuovo programma di concretezza operativa.
L’azione della Fondazione Roma nelle parole del presidente Emanuele
Il presidente della Fondazione Roma Emmanuele F. M. Emanuele ha preso il testimone dell’ideale staffetta con Gianni Letta, ha risposto ai riconoscimenti evocando i presidenti di Civita Imperatori e Maccanico che hanno dato vita al grande progetto dopo che l’antico borgo laziale suggerì la nascita dell’associazione, tra le realtà più significative nel campo della cultura, che ha avuto nel direttore Ruberti il motore e il realizzatore di tanti progetti. “Mi sono sentito a casa in questo mondo – ha esclamato – e ho dato una disponibilità totale, le eccellenze devono essere tutelate e protette e Civita è un’eccellenza nel proporre e perseguire soluzioni importanti”.
Il presidente Emanuele ha ricordato, oltre alla collaborazione nelle due ricerche, quella per la via Francigena, un evento culturale-turistico a livello europeo; tutto questo nell’ambito delle tre direttrici nelle quali opera la Fondazione Roma, salute, istruzione, Mediterraneo. “Siamo un popolo di emigranti”, ha detto, ricordando i 26 milioni di italiani espatriati dalla metà dell’800.. Civita gestisce con la Fondazione Roma importanti iniziative a Roma e in Sicilia, al riguardo ha citato la mostra sulla pittura siciliana dell’800, prevista per ottobre, la riapertura del Museo del Risorgimento di Palermo e mostre nel capoluogo siciliano come quella sulla Nevelson, già tenuta a Roma; nella capitale iniziative anche nella parte della periferia meno fortunata, come San Basilio.
Sulla sinergia pubblico-privato sono bastate poche parole appassionate, è ben nota la sua pervicace insistenza su questo tema non solo nelle enunciazioni ma anche nella pratica; di particolare interesse l’aver sottolineato che questa linea appare recepita dal ministro dei Beni culturali e il turismo Franceschini, e ciò fa sperare in un’adozione sempre più vasta di tale formula vincente.
E’ altrettanto nota la sua diagnosi impietosa, secondo cui non ha futuro un paese che ha perduto la sua vocazione: ciò che è avvenuto all’Italia, la cui grande industria è delocalizzata, dopo la perdita della siderurgia, delle grande meccanica, e di quant’altro per effetto di una visione padronale che ha portato ai profitti per il privati e alle perdite per il pubblico; mentre l’agricoltura è in una crisi drammatica, e nella ricerca scientifica i risultati vengono raccolti all’estero anche se portati dai nostri ricercatori, come si è avuto per il “bosone”, i giovani più dotati sono costretti ad emigrare.
A questo punto la passione di Emanuele lo ha portato alla considerazione che la sensibilità per la cultura, oggi sempre più latente, risale agli etruschi e ai romani e dal 1400 i grandi mecenati, i sovrani e i pontefici hanno creato nel nostro paese uno scenario culturale unico al mondo diffuso nel territorio da Venezia a Palermo, non solo con le opere d’arte ma con borghi di straordinaria bellezza che punteggiano il territorio nazionale, e ne ha citati una serie da Caprarola a Ronciglione, da Montepulciano a Sutri mentre sul piano turistico è come se l’Italia finisse a Firenze, i grandi flussi turistici di cinesi, giapponesi, asiatici non vanno nel Mezzogiorno.
Dinanzi a questo contesto dalle straordinarie potenzialità, ma non adeguatamente riconosciuto, “lo Sato italiano latita,.solo lo 0,1 per cento del PIL vi viene destinato, siamo di fronte a una sorta di atarassia intellettuale di chi non vuol capire i valori dell’iniziativa privata, con la positiva eccezione del ministro Franceschini che speriamo possa rimuovere le opposizioni che impediscono al privato di intervenire. Le risorse destinate alla cultura dovrebbero raggiungere il 3-4% del Pil, e si dovrebbe parlare di PIC, prodotto interno culturale”. Il Mibac dovrebbe divenire il “Ministero dei beni economici e della cultura” passando dalla conservazione dei beni culturali, come nella vecchia visione di Bottai, alla loro valorizzazione economica nella concezuione più moderna.
L’analisi segue la perorazione appassionata, Emanuele ha citato i principali dati sulla crisi della ricerca condotta con Civita, 11 mila imprese del settore in meno, 28 mila persone hanno perduto il lavoro, perdite più accentuate nei settori più innovativi, più a Roma, Napoli, Torino. Una fragilità strutturale è alla base della crisi, anche se alcuni comparti mostrano una capacità di resistenza e una tendenza alla crescita che vanno sostenute. E lo si può fare dando spazio ai privati che operano dal basso, secondo il dettato costituzionale, come avvenuto nel 1400-1500, ad esempio con le “misericordie” e come vediamo oggi fare in Inghilterra con la “big society”. ” Proprietà e direttive dello Stato, gestione con autonomia e capacità manageriale del privato. Perché questo abbia le migliori prospettive per il futuro occorre il rafforzamento del sistema scolastico, anche con il ritorno dello studio della storia dell’arte nelle scuole, e quello della proprietà intellettuale”.
Tutto ciò è necessario, ha concluso, “per dare ai nostri figli e nipoti la speranza di vivere in un’Italia migliore, come hanno fatto i nostri genitori, speranza che oggi sembra tramontata. Ma che può rinascere se la vocazione universale alla bellezza e cultura del nostro paese verrà valorizzata”.
Le analisi di Ruberti e Valentino
Il Convegno, dopo queste fondamentali proclamazioni di intenti dei due presidenti Letta ed Emanuele, si è dipanato nell’esposizione dei risultati dell’analisi, iniziando con quelli generali. Ne hanno parlato il direttore di Civita Albino Ruberti e il curatore della ricerca Pietro Antonio Valentino.
Ruberti ha sottolineato una serie di aspetti negativi: solo il 22 per cento della popolazione ha visitato mostre o musei, al Sud la percentuale è ancora più bassa; gli strumenti di comunicazione sono carenti verso tutti i tipi di pubblico, in particolare verso il pubblico giovane che si ha difficoltà ad avvicinare; le visite di scolaresche sono più un’imposizione che una fruizione voluta, quasi assenti gli strumenti di comunicazione cari ai giovani, occorre investire in questo campo per avvicinare ai musei questa parte di popolazione; le famiglie spendono solo il 7,7 per cento in consumi culturali, rispetto a una media europea dell’8,8%.
E’ un quadro difficile e preoccupante, ma la ricerca oltre a fotografare la situazione di crisi fornisce degli spunti per nuove politiche pubbliche. Il ministro Franceschini ha dato segnali positivi non solo nell’impostazione programmatica, anche nei primi provvedimenti come i “bonus” per l’arte e la nuova struttura del Ministero. C’è da rivedere la parte tariffaria come la gratuità domenicale che va lasciata per i residenti in modo da invogliarli ma non per i turisti almeno nell’alta stagione; la gratuità agli ultra sessantacinquenni ha sempre sorpreso gli stranieri, trattandosi della fascia di età più libera e propensa all’arte.
Si tratta di accenni a una problematica vasta di un sistema da rivedere in modo organico, mentre da alcuni si arriva a teorizzare una maggiore presenza pubblica non tenendo conto che la gestione del patrimonio artistico è quasi totalmente pubblica con gravi carenze e inconvenienti di cui Ruberti ha dato alcuni esempi eclatanti. Non si prendono decisioni coraggiose, mentre si deve avere il coraggio di fare scelte in grado da operare una netta inversione di tendenza: scelte che può fare solo l’autorità pubblica essendo pubblico il patrimonio, ma non trascurando l’importante ruolo da dare ai privati.
Valentino con ampio uso degli “slides” ha riassunto i risultati della ricerca delineando il quadro dell'”industria culturale e creativa al tempo della crisi”. Ebbene, ne ha risentito più degli altri settori, se come numero di imprese la sua incidenza sul totale tra il 2007 e il 2011 è scesa del già ridotto 4,4 al 4,3%; gli anni peggiori il 2010 e 2011 con una riduzione del 6,1 e del 4,7%. Riduzioni ancora maggiori nel numero degli addetti sceso da 357.000 a poco più di 326.000 con la perdita di oltre 30.000 posti di lavoro e un’incidenza sugli addetti totali scesa dal 2,2 al 2,1%; tra i macrosettori solo l’edilizia è andato peggio, ma è noto come sia stato il bersaglio della fiscalità. Anche l’incidenza nel comparto dei servizi appare in declino, dal 6% del 2007 al 5,8% del 2011 come numero di imprese e dal 3,7 al 3,4% come numero di addetti.
La dimensione media delle imprese è la più ridotta tra i macrosettori e in diminuzione da 2 a 1,9, mentre per i servizi è rimasta costante su 3,3 addetti. E’ la minore anche rispetto ai principali paesi europei, meno della metà di Germania e Regno Unito, che hanno 4 e 5 addetti per unità rispetto ai 2 del nostro paese. I confronti internazionali sono perdenti anche rispetto agli abitanti, in Italia 56 addetti all’Industria Culturale e Creativa ogni 10.000 abitanti nel 2011, dai 63 del 2007, mentre negli altri principali paesi valori più elevati e stabili o in crescita, con in testa Germania e Regno Unito rispettivamente con 94 e 101 addetti, nel 2007 88 e 103; e anche in Spagna dove l’incidenza si è ridotta, troviamo 79 addetti nel 2011, dai 97 del 2007, un livello ben più elevato del nostro. Dietro questi rapporti c’è la flessione continua in Italia, e in Spagna, e l’incremento negli altri paesi pur negli anni della crisi.
Dopo il livello generale l’analisi si spinge in profondità, articolata per classi di attività nell’Industria Culturale e Creativa: dall’editoria, tv e cinema al design, web e pubblicità, dalle arti visive ai beni culturali in generale, considerate anche nelle loro componenti interne; sono considerate inoltre le prime 10 province e aree metropolitane e viene delineata una geografia del settore. E una base conoscitiva essenziale per passare dalla diagnosi alle terapie e quindi agli interventi all’insegna del “conoscere per deliberare”.
Non era compito della ricerca dare soluzioni, Valentino si è limitato a indicare l’esigenza di superare la barriera linguistica e di integrare i centri decisionali per sostenere l’innovazione, nonché di promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione, e soprattutto di far crescere la partecipazione del privato nella gestione e anche nella definizione delle strategie.
Il design, isola felice nella crisi dell’ICC
Le sommarie notazioni che precedono non intendono riassumere la parte generale sull”“Industria culturale e creativa al tempo della crisi”, 100 pagine rispetto alle 150 pagine sul design, 30 sul design in complesso e le altre sulla sua presenza nei singoli territori; e le seguenti sfiorano solo il design, analizzato in base a ricerche di campo nei singoli territori i cui problemi e prospettive sono stati ulteriormente esplorati nella tavola rotonda con Gian Paolo Manzella della regione Lazio, Franco Moschini presidente di Poltrone Frau, Benedetta Bruzziches, direttrice artistica, esperta, moderata da Aldo Colonnetti direttore di Ottagono.
Nel design sono stati investiti 4 miliardi di euro nel 2011, rispetto ai 3,5 miliardi di Germania e Regno Unito, 1,5 miliardi in Francia e 1,1 miliardi in Spagna. E’ un primato non solo quantitativo dato che tali investimenti sono stati indirizzati alla qualità e all’ampliamento della gamma produttiva anche mediante attività di ricerca interna, per meglio competere sui mercati nel periodo di crisi.
Le indagini di campo nelle aree con maggiore concentrazione di eccellenze nel “made in Italy” hanno consentito di evidenziare le interconnessioni tra formazione, design e imprese, di individuare i punti di forza e di debolezza, di rilevare le forme nelle quali il design, incorporandosi nei prodotti, ne eleva la qualità dando un valore identitario che rappresenta un potente fattore di competitività.
Per Lazio e Marche, Lombardia e Veneto sono state esplorate le varie forme dei rapporti tra industria e design – dalla semplice consulenza esterna all’integrazione del design nell’organico aziendale – e le diverse modalità del processo di rinnovamento dei distretti produttivi locali dando luogo a “geografie in gran parte inedite del binomio territorio-competitività”.
Particolare attenzione è stata prestata alla formazione, che dovrebbe essere continua e alimentata dal rapporto tra mondo del lavoro e formazione secondaria e universitaria, e all’interazione tra industria e design attraverso politiche settoriali che rafforzino il design nel sistema scolastico, migliorino la difesa dei diritti di proprietà intellettuale e rafforzino le istituzioni pubbliche dedicate al design; viene proposto anche il ricorso all’acquisto e all’utilizzazione nei luoghi pubblici di prodotti di qualità del “made in Italy” con diversi criteri nei bandi che diano più peso al parametro della qualità rispetto a quello del costo.
Una conclusione nelle parole dei presidenti Letta ed Emanuele
La migliore conclusione la troviamo nelle parole alate con cui Gianni Letta riassume l’intero contesto, “bellezza, conoscenza, mestiere”: “la bellezza migliora gli uomini, ma ha bisogno di essere conosciuta, e il mestiere è ciò che unendo bellezza, passione e conoscenza si trasforma in creatività”, da combinare con sistemi sempre più efficienti per competere sul mercato globale. E nelle parole pragmatiche di Emanuele che denuncia la fragilità dei nostri sistemi e definisce la ricerca “un grido indirizzato alla classe politica, innanzitutto, sperando che questa non resti sorda alle proposte del settore… E’ anche un monito a chiunque ha a cuore quella parte di creatività e di bellezza di cui siamo artefici, affinché la custodisca e la faccia crescere sempre alta e geniale”.
Creatività e bellezza, ma anche responsabilità nel custodirla e farla crescere, quindi “mestiere” ed efficienza dei sistemi. Civita e Fondazione Roma sono unite in questa missione, ma deve essere accolto l’appello, anzi il “grido” dei due presidenti perché si “cambi verso”, per usare un’espressione entrata in voga nella politica, in un settore cruciale per il nostro paese.
Da tale decisivo cambiamento dovrebbe venire la spinta risolutiva per un Prodotto Interno Culturale al livello del patrimonio unico al mondo che ha l’Italia sul piano dell’arte e della cultura. Ciò è realizzabile mediante lo sviluppo delle enormi potenzialità insite nella sua valorizzazione con la mobilitazione totale del pubblico e del privato nei rispettivi ruoli, in una sinergia finalmente vincente.
Info
“L’arte di produrre Arte. Imprese italiane del design a lavoro”, a cura di Pietro Antonio Valentino, Marsilio-Civita con il contributo e la collaborazione della Fondazione Roma-Arte-Musei, 2014, pp. 270; cfr. anche “L’arte di produrre Arte. Imprese culturali a lavoro”, come sopra, 2012. Cfr. in questo sito, in “cultura.inabruzzo.it” e in http://www.antika.it/, i nostri articoli: dal 2009 sulle mostre della Fondazione Roma e sulle iniziative artistiche e culturali curate da Civita.
Foto
In apertura, la copertina del volume con la ricerca del 2014 “L’arte di produrre Arte” sull’Industria Culturale e Creativa; seguono 2 immagini frontali e 2 laterali della perla racchiusa nella sede del Convegno, l”Ara Pacis, in un periplo intorno al monumento dall’alto valore simbolico per l’arte e la cultura; infine i partecipanti alla Tavola rotonda sul design e, in chiusura, la copertina del volume con la ricerca del 2012: immagini riprese da Romano Maria Levante il giorno del Convegno al Museo dell’Ara Pacis.