di Romano Maria Levante
Il Premio internazionale di pittura rupestre Guido Montauti, di cui abbiamo dato notizia di recente, è la principale iniziativa per l’estate 2014 nel borgo montano alle falde del Gran Sasso, scadenza 31 luglio, 7 agosto selezione dei cinque finalisti, residenza artistica di due giorni 15-16, il vincitore il 17, residenza artistica di una settimana per la trasposizione su roccia, premiazione il 24 agosto. Intorno al premio una serie di manifestazioni di intrattenimento e culturali, musica e teatro all’aperto e la mostra sui “bambini di una volta”, fotografie e cimeli di “come eravamo”. I “bambini di una volta” erano il frutto dei “matrimoni di una volta“, di cui alla mostra dell’agosto 2013 “I’ spes’ d”na vùota” (lo sposalizio di una volta)”, quella di quest’estate ne sarà la continuazione. Perciò la vogliamo raccontare come ce la ricordiamo quale premessa della mostra in preparazione: quasi un “riassunto della puntata precedente” prima della nuova puntata.
La mostra che ha evocato i costumi atavici nelle fasi formative della vita e della famiglia, svoltasi nel mese di agosto 2013, è stata una immersione nei tempi lontani in cui i costumi tradizionali segnavano con regole molto precise i rapporti tra i giovani dei due sessi, dando ad essi un carattere comunitario piuttosto che personale sin dalle fasi di avvicinamento e di conoscenza. Una iconografia e una documentazione storica particolarmente espressive hanno seguito passo per passo il processo che portava al matrimonio – i primi incontri, il fidanzamento, lo sposalizio – ripercorrendo i costumi dell’epoca: usi e abitudini, comportamenti e relazioni, situazioni e ambienti; sono le radici della nostra storia, riemerse nei loro segni identitari, tanto più benvenuti nell’era della globalizzazione che tutto omologa e appiattisce.
Fotografie e oggetti, abiti e tessuti, sono stati ordinati per una ricostruzione visiva dei costumi di una volta. Promotrici e curatrici della mostra Lidia Montauti e Celestina De Luca, rimaste legate strettamente al paese, con il loro entusiasmo hanno coinvolto l’intera comunità nel fornire cimeli e reperti della vita di ieri, come faranno anche quest’anno per il seguito della storia.
Il recupero del passato
Il “recupero del passato” è anche un’occasione per rinsaldare legami e rapporti con il comune obiettivo di rendere testimonianze legate alla vita delle rispettive famiglie. Sono, infatti, gli album di famiglia a fornire la gran parte del materiale esposto, come anche i vecchi armadi e cassapanche di fondaci e soffitte per calzature, tessuti e articoli di abbigliamento.
L’esposizione ha integrato i diversi elementi accompagnandoli con un’accurata ricostruzione storica che si deve ad Aureliana Mazzarella, ricercatrice colta e attenta che ha scavato negli archivi – compreso quello della parrocchia affidata a don Filippo Lanci – e soprattutto nella memoria delle persone ricavandone un racconto coinvolgente, esposto nei cartelli che hanno accompagnato il visitatore nel percorso espositivo, e lo faranno anche nella mostra di quest’anno; il progetto grafico, altrettanto curato, di Alessandra Mazzarella.
Ci si sentiva immersi nel mondo di ieri come se si fosse riavvolta la pellicola della vita o si fosse navigato all’indietro nella macchina del tempo; secondo la fantascienza e la stessa scienza più ardita verrà il momento in cui ciò sarà possibile, resta solo il problema della reversibilità o meno degli eventi intercorsi, la mostra lo ha realizzato e continuerà a farlo quest’anno con i piccoli come protagonisti. Le famiglie radicate nel territorio hanno partecipato attivamente, i Bonaduce e i Giardetti, i Montauti e i Panza, i Trentini e i Trinetti, e la loro adesione ha dato al salto nel passato il senso di una rivendicazione di origini e valori tradizionali che non può non far bene a tutti.
Torniamo a immergerci anche noi in momenti lontani ma non troppo in senso cronologico – si risale agli anni ’20.’30 – che tuttavia sembrano remoti per il drastico mutamento di costumi e abitudini. Il primo forte segnale si aveva all’ingresso della mostra, con le tre conche esposte insieme ad altri oggetti d’epoca davanti a una bella fotografia di tre donne che le portavano in testa con disinvoltura sul torcinello, esposto anch’esso insieme alle calzature di panno trapunto nella “suola”, i “paponi”.
Non c’era la storica foto di Bruno Marsilii, il medico scalatore Accademico del Cai, impegnato in una scalata con i “paponi” ai piedi in primo piano, che fu posta come copertina di un Bollettino del Cai di parecchi anni fa, ma ce n’erano altre particolarmente espressive di un’epoca non dimenticata nella quale dobbiamo specchiarci per ritrovare le nostre radici; e c’erano i risultati della ricerca svolta sugli antichi costumi con la ricostruzione dei tre momenti speciali della vita di ciascuno visti in una retrospettiva emozionante, offerta ai visitatori nei testi esplicativi.
Dai primi incontri al fidanzamento
Tanti oggetti, tessuti d’epoca e soprattutto fotografie riportavano visivamente ed emotivamente a quell’ambiente e a quel clima. La caratteristica fondamentale è l’aspetto comunitario della vita di allora, la presenza di altri soggetti nei momenti che difficilmente restavano nell’ambito privato. Così gli incontri iniziali, approcci e corteggiamenti, avvenivano nei luoghi pubblici frequentati: la fontana dove le giovani andavano con le conche e i giovani cercavano di interessarle aiutandole o scherzando in vario modo; il lavoro nei campi dalla fienagione alla trebbiatura, la messa domenicale e le processioni, le gite e i balli legati al lavoro stagionale. Dopo i primi approcci, magari alla fontana o al lavatoio, si attendevano gli altri momenti comunitari per esprimere i sentimenti che erano nati. Le immagini erano eloquenti: dopo la foto delle giovani con le conche, quelle del lavoro e dello svago, in un bianco e nero sfumato e incerto oppure netto e contrastato.
Un a serie di fotografie erano riprese nel “laghetto”, una località a “Punta alta” chiamata così perché per la conformazione del suolo l’acqua vi ristagnava a lungo dopo il disgelo, e anche all’Arapietra, dove si trova la Madonnina del Gran Sasso, meta di pellegrinaggi sin da epoca antica che culminano nella festa celebrata tuttora la prima domenica di agosto; all’uscita dal paese verso Porta Fontana, dove si andava ad attingere acqua da una fonte prima che ne fosse creata una nella piazza principale; c’era un mulino ad acqua e, vicino, una chiesetta, ora diroccata, dedicata alla Madonna.
Si passava a un’altra sala carica di cimeli d’epoca: soprattutto tessuti per approfondire il secondo momento analizzato dalla mostra, il fidanzamento: Anche qui le immagini erano eloquenti, le espressioni dipinte sui volti all’insegna della serenità e della fiducia facevano capire lo spirito di allora più di tante analisi storiche o sociologiche: “Nel paese il tempo scorreva lentamente – sono le parole di Aureliana Mazzarella – la vita era regolata dal succedersi delle stagioni e dai lavori agricoli connessi, dalle feste dell’anno liturgico e dai piccoli e grandi eventi che riguardavano il nucleo familiare: fra questi c’era il fidanzamento, il matrimonio, la nascita dei figli, la morte”. Ed è proprio la nascita e il crescere dei figli il tema al quale sarà dedicata la mostra di quest’anno.
Al fidanzamento si arrivava per gradi, dopo la prima simpatia nata con l’approccio iniziale e gli incontri comunitari di cui si è detto; spesso intervenivano familiari o amici a favorire i contatti, fino al coinvolgimento delle famiglie. Quando i rapporti si stringevano il giovane andava a “sedere” nelle lunghe serate in casa della ragazza, con la presenza immancabile e vigile della madre. Fino all’assunzione dell’impegno alle nozze, espresso dalla famiglia del futuro sposo con il “pegno” alla sposa dato dalla suocera, di un anello di famiglia, ricambiato dalla ragazza con una stoffa o uno scialle. Da questo momento la strada per le nozze era tracciata, seguivano gli accordi segnati dalla tradizione: la famiglia dello sposo provvedeva alla casa e all’arredo, la sposa portava il corredo, frutto di una lunga preparazione, la ragazza fin da bambina vi si impegnava con la madre esercitandosi nel cucito e nel ricamo, nel lavoro a maglia e nell’uncinetto.
Un esemplare di corredo d’epoca era esposto in mostra, se ne poteva apprezzare l’accuratezza e la raffinatezza: lenzuola e coperte, tovaglie e asciugamani, fazzoletti e panni di ogni genere; c’era anche un abito nuziale che suscitava tenerezza per la sua delicatezza semplice e insieme ricercata. Prima del matrimonio il corredo veniva portato pubblicamente dalle amiche della sposa alla futura residenza in modo che tutti potessero vederlo, un’operazione definita “carriaggio”; negli stessi giorni c’erano le visite di parenti e amici con i regali, anch’essi utili per la casa, tradizione paesana che prosegue tuttora ovunque anche se nelle forme nuove delle “liste di nozze” o simili.
Lo sposalizio
Così si giungeva allo sposalizio, culmine della mostra e di questa parte della vita, con una serie di immagini di volti e figure, due fotografie ricordiamo di particolare valore: quelle delle nozze di Matteo Giardetti, insieme alla sposa e con il fratello Amedeo. Matteo per la circostanza sfoderava un atteggiamento spavaldo, quasi da sfida, la fotografia era rivelatrice di un carattere e di un temperamento. Sia lui che il fratello perirono nella Grande guerra, a loro è intitolata una piazzetta nel rione “la Villa”. Come tutti i paesi e borghi d’Italia, anche i più sperduti, Pietracamela ha dato il suo tributo alla patria, ai suoi caduti è dedicata la piazza principale, Piazza degli Eroi e una cappellina votiva. Tante altre le coppie riprese nel momento fatidico delle nozze nelle fotografie d’epoca, tratte dagli album delle famiglie di paesani che hanno collaborato alla mostra.
Il pranzo veniva preparato dai parenti dello sposo e della sposa: maccheroni alla chitarra, brodo di gallina e stracciatelle, pecora “alla callara” o cotta sulla brace, “taralli” e pizza dolce. Nell’accurata ricerca di Aureliana Mazzarella, esposta nei testi illustrativi della mostra cui abbiamo attinto, spiccava un particolare: “Il pranzo nuziale si svolgeva separatamente: la sposa pranzava con lo sposo e i propri parenti; i suoceri e i parenti dello sposo pranzavano nella propria dimora. Alla fine del pranzo, i parenti dello sposo si recavano in corteo a casa della sposa per condurla nella nuova abitazione e concludere la festa con canti e balli nell’aia. Il corteo era guidato da un suonatore di chitarra e da uno di mandolino”. Nei tempi più antichi il corteo trovava la porta di casa della sposa sbarrata, e la suocera non accedeva subito alla loro richiesta di aprire ma solo dopo insistenze permetteva alla figlia di lasciare la casa e di andare con lo sposo.
Madre e figlia, nel passaggio dalla vigilanza nelle lunghe serate con il fidanzato che “sedeva” in casa della futura sposa nella speranza che cedesse al sonno per avere qualche momento di intimità, all’estrema resistenza nel momento del distacco.
Una immagine descriveva con l’immediatezza del mezzo fotografico i rapporti della sposa con la suocera: l’ambiente nella penombra, le due donne sedute ma i loro sguardi non si incontrano, immerse in una solitudine espressione della loro lontananza. Le radici remote di questo difficile rapporto in un documento di costume che a noi è apparso un capolavoro d’arte fotografica..
Concludiamo così il racconto di una mostra istruttiva nata da un’iniziativa personale delle curatrici che ha trovato subito l’adesione appassionata dei paesani; la ricerca è stata attenta ed accurata, sia per le notizie desunte dalle memorie delle persone e dagli archivi, tra cui quello parrocchiale messo a disposizione da don Filippo Lanci; il sindaco Antonio di Giustino ha concesso le sale del Palazzo Comunale in cui vi è il Museo delle genti e degli antichi mestieri con tanti reperti d’epoca. La stessa cosa avverrà quest’anno con la mostra dedicata ai frutti degli sposalizi, i figli.
Nelle radici c’è anche Gabriele d’Annunzio
Torniamo all’iniziativa del Premio di pittura rupestre, che si inquadra nel rilancio di Pietracamela dopo le ferite del terremoto e della frana che ha dissestato la vallata distruggendo le “pitture rupestri” realizzate dal pittore Guido Montauti con il gruppo del Pastore bianco da lui creato, al quale si rende omaggio con la mobilitazione degli artisti, che si confronteranno su un progetto di pittura su pietra evocativa e spettacolare. Non è un momento isolato, vogliamo sottolineare, la cultura anche come base dell’intrattenimento estivo è nel Dna del paese, l’arte pittorica raggiunge in Guido Montauti un livello di eccellenza internazionale, e ci sono anche i libri pubblicati da altri suoi figli, tra cui Clorindo Giardetti che presenta quest’anno la sua ricerca sulle origini del paese dopo aver vuotato idealmente, nel 2008, “uno zaino pieno di ricordi” pubblicando il libro con questo titolo.
Del resto a Pietracamela dedicò la sua attenzione Gabriele d’Annunziocon la novella dal titolo modernissimo e dalla trama suggestiva, “Come la marchesa di Pietracamela donò le sue belle mani alla principessa di Scurcola”, in “Grotteschi e rabeschi” del Duca Minimo, 27 ottobre 1887. E non è detto che un giorno non si possa celebrare anche D’Annunzio, come si farà anche quest’anno con Matteo Manodoro, personaggio storico del paese, giustiziato come bandito all’inizio del 1800 ma ritenuto un vero patriota nella resistenza ai francesi cui ha dedicato un’appassionata ricerca un altro illustre paesano, Berardino Giardetti; la storia di .Manodoro fu rievocata alla vigilia di ferragosto 2013 nel centro storico da parte della compagnia teatrale abruzzese, il “Teatro della Rùe”.
La mobilitazione è giustamente attorno al Premio internazionale pittura rupestre Guido Montauti che riassume tanti motivi atavici e contemporanei; per l’intero mese di agosto l’arte sarà protagonista, accompagnata dalla mostra sui costumi tradizionali incentrata sui “figli di una volta” dopo quella sul “matrimonio di una volta” e da iniziative di contorno, teatrali e musicali anche nella “cavea” teatrale del territorio “recuperato” alla fruizione turistica con il ripristino ambientale.
Tanti sono i motivi dai quali prende nuova forza il rilancio di Pietracamela, dal 2005 nel club dei “borghi più belli d’Italia”, nel 2007 “borgo dell’anno”, dal 2013 tra i 400 borghi più belli del mondo, insignito delle “5 stelle” dell’eccellenza.
Alla base di tutto le antiche radici, ambientali, di costume e culturali, con l’invito a curare l’albero della memoria in un impegno assiduo nella realtà di oggi.
Info
Cfr. i nostri articoli: per il Premio in questo sito “Pietracamela. Il Premio pittura rupestre e le altre iniziative dell’estate 2014″, 14 luglio 2014; in “cultura.inabruzzo.it” “Pietracamela. Il premio pittura rupestre Guido Montauti” 4 luglio 2014. Per le “pitture rupestri”: in “cultura.inabruzzo.it” “Pietracamela. Parte la messa in sicurezza del Grottone”, settembre 2012, e “Pietracamela. Fotografie e pitture rupestri nel crollo del Grottone”, 3 settembre 2012; in http://www.fotografarefacile.it/, “Pietracamela. Mostra fotografica sul pittore Montauti”, settembre 2012, Per gli eventi culturali dell’estate 2013: in questo sito “cultura.inabruzzo.it” “Pietracamela in Arte, mostra di pittura, fotografia e d’arte varia”, 9 settembre 2013, e “Pietracamela. Il libro d’epoca di Ernesto Sivitilli su Corno Piccolo”, 12 settembre 2013, in http://www.fotografarefacile.it/ “Pietracamela, una mostra sugli antichi costumi montanari”, 15 agosto 2013. Per il dopo-terremoto in “cultura.inabruzzo.it” “Rilancio di Pietracamela, il cuore del Gran Sasso”, 22 giugno 2009, in cui è riportata integralmente la novella di D’Annunzio citata nel testo“Come la marchesa di Pietracamela donò le sue belle mani alla principessa di Scurcola; per gli effetti del sisma “Il terremoto a Pietracamela”, 21 aprile 2009; infine “Il cielo sopra Pietracamela”, 8 gennaio 2009. La vita di una volta in paese è rievocata nel nostro romanzo “Rolando e i suoi fratelli. L’America!”, Editrice Andromeda, Colledara 2005, una storia di emigrazione da Pietracamela verso Canada e poi Stati Uniti, con disegni inediti di Guido Montauti sul paese e di Diego Esposito sull’America.
Foto
Le immagini della mostra sono state riprese da Romano Maria Levante a Pietracamela nella sede del Museo delle Genti e degli antichi mestieri. In apertura, al “laghetto” in località Cima Alta, segue la piazza del paese durante una processione, poi giovani paesane con le conche dell’acqua e un gruppo di fotografie di matrimoni; quindi il particolare dei fratelli Giardetti citati nel testo e altre foto di matrimoni; segue l’immagine-cult dell’incomunicabilità di suocera e nuota e la foto all’ingresso della mostra ehe introduce alla presenza di cimeli e fotografie; in chiusura una panoramica del paese tra il Gran Sasso e la montagna di Intermesoli ripreso dall’autore lungo la strada provinciale Ponte Arno-Pietracamela,.