Il 5 marzo 2022, nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, con l’articolo sulla mostra di Monica Cillario che ne ha fotografato la prima abitazione, abbiamo iniziato a ripubblicare i nostri 6 articoli usciti nel decennio scorso, questo articolo è il secondo sulla mostra “Pasolini Roma” del 2014 al Palazzo delle Esposizioni. Seguiranno 3 articoli, il primo sempre sulla figura di Pasolini nelle fotografie di Carlo Riccardi nel 2015, gli ultimi due su 14 artisti ispiratisi a 7 sue poesie nella mostra a Palazzo Incontro del 2012.
Postato da arteculturaoggi.com [15/06/2014, 11,30]
di Romano Maria Levante
La mostra “Pasolini Roma”, aperta al Palazzo Esposixzioni di Roma dal 15 aprile al 20 luglio 2014, un’iniziativa europea che vede insieme all’Azienda speciale Expo istituzioni culturali e cinematografiche di Barcellona, Parigi, Berlino, ed è sostenuta dal programma Cultura dell’Unione Europea. Curatori Alain Bergala, Jordi Bailò e Gianni Borgna, consulenza scientifica di Graziella Chiarcossi. Il catalogo Skira-Palazzo Esposizioni contiene una vasta documentazione con testi di Pasolini, fotografie e documenti sulla sua vita, e un a serie di interviste sulla sua figura. E’ intervenuto alla presentazione, con l’assessore alla cultura della Regione Lazio Lidia Ravera, il nuovo presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo, Franco Bernabè, con un saluto e un impegno.
Abbiamo ripercorso la prima parte del rapporto tra Pasolini e Roma, il suo arrivo con la madre e l’alloggio di fortuna vicino al ghetto, poi l’abitazione a Monteverde in via Fonteiana. In questo periodo scrive il poema “Le ceneri di Gramsci” e trova i primi successi letterari con il romanzo “Una vita violenta” e poi “I ragazzi di vita”, quindi quelli cinematografici con “Accattone” e “Mamma Roma”, fino alla trasgressione religiosa di “La ricotta” . Continuiamo a far scorrere i fotogrammi della sua vita e della sua arte nell’allestimento della mostra, tra mappe e fotografie, testi e documenti.
Iniziamo citando l’intensa poesia dedicata a “Marilyn”, si rivolge a lei “impudica per passività, indecente per obbedienza” commiserandola: “Fra te e la tua bellezza posseduta dal potere si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente”. E quindi “la tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente, divenne così un male”, per questo “sei tu la prima oltre le porte del mondo abbandonato al suo destino di morte”. C’è una grande tenerezza, come verso l’emarginato della poesia “A un papa” che contrappone al pontefice, perché era anche questo l’aspetto saliente della sua sensibilità, al di là di ogni apparenza.
Dopo la trasgressiva “Ricotta” affronterà il tema religioso direttamente in “Il Vangelo secondo Matteo”, confrontandosi con la figura di Cristo in modo rispettoso e suggestivo.
1964, “Il Vangelo secondo Matteo; 1965 “Uccellacci e uccellini”
Nel 1963 torna in Africa, visitando il Kenya e il Ghana, va nello Yemen e in Nigeria, poi compie un sopralluogo in Palestina per l’ambientazione del “Vangelo secondo Matteo”, il terzo mondo lo affascina, ma sceglie il Sud per le riprese, le grandi carte geografiche all’inizio della sezione evidenziano questa fase movimentata della sua vita. Ma percorre in lungo e in largo anche l’Italia in automobile per il film-inchiesta “Comizi d’amore“, al microfono intervista la gente sulla propria idea di sessualità confrontando mentalità e pregiudizi e attirandosi violenti attacchi, nella mostra sono esposte le fotografie che lo vedono in azione come reporter in varie località, dal nord al sud.
Le maggiori possibilità economiche dopo i successi cinematografici gli consentono di acquistare un appartamento, lascia il centro, vuole avvicinarsi alla campagna romana pur se si rende conto che sta sparendo. Nella poesia “Ricerca di una casa”, del gennaio 1962, parlava della “casa della mia sepoltura”, dicendo “mi era sembrata sempre allegra questa zona dell’Eur, che ora è orrore e basta. Mi pareva abbastanza popolare”, e dinanzi alle “palazzine ‘di lusso’ per i dirigenti transustanziati in frontoni di marmo”, si chiede: “E dove, allora, trovarlo, il mio studio,calmo e vivace, il ‘sogno nitido dei miei poemi’ che curo in cuore come un pascoliano salmo?”-
Lo troverà proprio all’Eur, un appartamento col giardino per la madre che ama coltivare i fiori, in via Eufrate, vicino alla basilica di san Pietro e Paolo, da cui si vede il “Colosseo quadrato”, con le arcate alla De Chirico: significativamente è esposto in mostra il quadro del pittore metafisico “Arrivo del trasloco”, riferito a quel periodo, precisamente il 1965 anche se è retrodatato 1951. La poesia “Supplica a mia madre” dell’aprile 1962 rivela un groviglio di sentimenti: “E’ dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai dato…. Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia sc hiavitù”. Scriverà anche una poesia alla morte di Pio XII, in cui l’intensità di contenuto è pari alla temeraria dissacrazione.
Dalla nuova abitazione, oltre all’edilizia littoria a alla campagna si vedono anche i cantieri della periferia, metafora del rivolgimento urbanistico di quegli anni per i raccordi autostradali e le altre infrastrutture, nonché l’edificazione dei “palazzinari” romani. In uno scenario simile è ambientato “Uccellacci e uccellini”, del 1965-66, con Totò e Ninetto Davoli, un film socio-politico con metafore ideologiche sul marxismo impersonato da un corvo: in uno scritto esposto in mostra afferma di aver voluto “far coincidere il mio nuovo marxismo e il suo, ma al di là della mia inerte, e puramente negativa, esperienza degli ultimi anni”. Le foto di scena con Totò e a Totò sono molto espressive, ma ve ne sono anche di tono familiare all’interno della sua casa all’Eur.
Nel 1964 aveva girato “Il Vangelo secondo Matteo”, ambientato nel sud, per la figura di Cristo si era rivolto invano al poeta russo Evtuschenko, lo impersonò lo spagnolo Irazoqui, uno studente antifranchista a Roma per raccogliere fondi contro la dittatura del suo paese, dopo il film gli sarà ritirato il passaporto.
E’ esposto un testo in cui descrive l’errore iniziale nel girare la prima scena con la tecnica di “Accattone”: “Era chiaro che la sacralità tecnica, la figliale semplicità che scardinava dalla sua usuale (e convenzionale) semanticità la ‘materia’ delle borgate romane, diventava di colpo retorica e ovvia se applicata alla ‘materia’ di per sé sacra che stavo raccontando”. Al punto da dire: “Quando, ora, quella scena passa sullo schermo – per quanto corretta e accomodata in montaggio – me ne vergogno selvaggiamente”. Si corregge e alla fine ottiene un film “dall’inaspettata purezza di tratti, che livella beatamente tutte le mie punte magmatiche, espressionistiche, casuali, arbitrarie, asimmetriche, tutte le libertà di montaggio,tutte le mie irregolarità”.
Ha raggiunto quello che voleva, “una specie di normalità fatta di distacco e silenzio” . La sua appassionata descrizione si conclude così: “L’evocazione ora stranamente prevale sulla rappresentazione. Il caos ha ritrovato una imprevista pacificazione tecnica e stilistica. Me ne sto chiedendo il perché”. E in un colloquio con Sartre rivendica di aver ottenuto e accettato il Pemio dell’Ufficio cattolico per il Cinema. Il film vince il premio della Giuria al Festival di Venezia, e viene proiettato anche nella cattedrale di Notre- Dame: è un periodo in cui sente molto vicino il mondo intellettuale parigino, è in contatto con Sartre e Barthes, Metz e Godart, il regista che gli “presterà” gli attori per il film “Porcile”.
1966-68, dalla disillusione alla sfida ai borghesi nella contestazione studentesca
Nel 1966 diventa autore teatrale, sei tragedie in versi scritte in un mese di convalescenza a casa. Ma vede Roma con occhi diversi, il sottoproletariato romano ha perduto l’ “innocenza” che aveva descritto nei romanzi e nei film, corrotto dal consumismo piccolo borghese, gira il film “Edipo re” in Marocco, ambienta in Lombardia le scene autobiografiche del prologo. Eccolo a New York, in una foto davanti a un cinema dove si proietta “La gatta sul tetto che scotta” con Liz Taylor.
Siamo al 1968, attacca le posizioni di sinistra libertaria della contestazione. Con la poesia “Il PCI ai giovani!” si rivolge ai contestatori dicendo: “Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo!), ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, e sicuri, prerogative piccolo-borghesi” Per questo, aggiunge, “quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri, vengono da periferie, contadine o urbane che siano”. Le foto della “battaglia di Valle Giulia” , e di un’assemblea di giovani comunisti con Gianni Borgna vicino a lui illustrano questo momento, li affronterà a Torino dove Laura Betti interpretava il suo dramma “Orgia”.
Sono esposte anche immagini del film “Teorema”, del 1968, quelle misteriose ed esoteriche di Laura Betti e quelle conturbanti della bellissima Silvana Mangano. Nel 1969 gira il film “Amore e rabbia”, lo vediamo fotografato con Ninetto Davoli, e “Medea”, interpretata da Maria Callas con cui ha una intensa relazione fatta di amicizia e di amore, sono esposte foto in cui sono insieme in Grecia e nel Mali. A lei dedica un disegno molto particolare, “Senza titolo”, sei multipli alla Warhol del suo profilo a tratti sottili.
1970-75, l’ultima fase dalla “Trilogia della vita” alla tragica fine
Per un drammatico scherzo del destino dal 1970 al 1974, l’anno prima della morte, si impegna in un ciclo di film che chiama “Trilogia della vita”, perché va alla ricerca dell’innocenza perduta nel consumismo immergendosi in un mondo mitico scomparso: gira il “Decameron” nel Mezzogiorno d’Italia, va in Inghilterra per “I racconti di Canterbury” e in una serie di paesi africani ed asiatici per “Il fiore delle mille e una notte”, le mappe esposte in mostra rendono visivamente questo suo periplo. Ma la fuga dalla realtà non riesce, terminati i film ci sarà l’abiura dalla “Trilogia della vita”.
Viene presentata un’interessante intervista di Gianni Borgna in cui Ennio Morricone, parla del loro rapporto durante i film di cui ha scritto la colonna sonora, tra cui quelli appena citati oltre a “Uccellacci e uccellini”; vi abbiamo trovato lo stesso rispetto reciproco mostrato con Anna Magnani, Pssolini aveva le sue idee ben precise e le esternava, a Morricone chiedeva di inserire o imitare musiche di autori classici da lui prescelti, ma alla sua replica che gli piaceva “scrivere musica, musica originale”, rispose: “E allora faccia pure come vuole”. Ma Morricone aggiunge che per i film della “Trilogia della vita” “ci fu come un regresso della mia aggressività creativa. Io mi arresi alal sua volontà. Poi, nel ‘Fiore delle Mille e una notte’, ci fu come una mia piccola rivincita. Ripresi, infatti, a scrivere musica originale, tranne in qualche punto”.
Nel gennaio 1973 inizia la collaborazione fissa con il “Corriere della Sera”, il tono e contenuto emergeva subito dal primo articolo, “Contro i capelli lunghi”, i capelloni dei contestatori, sul piano nostalgico ci sarà il celebre articolo sulla “Scomparsa delle lucciole“, sono i suoi “Scritti corsari”.
“lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca.”.
In questa “scandalosa ricerca” non esita ad affermare: “”Forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato. Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo.”.
Ed ecco una selezione fior da fiore delle “cose banali” di cui ha scritto dal 1973 al 1975: ha sfidato i contestatori “dai capelli lunghi” e i dirigenti della televisione per l’assenza di cultura, gli intellettuali del ’68 tra manicheismo e ortodossia e la sacro Rota per il “vuoto di carità” e il “vuoto di cultura” delle sue sentenze, ha denunciato “il vero fascismo” del potere senza volto e “il fascismo degli antifascisti”, l’ignoranza vaticana e quella della borghesia per lanciarsi in previsioni indovinate, come quella sull’esito del referendum del divorzio perché avvertiva i mutamenti nella società, la fine del mondo contadino, di cui rimpiange “l’immensità” con il corrispettivo naturale nella “scomparsa delle lucciole”.
“Gli italiani non sono più quelli” si intitolava l’articolo sul “Corriere” del 10 giugno 1974, e il 1° marzo 1975 “Non aver paura di avere un cuore”. Gli verrà spezzato brutalmente nove mesi dopo.
Roma, in cui continua a vivere, non lo appaga più, tanto che per concentrarsi nello scrivere e nel dipingere, che ha ripreso dopo trent’anni, si rifugia in un’abitazione che ha acquistato in campagna, addossata alle rovine medievali della Torre di Chia, presso Viterbo. Sono esposte grandi foto, che lo ritraggono pensieroso al lavoro in suggestivi controluce, scattate poco tempo prima della morte, un documento straordinario coperto da un copyright così rigoroso che ci ha impedito di riprenderle, e non sono neppure in catalogo: lo rispettiamo non citando neppure il nome del fotografo, mentre ci piace evidenziare l’immagine che lo vede nel 1973 in primo piano con la torre di Chia di sfondo.
Siamo nel 1975, ha trascorso parte dell’estate nell’altra abitazione che ha voluto fuori Roma, insieme a Moravia con cui divide il giardino, al mare di Sabaudia sulla duna litoranea, anche qui con grandi vetrate sulla natura. E’ impegnato nello scrivere “Petrolio”, che Gianni Borgna ha definito “una spietata riflessione sul Potere e la summa dell’intera opera pasoliniana: non meno di duemila pagine (ne riuscirà a scrivere soltanto seicento) intervallate da fotografie, documenti d’epoca e persino filmati. Insomma, un romanzo davvero sui generis di cui difficilmente si potrebbe trovare l’eguale”, si direbbe “una sorta di Satyricon moderno”, anticipato nell’articolo “Il romanzo delle stragi” – stragi reali e metaforiche come il genocidio culturale – punteggiato da “io so
Resterà incompiuto mentre il film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” lo terminò ma uscì nelle sale dopo la sua morte, che non gli risparmiò l’attacco giudiziario subito dagli altri suoi film. In mostra sono esposte molte immagini di questo film e dei tre della “trilogia” in una nudità integrale che esprimeva, al di là della provocazione, quello che lui ha definito “il mondo della mia ingenuità”.
Un mondo spazzato via dalla brutale violenza che lo ha massacrato nello squallore dell’idroscalo di Ostia la notte del 2 novembre 1975, in circostanze non mai chiarite nonostante la confessione dell’omicida che ha scontato la pena ritrattando poi e aprendo nuovi scenari che vanno esplorati. Al termine della mostra tutto questo viene documentato in modo impressionante.
Ma vogliamo concludere con immagini di vita, quelle del suo ritorno alla pittura: è del 1975 il profilo di “Roberto Longhi, Chia”, in versione singola e nel multiplo di 4 alla Warhol, l’artista altrettanto iconoclasta che verso il consumismo aveva l’atteggiamento opposto, di mitizzazione portata fino all’esasperazione. Ricordiamo le parole di Alberto Moravia nell’orazione funebre presentata in un video a chiusura della mostra: sono un ritratto commosso del grande amico scomparso tragicamente, pone l’accento su ciò che tutti hanno perduto: un uomo”profondamente buono, mite e gentile”, e poi “il diverso e il simile”, il romanziere e il regista, il poeta e lo scrittore, il saggista e il testimone che aveva un’attenzione, definita “patriottica”, “per i problemi sociali del suo paese, per lo sviluppo di questo paese”. In definitiva, “tutto questo l’Italia l’ha perduto, ha perduto un uomo prezioso nel fiore degli anni”.
Ha fatto un’opera meritoria la mostra a ricordarlo, e in modo così appropriato, efficace e suggestivo.
Info
Palazzo delle Esposizioni, Roma, Via Nazionale 194. Aperto da martedì a domenica ore 10,00-20,00, il venerdì e il sabato chiusura ore 22,30, con 2 ore e 30 minuti di apertura in più degli altri giorni, lunedì chiuso; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 12,00, ridotto euro 9,50 per minori di anni 26, maggiori di anni 65 e categorie tra cui insegnanti, gratuito per minori di 6 anni e particolari categorie. Tel. 06.39967506, http://www.palazzoesposizioni.it/. Con un unico ingresso è possibile visitare tutte le mostre nel Palazzo Esposizioni, attualmente oltre alla mostra su Pasolini le mostre contemporanee “Gli Etruschi e il Mediterraneo – La città di Cerveteri” e “National Geographic, 125 anni, la Grande Avventura”, sulle quali cfr. i nostri articoli: per la prima in questo sito l’8 giugno e 6 luglio e in “www.antika.it; luglio 2014, per la seconda in http://www.fotografarefacile.it/ marzo 2014. Catalogo: “Pasolini Roma”, Skira-Palazzo delle Esposizioni, 2014, pp. 264, formato 18 x 24, con testi di Pasolini, , introduzioni dei capitoli di Alain Bergala, commenti ai documenti di Gianni Borgna, Alain Bergala e Jordi Ballò, interviste con Arbasino e Bertolucci, Cerami e Davoli, Maraini, Morricone e Naldini, consulenza scientifica Graziella Chiarcossi. Cfr. infine i nostri due articoli in questo sito per Guttuso, “Fuga dall’Etna”, il 25 e 30 gennaio 2013, e in “fotografarefacile.it” per le fotografie di Henry Cartier Bresson.
Foto
Le immagini sono state riprese al Palazzo Esposizioni da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, in particolare l’ufficio Stampa, con gli altri organizzatori e i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Pasolini a Chia con la sua residenza presso la torre sullo sfondo, 1973; seguono “Autoritratto con fiore in bocca” 1947, e Pasolini con Totò, poi un riquadro con tanti volti ripetuti di “Il Vangelo secondo Matteo” e Pasolini in un’immagine di solitudine; quindi, tre riquadri rievocativi di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, di “Io abiuro alla Trilogia della vita”, e delle Persecuzioni giudiziarie; in chiusura, Pasolini con la madre nell’abitazione dell’Eur 1973.