di Romano Maria Levante
Alle Scuderie del Quirinale, dal 20 marzo al 31 agosto 2014, con speciale apertura estiva, l’attesa mostra “Frida Kahlo”, 35 mila prenotazioni prima dell’inizio, oltre 160 opere tra cui 40 autoritratti e ritratti dell’artista “icona del ‘900”. Promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, realizzata da Azienda speciale Expo con MondoMostre, curata da Helga Prignitz-Poda, Catalogo Electa. Dal 20 settembre 2014 al 15 febbraio 2015 si trasferirà al Palazzo Ducale di Genova – il cui sindaco è intervenuto alla presentazione in Campidoglio – dove sarà intitolata pure a Diego Rivera, il pittore rivoluzionario che tanta parte ebbe nella vita di Frida.
La mostra di Frida Kahlo è diversa da ogni altra perché i dipinti esposti, con molti disegni e fotografie, non esprimono il modo consueto con cui un artista interpreta la realtà esterna scegliendo i soggetti da rappresentare e la forma pittorica; ma sono per lo più autoritratti iconici e ritratti di persone nei quali si manifesta il mondo interiore dell’autrice e si riflettono i cambiamenti nella sua vita e nella società.
E’ un’operazione inusuale, perché mentre gli sconvolgenti autoritratti di Van Gogh – nel suo dolente crescendo di arte e di follia – sono accompagnati da vedute naturali, Frida affida soprattutto al proprio volto e alla propria figura – a parte la visione cosmica dell’ultimo periodo e il transfert finale nelle nature morte – la sua visione della realtà in una concezione iconica che ne rende intrigante l’interpretazione.
L’interesse della mostra, sensibilità femminile e Fridomania
Ci sono diversi livelli di lettura delle opere e non ci si deve fermare al primo più immediato. La curatrice della mostra Helga Prignit-Poda osserva che “anche se Frida Kahlo fa di sé il soggetto di ogni quadro, ogni volta questo avviene in un altro contesto, con un altro fondo, e in un altro ruolo. Nessun dettaglio viene ripetuto e nessuna pennellata è senza significato. Questo vuol dire che nessuno dei suoi quadri sono facili da decifrare e molti segreti continueranno a rimanere nascosti nelle sue opere dietro facciate apparentemente innocue e criptate”.
Il volto fiero dell’artista, con i lineamenti nobili e molto marcati, le sopracciglia spesse e lunghe fino a ricongiungersi, occhi e capelli neri, raccolti con i fiori, esprime fermezza e un difficile equilibrio di sentimenti, pronto a rompersi quando le vicende della vita hanno portato dolore e sofferenza. E’ stata ferita nel fisico e nell’animo dalle dure esperienze vissute che ne hanno fatto un’eroina dell’essere donna quando non c’era il femminismo, e molti suoi atteggiamenti sembra lo abbiano anticipato. Forse anche questo aspetto – che avvicina alcuni suoi autoritratti alla celebre immagine egizia del volto di Nefertiti – con il tocco dell’arte ha contribuito a creare il suo mito.
Ortrud Westheider parla di “Fridomania”, spiegando che “oggi Frida Kahlo viene idolatrata in tutto il mondo e in maniera quasi cultuale, innescando processi di identificazione sempre nuovi”. E aggiunge che “a tutt’oggi è difficile rispondere alla domanda se sia l’arte ad avene costruito la fama, oppure la vita, le passioni laceranti, la condizione di amante infelice, di vittima predestinata”.
Mentre Achille Bonito Oliva ne sottolinea la solitudine rispetto al “rumore della vita” intorno a lei: “Sensibilità decentrata, anche per la sua condizione femminile, la Kahlo concentra tutto il suo universo intorno alla propria icona, però come scontornata, sola. La bella di nessuno. Sofferente e nervosa, sopracciglia gravi per loro continuità, ma nervosa”. E precisa: “Bella di nessuno dunque è la Kahlo, ma nervosa e creatrice. Essa fonde una cosmografia figurativa eliocentrica in cui la sua icona è astro motore. Un’armonia di dolori esplicitamente relaziona questo universo e nello stesso tempo lo riproduce con l’inganno seducente della bellezza”.
L’abbiamo associata a Georgia O’ Keeffe, forse per il legame tra il Messico di Frida e il New Mexico di Georgia, e per il collegamento della sua unione con l’artista pittore Diego Rivera della prima e con l’artista fotografo Stieglitz della seconda, per la natura parallela di questi rapporti, grandi amori permanenti interrotti da crisi e separazioni, poi ripresi senza mai rotture definitive.
E’ un’associazione di idee nata anche dalla vista dei due grandi quadri di Rivera del 1943 in mostra, con le “calle” dominanti, in uno dei due il vestito della donna distesa è a forma di “calle” da cui spuntano le gambe come pistilli, era il fiore prediletto nei dipinti della O’ Keeffe.
L’emozione che suscita la mostra viene dallo stretto rapporto della sua storia pittorica con la propria vita – svoltasi tra gli impetuosi movimenti popolari che hanno agitato la sua patria, il Messico – e la ricerca artistica tra le avanguardie pittoriche del ‘900 nelle quali la sua arte ha avuto un posto importante: come l’espressionismo dopo l’ambìto riconoscimento di André Breton che fu una vera consacrazione, ma anche forme legate alla magia e al mito fino al simbolismo di opere misteriose.
Hanno fatto bene gli organizzatori della mostra – che si avvale di opere riunite per la prima volta venute da 40 provenienze, musei e collezionisti messicani, americani ed europei – ad affiancarla al Palazzo Esposizioni con 8 conferenze serali, tra il 19 marzo e il 21 maggio, sui diversi aspetti dell’arte e della personalità di Frida, perché ne emerge una riflessione sulla vita individuale e sul rapporto con la vita collettiva, nella società e nei movimenti popolari. Ed è stato geniale affiancarla anche con il ciclo cinematografico “Siamo donne”, dal 22 marzo al 13 aprile: oltre ai due film sull’artista, l’americano “Frida” di Julie Taymor del 2002 e il messicano “Frida, naturaleza viva”, di Paul Leduc del 1986,ce ne sono 6 sulle donne entrate nel mito per ciò che rappresentano, da Giovanna d’Arco a Caterina di Russia, da Isadora Duncan a Evita, Maria Callas a Marilyn Monroe.
Chi era Frida Khalo
Ma chi era Frida Kahlo per suscitare tutto questo? Al punto che negli ultimi dieci anni la sua immagine – scrive la curatrice – “ha raggiunto, negli stand di merchandise di tutto il mondo,una popolarità analoga a quella di Che Guevara. E come il nome dell’eroe rivoluzionario si è trasformato nel brand ‘Che’, oggi Frida Kahlo, nell’epoca della sua iconizzazione, è diventata ‘Frida’”. Per rispondere va considerato “il mondo interiore dell’artista, ma anche il mondo esterno, reale, e in particolare il mondo dell’arte che l’ha spinta a diventare pittrice”.
Lo faremo in un excursus della sua tormentata biografia prima di parlare dei dipinti esposti in 8 Sezioni, espressive delle fasi della sua vita, con in mente i segreti e le espressioni criptate dell’artista cui la curatrice dedica un’ampia analisi, e conclude: “Frida ha riempito di segni nascosti le sue opere al fine di sfidare o anche di trarre in inganno lo spettatore che cerca di capire i suoi quadri”, precisando: “E parimenti voleva che nessuno potesse navigare attraverso il suo diario, e che nessuno, oltre a lei, potesse comprendere ciò che vi era scritto”.
Nel dare tali avvertimenti fornisce una serie di codici interpretativi dei segni criptici inseriti negli autoritratti iconici, come monogrammi e orologi, occhi e numeri, caratteri russi e in altre lingue straniere, per “liberare i quadri di Frida Kahlo dalla rigidità della loro iconizzazione”.
Sempre più presi dal mistero della sua arte enigmatica, ne ripercorriamo alcuni momenti di vita partendo dalle sue parole: “Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo. E’ in quel fuoco che sono nata, portata dall’impeto di una rivolta fino al momento di vedere giorno. Il giorno era cocente. Mi ha infiammato per il resto della mia vita. Sono nata nel 1910. Era estate. Di lì a poco è nato Emiliano Zapata, el Gran Insurrecto, avrebbe sollevato il sud. Ho avuto questa fortuna. Il 1910 è la mia data”. Il fatto che abbia modificato la vera data di nascita, il 1907, per identificarsi dall’inizio della vita nel fuoco rivoluzionario, la dice lunga su quanto sentiva sprigionarsi dentro di sé.
Ma non si trattava tanto del fuoco rivoluzionario quanto di quello femminile, che ne ha fatto una vera icona. Del resto lo ha riconosciuto nel suo Diario allorché ha scritto: “Sono molto preoccupata per la mia pittura. Soprattutto voglio trasformarla in qualcosa di utile per il movimento rivoluzionario comunista, dato che finora ho dipinto solo l’espressione onesta di me stessa, ben lontana dall’usare la mia pittura per servire il partito”. Ma ha servito la causa femminile, in questo è stata utile eccome.
I “due gravi incidenti” della sua vita
E’ molto stretto il rapporto tra arte e vita che troviamo in lei, perché la sua opera pittorica è legata a vicende sofferte che ne hanno travagliato l’esistenza, sin dalle profonde ferite nel corpo e nello spirito subite nel 1925 a 19 anni quando l’autobus su cui era salita per recuperare il suo ombrellino fu investito da un tram: “Non è vero che non ci si rende conto dell’urto, non è vero che non si piange – scrisse nel Diario – io non versai una lacrima. L’urto ci spinse in avanti e il corrimano mi trafisse come una spada trafigge un toro. Un uomo si accorse che avevo una tremenda emorragia, mi sollevò e mi depose su un tavolo da biliardo finché la Croce rossa non venne a prendermi”. E lei? “La prima cosa a cui pensai fu un giocattolo dai bei colori che avevo comprato quel giorno e che portavo con me. Volevo cercarlo, come se quello che era successo non avesse conseguenze molto più gravi”. Ben 14 fratture e lacerazioni, e in più la malformazione congenita della colonna vertebrale la costrinsero a numerosi interventi chirurgici e a ricorrere ad alcool, fumo e droga.
L’anno dopo scrisse al suo ragazzo Alejandro Gomez Arias: “Ero una ragazza che camminava in un mondo di colori, di forme chiare e tangibili. Tutto era misterioso e qualcosa si nascondeva; immaginare la sua natura era per me un gioco”. Poi cambia tutto: “Se tu sapessi com’è terribile raggiungere tutta la conoscenza all’improvviso – come se un lampo illuminasse la terra! Ora vivo in un pianeta di dolore, trasparente come il ghiaccio. E’ come se avessi imparato tutto in una volta, in pochi secondi”. Segue uno sfogo molto umano: “Le mie amiche, le mie compagne si sono fatte donne lentamente. Io sono diventata vecchia in pochi istanti è tutto è diventato insipido e piatto. So che dietro non c’è niente, se ci fosse qualcosa lo vedrei…”. A 19 anni iniziava una via crucis.
Lasciò gli studi di medicina e si dedicò alla pittura, aiutava il padre fotografo nel ritoccare le fotografie, un amico di famiglia l’aveva avviata al disegno. Nel 1927 conobbe Diego Rivera già famoso e introdotto nelle avanguardie europee, dopo averne seguito conferenze sull’arte al ritorno dalla Russia, mentre era impegnato in dipinti che esprimevano, con il recupero della cultura pre-ispanica – lo spirito popolare post rivoluzione: 150 murales politici nei cicli “Lavoro” e “Fiestas”.
Si sposarono due anni dopo, quando lei aveva 22 anni, lui 43, con diversi matrimoni falliti e tre figli, dando inizio a un rapporto intenso e tormentato da cambiamenti bruschi come le montagne russe. Arrivò a scrivere nel Diario: “Ho subito due gravi incidenti nella mia vita… Il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego”.
La madre di lei, contraria all’unione, li paragonava all'”elefante e la colomba”, con un’immagine che ne rende sia l’aspetto fisico che quello interiore; e come per la O’Keeffe e Stieglitz nel loro rapporto ci furono separazioni ed ebbero molti amanti: per Diego addirittura la sorella di Frida che quando lo seppe per reazione si mise con Leon Trotsky, che cadrà vittima del sicario di Stalin.
In mostra si vede uno straordinario documentario in cui Trotsky conversa e scherza in giardino con Frida e Rivera, che aveva ottenuto per lui l’asilo in Messico nel 1937 e lo ospitava con la moglie Natal’ja, poi è ripreso mentre parla con in mano un libro sul processo di Mosca, infine mentre detta un testo alla dattilografa. Di fronte a questo filmato in bianco e nero ce n’è uno a colori su Frida e Rivera in momenti distensivi; e un video con il commento di critici tra cui Achille Bonito Oliva.
L’esperienza americana, luci e ombre
Poco dopo il matrimonio, la prima esperienza negli Stati Uniti al seguito di Rivera protagonista di due grandi mostre a San Francisco e al MoMA di New York; lei dipinge in albergo in assoluta solitudine mentre è presa dal confronto tra la propria identità e il nuovo mondo che ha conosciuto. Scrive all’amica Isabel Campos nel maggio 1931: “Non puoi immaginarti quanto qui sia meraviglioso… La città è favolosa”. Dice anche: “Mi ha fatto molto bene venire qui, perché mi ha aperto gli occhi e ho visto una quantità di cose nuove e fantastiche”. Il suo stile pittorico muta, si esprime con autoritratti nei quali sottolinea i contrasti, come quello tra sole e luna, metafora del rapporto tra uomo e donna, dolore e gioia; le piccole dimensioni sottolineano la ricerca interiore.
La solitudine si acuisce nel 1932 dopo la morte della madre e uno dei ripetuti aborti a Detroit, che le ispira un dipinto sull'”Henry Ford Hospital”, dove è ricoverata, in mostra un disegno preparatorio con lei nuda su un letto molto simile a quello celebre dell’ “Apollinére” di Duchamp, qui non abbiamo la scherzosa trasposizione delle parole pubblicitarie modificate, ma l’evocazione di un dramma. Del resto fu allora che vide per la prima volta le opere di Duchamp, essendo in contatto con i collezionisti californiani Arensberg amici del creatore dei “ready made”, tra l’altro sarà suo ospite a Parigi nel 1939. Entrambi hanno rappresentato, in forme diverse e inusuali, la sensualità dinanzi alla vita, Duchamp in “Mariée mise à nu par ses Célibataires, meme”, del 1915-23, lei in “La sposa si spaventa alla vista della vita aperta”, del 1943, riferito alla sposa di Breton, da lei amata.
Va ricordata che quando lascia gli Stati Uniti dopo il rifiuto di un murales di Rivera perché vi ha inserito un grande ritratto di Lenin, dipinge il quadro molto eloquente “Il mio vestito appeso là”.
Nel secondo soggiorno a New York conosce Louise Nevelson, allora studentessa di arte, che nel 1933 diventa assistente di Rivera e viene ospitata in un appartamento sotto il loro; nello stesso periodo nasce un legame anche con George Grosz, di qui i collegamenti con correnti artistiche quali la Nuova Oggettività e il Realismo magico, oltre all’espressionismo di cui si dirà tra poco; Ortrud Westheider ne fa un’ampia analisi includendo Alfred H. Barr Jr., direttore del MoMA, Julien Levy, di una grande galleria sempre a New York, e il critico d’arte Wilheilm Valentiner.
La crisi esistenziale, la consacrazione espressionista
Il rapporto con Rivera è sempre più precario, il dolore e la sofferenza diventano costanti nella sua vita e nella sua arte. Torna in Messico nel 1934, l’unione con Diego è entrata in crisi quando ha scoperto la relazione con la sorella Cristina, c’è la storia con Trotski nel 1937, il divorzio nel 1939 e nuove nozze nel 1940: un’alternanza che la logora, torna la tempesta di sentimenti alla base della sua arte.
Scrive nel Diario che “l’angoscia e il dolore, il piacere e la morte non sono nient’altro che un processo per esistere”, e anche “a che mi servono i piedi se ho ali per volare?”. E nelle lettere a Leo Eloesser, il suo dottore: “Bellezza e bruttezza sono un miraggio perché gli altri finiscono per vedere la nostra interiorità”. Eccola: “Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare. Il dolore non è parte della vita, può diventare la vita stessa”.
Esprime questi stati d’animo e sentimenti nella pittura. I suoi dipinti riscuotono l’ammirazione di Andrè Breton, in America dall’aprile 1937 per conferenze e ospite di Rivera, come Trotski, con la moglie Jacqueline Lamba: le tre coppie fecero sei lunghi viaggi all’interno del Messico, di cui Breton poté apprezzare lo spirito popolare vicino al surrealismo, mentre lo scopriva nell’arte di Frida: “La sua opera, concepita nella totale ignoranza delle ragioni che hanno potuto spingere me e i miei amici, sbocciava nelle ultime tele in pieno surrealismo”, scrisse, e ne promosse l’esposizione facendone un’entusiastica recensione.
Nel 1939 le mostre a New York, alla Julien Levy Gallery, e poi a Parigi, salutate così da Breton: “Mentre ero in Messico, sentivo che non potevo pensare ad un’arte situata nel tempo e nello spazio in maniera più perfetta della sua. Vorrei aggiungere che non c’è nessun’altra arte più esclusivamente femminile; nel senso che, per essere più seduttiva possibile,vuole disperatamente giocare ad essere assolutamente pura e allo stesso tempo assolutamente perniciosa. L’arte di Frida Kahlo è un nastro legato attorno a una bomba”.
E’ “seduttivo” lo sguardo dei suoi autoritratti quasi per ammaliare alla ricerca di comprensione e di aiuto, come è “perniciosa” la tristezza che gli autoritratti spesso trasmettono come specchio della sua condizione umana di sofferenza. Il tutto nell’unione tra arte e vita come espressione non solo delle sfortunate esperienze personali ma anche delle vicende storiche e sociali, del sentimento popolare e, non ultimo, delle sue intense letture nei lunghi periodi di solitudine e di degenza.
Espressioni personali e cultura popolare, fino alla visione cosmica
La aiuta la ricerca e l’uso di simboli e codici nei quali esprimere contenuti segreti, secondo gli antichi miti messicani in cui trovava ispirazione, dietro “le facciate apparentemente innocue e criptate” di cui parla la curatrice. In chiave fortemente intima e personale opera la fusione tra i propri sentimenti e la cultura popolare impiegando colori e simboli tradizionali; e intercetta i movimenti culturali e le forme stilistiche della sua epoca, dal Pauperismo rivoluzionario e dall’Estridentismo sulla scia del Futurismo europeo, al Surrealismo fino al realismo magico nell’ultima fase. Anche perché ha conosciuto direttamente gli artisti della sua epoca, Duchamp e gli espressionisti, , Picasso e i cubisti,Van Gogh ed Ernst.
Scrive Salomon Grinberg: “L’artista quasi sempre presenta se stessa al centro di rappresentazioni drammatiche che rimandano alle prove dolorose della sua vita. E’ un fatto, del resto, che la pittura di Kahlo – se la si vuole davvero comprendere – non può essere considerata separatamente dalla sua vita. Tuttavia, l’influenza pervasiva della cultura visiva dell’artista non è meno importante ai fini della comprensione della sua opera”.
E non si tratta solo delle correnti artistiche da lei interpretate ed attraversate. Ancora Westheider contesta “il contrasto stereotipato che vede in Diego Rivera il pittore di un mondo di ampi panorami sociali, e in Frida Kahlo, invece, un’artista confinata dall’handicap della sua malattia al piccolo mondo dei ritratti di amici, degli autoritratti e delle natura morte”.
Tornando alla biografia, in America Peggy Guggenheim si interessa a lei e le organizza una mostra, diviene insegnante all’Accademia delle Arti, i suoi pochi ma fedelissimi allievi si facevano chiamare “Los Fridas”: lei priva di base accademica li spronava a esprimere la propria personalità senza vincoli di stile o contenuto, ne nacquero opere che venivano inaugurate con grandi feste.
Sono di questo periodo dei ritratti molto espressivi di amici o committenti, seguiti da disegni politici cme la “Statua della Libertà”. C’è anche una sublimazione verso la visione cosmica e la trascendenza, con immagini sempre più simboliche, senza la sua figura ma con tanti volti inseriti in composizioni vaste e complesse di sapore biblico con la dominanza astrale se non divina.. Viene premiato nel 1946 il suo quadro “Nucleo solar” o “Mosé” che ricorda il murale “Creazione” di Rivera ma con motivi personali legati a sensi di colpa e paure degli aborti con ricerca di protezione.
Quando torna la sua figura è per mostrare che, pur nel sofferto isolamento, è cresciuta in autostima: dopo 20 anni dall’unione con Rivera si sente più importante, prima era schiacciata anche in termini artistici dal peso del celebre pittore di murales, l’elefante sulla colomba.
L’arte di Frida si segnala sempre più di valenza universale, in quanto espressione dei sentimenti perenni dell’umanità nella solitudine dell’individuo dinanzi ai problemi esistenziali, mentre l’arte di Rivera era legata ai bisogni in chiave collettiva del Messico rivoluzionario.
L’ultima fase della “Giovanna d’Arco dell’arte”
Nell’ultima fase della sua ancora giovane vita, l’inizio degli anni ‘50, passa alle nature morte per esprimere loro tramite la sua inquietudine abbandonando gli autoritratti che ritiene sarebbero impietosi per il decadimento fisico che lei non vuole esporre dopo tante forti immagini di fierezza, ma sceglie soprattutto l’anguria per la vitalità del suo rosso violento, come fece Renato Guttuso.
Siamo nel 1954, l’anno in cui muore a soli 47 anni, ora la sua “casa blu” è un museo dove sono conservate le sue ceneri; Rivera la seguì nel 1957, a 71 anni, ed è sepolto a Città del Messico nella Rotonda delle Persone illustri: anche qui la loro diversa prospettiva, personale e intima per lei, pubblica e collettiva per lui. Ma il Museo è visitato da mezzo milione di visitatori ogni anno per la dimensione dei suoi sentimenti individuali che hanno, ripetiamo, un carattere universale.
Achille Bonito Oliva la definisce “Giovanna d’Arco dell’arte” e conclude così il suo ritratto critico dell’artista: “Sismografo del cuore spinato è stata la pittura per Frida Kahlo. E mai strumento di rilevamento ha restituito alla vita e tanto risarcito quanto in questo caso. Per colpa degli altri e per merito della Bella. Tu bella e nostra Frida! Sacro cuore e muschio di nuova vita iconografica. Mai più sola. Con me per sempre”. La nostra visita inizia con queste parole, la racconteremo presto.
Info
Scuderie del Quirinale, Via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì ore 10,00-20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30, non c’è chiusura settimanale, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 12,00, ridotto euro 9,50. Tel. 06.39967500; http://www.scuderiequirinale.it/. Catalogo “Frida Khalo”, a cura di Helga Prignitz-Poda, Electa, 2014, pp. 192, formato 28 x 30, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per gli artisti e le correnti cui si è fatto riferimento, cfr. i nostri articoli in questo sito sulle mostre di Marcel Duchamp il 16 gennaio 2014, di Louise Nevelson il 25 maggio 2013, di Renato Guttuso il 25, 30 gennaio 2013, dei Cubisti, 16 maggio 2013, di Giorgio de Chirico il 20, 26 giugno e 1° luglio 2013, del Guggenheim il 23, 27 novembre e 11 dicembre 2012; e in “cultura.inabruzzo,it” i nostri 2 articoli sulla mostra di Georgia O’ Keeffe il 6 febbraio 2012, dei Surrealisti il 6, 7 febbraio, nonché 1° dicembre 2010 nell’ambito della mostra “Teatro del sogno” di Perugia, di Van Gogh il 17, 18 febbraio 2011, di Giorgio de Chirico l’8, 10, 11 luglio 2010, nonché 27 agosto, 23 settembre, 22 dicembre 2009, di Picasso il 4 febbraio 2009. Cfr. in questo sito gli altri due nostri articoli sulla mostra, “Frida Kahlo, Autoritratti iconici e non solo, alle Scuderie” e “Frida Kahlo, opere su carta e non solo, alle Scuderie”, che saranno pubblicati il 12 e 16 aprile prossimi, e nel sito specializzato http://www.fotografarefacile.it/. il nostro articolo “Roma. Frida Khalo in 33 foto nella mostra alle Scuderie”, aprile ’14.
Foto
Le immagini sono state in parte riprese da Romano Maria Levante nelle Scuderie del Quirinale alla presentazione della mostra, in parte fornite dall’Azienda speciale Expo che si ringrazia con i titolari dei diritti. In apertura, “Autoritratto con scimmie”, 1943; seguono “Autoritratto con vestito di velluto”, 1926, e “Vetrina in una via di Detroit”, 1932; poi “Ritratto di una signora in bianco”, 1929, e “Bimba thuacana Lucha Maria” o “Il Sole e la Luna” o “Donna con mantellina”, 1942; quindi “La sposa che si spaventa vedendo la vita aperta”, 1943, e “Ritratto di Natasha Gelman”, 1943; in chiusura, di Diego Rivera, “Ritratto di Natasha Gelman”, 1943.