Morrione, “Madri e figlie”, 80 foto in mostra e in un libro

di Romano Maria Levante

Una mostra e un libro fotografico di Gabriele Morrione fanno entrare in un mondo che si crede di conoscere mentre spesso non ci si rende conto della profondità di sentimenti che attraversano i rapporti tra “Madri e figlie”. La mostra, così intitolata come il libro – con l’intervento di Flora Ricordy e Francesca Romana Marino, titolari della Galleria d’Arte “Il Fondaco” – è nell’ex pastificio Cerere – benemerito nel sostegno all’arte in diverse forme come nel concorso con stage per i vincitori “6Artista” – dal 18 gennaio al 2 febbraio 2014.  Il libro edito da Infinito Edizioni ne è il raffinato catalogo e non solo, perché oltre alle immagini delle 80 madri e 99 figlie contiene circa 50  racconti delle protagoniste del set fotografico che consentono di rapportare le  immagini alle parole.

Storie raccontate da immagini e parole

E’ questa una delle particolarità dell’iniziativa, che nasce dalla concezione di Morrione che spesso l’immagine fotografica non riesce a raccontare appieno la storia del momento fissato dall’obiettivo e del soggetto ripreso dallo scatto; per questo fa parlare i protagonisti perché si aprano alla confidenza, fino alla confessione, rendendo partecipe l’osservatore di ciò che sta dietro un’espressione, un sorriso, un gesto. Si rende conto lui stesso di andare controcorrente ma va avanti nella sua strada: “La scelta di accompagnare le fotografie con testi scritti non è facilmente accettata dalla critica fotografica – scrive – Viceversa, per me, questa scelta risponde a un’esigenza più profonda: restituire la fotografia alla vita”. In definitiva, non si limita a rappresentare l’apparenza sia pure attraverso l’occhio indagatore del mezzo fotografico, per completare la narrazione cerca di penetrare al di là dell’immagine fino ai recessi più intimi con la partecipazione che diventa complicità del soggetto, senza invadenza.

Come ciò avvenga lo spiega Francesca Marino: “Questo perché la sensibilità con cui Gabriele Morrione entra e partecipa della vita degli altri coinvolge il soggetto ripreso in modo tale che chi poi guarda e legge l’opera finita si sente accolto, invitato garbatamente, a partecipare egli stesso”.

La fotografia per lui resta fondamentale, è posta al centro dell’attenzione, è la sola in grado di “catturare” l’emozione di un attimo e a conservarne la memoria che altrimenti sarebbe dispersa; e lo ha fatto con le madri e le figlie le quali possono così rivelare a se stesse sentimenti che non si esauriscono nel generico rapporto materno e filiale pur se intenso, dal quale tuttavia oltre alla vicinanza naturale può nascere una distanza non voluta ma subita. Mentre il richiamo che scaturisce dagli incontri ravvicinati fissati dalle fotografie è sentito  così da Mara Abruzzese: “Scorrendo le immagini di questo libro è lampante la ricerca, più o meno consapevole,  di un contatto, che sia fisico o spirituale poco importa”. I testi con le confidenze servono ad interpretare le immagini, a valorizzarne i contenuti più profondi.

Una passione per la fotografia, la sua, che ha dall’infanzia, tanto che a 13 anni stampava da sé le fotografie, come ha continuato a fare anche per quelle attuali tutte in bianco e nero. Si è dedicato alla fotografia d’arte con committenze di grandi collezionisti e importanti editori,  e alla fotografia d’architettura cui ha potuto impegnarsi unendo alla passione la competenza di architetto di un ente pubblico, direttore  per 12 anni di “Edilizia Militare”, con servizi fotografici per università e imprese e con la documentazione dell’opera di grandi architetti, basta ricordare la mostra romana del 1980 al Palazzo Esposizioni  “Gaudi immagine e architettura” che riscosse grande successo, e il libro del 1979 dallo stesso titolo.

Inoltre è stato tra i pionieri della fotografia nella scuola, protagonista di corsi nelle attività extracurriculari per gli studenti; attività tradotta nei libri “Scuola, immagine e sperimentazione”, del 1981, e “La fotografia nella scuola”, del 1986.

Ma soprattutto si è dedicato con  impegno alla fotografia della donna, rendendo il fascino e la seduzione del nudo femminile; e al ritratto sperimentandone fino in fondo le possibilità espressive anche facendone un’attività professionale: tra i 15 libri di cui è stato autore, ben 9, fino al libro attuale, erano stati dedicati alla donna: ci limitiamo a citare “Anna e le bambole” e “Grammatica di donna” negli anni ’80, “Volti di donna” e “Sharon o del corpo svelato” degli anni 90, “Corpi di donna”  e “Immagini e parole di donna” dopo il 2000. Ricordiamo anche la mostra del 2002 a Ferrara, “La donna al lavoro tra ieri e domani”, un tema sul quale ricordiamo la mostra romana di Carlo e Maurizio Ricciardi del marzo 2011, “Donne & lavoro”

Ora Morrione ci offre la mostra e il libro “Madri e figlie”, dove il mondo femminile viene visto sotto un diverso e speciale profilo, più complesso e meno scontato di quanto si possa pensare a prima vista: sono donne legate dal rapporto più stretto che ci possa essere – qual è quello tra madri e figlie – ma proprio per questo ricco di sfaccettature che lo rendono intrigante e misterioso anche quando sembrerebbe tutto chiaro e aperto. Come i misteri dell’Oriente che spesso si celano dietro normali apparenze, e anche a questi è interessato: Istanbul, che come crocevia tra Oriente e Occidente ne è la porta, è la sua città preferita ed è attualmente impegnato  a realizzare un libro che ne racconterà il fascino e la complessità.

Un “setting”  fotografico inconsueto

Quello che viene presentato non è il mondo di Morrione e non è neppure il mondo femminile che aveva indagato finora in una concezione della fotografia come “sublimazione dei desideri” per cui aveva ripreso soprattutto nudi di donne giovani e affascinanti. E non si è trattato neppure di celebrare personalità straordinarie, come è stato nella mostra fotografica “Le donne che hanno fatto l’Italia”, tenuta al Vittoriano nel 150° dell’Unità nazionale.

Dal novembre 2012 al giugno 2013 ha scelto donne comuni, spesso da lui conosciute da tempo, forse per quello che chiama il “senso di colpa” di essere il quarto figlio maschio al posto della femmina attesa, e si è accorto subito di un’altra differenza rispetto alle esperienze consuete nel rapporto che era solito instaurare col soggetto raffigurato: questa volta non era più lui a condurre il gioco ma le madri e figlie nucleo di una famiglia cui era estraneo.

Nutriva la speranza “che il setting fotografico, con le sue peculiari caratteristiche, abbia favorito, in alcuni casi, un incontro e un dialogo forse trascurati, sopiti o considerati scontati”. Ma a questa sensazione positiva se ne aggiungeva un’altra di segno diverso: “Eppure… mi sono sentito vecchio… Tutto era già avvenuto: dalla nascita di una figlia che segna il tempo della madre, al mio tempo.  Una constatazione della saldezza e della precarietà della vita”.

Tutto ciò avendo a che fare con soggetti in gran parte conosciuti, ma che si arricchivano via via che il lavoro procedeva, sicché davanti al suo obiettivo – dice lui stesso – veniva “in qualche modo materializzato  l’archetipo femminile, riassunto nell’ancestrale rapporto-madre-figlia”.  Un obiettivo, per di più aperto all’interno del suo studio in Trastevere, quindi lontano dalle abitazioni dei soggetti e anche dai luoghi pubblici delle istantanee rubate: pose molto professionali, con luce diffusa e due-tre riflettori per illuminare in modo appropriato particolari del viso e dei capelli. In controtendenza rispetto all’apparato da studio di posa, la richiesta di essere naturali e pensare ad atteggiamenti e gesti consueti senza timidezza: “Ovviamente la richiesta è facile da formulare, ma molto più difficile da attuare!”, commenta.

Voleva la presenza di tutte le figlie senza alcuna esclusione, e la scelta della foto tra quelle scattate ad ogni gruppo familiare (una o due pellicole di 9 fotogrammi)  è stata fatta – spiega – “spesso confrontandomi con i soggetti fotografati”. Una complicità che si estende fino alla richiesta di un testo in cui i soggetti esprimessero il proprio pensiero sui rapporti madre-figlia, indipendentemente dalla fotografia scelta in modo da liberarli da ogni condizionamento.

Fotografie e pensieri di “madri e figlie” prima del 2013

Abbiamo detto che il “setting” fotografico è stato attivo per 8 mesi, dal novembre 2012 al giugno 2013; con un’eccezione, le prime 7 fotografie sono anteriori, tre degli anni ’70, una degli anni ‘80, una degli anni ’90  e due dal 2008 al 2010, quasi che l’autore abbia voluto collegarsi a un vasto arco della propria vita, per creare un confronto ideale tra ieri e oggi. Non nell’azione del tempo sui soggetti, che sono ovviamente diversi, ma sul proprio approccio al tema: ebbene, si nota un’assoluta continuità, gli sfondi di volta in volta neri o luminosi, i primi piani dei volti scolpiti o accarezzati dalla luce, contrasti e chiaroscuri insieme a ombreggiature sfumate; differenze  di età più o meno marcate, la posa da diva insieme ad atteggiamenti di carattere prettamente domestico.

Sono caratteri che ritroviamo nell’intera galleria nella quale, quasi specularmente con il passato, presenta solo 7 foto del novembre 2012, le altre tutte del 2013. Ma tra le poche immagini del 2012 c’è quello che ci è apparso il capolavoro: “Claudia, Elena e Margherita”, una fotografia pittorica di straordinaria intensità, con gli occhi delle due bambine che fissano l’osservatore come in alcuni intensi scatti di Steve McCurry, mentre il viso della madre ad occhi chiusi nell’estasi dell’amore materno è quasi stretto dall’abbraccio dei loro volti nel calore del mantello della bambina che racchiude quello dei loro cuori, con la luce abbacinante senza ombre a dare il senso della pienezza di un sentimento totale, assoluto. E la madre Claudia Caputi, nel ripercorrere con la memoria le emozioni della maternità con la vulnerabilità acquisita ai sentimenti, scrive: “E’ stato quello il passaggio,Gabriele. L’hai colto in quella foto dove sono con gli occhi chiusi. Ancora una volta hai dimostrato di saper usare l’obiettivo cogliendo quello che si nasconde nell’anima. Hai colto il giorno in cui la mia vita non è stata più soltanto mia, il momento esatto in cui sono diventata tre e io è diventato noi“.

Sempre nel 2012 c’è un’immagine ben diversa, “Paola e Chiara”,  non è il noto duo canoro ma una madre avanti con gli anni e una figlia scrittrice sia pure giovane: espressione statuaria con le mani nervose bene in vista, ed a queste fa riferimento la madre  Paola Cecchetti: “La foto di Gabriele non mi piace, perché rimanda altro: una posa posseduta dal tempo cronologico che blocca me e Chiara in una gerarchia spaziale dove solo le mani svelano una vita rapace”. E aggiunge, rivelando senza volerlo la grande capacità maieutica del fotografo: “Arroganza, la sua aggressività, o semplice descrizione? Certo, costringe  a fermare lo sguardo e il pensiero sull’immagine da lui creata: immagine che sempre trasuda il mistero del passaggio dalla presenza all’assenza. Nella sua artefatta immobilità parla di una qualche verità che non è quella che mostra”. Restituisce la fotografia alla vita, come dice lui stesso.

Galleria fotografica e scritti dei primi tre mesi del 2013

Nel gennaio 2013 ci colpiscono due foto speculari nella loro diversità.“Elisabetta e Matilde” sono due visi assorti abbacinati dalla luce, la figlia in primo piano con i grandi occhi spalancati, la madre dietro di lei con gli occhi socchiusi; “Alessandra e Giulia” due figure con i visi quasi sovrapposti aperti nel sorriso e le mani non rapaci ma annodate strettamente.  Delle prime due donne resta il mistero dei loro sguardi, delle seconde ha scritto Alessandra Vergani: “Siamo simili e diverse. Tra noi da sempre un legame forte, una vera passione, come tutte le passioni a tratti irrequieta e contrastata… E’ il tempo tra me e lei di ridefinire intimità e distanze. Sempre con lo stesso amore”. La fotografia esprime  tutto questo.

Abbiamo poi, sempre nel gennaio, una serie di foto con tre soggetti in una varietà di composizioni, i volti stretti tra loro di “Maria, Emma ed Anna Sofia”, quelli in sequenza di “Paola, Marta e Bianca”, oppure quelli distanti quasi a sottolineare la raggiunta emancipazione in “Anna, Cloe e Martina” e in “Renata, Maria e Paola”.

Qualche foto a tre soggetti anche in febbraio: “Antonella, Giulia e Sabrina”, “Vanda, Gabriella e Simonetta“, con il gap generazionale in evidenza, fino ai quattro soggetti “Marina, Fulvia, Enrica e Claudia”; le altre sono tutte di una madre con l’unica figlia nei più diversi atteggiamenti: in pose scherzose “Isa e Ingrid”, “Ginevra e Emma” e Chiara e Giulia”, straordinaria quest’ultima con la testa e le mani della bimba quasi uscissero dal marsupio della madre, sorridenti “Andreina e Anna”, “Paola e Federica”. “Mentre Gabriella e Michela”, “Michela e Alice” , “Silvia e Fulvia”, “Mahtab e Amrita”, cercano di trasmettere una particolare intensità. Nessuno scritto consente di interpretarne i sentimenti al di là di quanto comunicato dall’immagine, che non è poco. Invece Cristina Angeleri commenta così la forte immagine dei volti di “Cristina ed Elisa”: “Ecco, un’istantanea di noi due: tu, meditabonda, che poni domande. Io che ti guardo, sorpresa. Se l’amore è il sentimento che mi lega  a te, la sorpresa, da quando sei nata, è l’emozione che più di ogni altra mi regali”.

In marzo è forse la primavera a dare una vivacità che in “Donatella e Stefania” diventa positivamente clownesca, e in altre si traduce in aperti sorrisi. Che in “Maria e Benedetta”, “Loretta e Camilla” rischiarano composizioni suggestive per il gioco dei capelli e delle luci tra volti radiosi. In “Carmela e Monica” il gap  generazionale è evidente, e torna in aprile con “Maria Grazia e Matilde”, “Rosalba e Lavinia”. Le loro parole:: Carmela Marazia e Monica Marra: “Questa fotografia diviene il ricordo lieve di un istante consegnato agli altri”; Matilde Sarti: “Una madre e una figlia hanno un rapporto indissolubile e intrecciato in ogni atomo, ma quasi mai la figlia lo comprende prima di arrivare ad una certa età… e mai lo comprende fino in fondo finché non diviene lei stessa madre”; lo conferma Rosalba Verolino riferendosi alla figlia Lavinia: “Da qualche mese è madre anche lei. Qualcosa è cambiato: il rapporto tra noi ora è più solido. Riconosce in me un’alleata, un’assistente. Condivide con me nuovi attimi d’intimità e capisce, finalmente, anche i ‘no’ del passato. Forse, adesso, siamo anche amiche”.

Immagini e parole dell’ultimo trimestre del “reportage”

Aprile è ricco di immagini con tre eccezioni al “setting” dello studio fotografico. “Maria e Lucia”, “Lucia, Marta e Emma” sono all’aperto, in giardino, le seconde addirittura dividono un’amaca, si respira benessere e serenità; “Laura e Matilde” sono riprese davanti a una scaffalatura di libri, un interno confortevole per la loro terza età, quanto mai vitale, tanto che la figlia Matilde Bocchi si rivolge così alla madre: “Laura, sei stata e sei tutt’ora una forza della natura, una vera leonessa”. Daniela Pellegrini,  ritratta con la madre in “Annamaria e Daniela”, nel ricordare gli insegnamenti avuti dalla vita esclama: “Mia nonna, mia madre, le mie quattro sorelle, sono quello che io mi sforzo di essere per mio figlio. E per la verità non mi sforzo, mi viene e basta. Le braccia aperte in cui trovare conforto, e la forza per remare nella stessa direzione”.

In maggio solo coppie di madre e figlia, con espressioni gioiose, pensose invece in “Fatima e Francesca”, non c’è testo, resterà il mistero dei loro sguardi teneri e assorti. Assorta è anche la madre impettita in “Sabina e Jeanne”, ma la figlia scherzando si lascia andare a terra. Magistrale l’accoppiata di “Laura e Carlotta” e “Mariangela e Laura”, in entrambe Laura Bottiglia nei due ruoli: come figlia si rivolge così alla madre.”Tu ci sei sempre stata…  più ti vedo accanto a me più mi emoziono e ti ringrazio per tutto. e’ stato imbarazzante, complicato, ma anche emozionante e molto curioso posare con Te… anche questa volta…insieme!”; come madre scrive: “Ora eccoci qui, in posa davanti all’obiettivo per parlare di noi… le nostre discussioni, le nostre giornate no… ma anche i nostri sorrisi, le nostre chiacchierate, le coccole e gli abbracci!”. Il passaggio del testimone reso in due immagini e in qualche parola che pone in luce anche la complessità del rapporto con  i sentimenti di umanità che esprime.

Le altre coppie di maggio vedono volti freschi nelle pose più varie, guancia a guancia nell’intenso “Laura e Matilde”, obliqui alla Rodcenko nello scherzoso “Gaia e Agata”, e Gaia Morrione – ritratta anche con la madre in “Annamaria e Gaia”, un’immagine invece quasi ufficiale – scrive: “Madre Figlia – Figlia Madre, impossibile pensare a un rapporto più intenso e complesso. Sono le  nostre figlie che scelgono noi?”. Volti accompagnati da gesti delle mani in “Paola e Marta”, “Patrizia e Joi”, “delle braccia in “Marta e Hanna”, “Maria Pia  e Beatrice”.  “Franca e Ludovica” sono riprese invece in giardino.

Nell’accorta miscela generazionale dell’autore tornano i capelli bianchi, oltre che nel già citato  “Annamaria e Gaia”,  in “Elvezia e Mara” nella loro casa, come Mara Filippi Morrione sottolinea nel testo scritto, e in “Francesca e Alessandra” dove Francesca Milani, nel dichiarare che era certa del sesso della nascitura pur senza ecografia, lo spiega così: “Certe cose si sentono dentro, hanno delle loro ragioni arcane, ma nettissime, tali da avermi fatto pensare in anticipo al suo nome: Alessandra”.

E siamo giunti all’ultimo mese del “reportage” di Morrione nel suo studio sui sentimenti di maternità e sull’amore filiale: giugno 2013, 9 immagini, ritroviamo l’allineamento verticale dei visi in “Anna e Donatella”, “Sabrina e Ana Rosa”, mentre in “Patrizia e Benedetta”sono allineate verso l’alto le figure ; gli sguardi complici di “Maria Pia e Ilaria” e le teste accostate di “Maria Rosaria e Giulia” completano la galleria delle coppie.

Poi le immagini con tre figure in una sinfonia di espressioni, ma ci ha colpito ancora di più la composizione a quattro “Ilaria, Livia, Elena e Marta”, per la felicità nei loro sorrisi con gli occhi penetranti che la rendono contagiosa per l’osservatore. Ilaria Schiaffini nel sottolineare “l’abbondanza di femminilità” della sua famiglia osserva: “L’immediatezza dell’identificazione femminile nel rapporto madre-figlia apre una partita di alta intensità emotiva, governata da pulsioni viscerali, gelosie ed esigenze di emancipazione. A volte mi sento in un territorio di conquista, conteso da esigenze di esclusività inconciliabili, che vivo con un senso di gratificazione e nello stesso tempo di inadeguatezza. All’inizio pensavo che la spontaneità dell’amore potesse proteggere , come uno scudo inossidabile, da dubbi, errori e sofferenze. Ora mi accorgo con una certa delusione che non è così”. Ma conclude sollevata con le parole di Elena: “Tu sei la mamma più bella e più  brava di tutte. Sorpresa e incuriosita le ho chiesto: ‘Perchè’. E lei:’Perché sei la mia mamma’”.  Parole che scolpiscono la complessità di questo rapporto e il modo in cui le contraddizioni che possono divenire contrasti si sciolgono nel mare del sentimento materno cui si unisce l’amore filiale.

Il rapporto madre-figlia visto fuori dal “set” di  Morrione

Più di tante indagini sociologiche le fotografie di Morrione accompagnate da parole eloquenti fanno penetrare nel rapporto tra madre e figlia la cui complessità viene descritta ponendosi all’esterno del suo osservatorio da Mara Abruzzese: “Quanta confidenza e quanta distanza si celano tra una mamma e una figlia. Specchio della volontà suprema di affermare sé stesse, spudoratamente sicure di un legame imperituro e innegabile trattenuto da tre ‘emme’, le più chiare, le più complicate. Ognuna a suo modo, ognuna nei propri limiti”.  Legame che viene evidenziato dalle immagini, nelle quali “è lampante la ricerca , più o meno consapevole, di un contatto, fisico o spirituale, poco importa”.

Franca Avvisati aggiunge: “Ogni foto è un racconto, una novella, una storia di rapporti, di dipendenze, di amori, di emozioni, di conflitti”, così definiti da Daniela Bartolini: “Legami fra donne che non si sono mai spezzati e che quando maturano, godono d’una forza propria che supera nettamente la somma delle forze individuali di ognuna delle sue componenti”. E ancora: “Intangibili fili, sottili corrispondenze invisibili e forti che il tempo e lo spazio non sanno spezzare, fili che cambiano e si attorcigliano e diventano un cordone ombelicale che nessuna lama al mondo può scindere o intaccare, in questo ‘essere donne’…”.

Patrizia Cupelloni la chiama “alleanza senza ambiguità” tra madri e figlie: “Sembrano differenziarsi solo per l’orgoglio delle prime e per l’imbarazzo delle seconde. Si mostrano strette in caldi abbracci, in sguardi ammiccanti”, le immagini esprimono “un sentimento irrinunciabile, arcaico, un legame basico”.

L’autore ha descritto questo sentimento in modo molto personale, esprimendo “ciò che la propria ‘anima’ sente del mondo degli altri”, scrive Pia De Silvestris e aggiunge: “Morrione riesce a far rivivere davanti a noi la coppia madre-figlia, la più tenera o la più conflittuale con assoluta semplicità, al punto da farci quasi rabbrividire”. Ma non è stato un lavoro semplice: “Ogni immagine della raccolta è il frutto di molti tentativi, da parte dell’autore, per giungere a cogliere la relazione tra madre e figlia, attraverso i tanti ‘guardarsi non guardarsi’, ‘toccarsi non toccarsi‘ e in che modo, fino al momento in cui l’artista  riesce a ‘funzionare come sismografo dell’anima’”. La capacità dell’artista è precisamente quella di riuscire a realizzare ciò che la propria ‘anima’ sente del  mondo e degli altri, attraverso le sue più profonde vibrazioni”.  Il risultato? “Guardiamo questi ritratti e non possiamo evitare le emozioni: siamo tenuti e viverle. Ognuno, rispecchiandosi nelle immagini, può trovare elementi delle proprie vicende affettive originarie e, fantasticando sull’una o sull’altra, scoprire quello che avrebbe voluto oppure quello che non immaginava di avere avuto, in positivo o in negativo”. Come arriva a questo? E lo fa Francesco Scotti chiude con l’unico punto di vista maschile questa galleria femminile di commenti all’opera anch’essa maschile dell’autore delle immagini sul rapporto madre-figlia. E partendo da Freud, parla della “asimmetria” di tale rapporto: “La madre si trova a vivere in una scissione (sana) rispetto ai propri altri ruoli e compiti; mentre per la figlia la madre rappresenta tutto il mondo, con cui confrontarsi, mettendo alla prova la propria forza, così la madre non avrebbe bisogno, per la propria sopravvivenza, di  distaccarsi dalla figlia; mentre questo distacco sarebbe essenziale per la figlia che dovrebbe lottare per realizzarlo”.  Dinanzi a tale complessità così vede l’opera del fotografo, che “rappresenta l’aspettativa del superamento di questa lotta. Egli svolge tale ruolo attraverso una rappresentazione, costruendo l’immagine: egli ha la funzione di un terzo che propone l’occasione, offre modi, giudica, fa una scelta secondo un criterio proprio più o meno insindacabile”. Così la fotografia può rappresentare qualcosa di ben più importante di un’immagine: “E’ un equilibrio colto nell’istante, un esempio, una possibilità, la promessa o l’inizio di un nuovo rapporto: la messa in posa per costruire l’immagine diventa l’esempio di un compito che può essere affrontato per stabilire una nuova relazione”.

Dinanzi a queste parole si avverte la complessità e insieme l’importanza dell’operazione compiuta da Gabriele Morrione, sul suo “set” ogni volta non c’erano soltanto due o più soggetti da ritrarre insieme, ma un insieme di rapporti e di legami spesso di segno diverso che venivano rivissuti e andavano in qualche modo espressi visivamente. E questo è avvenuto in tanti modi, con l’espressione dei visi o il linguaggio dei corpi, le luci e le ombre o le forme e i volumi, i gesti o la fissità, i particolari o l’insieme; in una rappresentazione teatrale all’interno di uno studio fotografico dove i soggetti sono stati chiamati ad essere sé stessi e nel contempo a rappresentare il variegato e misterioso mondo della maternità e insieme della femminilità. Con un regista maschile, estraneo e interessato a quel mondo, anzi portato ad esplorarlo proprio per la sua estraneità personale e familiare.

Un bel risultato essere riuscito a costruire quello che Scotti, a conclusione del suo ampio commento, chiama “un monumento all’ideologia del femminile”.

Info

Spazio espositivo “Cerere”, Roma, via degli Ausoni 3, quartiere San Lorenzo. Tutti i giorni  esclusa la domenica, dalle ore 17 alle 21. Ingresso gratuito. Per informazioni  Ufficio stampa e Relazioni esterne – Caterina Falomo-PennarossaPressLab;  Cell. 346.8513723 – E-mail: caterina@pennarossapresslab.it;  http://www.gabrielemorrione.it/. Libro-catalogo: Gabriele Morrione, “Madri e figlie”, Infinito Edizioni, novembre 2013, pp. 128, formato 21×29,5 euro 25,00: dal catalogo sono state tratte le citazioni. Per il concorso con stage “6Artista”, ricordato all’inizio, cfr. il nostro articolo in questo sito il  3 gennaio 2013. Sulle mostre, anch’esse ricordate all’inizio, cfr. i nostri articoli in http://www.fotografarefacile.it/ del 16 gennaio 2012  “Roma. Le fotografie delle donne d”Italia al Vittoriano”, e del 29 marzo 2012 “‘Donne e lavoro’ nelle fotografie di Carlo e Maurizio Ricciardi”; nel suddetto sito specialistico cfr. anche, per Rodcenko e McCurry citati nel testo, i nostri servizi sulle relative mostre romane: per Rodcenko il 27 dicembre 2011 “Roma. In mostra le fotografie di Aleksandr Rodcenko” e “Roma. L’altro Rodcenko al Palazzo Esposizioni”; per McCurry il 7 gennaio e il 17 febbraio 2012 “Roma. Steve McCurry al Macro con 200 forografie”, “Roma. Steve McCurry in mostra al Testaccio” e “Roma. Dietro la fotografia del manifesto veneziano di Steve McCurry”; infine cfr., sempre su tale sito, un altro nostro servizio sulla mostra qui commentata dal titolo  “Roma. ‘Madri e figlie’ nelle fotografie di Gabriele Morrione”. Per la città di Istanbul, evocata nel testo, cfr. i nostri 3 articoli in questo sito del 10, 13 e 15 marzo 2013, in particolare “Istanbul, viaggio nella ‘nuova Roma’” e “Istanbul, alla ricerca di Costantinopoli”.

Foto

Le immagini, che scandiscono i singoli mesi del “reportage”, sono state cortesemente fornite da Caterina Falomo che si ringrazia, con l’autore titolare dei diritti  In apertura, “Claudia, Elena e Margherita”, novembre 2012, seguono  “Elisabetta e Matilde”, gennaio 2013, e “Chiara e Giulia”, febbraio 2913, poi “Maria e Benedetta”, marzo 2013, “Rosalba e Lavinia“, aprile 2013,  e “Gaia e Agata”, maggio 2013; in chiusura “Ilaria, Livia, Elena e Marta”, giugno 2013.