di Romano Maria Levante
“Venanzo Crocetti. Il sentimento dell’Antico, l’eleganza del Novecento” in mostra a Roma a Palazzo Venezia dal 2 settembre al 20 ottobre 2013. A cura di Paola Goretti e Raffaella Morselli, in sale trasformate in un tempio classico con un allestimento nel quale sono state inserite in modo armonioso le 85 scultureselezionate nella sua vasta produzione la cui esposizione permanente è nel Museo della Fondazione Crocetti in via Cassia a Roma. Tre sezioni: “Elegantiae” la raffinatezza del classicismo, “Etternale ardore” la tragicità dell’epica, “Clementiae” il lessico rusticano. La mostra apre e chiude con il sacro, il Crocifisso e il bozzetto del Portale della Basilica di San Pietro
L’allestimento della mostra a Palazzo Venezia
E’ un “presente senza tempo” quello delle sculture di Crocetti, ben definito dal titolo della mostra, perché nell’elegante modernità del Novecento c’è tutto il sentimento dell’Antico nelle espressioni di cui alle tre sezioni. Le ballerine e le modelle, le teste e i busti della sezione “Elegantiae” rimandano alla raffinatezza classica; le Maddalene e i rapimenti, le fughe e gli incendi, le lotte animali della sezione “Etternale ardore” al tragico dell’epica, i pescatori e bagnanti, gli animali del mondo contadino della sezione “Clementiae” al lessico rusticano. Grandi statue di bronzo in cui il tocco dell’artista è leggero, sono monumenti che esprimono sensazioni intense, dalla grazia alla forza.
Come è possibile tutto questo? L’artista di cui si celebra il centenario dalla nascita avvenuta nel 1913 ha avuto un costante dialogo con l’antico pur collocato saldamente nel ‘900 in cui si è posto da protagonista tra gli scultori. Questo richiamandosi ai mitici Donatello e Niccolò dell’Arca, e anche a Marini, Antelami e Poussin, nonché più in generale agli spunti italici e mediterranei fino a greci ed etruschi, egizi e piceni. Le sue composizioni hanno un forte senso plastico, una solidità radicata nella profonda ispirazione che non ha mai mostrato nel corso dei decenni alcun cedimento alle suggestioni delle avanguardie e della contemporaneità nazionali e internazionali.
Nelle grandi sale al piano nobile di Palazzo Venezia, la Sala Regia, la Sala delle Battaglie e la Sala del Mappamondo, il curatore dell’allestimento Cesare Mari ha realizzato un colonnato armonioso, riproducendo un porticato classico il cui candore lo rende quasi evanescente, per un richiamo al “presente senza tempo”: si è parlato di grecità e anche di elegia perché Mari è riuscito a creare un clima e un‘atmosfera di indicibile fascino senza prevaricare con l’allestimento le opere collocate all’interno del colonnato, che invece vedono valorizzata la loro classicità e imponenza.
Tutto è avvolto in una penombra che dà il senso del tempo e del mistero, con l’illuminazione di Giuseppe Mestrangelo volta a riprodurre i percorsi ipotetici della luce naturale più conformi all’idea dell’artista, scavando nelle pieghe della materia, nelle sue rotondità e negli spigoli, evidenziandone la forza espressiva. Completa l’immersione nel mondo di Crocetti un sistema di proiezioni nell’alto delle pareti delle sale, di Mario Flandoli, con i pensieri dell’artista tratti da diari inediti e immagini della sua opera scultorea. Ricordiamo al riguardo che al Museo della Fondazione Crocetti c’è il suo studio di scultore, diremo alla fine perchè è bene visitarlo dopo aver ammirato le 85 opere della mostra di Palazzo Venezia, c’è ancora tutto il suo mondo.
Nell’arte l’orgogliosa reazione a un’infanzia sfortunata
Nel commentare la mostra celebrativa del centenario del Maestro, riteniamo di aderire meglio al suo spirito ricordandone la vita e le opere senza limitarci alla descrizione delle opere esposte.
Ricordiamo subito che la sua prima esposizione avvenne nel 1930 a 17 anni, innumerevoli i premi conseguiti, le partecipazioni alle Quadriennali di Roma e alle Biennali di Venezia dove la sua fu una presenza costante; ebbe presidenze e cattedre di scultura nelle grandi Accademie nazionali nonostante avesse un temperamento schivo. Tutto questo si può vedere quasi a compensazione dei colpi della sorte subiti dall’età infantile: orfano di madre a dieci anni, due anni dopo perdette anche il padre e fu affidato allo zio paterno,che faceva il muratore a Portorecanati.
Ebbe la forza di volontà di reagire all’avverso destino con un orgoglio e una determinazione a sostegno di un talento innato. Ha scritto Carlo Ludovico Ragghianti: “Non si riscontrano nella formazione e nel percorso di Crocetti dibattiti o crisi. Una spontaneità felice, oltre ogni difficoltà e talvolta divieto di vita specie nella prima età, ha presieduto alle origini artistiche dello scultore, chiaramente un predestinato che fin dalla pubertà ha inseguito con tensione ininterrotta, e si direbbe con serenità, la finalità scoperta fin dalla vocazione”. L’arte, dunque, come rivincita sulla vita.
A Teramo, dal “Giovane Cavaliere della Pace” al “Monumento ai Caduti”
Ricordiamo che nella sua proiezione all’esterno ebbe il decisivo appoggio di Antonio Tancredi, scomparso nel maggio 2012, un mecenate moderno con la Banca di Teramo di cui era presidente, oltre che mediante la Fondazione Crocetti di cui da vice presidente Tancredi divenne presidente alla morte dello scultore. Un sodalizio altamente proficuo, che ha portato anche a molte reiterazioni di opere accrescendone così la fruibilità e diffusione; ne rimane un segno permanente nella terrazza della Banca di Teramo con la “Piccola Loggia dei Lanzi”, un’esposizione permanente a cielo aperto di sue opere particolarmente significative, le modelle e le ballerine in diverse pose e atteggiamenti, gli animali fino a raggiungere il culmine nel “Giovane Cavaliere della Pace”.
E’ l’opera che per il suo valore altamente simbolico è stata esposta, oltre che in molte grandi città nel mondo, all’Ermitage di San Pietroburgo e al Tretiacov di Mosca, al Parlamento europeo di Strasburgo e al Palazzo dell’ONU di New York, fino al Museo di arte contemporanea di Hiroshima: li abbiamo citati in un crescendo legato al più alto valore civile rappresentato in modo magistrale, la pace e la gioventù per il futuro.
Della grande statua che ha girato il mondo vi sono diverse incarnazioni stabili, dal Museo della Fondazione Crocetti al “Monumento ai Caduti di tutte le Guerre” a Teramo – che è la sua città, essendo nato a Giulianova sul litorale teramano – dove spicca all’interno della grande composizione celebrativa; oltre che nella “Piccola Loggia dei Lanzi” prima citata, con un serto d’alloro sul capo del Giovane Cavaliere, assente negli altri esemplari altrettanto monumentali. Nel “Monumento ai Caduti”, il Giovane Cavaliere è la figura serena e proiettata nel futuro posta al centro di imponenti sculture svettanti, tutte di ben quattro metri, che esprimono il sacrificio dei “Caduti della Terra”, i “Caduti del Mare”, i “Caduti del Cielo” con le loro forme allungate in modo estremo, nervose e scavate, protese nel momento supremo dell’eroismo. Un Mausoleo altamente simbolico, la rappresentazione epica è coronata dai tigli con la catena del Gran Sasso sullo sfondo; vi si svolge l’annuale omaggio delle autorità cittadine ai Caduti il 4 novembre, nell’anniversario della Vittoria.
La vita torna prorompente nella “Maternità”, altra statua all’aperto sempre a Teramo in piazza Orsini dinanzi al Municipio, un angolo raccolto tra il Duomo e il Vescovado: una madre splendida nella sua nudità solleva un bambino vestito, la sua è una seduzione naturale nel ritorno alle origini. Mentre nel portale sul retro del Duomo, nella centralissima Piazza Martiri della Libertà, il suo bassorilievo dell’“Annunciazione”, che si staglia sulla scalinata dove si affollano i giovani universitari, l’ultima opera incompiuta, completata dalla colomba di Silvio Mastrodascio, venuto dalla montagna abruzzese di Cerqueto, come Crocetti proviene dal marina di Giulianova.
Tornando alla “Piccola Loggia dei Lanzi” teramana, ricordiamo le parole che ci disse nel 2009 Antonio Tancredi, il realizzatore di questo Museo a cielo aperto nella Banca di Teramo di cui è stato storico presidente, come lo è stato della Fondazione Crocetti: “I contenuti umani delle sue opere sono universali, come la passione e l’amore, la gioia e il dolore, la contemplazione illuminata e l’esaltazione della vita”. E lo precisò così: “Alcune esprimono lo smarrimento e l’umiltà e altre l’eleganza e la forza e altre ancora la dolcezza e la prepotenza. In tutte le figure sono impressi i modi di essere dei sentimenti e delle interiorità che si incontrano nel mondo”. La profondità di questi contenuti viene da un “‘monaco della scultura’, che in tutta la sua vita ha sempre cercato il lavoro, in silenzio e solitudine. Un artista che non conosce pause per feste o per ferie, che non ammette distrazioni, neanche le più lecite, perché queste opere sono la sua famiglia, i suoi figli, tutto il suo mondo”.
Raffaella Morselli, curatrice della mostra con Paola Goretti, lo descrive così: “Non cercava il lancio professionale, il mercato, il gallerista che lo accompagnasse in un percorso di autopromozione, ma era sufficiente a se stesso e alla sua arte”. ‘
Le opere in mostra a Palazzo Venezia
Nel guardare la vetrina rappresentata dalla mostra, passiamo dalle parole del mecenate suo sodale per una vita, alle analisi critiche della sua scultura improntata alla classicità, dove l’eleganza del ‘900 si associa al senso dell’Antico con il realismo reso dalla compostezza unita al realismo, la plasticità coniugata all’astrazione. I giudizi che riportiamo si riferiscono alle opere esposte nelle tre sezioni, secondo il diverso grado di tensione accordato ai contenuti che abbiamo prima riassunto.
Secondo Enzo Carli, “conferisce ai suoi ritratti… una tensione psichica, o un moto fisico o, meglio, fisionomico che sommuova la compostezza – non, si intenda, la freddezza o l’immobilità – dei loro lineamenti”. Per Floriano De Santi “è classica l’arte che compendia nella rappresentazione della forma una concezione globale del mondo, un’esperienza storica dello spazio e del tempo, del naturale e dell’umano, di cui si concede che mutino secondo i momenti e i luoghi, gli aspetti contingenti, ma non la sostanza o la struttura, cioè la storia intesa come coscienza del valore e ordine degli eventi”.
Per lo più sono figure umane, ballerine e modelle, bagnanti e donne comuni, che colpiscono per la calma e l’equilibrio, in una dimensione monumentale che sovrasta la statura comune, spesso oltre due metri e mezzo, nella ricerca di classicità pur nell’approccio moderno alla scultura. Altro segno di classicità la bellezza muliebre vista come nell’antichità classica e nel Rinascimento, dove la sensualità naturale è tradotta in nudi che esprimono un’innocenza primigenia da paradiso terrestre.
E’ il tema prevalente della prima sezione della mostra, “Elegantiae” con esposte molte di tali figure, allieve di danza e modelle, donne e fanciulle, alcune di notevoli dimensioni, ben più che grandezza naturale, con il bronzo che ne accresce l’imponenza. La curatrice Paola Goretti le definisce “icone di fierezza quasi inavvicinabili, come divinità del tempio desunte dalla statuaria egizia. Paradossalmente, stanziali più che mai. Dall’alto del loro gesto,scrutano pensose, immerse nel colloquio intimo con lo spazio che vibra attorno”.
Citiamo le tre monumentali “Grande allieva di danza” in diverse posizioni, tra lo statuario e il leggiadro, sono del 1972, ’77 e ’92, del 1959 un’“Allieva di danza in riposo” e del 1960 un busto di “Allieva di danza”; più recenti l’“Equilibrio armonico di una ballerina”,1990, preceduto dall’“Omaggio alla lontana splendida danzatrice di Olimpia”, 1998, che non poteva mancare in questa mostra; e poi tante “Ballerine” dove l’imponenza statuaria si unisce al dinamismo, come se i quadri di Degas prendessero forma roteando i loro corpi, mentre le vesti tagliano l’aria in uno slancio di vita. Di tema affine “La modella” del 1964, poi la “Modella in riposo”, 1966, e “Modella che si spoglia”, 1976. La grazia muliebre è rappresentata anche in soggetti comuni come “Ragazza seduta”, 1946, o mitici come “Sibilla”, 1998; in “Ritratto di ragazza”, 1949, e “Ritratto di donna”, 1968, entrambe con la testa pensierosa appoggiata alla mano; in “Fanciulla con le trecce”, 1957, e “Ragazza con le trecce”, 1991.
Spesso lo stesso soggetto viene interpretato in modi diversi in un vasto arco temporale, segno che non si tratta di ispirazioni passeggere, ma di motivi permanenti nell’assoluta coerenza stilistica.
Non vi sono solo statue monumentali e comunque imponenti, anche una galleria di busti e teste, dal 1940 al ’65: molte “Teste di donna”, ma anche “Teste di uomo” , “Testa di bambino con cappello” e “Testa di bambina con cappello” cui associamo la “Donna che guarda la luna”, 1956, dai capelli coperti e lo sguardo sognante, fino al busto di “Gabriele d’Annunzio” del 1940, due anni dopo la morte del Poeta. Sono esposte anche piccole composizioni che rispetto alle altre sembrano miniature, come “Le lavandaie”, 1937, e i due “Balletto antico”, 1940, in 25 centimetri c’è leggiadria e movimento, grazia e sensualità.
Per Fortunato Bellonzi è la “femminilità che sopporta il peso del proprio fiore”, la “carne che già dimette le promesse acerbe, e che pare liberarsi della veste come di una costrizione”. Inoltre “negli atti dei volti e delle membra dominano una compostezza austera, che attribuiresti al sentimento di un destino oscuro e vagamente minaccioso, e un riconoscimento costante della creatura e del suo vitalismo prorompente negli anni giovani “. E’ la sintesi tra classicità e realismo voluta dal Maestro.
Nella seconda sezione, ‘“Etternale ardore” – titolo preso dal XIV Canto dell’Inferno, verso 37 -si esprime in opere tormentate. “In esse, commenta la Goretti, affiora tutta l’anima del dolore, del pianto antico, delle lamentationes; in un dosaggio di diminuzione dei toni elegiaci, verso tinte dell’ombra. Il trattamento rimane composto, ma in alcune soluzioni di estrema concitazione si organizza in masse informi abitate da grida stranianti”.
Così “Maddalena” o “Maria di Magdala” nelle diverse espressioni, dal 1956 al ‘73-76, fino all’85, cui corrispondono positure diverse: eretta si tiene la testa nella tempesta o ha la testa piegata, è accovacciata o piegata in due, perfino in ginocchio. Rivela una vitalità sofferta, raccolta e pronta a scattare come le fiere ferite, scarmigliata al pari di un’Erinni, in un concentrato di angoscia, sofferenza, disperazione, l’opposto delle allieve di danza e modelle della prima sezione.
La sofferenza è anche negli animali, che Crocetti definiva “maestri di vita” perché i loro movimenti istintivi rivelano quelli naturali, nell’uomo nascosti dalle convenzioni, a parte quelli nell’età infantile e nella tarda età dove torna l’istinto. Espressioni sofferte in “La gazzella ferita”, 1933, e “La caduta del cavallo”, 1975, mentre la violenza si esprime nella “Lotta di cavalli”, 1940, e “Lotta di animali”, 1968; la nobiltà animale in “Cavallo che si abbevera”, 1965, e nella “Leonessa”, 1936; l’azione predatrice in “Leonessa con il serpente”, 1935, e “Leonessa con la preda”, 1960.
C’è anche la sofferenza umana dinanzi a eventi catastrofici, come “L’incendio”, “Terremoto” e “Il ratto”, sculture di piccole dimensioni del 1945, la prima una sorta di “Nike” sofferente, le altre due contorte e intrecciate come dei “Laocoonti” moderni.
L'”etternale ardore” si esprime inoltre nella tensione degli spettatori in vario modo assorti in “Loggione”, 1939, e nella tensione mistica di “Giacobbe e l’angelo”, 1955, fino alla tensione vitale di “Scene di vita”, 1932, e alla tensione che si scarica nella sosta di “L’uomo appoggiato ad un tronco”, 1937.
Siamo alla terza sezione, “Clementiae”, rimanda a immagini popolaresche rimaste impresse nella sua mente, che sono state lo spunto anche di una vastissima serie di disegni a carboncino molto densi ed espressivi. La Goretti le riassume nelle parole “Ruralia, Animalia, Rusticalia. Questo è il Crocetti più flessuoso e pacificato, disteso nella gloria di un mezzogiorno contadino mosso da antica grecità… tornano a galla i resti di un mondo agreste , accogliendo il Virgilio delle Georgiche e delle Bucoliche e la sua arcadia elementare, risolta nelle cifre della modernità”.
Figure non statiche, per lo più di grandi dimensioni: dalle più antiche statue degli anni ’30 “La gravida”, 1932, e “Fanciulla al fiume”, 1934, “La portinaia”, stesso anno, e “Pescatorello”, 1935, “Zingara”, 1937; a quelle dei decenni successivi, da “Bagnante”, 1948, a “Ragazza al fiume che saluta”, 1969 e “Bagnante con cappello che si asciuga”, 1981. Sono vere e proprie istantanee scultoree di persone singole, che esprimono dinamismo nella posizione, eretta o piegata in vario modo. Tra le più antiche c’è l’unica composizione con più figure, “La vendita della vacca”, 1932, un piccolo bronzo che fissa in modo realistico il momento dell’accordo al mercato.
Alla galleria umana segue quella animale, questa volta non sono le fiere dell’ “etternale ardore”, ma piccoli animali da cortile, come “La gallina”, 1931, e “Il gallo”, 1961, e grandi animali del mondo contadino come “Vitellino”, 1937, e “La mucca”, 1938: il pensiero va a “T’amo, pio bove, e mite un sentimento di vigore e di pace al cor m’infondi…”, lo vediamo “solenne come un monumento”.
La conclusione, che è forse il “clou” della mostra, oltre ai due marmi senza data, “Maternità” e “Iside”- eccezioni rimarchevoli tra la generalità delle opere in bronzo – è l’epopea del cavallo. Lo abbiamo visto nella sezione precedente mentre si abbevera, cade o è in lotta; qui lo vediamo con il cavaliere in composizioni di varie dimensioni, dalle più piccole di 40 cm, “Cavalieri che si salutano”, 1969, e “Cavallo e cavaliere”, 1970, alle due più grandi dallo stesso titolo “Cavallo e cavaliere”: quella del 1967 di oltre un metro e 30, e quella del 1972 di un metro. Sono immagini nervose con dinamismo represso. Non poteva mancare il “Giovane Cavaliere della Pace”, di cui abbiamo già parlato, è esposta una versione piccola, poco più di 90 cm, del 1987, che ha il serto in testa, come nella versione monumentale alla “Piccola Loggia dei Lanzi” della Banca di Teramo.
Per Ragghianti, “Crocetti nella composizione di figure, negli animali e specie nei cavalli infondeva un fluido continuo e incalzante, la strofe plastica si diramava come un organismo accelerato dal moto e ritmato dal respiro, e così mosso destinato a serbare per sempre l’originaria pulsante dinamica”. Anche il cavallo del “Giovane Cavaliere della Pace” esprime vitalità con il muso mentre bruca il terreno, che si coniuga alla serenità del giovane chinato ad accarezzargli il collo in una composizione di grande compostezza che anche per questo è assurta a simbolo universale.
Su quest’opera-simbolo aggiungiamo una notazione personale. Il serto sul capo nel piccolo esemplare in mostra e nella versione monumentale nella “Piccola Loggia dei Lanzi” a Teramo, simile a quello sulla testa di “Bacco”, 1956, e di “La fruttivendola”, 1978, è un motivo che ritorna. Ma nel Giovane Cavaliere incorona un viso con gli occhi accesi, non è una variante ornamentale, fa ripensare al giovane protagonista del film “L’attimo fuggente” nelle intense e drammatiche sequenze della rappresentazione teatrale che ne fa anche un simbolo delle passioni giovanili con le inquietudini che agitano e l’aspirazione alla pace, dinanzi alla tragedia sempre incombente.
Questa spontanea associazione di idee e di sentimenti riporta il Giovane Cavaliere ad una dimensione personale e interiore, mentre la versione che ha girato il mondo ed è stata esposta a San Pietroburgo e a Hiroshima, davanti al Parlamento europeo e al Palazzo delle Nazioni ha proiettato nei luoghi simbolo l’immagine forte dell’aspirazione universale alla pace.
A Roma la “Porta dei Sacramenti” di San Pietro e lo Studio dell’artista
Il “Giovane Cavaliere della Pace” lo pone, dunque, al culmine nella espressione simbolica della sua opera in una dimensione laica, mentre la “Porta dei Sacramenti” della Basilica di San Pietro, il cui bozzetto è esposto a coronamento della mostra di Palazzo Venezia, è il culmine della sua dimensione sacrale: sono 8 pannelli separati, li collega il profondo legame tra la figura ieratica del celebrante e la posizione dimessa del penitente che vibra dell’emozione dinanzi al divino. C’è anche la grande “Croce della Passione”, 1954, a completare idealmente il percorso sacro della sua opera.
Con questi altissimi messaggi l’artista ha nobilitato la scultura come espressione dei valori più alti, personali e collettivi, e dal carattere schivo è assurto a portavoce di sentimenti universali.
Abbiamo detto all’inizio che dopo aver visto la mostra vale la pena di andare a visitare lo Studio dell’artista alla sede della Fondazione Crocetti sulla via Cassia, nella zona della Tomba di Nerone dove si trova il Museo che realizzò lui stesso con grande impegno personale e preveggenza. La Morselli rivela che ha disposto persino, nella pur improbabile ipotesi che la Fondazione finisse, di disseminare nel mondo le tante opere che vi sono raccolte collocandone una in ogni grande museo.
Il portone d’ingresso, in patina dorata come la “Porta dei Sacramenti”, è un bassorilievo con figure al lavoro che recano i segni della fatica umana in un’agitazione febbrile. Ci sono cinque vaste sale su due piani, l’esposizione permanente delle sue opere sembra una foresta incantata ma non pietrificata, tanto è il dinamismo e la vitalità, la serenità e la compostezza delle grandi figure bronzee che la popolano il cui calore supera la soggezione legata all’imponenza monumentale.
Dietro una grande vetrata è offerto alla vista il suo studio come lo ha lasciato quasi ne fosse uscito momentaneamente, pronto a riprendere il lavoro, ci sono attrezzi e strumenti, bozzetti e disegni, pannelli e bassorilievi: come quello in gesso, al sommo di una scaletta, con “Angelo, la Madonna e il Bambino” in piedi, che sembra attendere solo la fusione finale per divenire opera compiuta, oltre ai bozzetti della “Porta dei Sacramenti” e della “Croce della Passione” in primo piano, a busti e statue disseminate per il vasto spazio dello studio. Si sente la creazione artistica nel suo manifestarsi mediante opere incompiute e abbozzate, poste con la casualità del quotidiano con le suppellettili e gli oggetti propri di ogni abitazione.
Abbiamo compiuto, partendo dalla mostra a Palazzo Venezia, un periplo nel percorso artistico di Venanzo Crocetti sul territorio dove si è espresso. Oltre alle opere esposte, su cui abbiamo riportato i giudizi dei critici, nel celebrare il centenario non potevamo omettere le opere che a Teramo sono offerte permanentemente al pubblico: la citazione d’obbligo per la “Piccola Loggia dei Lanzi” della Banca di Teramo – creazione di Antonio Tancredi presidente della Banca e della Fondazione Crocetti – è andata al “Giovane Cavaliere della Pace” posto al centro come nel vicino “Monumento ai Caduti di tutte le Guerre”, fino alla “Maternità” in Piazza Orsini e all’“Annunciazione” nel portale del Duomo. Il bozzetto della “Porta dei Sacramenti” per il Portale di San Pietro, il culmine dell’espressione sacrale, ci ha riportati a Roma dove la visita al suo Studio d’artista nel Museo della Fondazione Crocetti sulla via Cassia è una tappa obbligata che suscita autentica emozione.
E’ un percorso che viene spontaneo compiere dopo aver apprezzato l’esposizione della mostra nella quale le sue opere sono inserite in un contesto classico con il prestigioso allestimento del colonnato, creando un tempio popolato di statue monumentali. Nella terrazza della Banca, nelle piazze e nel Duomo di Teramo le sue creazioni sono inserite nella vita pulsante, come a Roma per il Portale di San Pietro. Anche il suo Studio d’artista fa parte di queste immersione nella vita perché, come abbiamo detto, se ne sente la presenza quasi se ne fosse allontanato momentaneamente.
E’ un modo di celebrarne il centenario che ci è parso appropriato rendendo il senso di vitalità espresso nelle sue opere, viste non solo nella solenne sede espositiva, ma anche “en plein air”, nella vita pulsante di cui segnano momenti toccanti per la compostezza e insieme la forza espressiva.
La curatrice Morselli, ricordandone le radici abruzzesi, lo colloca “tra gli scultori che hanno vangato in profondità le pieghe della terra e hanno formulato, con il loro lavoro, nuovi ma sempre antichi postulati. Perché l’arte senza tempo ha bisogno di tempo per manifestarsi in tutto il suo splendore”. La mostra di Palazzo Venezia nel centenario ne celebra la consacrazione che c’è già stata a livello internazionale: “Crocetti – è sempre la Morselli – deve stare nei campi elisi dove la provvidenza l’ha consegnato fin dalla sua infanzia disgraziata, eppoi stoica, illuminata, predestinata. La sua carriera è stata una lunga cavalcata”. Con umiltà ed emozione ne abbiamo ripercorso alcuni momenti.
Info
Palazzo Venezia, Roma, via del Plebiscito, 118. Tel. 06.69994388. Martedì-domenica ore 8,30-19,30, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 5, ridotto 2,50 cittadini UE età 18-25 anni e insegnanti di ruolo nelle scuole statali. Catalogo: “Venanzo Crocetti e il sentimento dell’Antico. L’eleganza del Novecento”, a cura di Paola Goretti, introduzione di Raffaella Morselli, Allemandi & C. Editore, agosto 2013, pp. 156, formato 16,5×24; segnaliamo, inoltre, i volumi: “Venanzo Crocetti”, di Enzo Carli, Accademia Nazionale di San Luca, 1979, pp. 264, e “Crocetti”, a cura di C.L. Ragghianti, E. Carli, F. Bellonzi, 1984, pp. 184; per le opere non scultoree “Venanzo Crocetti. Disegni e incisioni”, con testi di Fortunato Bellonzi e Floriano De Santi, Editalia 1997, pp. 230. Dal Catalogo e da questi volumi sono tratte le citazioni del testo. Cfr. anche il nostro articolo “Il mondo di Venanzo Crocetti”, in “cultura.inabruzzo.it” il 2 febbraio 2009.
Foto
Le immagini dellle opere di Venanzo Crocetti sono state riprese da Romano Maria Levante nella mostra a Palazzo Venezia, si ringrazia la soprintendenza museale e l’organizzazione con i titolari dei diritti, in particolare la Fondazione Crocetti, per l’opportunità offerta; l’immagine dello Studio d’artista, in chiusura, è stata ripresa, sempre da Romano Maria Levante, al Museo della Fondazione Crocetti che si ringrazia anche per questa opportunità. In apertura, della sezione “Clementiae”, “Giovane Cavaliere della Pace”, 1987; seguono, della sezione “Elegantiae”, due riprese della sala, con in primo piano “Grande allieva di danza”, 1977, e “La modella”, 1964, a sinistra, con “Sibilla”, 1998, a destra; poi “Omaggio alla splendida danzatrice di Olimpia”, 1998, e “Modella in riposo”, 1966; “Ragazza seduta”, 1946, e uno scorcio panoramico della sala; quindi, della sezione “Etternale ardore”, “Maddalena”, 1973, e “Terremoto”, 1945, il “Bozzetto definitivo della porta di San Pietro”, 1958, e la “Croce della passione”, 1954; in chiusura una visione della sala di Palazzo Venezia con le sculture esposte nel colonnato dell’allestimento classico in una suggestiva penombra e una ripresa del suo Studio d’artista nel Museo della Fondazione Crocetti a Roma in via Cassia 492.