di Romano Maria Levante
Al Vittoriano, salone centrale, lato Fori Imperiali, dal 22 aprile al 16 giugno 2013 la mostra “Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo, 1513-2013” celebra i 500 anni della composizione dell’opera diffusa in tutto il mondo, con 6 sezioni nelle quali viene fatto conoscere al grande pubblico l’aspetto storico, politico e letterario, con materiali, documenti e cimeli, come le più antiche edizioni dell’opera, le sue traduzioni e quanto ne ha tratto ispirazione. Curata da Alessandro Campi in collaborazione con Marco Pizzo, realizzata da “Comunicare Organizzando”, direzione e coordinamento generale del presidente Alessandro Nicosia. Catalogo dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, che ha promosso la mostra con l’Aspen Institute Italia. Patrocinato dal Mibac e da Roma Capitale con la Camera di Commercio, main partner ENI; altri partecipanti tra cui Zètema Progetto Cultura.
Antonio Maria Crespi detto il Bustino, “Ritratto di Niccolò Machiavelli“, fine XVI-inizi XVII sec.
Il Principe, il primo trattato di politica moderna
Una preview stampa molto affollata, con Giuliano Amato, presidente dell’Istituto Enciclopedia Italiana, e Giulio Tremonti, presidente dell’Aspen Institute Italia, che invece della prevista presentazione fanno una visita prolungata alla mostra. E’ il giorno dell’incarico di governo, Amato è sommerso da microfoni e telecamere, poi si vedrà che non è lui il nuovo presidente del Consiglio. Di certo la coincidenza della celebrazione fa risaltare la grande sfida che l’emergenza istituzionale ed economica lancia alla politica, chissà quali e quanti i “machiavellismi” già esperiti o in itinere!
Intanto la prima cosa da ricordare sul “Principe” è che è il primo vero trattato di politica moderna, ne vengono declinati ruoli e compiti in modo anche spregiudicato, con una forma saggistica rigorosa e intensa, dietro la quale si sente vibrare la passione. E’ una politica .che vede l’azione del Principe autonoma rispetto alla morale e alla religione, e rivendica la libertà e l’autonomia rispetto al Papa e all’Imperatore: il Principe deve conquistarsela con la propria virtù, espressa mediante intelligenza, energia e ardimento, senza confidare negli eventi del mondo esterno quali la fortuna.
Del resto l’opera nacque dalla reazione all’arresto e alla tortura che dovette subire nel 1512 dopo che il suo nome era comparso in una lista di congiurati contro i Medici, rientrati a Firenze dopo 18 anni riconquistando la Signoria che era stata rovesciata per un’esperienza repubblicana terminata tra l’agosto e il settembre 1512. Rimesso in libertà perché estraneo ai fatti, non ebbe accesso alla famiglia regnante e si ritirò nella villa dell’Albergaccio, podere di Sant’Andrea in Percussina.
Nel suo ritiro si impegna alla scrittura del capolavoro, “Il principe”, trattato di dottrina politica dedicato in un primo tempo a Giuliano de’ Medici, che è andato a Roma dal Papa, poi a Lorenzo de’ Medici al quale lo regala nel 1515 come dono prezioso, senza che questi ne colga l’importanza. L’opera, scritta come si è detto nel 1513, fu pubblicata solo nel 1532 dopo la sua morte.
L’autore si rivolge a Lorenzo de’ Medici invitandolo a leggere il suo scritto perché vi si trova “la cognizione delle azioni degli uomini grandi, imparata da me con una ‘lunga esperienza delle cose moderne’ e una ‘continua lezione delle antique'”. Sono 26 capitoli nei quali descrive le qualità del Principe per conquistare e dirigere lo Stato, in una visione realistica e disincantata rispetto all’oleografia che richiede di impegnarsi con energia e rigore per raggiungere il proprio obiettivo.
Una trattazione vasta e articolata per i diversi tipi di Principato, con l’analisi dei concetti di virtù e di fortuna, e dell’autonomia che la politica deve mantenere nei riguardi della morale e della Chiesa.
Proprio l’importanza della materia trattata e la spregiudicatezza dell’analisi hanno comportato interpretazioni spesso di segno contrario, adesioni e opposizioni. Il fatto che sia, con “Pinocchio”, l’opera italiana più tradotta nel mondo , e che sia stata oggetto di tante interpretazioni e critiche ne qualifica di per sé il livello e la grandezza: la lettura è affascinante per il linguaggio teso e preciso, senza giri di parole ma andando subito al centro del problema.
Giuliano Amato così riassume la “rivoluzione” di Machiavelli: “Era, a ben vedere, un portare i compromessi e le contraddizioni insite nell’agire individuale e sociale dal piano dei dati di fatto comunemente accettati a quello della riflessione teorica”: da qui le censure e le polemiche, ma anche le difese e le apologie. E Giulio Tremonti, citando Isahia Berlin, vi trova “non un realismo spietato inteso come sistematica prevalenza del fine sui mezzi, ma realismo come conoscenza delle ‘cose’ e in ispecie come analisi della ‘verità effettuale delle cose’. Analisi statica della realtà, m anche studio della cascata di fenomeni che, in forma dinamica, la compongono. Studio della catena dei vettori di forza che la muovono. In sintesi, certo, realismo, ma questo molto più che puro cinismo politico”.
Lo stesso Machiavelli critica coloro che scrivendo su questo tema “si erano “imaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero”, mentre gli interessa “la verità effettuale della cosa, non l’imaginazione di essa”. Del resto scambiare l’essere con il dover essere, e chiudere così gli occhi dinanzi a una realtà deludente, è un esercizio corrente, grande merito quindi a chi, sin dal ‘500, ha avuto il coraggio di togliere il velo e mostrare la realtà, il re nudo.
In questo senso – come scrive Gennaro Sasso nel presentare la mostra – Machiavelli “è un testimone di verità scomode e, comunque lo si giudichi, alla fine ineludibili; ed è anche un grande scrittore che, come pochi altri, invita a riflettere sul senso della nostra storia”.
Una vetrinetta con pubblicazioni originali d’epoca
Il testo del “Principe”, il suo spirito e i suoi contenuti
L’interesse a riprendere contatto con il testo e i suoi contenuti diventa ancora più intenso, dopo queste premesse, in modo da prepararsi alla visita della mostra con lo spirito giusto. Tanto più che è “un testo – sottolinea il curatore Alessandro Campi – all’apparenza semplice e d’immediata comprensione, vergato con uno stile essenziale e di precisione all’apparenza chirurgica, ma che ad una lettura attenta si scopre essere complesso e stratificato, non esente da contraddizioni interne, strutturato in modo asimmetrico, capace di condensare in poche pagine una massa di suggestioni, argomenti e prospettive”.
Occorre innanzitutto liberarsi dalla sintesi semplicistica e fuorviante che riassume il “Principe” nel risaputo “il fine giustifica i mezzi” – come invita a fare anche Tremonti – e ha portato ad un uso distorto dell’opera come ispiratrice di strategie militari e di marketing. In realtà Benedetto Croce gli attribuiva il merito di aver scoperto – come ricorda Massimo Bray, direttore editoriale dell’Istituto Enciclopedia Italiana – la “categoria autonoma dell’utile, e quindi dell’autonomia della politica, distinta dalla morale e dalla religione”; e riteneva che il suo pensiero andasse integrato con quello di Vico, per il quale “al momento della politica seguivano quelli della giustizia e della moralità”.
Abbiamo detto del realismo che rifugge dalle raffigurazioni retoriche e astratte per calarsi nelle vicende tutt’altro che edificanti, dalle quali lui cerca di uscire. “Il titanico sforzo in cui si cimenta Machiavelli – secondo Gian Mario Anselmi – è di liberare, in ultima istanza l’uomo, come individuo e come soggetto politico, dai pressanti condizionamenti, fisici, naturali, ideologici, oggettivi in altre parole, in cui è calato”. E come realizza questo nobile risultato? “La Virtù cara a Machiavelli è la scoperta sconvolgente e audace della politica come terreno in cui tentare di porre mano alla realtà per aggredirla e modificarsi, senza essere sopraffatti dal suo stesso dipanarsi”. Pertanto, “se un senso fondante si volesse attribuire al pensiero di Machiavelli, andrebbe sicuramente identificato nella tensione liberatoria e liberatrice che lo attraversa”.
Mentre Dante ritiene che l’uomo usi male la libertà di cui dispone preso dagli istinti e dagli eventi, Machiavelli pensa che l’uomo non è libero, ma legato ai suoi istinti e al suo egoismo, come alle forze naturali, per cui la libertà deve conquistarsela; e può farlo attraverso la politica che con le leggi e i saggi reggitori trasforma gli istinti negativi in energia positiva per se stessi e la società.
Per delineare il percorso da lui indicato, ci limitiamo a riportare i titoli dei 26 capitoli, la cui mera enunciazione dà già un’idea del contenuto presentando una vera escalation di analisi e argomenti.
Altobello Melone, “Ritratto di gentiluomno (Cesare Borgia)“, XVI sec.
La prima parte, che comprende i capitoli da 1 a 14, tratta dei vari tipi di Stati, nel funzionamento e nell’evoluzione storica, soprattutto nell’organizzazione politica, civile e militare. Inizia con “la natura dei principati e i modi di acquistarli”, per poi passare ai “principati ereditari” e ai “principati misti”. Va sul concreto chiedendosi “per qual motivo il regno di Dario di Persia, occupato da Alessandro, non si ribellò ai suoi successori dopo la sua morte”, e “in che modo si devono governare i Principati che, prima di essere occupati, fruivano di leggi proprie”. Di questi analizza distintamente “i Principati nuovi acquistati con l’arme proprie e con la virtù” e “i principati nuovi acquistati con le armi e la fortuna degli altri”. Mette il dito nella piaga con “quelli che per scelleratezza arrivarono al Principato”, ma poi passa al “Principato civile” e ai “Principati ecclesiastici”, fino ai temi militari, dai “generi della milizia e dei mercenari”, ai “soldati ausiliari, misti e propri”, per concludere con “quello che deve fare un Principe circa la milizia”.
Altrettanto densa la seconda parte, dal capitolo 15 al 24, tratta delle doti che deve avere il Principe, per mantenere il potere per sé e la civiltà per i suoi governati, e tali doti sono la spregiudicatezza che gli è stata rimproverata come fosse istigazione all’immoralità politica, è questa la parte più bersagliata. Inizia con “le cose per le quali gli uomini e i Principi sono lodati o vituperati”, per poi descrivere “la “libertà e la parsimonia”, “la crudeltà e la pietà, se è meglio essere amato o temuto”; dopo l’analisi le indicazioni, “in che modo i Principi devono mantenere la parola data”, e “come sfuggire lo essere sprezzato ed odiato”; non solo, ma “se le fortezze et similia sono utili ai Principi oppure no” e soprattutto “cosa deve fare un Principe per essere stimato”. Non basta, parla anche dei “segretari che i Principi hanno al loro seguito” e di “come si devono fuggire gli adulatori”; fino all’analisi impietosa “perché i Principi italiani persero i loro Stati”.
Siamo alla terza e ultima parte di questa carrellata di temi – che sono anche i titoli virgolettati dei singoli capitoli – è composta di due soli capitoli, 25 e 26, e conclude l’intera analisi con un messaggio positivo, di fiducia nelle capacità dell’uomo e in particolare dei reggitori da lui stimati, come Lorenzo de’ Medici che invita a mettersi alla testa della lotta per cacciare gli stranieri e far rinascere l’Italia. I titoli conclusivi sono “quanto possa la fortuna nelle vicende umane e come le si debba resistere” ed “esortazione a liberare l’Italia dalle mani dei barbari”. Inutile dire che a questa parte fece entusiastico riferimento il patriottismo rinascimentale e il nazionalismo.
Niccolò Machiavelli, “Historie fiorentine”, manoscritto
Le prime sezioni della mostra, l’opera nel suo tempo
Nella mostra si cerca di rendere l’epopea del “Principe” calandolo nella sua epoca, corredandolo di elementi di contorno, come l’arte della guerra e il classicismo, fino agli usi e abusi più moderni.
Si inizia con la 1^ sezione intitolata “Machiavelli e il suo tempo”: il periodo storico è complesso e ricco di colpi di scena, dalla “Congiura dei Pazzi”alla morte di Lorenzo il Magnifico, c’è la figura dirompente di Girolamo Savonarola e la Repubblica fiorentina seguita dal ritorno dei Medici.
Lo si rivive attraverso documenti come la sua Patente rilasciata dalla Repubblica di Firenze nel 1502 e la Lettera di Francesco Soderini ai Dieci di Balia della Repubblica di Firenze nello stesso anno, e soprattutto il Bando contro Niccolò Machiavelli del 19 febbraio 1513, parallelo alla composizione del “Principe”. E anche con opere d’arte e cimeli. Tre suoi ritratti a olio, di Cristofano dell’Altissimo, 1552-68, di Antonio Maria Crespi detto il Bustino, fine XVI secolo, e di Stefano Ussi, 1894; un’acquaforte di Giuseppe Longhi del 1820 e un’incisione del 1888. Infine due immagini sul letto di morte, un olio di Amos Cassioli, 1860, e una xilografia del 1882. Poi medaglie dell”800 con la sua effige e una fotografia del 1935 dell’americano Mortensen che ritrae un modello atteggiato a Machiavelli. C’è anche una cassa nuziale con lo stemma della sua famiglia.
L’inquadramento storico con l’arte si ha attraverso una serie di dipinti ottocenteschi che vanno da scene della Congiura dei Pazzi – ritrovamento del corpo di Jacopo e il commiato di Raimondo dalla moglie – alla morte di Lorenzo il Magnifico, ai ritratti a olio di Savonarola, del quale ci sono alcuni cimeli, come il suo bastone e il collare del supplizio. E poi i grandi ritratti di papi, coevi, il Ritratto di Leone X, di Jocopino del Conte, XVI secolo, e il celebre “Ritratto di Clemente VII”, di Sebastiano del Piombo; nonché ritratti più piccoli ad Alessandro VI, di Cristofano dell’Altissimo, 1568, e a Giulio II.
Poi la 2^ sezione su “L’arte della guerra”, l’opera con tale titolo che, pur successiva al “Principe” essendo stata scritta tra il 1516 e il 1520, fu pubblicata nel 1921, cioè 11 anni prima: il testo originale è esposto nella mostra, insieme a molte “cinquecentine” e a varie armature storiche;. una rotella da parata, una manopola da lancia, un elmetto, tutti risalgono tra il 1510 e il 1550.
E così si arriva alla 3^ sezione dedicata a “Il Principe”, con una documentazione quanto mai ricca di testi dell’epoca. Ci sono le prime copie a stampa uscite a Firenze e Roma nel 1932, con un codice manoscritto: ne esistono solo 19 in tutto il mondo, è un documento raro che si può vedere in una delle tante vetrinette. Ma tanti ne sono esposti, da sfuggire alla nostra sommaria rassegna.
Vediamo anche preziose traduzioni in francese, inglese e latino, tra il ‘500 e il ‘600; e un video con l’attore Francesco Savino che legge la lettera del 10 dicembre 1513 a Francesco Vettori in cui Machiavelli annuncia di aver compilato l’opera.
Anche qui l’arte è abbinata alla documentazione libraria: vediamo due ritratti a olio di Cesare Borgia., sempre del ‘500, e due dipinti ottocenteschi con la legazione di Machiavelli, segretario fiorentino, da Cesare Borgia, e poi Cesare Borgia che lascia il Vaticano. E’ Il Principe all’opera.
Anonimo, “Ritratto di Girolamo Savonarola”, ante 1521
Le ultime sezioni, fino all’attualità
“L’importanza dei classici nella sua formazione” è il tema della 4^ Sezione: vi sono esposti i “Discorsi” di Machiavelli sulla prima decade di Tito Livio”, nonché testi di Livio e Virgilio, Svetonio e Cicerone, in edizioni cinquecentesche. Per l’arte sono esposte due sculture, un “Ritratto di Caracalla“, 212-17 d. C., e un “Busto di Vespasiano”, 69-79 d. C.
Poi la “Fortuna e diffusione del Principe”, nella 5^ sezione sono esposte copie appartenute a celebrità della cultura e dell’arte, che ci riportano a importanti personaggi come Benedetto Croce; così le interpretazioni, in particolare quella di Antonio Gramsci nei “Quaderni dal carcere”, del 1930-33. Vediamo anche alcuni commenti e annotazioni sul “Principe”, da parte di Cavour. Hanno provato interesse per Machiavelli personalità come Mussolini e Gentile, e nella sezione questo viene documentato, vediamo la rivista “Gerarchia” con un “Preludio al ‘Machiavelli”. C’è anche uno scritto di Craxi. Sono esposte molte edizioni annotate dell’opera nei primi trent’anni del ‘900. Una spettacolare esposizione delle moltissime edizioni in tutte le lingue corona questa sezione.
La mostra si conclude con un momento leggero, dopo tanta concentrazione culturale, la 6^ sezione sull’“Uso e abuso che si fa nel nostro tempo del ‘Principe'” e del suo autore. Ebbene, c’è di tutto, giochi da tavola e videogiochi, cartoline e francobolli, fino ai libri di marketing, che prendono lo spunto dalla sua filosofia politica per trarne inopinate applicazioni. Comunque si voglia giudicarle, riflettono la grande notorietà dello scrittore e della sua opera, ben al di fuori degli addetti ai lavori.
Che dire per concludere? Dopo la mostra si torna a casa e si va a cercare “Il Principe”. Con tanta voglia di rileggerlo, o di leggerlo se non lo si conosce, i suoi 500 anni non li dimostra di certo.
Info
Complesso del Vittoriano, Salone centrale, zona Fori imperiali, via San Pietro in carcere, Roma. Tutti i giorni, compresi domenica e lunedì, ore 9,30-19,30 (accesso consentito fino a 45 minuti prima della chiusura). Ingresso gratuito. Tel. 06.6780664. Catalogo: “Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. 1513-2013”, a cura di Alessandro Campi con Marco Pizzo, edito dall’Istituto per l’Enciclopedia Treccani, 2013, pp. 511, formato 24×24, euro 39; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.
Foto
Le immagini riferite a Machiavelli sono state riprese da Romano Maria Levante al Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura, “Ritratto di Niccolò Machiavelli“, di Antonio Maria Crespi detto il Bustino, fine XVI-inizi XVII secolo, seguono una delle vetrinette con pubblicazioni originali d’epoca e “Ritratto di gentiluomno (Cesare Borgia)“, di Altobello Melone, XVI secolo, poi “Historie fiorentine”, manoscritto di Niccolò Machiavelli, e “Ritratto di Girolamo Savonarola”, di Anonimo, ante 1521; in chiusura, l’esposizione in mostra delle Edizioni contemporanee del “Principe” nelle diverse lingue.
Le Edizioni contemporanee del “Principe” esposte in mostra nelle diverse lingue