De Sica, le cinque vite del grande artista, all’Ara Pacis

di Romano Maria Levante

La mostra “Tutti De Sica”, al Museo dell’Ara Pacis a Roma, dall‘8 febbraio al 28 aprile 2013, presenta con dovizia di documenti e immagini, cimeli e fotografie, le cinque vite del grande artista: cantante e attore di rivista, attore di prosa e attore di cinema, soprattutto regista super premiato. Ne fa conoscere lati sconosciuti ai più e punta i riflettori sui tanti aspetti della sua arte che vengono approfonditi con molta attenzione dai curatori. Si sente la presenza dei figli Christian, Emi, Manuel e dell’associazione Amici di Vittorio De Sica che l’ha organizzata insieme a Zètema Progetto Cultura. E’ stata promossa da Roma Capitale con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

A Londra, anni ’50

Non è una mostra meramente celebrativa, ricostruisce una vita e una storia che ha attraversato diverse fasi del costume del Paese. Per l’altro campione nazionale Alberto Sordi – la cui mostra si svolge quasi in parallelo dal 15 febbraio al 31 marzo al Vittoriano – si è trattato della “storia di un italiano”, dai tempi confusi della fine della guerra a quelli del boom e degli anni di piombo, attraversando il carattere nostrano, più propriamente romano; per De Sica il discorso è più complesso, anche lui ha lasciato il segno sui momenti cruciali incrociando Sordi in molti film che li hanno visti insieme, ma ha coperto anche il periodo precedente, dagli anni ’30 e dall’anteguerra, e si è espresso con una gamma di mezzi molto ampia, da attore di varietà, prosa e cinema, alla regia.

Di qui le cinque vite, e le tante scoperte che offre la mostra al visitatore. La prima è che fu il primo divo italiano moderno dello schermo, al livello delle stelle americane dominanti dopo la crisi del cinema italiano degli anni ’20. Approda al cinema dal successo come cantante e attore di rivista, in ruoli leggeri, che riprenderà tra gli anni ’50 e ’60 dando vita a personaggi gustosi della commedia all’italiana.  Ma già alla fine della guerra la sua nuova vita di regista lo fa balzare alla ribalta con i capolavori del neorealismo che gli valsero due Oscar, reiterati molti anni dopo in due film  che con  toni e stili molto diversi  tornano sui danni non meno gravi del conflitto nella vita delle persone.

Cinque vite anche considerando i mezzi espressivi, teatro e stampa, cinema, radio e televisione, che lui stesso citava dicendo “io sono nato alla vita artistica almeno cinque volte”, in tutte lasciando un segno profondo con un’impronta prevalente: quella del grande attore che emergeva anche nella sua attività di regista quando – sia con i protagonisti presi dalla strada nel neorealismo, sia con gli attori professionisti – mimava le scene perché seguissero il più possibile la sua visione interpretativa.

A teatro, cantante e attore

In questo modo plasmava gli interpreti – nel neorealismo facendoli restare se stessi –  identificandosi nei personaggi anche da regista; era stata questa la molla che lo aveva spinto a passare dall’altra parte della macchina da presa, essere tutti i personaggi e recitarli senza risolversi in uno.

Scrive Gian Luca Farinelli, direttore della Fondazione Cineteca di Bologna, a proposito della sua capacità di passare da un ruolo all’altro, da un mezzo all’altro: “Ma tra i tanti esiste un vero De Sica? Pirandello ha introdotto la modernità e le inquietudini del Novecento nel teatro e nella cultura italiana. In un gioco di doppi e travestimenti, che lo ha accompagnato per tutta la carriera, De Sica è stato un grande interprete delle ossessioni pirandelliane, che proprio all’inizio degli anni Trenta conobbero un’ampia diffusione popolare, attraverso il teatro e il cinema”.

Questo “gioco di doppi e travestimenti” si rivive nelle 12 sezioni della mostra, collocate nei 4 vastissimi saloni del Museo dell’Ara Pacis, ai quali si accede al piano inferiore dopo aver attraversato la discussa “teca” di Mayer e ammirato lo splendore dello straordinario monumento augusteo.  Per la prima volta si è aperto l’archivio di famiglia, in particolare di Giuditta Rissone ed Emi De Sica, e vengono esposti documenti e manifesti originali dei film accompagnati da una copiosissima documentazione fotografica, oltre 400 immagini: sono pezzi unici che fanno rivivere la stessa creazione dei suoi film, dai provini alle immagini sul set e fuori. 

Lo smoking e il baule utilizzato nei viaggi

Molti gli “oggetti” evocativi dei suoi più celebri successi cinematografici, come i costumi e i “simboli”, dalla celebre bicicletta del capolavoro del neorealismo alle divise di “Pane, amore e…”, fino alla statuetta dell’Oscar; e i cimeli di natura personale, dalla valigetta “24 ore” nera tipo coccodrillo al baule porta-abiti, fino al suo smoking inappuntabile.

Si passa da una sezione all’altra come tra i diversi “quadri” di uno spettacolo teatrale,  la vita e l’arte in 12 atti: ognuno è introdotto da una sintetica nota illustrativa, oltre a documenti e foto, manifesti e scritti, oggetti e cimeli; la “scena” è ravvivata da video e veri schermi cinematografici che trasmettono brani dei suoi film senza interruzione. E’ un’immersione totale nel clima dell’epoca attraversata dalle creazioni, così rievocate, di un artista di grande fascino e insuperata maestria.

Per i grandi film rimasti nella memoria collettiva, tra i 157 girati tra gli anni ’20 e il 1974, più di qualunque altro in Italia – dato che Totò si è fermato a 107 e Sordi è arrivato a 151 – oltre ai grandi manifesti sono esposti i ritagli di stampa e moltissime foto di scena in cui si vede all’opera anche come regista mentre mima l’interpretazione che si attende per meglio incarnare il personaggio.

Cercheremo di darne il senso ripercorrendo le sue cinque vite soffermandoci soprattutto su quelle più vicine a noi e all’immaginario collettivo, legate al grande cinema che lo ha visto dominato

Fotogrammi di “Ladri di Biciclette” 

Le vite  meno vicine a noi: cantante e attore di teatro

Con la prima vita venne il successo nel grande pubblico. Già a 16 anni, nel 1917, appare nel film “Processo Clémenceau” di De Antoni,  poi a teatro nel 1923 nella compagnia di Tatiana Pavlova. Torna al cinema nel  1927-28  in “La bellezza del mondo”  e “La compagnia dei matti” di Almirante, ma sarà il teatro con Sergio Tofano e Giuditta Rissone, a lanciarlo definitivamente.

Arriva la grande depressione seguita al crollo del ’29, in più il nuovo cinema sonoro minaccia il teatro, gli spettacoli pur di alto livello degli “Artisti associati” vanno deserti, finché non irrompe “Za Bum” con Vittorio de Sica che oltre a recitare canta e balla nella sua compagnia di Mario Mattoli. Va in scena “Lucciole  della città”, dal film di Chaplin “Luci della città”, sugli schermi in quel periodo. In mostra immagini delle scene e dei ritagli di giornale raccolti dal padre Umberto, ne ritroveremo il nome nel titolo del grande film che chiuse la fase del neorealismo : “Il successo fu clamoroso e risolvemmo tutti i nostri guai. Quelli materiali, per lo meno”, commentò De Sica ricordando che lui e i suoi compagni rimpiangevano il “teatro ‘vero'”, così sembrava di “prostituirsi”.uesto pudore si è ripetuto nel tempo quando è andato oltre i successi cinematografici del momento, dai “telefoni bianchi” alla “commedia all’italiana”  per il “cinema vero” volendo fare una trasposizione con il giudizio appena riportato sul teatro. Fu la voce piuttosto che la recitazione a farlo “sfondare”, ponendolo come alternativa agli “chansonnier” del momento – francesi come Chevalier o americani come i jazzisti – che spopolavano anche nel cinema. Il suo modo di porgere da fine dicitore collaudato in teatro, la sua voce confidenziale ne fecero un divo internazionale.

La statuetta del premio Oscar

Il giovane attore teatrale sbarca nel cinema con il regista Mario Camerini, il quale lo aveva visto in “Za Bum”  e lo impose alla produzione di “Gli uomini che mascalzoni”, che trionfò alla mostra del cinema di Venezia e lanciò la canzone, divenuta il suo sigillo, “Parlami d’amore, Mariù”. Con Camerini girò altri quattro film di successo negli anni ’30; si ritrovarono insieme in altri tre film tra il 1955 e il 1971, quando De Sica tornò a questa “vita” scanzonata dopo temi drammatici e umani. Fino all’esordio alla regia, nel 1940, girerà 30 film,  in un vortice pirandelliano di personaggi e cambi di identità, impressi nell’immaginario collettivo con  il “Signor Max”  e il “Conte Max”.

Il manifesto di  “Miracolo a Milano” con la galleria fotografica

Non abbandona il teatro, per il pudore prima ricordato: il cinema gli sembra un ripiego, sia pure meglio pagato, rispetto all’impegno militante serale sulla scena in giro per l’Italia, con Giuditta Rissone, che sposerà e dalla quale avrà la figlia Emi, e Umberto Melnati.  Inoltre nella seconda metà degli anni ’30 si impongono nel cinema Amedeo Nazzari e Fosco  Giachetti come “tipici divi del regime”, l’osmosi tra  teatro e cinema fa prendere due piccioni con una fava, per così dire. E’ il  1940, viene portato dal teatro allo schermo “Due dozzine di rose scarlatte”, ne è il regista.

E’ l’inizio di una vicenda da autore che si intreccia con quella di attore in modo pirandelliano, anche per le resistenze alle sue scelte coraggiose che potevano disturbare i politici conservatori.  Ha anticipato i tempi con atteggiamenti scomodi, sul piano professionale è stato ostacolato dalla politica con “censure” ai suoi film, sul piano personale c’è stata perfino la scomunica della Chiesa.

Sin dalle prime regie è un innovatore. Il cinema italiano inizia con le “fanciulle in fiore”,  sdolcinate storie sentimentali in ambienti improbabili, per lo più all’estero: è il genere comico-sentimentale dei  “telefoni bianchi”.  “Maddalena zero in condotta” lo ambienta in Italia, fa debuttare  Carla Del Poggio, poi in “Teresa Venerdì” dà un ruolo importante ad Anna Magnani, è un film  realistico  in un orfanotrofio  rispetto agli ambienti irreali quanto divistici dell’epoca, inserisce nel parlato il dialetto proibito e cerca volti nuovi non professionisti: si vedrà come questo diventerà il punto di forza nel neorealismo. Poi con “Un garibaldino nel convento” entra nella storia senza retorica:  lo stile è realistico, nel contenuto denuncia gli opportunisti annidati dietro l’epopea garibaldina.

Con Cesare Zavattini

Secondo Carlo Lizzani furono “segnali nel buio ” colti dai critici dei “telefoni bianchi” che si radunavano intorno alla rivista “Cinema”.  Siamo negli anni 1940-44,  dai segnali nel buio, presto si passerà alla luce accecante dei film del neorealismo che segneranno una svolta epocale. 

 Il grande regista del neorealismo nel primo dopoguerra

La consacrazione del neorealismo si ha nel sodalizio con Cesare Zavattini, iniziato sin dal 1935 con un film di Camerini in cui l’uno era protagonista, l’altro soggettista. I due si riconoscono complementari: “Zavattini, un emiliano trasandato”, con tanti soggetti nel cassetto nei quali la lettura della realtà e l’irrazionale rompevano gli stereotipi del cinema italiano;  “De Sica laziale-napoletano, con l”istinto dell’ animale da palcoscenico – scrive Claudio G. Fava  –  che sapeva cogliere istintivamente la capacità di esistere di una scena e di un personaggio”.  Entrambi  affascinati dai film di Chaplin, “l’uno a proprio agio con la voce, l’altro con la scrittura”.

Disse Zavattini: “Noi due siamo come il cappuccino, che non si sa il latte qual è e qual è il caffè, ma c’è il cappuccino”. E spiegava: “Questo significa che c’è  stata una specie di vocazione a unirci, ci siamo uniti su una base reale, umana; e quando dico umana voglio dire certi valori espressivi che ci hanno trovato d’accordo subito in partenza, e vorrei dire, la semplicità, la chiarezza”.

Fotogrammi di “Umberto D”  

Quali sono questi valori espressivi? Il comportamento umano osservato nella sua realtà cruda, nelle sofferenze delle persone comuni come vittime designate del disagio sociale, rompendo i veli dell’ipocrisia delle classi dominanti. E qui la scoperta geniale degli attori non professionisti, presi dalla strada per rendere la realtà senza il diaframma dell’interpretazione: un’identificazione totale.

La prima collaborazione con Zavattini risale a “Teresa Venerdì”, diventa esplicita con “I bambini ci guardano”, del 1943, il cui pessimismo esprime il clima disperato dell’epoca. Nel primo dopoguerra esplode in “Sciuscià” nel 1946,  seguito da “Ladri di biciclette” nel 1948.  Il cinema internazionale e l’intero sistema culturale ne vengono scossi profondamente. Arrivano i  primi Oscar e Nastri d’argento.  “Sciuscià è il miglior film che abbia mai visto. Dovreste vergognarvi di non amare de Sica: magari potessimo riparlarne fra duecento anni”, disse Orson Welles rivolgendosi agli “intellettuali del cinema”. Mario Soldati, il 26 novembre 1948 dopo “Ladri di biciclette”, forse l’opera più celebre del neorealismo, gli scrive che non è andato a vederlo all’anteprima “perché avevo paura fosse troppo bello, Soffrivo d’invidia”. Poi va alla prima e nel lodarne la bellezza si esprime così: “Sei come Verdi e Chaplin, non ragioni: senti. Anni fa ti dissi che non capivi niente, e dissi che molte volte i geni non capiscono niente, perché sentono, perché vedono. Ora ti dirò una cosa sola. Tu ‘albeggi’. Noi (tutti noi registi italiani) ‘tramontiamo’”. Cesare Pavese, intervistato alla radio nel 1950 da Leone Piccioni disse: “Il maggior narratore contemporaneo è Thomas Mann e, tra gli italiani,Vittorio De Sica”. In entrambi si avverte la lotta degli umili per sopravvivere.

E’ straordinaria la documentazione che ne dà la mostra, ripetiamo, con manifesti, video e fotografie  di scena.  

Un video con sequenze dei film, si vede proiettata una scena del “Processo di Frine” con Gina Lollobrigida

Si esaurisce il neorealismo, torna l’attore

Seguiranno “Miracolo a Milano” nel 1950 e “Umberto D” nel 1952, ma il clima va cambiando, nel 1947 diviene sottosegretario Giulio Andreotti che intende rilanciare  il cinema italiano ma vuole che dia una visione edificante del Paese; la censura blocca i film non in linea, il 30% di quelli prodotti.

Ne soffre “Umberto D”, immagine dolente di un povero pensionato, al quale dà il nome del padre; il film si scontra con l’impostazione governativa e Andreotti accende una polemica con lui. In mostra sono riportate puntualmente l'”enciclica” andreottiana nella lettera a De Sica su “Libertas”  del 28 febbraio 1952, e la sua risposta argomentata con l’invito a incontrarsi per discuterne di persona.  E’ una vera lezione su come si guarda in profondità un film al di fuori delle impressioni superficiali.

Viene dato conto dell’amara reazione di De Sica all’insuccesso: “Confesso che, dopo il fiasco di ‘Umberto D’, Zavattini ed io ci smontammo. Eravamo stufi di lottare contro i mulini a  vento. Non avevamo la vocazione del genio incompreso” . A dicembre viene Charlie Chaplin a Roma all’uscita di “Luci della ribalta”,  lo accoglie De Sica,  André Bazin, dei “Cahiers du Cinema”, scrive nel 1953 che “nessuno oggi può, più di De Sica,  pretendere all’eredità di Chaplin…  l’umanità di Chaplin ” noi la ritroviamo in De Sica, ma universalmente ripartita”. 

I manifesti dei film “Pane, amore e fantasia” e “Pane, amore e gelosia” 

E’ un omaggio celebrativo di una stagione ormai finita. Dopo la “tetralogia”  neorealista”, scrive  Cosulich,  con“Italia mia”, da un soggetto di Zavattini, intendeva fare un ulteriore passo avanti, “raccontare la realtà come se fosse una storia” e “non inventare storie che somigliavano alla realtà”. Ma il film non fu realizzato, lo consigliarono di lasciare Zavattini, inviso al potere dominante, e andare in America. Lo fa veramente, ma negli Usa non va in porto il progetto offertogli del film “Miracle in the rain”,  tuttavia il grande produttore O’ Selznitz  gli affida “Stazione Termini” con i divi hollywwoodiani Jennifer Jones e Montgomery Clift.  Lo definì lui stesso  criticamente “una battuta d’arresto, vuole essere un film d’arte realizzato con intenti commerciali”. 

Entrata in crisi così la sua vita di regista,  riemerge però con forza la vita di attore.

Torna sullo schermo nell’interpretazione nel 1952 dell’episodio “Il processo di Frine”  in “Altri tempi” di Alessandro Blasetti, con la famosa scena dell’arringa in cui da avvocato gigione fa assolvere la prosperosa Frine-Gina Lollobrigida, nell’esilarante similitudine con i “minorati psichici” perché “maggiorata fisica”, termine che entrò nel costume italiano; segue “L’oro di Napoli”, nel 1954, nel quale è anche regista. Blasetti ricorda che dovette faticare per farlo accettare come attore in “Altri tempi”,  “lo consideravano finito”; sia da regista di una stagione esaurita sia da interprete dei film di Camerini, troppo “charmeur e leggero”.

Il  successo fu clamoroso, la nuova  vita di attore ne fa un personaggio di una “commedia all’italiana” diversa da quella di Sordi.  E, sono parole di Blasetti, sul set De Sica “si trasformava completamente”, altro che “leggero”! “Cambiava di colpo. Diventava improvvisamente profondo, assumeva una profondità che cinque minuti prima non gli avresti minimamente attribuito”.

Manifesti e costumi di film con Sophia Loren

Questa fase è stata definita di “neorealismo rosa”, senza messaggi evidenti o subliminali, all’insegna della comicità e della leggerezza . la serie iniziata nel 1953 con “Pane, amore e fantasia” in cui ritrova la Lollobrigida del “Processo di Frine”, è rimasta memorabile, per il successo di cassetta e l’impronta rimasta nell’immaginario collettivo dei suoi personaggi, “il Maresciallo Carotenuto” e “la bersagliera”, con il seguito di “Pane, amore e gelosia”.  De Sica però non si fossilizzò in questa vita anche se in grado di assicurargli popolarità e  successo. E anche come attore Rossellini lo dirigerà  nel 1959 nel ruolo drammatico  di “Il generale Della Rovere”, per lui insolito ma reso con grande intensità.

La mostra dà una spettacolare evidenza a tutto questo sempre con manifesti, foto di scena e filmati.

Di nuovo il regista, fino all’ultimo

Torna alla regia nel 1955 con “Il tetto”, sul problema sociale dell’abitazione, un tentativo di riprendere il neorealismo, nella mostra c’è la documentazione fotografica della ricerca di attori presi dalla strada, Poi il grande ciclo con Sophia Loren, che ha contribuito a forgiare,  con l’immagine di popolana già delineata in “L’oro di Napoli”, e rafforzata dopo  che è divenuta diva hollywoodiana: Ed ecco nel 1960 “La Ciociara” – per il quale l’attrice ebbe l’Oscar, il film il Nastro d’Argento,  e vinse il Festival di Cannes – e  nel 1961 “Il Giudizio universale”;  nel 1963 “Ieri, oggi, domani” e nel 1964 “Matrimonio all’italiana”. E’ un’altra “tetralogia” che lo proiettò di nuovo nell’olimpo come autore dopo esserci stato da interprete dopo la grande “tetralogia” del neorealismo. 

Con Gina Lollobrigida in “Pane, amore e gelosia”

E poi il quarto Oscar con “Il giardino dei Finzi Contini” nel 1971, dopo  “I sequestrati di Altona” del 1962 e “I girasoli” del 1969; Gli ultimi film da lui girati sono “Una breve vacanza” nel 1973 e “Il viaggio”, 1974, il cui titolo è premonitore dell’ultimo viaggio: la morte il 13 novembre 1974. 

Dal 1961 al 1974 sono 14 i film da lui realizzati più 3 episodi, oltre uno all’anno: tutte coproduzioni internazionali con grandi attori, basta citarli per avere dinanzi agli occhi una carrellata di immagini e di ricordi: Sophia Loren e Marcello Mastroianni, Silvana Mangano e Alberto Sordi, Nino Manfredi e Peter Sellers, Richard Burton e Clint Eastwood, Shirley Mc Laine e Faye Dunaway.

 “Si nasce, si lotta inutilmente, si soffre, si odia inutilmente, e poi ci si ritrova tutti allo stesso modo, ciascuno con il proprio copione sotto il braccio”, disse dinanzi alla morte. Con queste pensiero per i figli Emi, Manuel Christian, lo stesso che aveva avuto il padre per lui:”Vi lascio un grande patrimonio d’amore”.  Il giorno della sua morte, Zavattini scrisse: “Una grande parte della mia vita se ne va”, E dopo avere rievocato 35 anni di rapporti concluse: “Non andrà a dormire, aspetterà l’alba. Domani a Roma lui ritorna. Voglio esserci”.

E’ ritornato a Roma nella  mostra “Tutti De Sica”, con le sue cinque vite. Anche noi abbiamo voluto esserci, e così i tanti visitatori all’Ara Pacis. Tutti ammirati e commossi sul filo della memoria.

In “Il generale Della Rovere” di Roberto Rossellini

Info

Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta, Roma. Da martedì a domenica ore 9,00-19,00, ingresso fino alle ore 18,00; lunedì chiuso. Ingresso intero euro 11, ridotto euro 9, gratuito per le categorie previste dalle norme vigenti. Tel. 060808, http://www.arapacis.it/, http://www.museiincomuneroma.lt/, twitter #mostradesica. Per la mostra su Alberto Sordi, citata, cfr. il nostro articolo su questo sito al  13 febbraio 2013.      

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Museo dell’Ara Pacis alla presentazione della mostra, si ringraziano gli organizzatori e i titolari dei diritti, in particolare l’Associazione Amici di Vittorio De Sica e i figli Christian, Emi e Manuel per l’opportunità offerta. In apertura,  Vittorio De Sica a Londra, anni ’50; seguono Vittorio De Sica cantante e attore a teatro, e un angolo rievocativo con il suo smoking e il baule utilizzato nei viaggi; poi il quadro di fotogrammi di “Ladri di Biciclette” e la statuetta del premio Oscar, quindi il manifesto di  “Miracolo a Milano” con la galleria fotografica, e Vittorio De Sica con Cesare Zavattini; inoltre la bacheca con immagini di “Umberto D”  e  un video con sequenze dei film, si vede proiettata una scena del “Processo di Frine” con Gina Lollobrigida; ancora, i manifesti dei film “Pane, amore e fantasia” e “Pane, amore e gelosia”  e un angolo della mostra con manifesti e costumi di film con Sophia Loren; infine, con Gina Lollobrigida in “Pane, amore e gelosia”, Vittorio De Sica in “Il generale Della Rovere” di Rossellini; in chiusura, una bella immagine di Vittorio De Sica, il commiato.

Vittorio De Sica, commiato