Alessandra Zorzi, Arcani e tarocchi, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Circa 40 dipinti e arazzi di Alessandra Zorzi in mostra al Vittoriano, lato Fori Imperiali, dal titolo “Il matto la morte  e il diavolo”, ispirato sotto il profilo letterario al noto libro di Mario Praz,  “La carne, la morte e il diavolo” e sotto il profilo artistico all’incisione di Durer “Il Cavaliere, la morte e il diavolo”. Ma il suo  riferimento è all’aspetto  popolare e simbolico dei tarocchi. Realizzata  da “Comunicare Organizzando”, è curata, con il Catalogo di Canova Edizioni, da Claudio Strinati.

Alessandra Zorzi davanti a una sua opera, “Il diavolo”,2012

L’ingresso alla mostra – di cui è responsabile Maria Cristina Bettini – è spettacolare, per gli Arazzi che pendono dal soffitto in teli di tre metri per uno e si attraversano, come la “Foresta di menta” alla mostra di Gino Marotta alla Gnam. E’ l'”ouverture”  di un mondo di magie e di favole, tormentato da figure da incubo, e non a caso nel titolo si evocano il matto, la morte e il diavolo.  Non è entrata nella narrazione né nell’interpretazione dei tarocchi, dove –  ha detto l’artista – sono presenti elementi “alti” ed elementi popolari, aspetti favolistici e fantasiosi, attese e paure; essi “colgono l’espressione dell’emotività umana”, ed è questa che ha cercato di tradurre nei suoi dipinti.

Il percorso artistico e l’approdo attuale

Rispetto ai riferimenti letterario e artistico ha sostituito il primo termine, “la carne” in Praz e “il Cavaliere” in Durer con “il matto”, gli altri due sono gli stessi, “la morte e il diavolo”. I dipinti della mostra così intitolata sono  luminosi, netti e precisi; anche quando in immagini che, in una diversa interpretazione, sarebbero immerse in una nebbia che qui non offusca mai la visione. D’altra parte l’artista ha una vita professionale da architetto, che vuol dire chiarezza e precisione;  ha cultura – lo ha detto Strinati alla presentazione – per le tante letture di maestri; e questo appare dai riferimenti impliciti, a cominciare dall’opera intitolata “Il Diavolo”  con 4 figure che sono altrettante citazioni.

Il suo percorso artistico, iniziato alla fine degli anni ’80, ha una prima tappa nella mostra di esordio a Treviso, quando si ispira al volo e alla relatività della visione, come specchio della realtà che stava vivendo con il brevetto di pilota; poi è attirata dalla ricerca sul’arte rinascimentale e si esprime in una cristologia surreale; gli aspetti surreali e grotteschi si rafforzano nella mostra su “Babelopoli” del 2003-05, e si appassiona al mezzo tecnologico con l’animazione digitale, Nella mostra attuale c’è un video che propone i suoi filmati favolistici e surreali. Nel 2007 la visione diventa pessimistica, i quadri detti “organici” mostrano la disgregazione dell’esistenza; poi, in tre mostre nel 2010-11 la visione si ispira al genere, femminismo e anche femminilità come “cultura della differenza”,  con le angherie subite dal maschio dominante. Pochissimi i quadri in mostra di questo periodo, quasi tutti sono del 2012 e concentrati sull’emozione che proviene dai tarocchi.

“La morte”, 2012

Strinati ha sottolineato la sua capacità di “estrarre” figure, immagini e componenti e introdurle nelle proprie composizioni, quasi “postandole” in modo meccanico,  come “post it”  o con i “post” del web; cambia però il contesto in cui viene inserita l’immagine con un criterio critico ed estetico.  In tal modo immagini favolose vengono utilizzate per sottolineare profonde realtà dell’essere umano.

La raffigurazione è “in bilico tra evidenze naturalistiche e favole figurative, collegata  a stimoli di carattere simbolico e psicanalitico che fanno entrare anche nel suo mondo personale”. Non manca, nell’analisi del critico, un riferimento alla grafica del “Yellow Submarine”,  che immergeva i Beatles in un’atmosfera surreale per partendo da un’immagine realistica. Ma non c’è solo favola, l’immagine tragica delle donne massacrate prova la consapevolezza della realtà in cui l’artista vive, pur nella visione fantastica  e disincantata del mondo che emerge dai suoi dipinti.

Viene evidenziata la compresenza di elementi della realtà e della fantasia, della vita e della favola. I dipinti, pur nella loro assoluta autonomia, si presentano agli occhi del visitatore come altrettanti fotogrammi di un’unica rappresentazione, come tappe di un viaggio fantastico che si svolge nell’inconscio. Non diciamo nei labirinti dei sogni perché, su nostra precisa domanda, l’artista ha negato questo riferimento. Eppure Strinati scrive nel Catalogo che “c’è in lei una strana e acutissima idea di razionale e irrazionale che si contemperano e si riflettono l’uno nell’altro attraverso un processo visivo che può essere letto come un vero  e proprio fenomeno onirico trasferito in immagini completamente sganciate da riferimenti realistici eppure nel contempo cariche di percezione e di evocazione  di percezioni assolutamente ‘vere'”. Il “fenomeno onirico” rimanda ai sogni, l’artista può non percepirlo perché si muove “su un terreno impervio e fascinoso, alla prima di difficile comprensione e di arduo approccio, per rivelarsi poi nitidissimo, chiaro e coerente”.

“Il matto”, 2012

La galleria degli “Arcani”

Vediamo, dunque, la galleria delle opere esposte, quasi tutte salvo poche eccezioni, del 2012, i cui soggetti non vanno visti per se stessi, ma nel contesto favolistico in cui sono immersi, con larga presenza di animali; e quando c’è la figura umana si tratta di immagini da incubo o di magia. 

L’immagine forse più angosciosa  è nel dipinto “La Torre”, 2012, atmosfera di tregenda, l’edificio ha la verticalità dei fari di Mondrian, ma non la solidità, svetta su un mare in tempesta con il cielo percorso da saette, mentre una donna scalza è sospesa nel vuoto aggrappata ai merli che si stanno sgretolando come la punta del “faro”, crollata al suolo insieme a un uomo il cui corpo è disteso a terra.  Philippe Saverio  vi vede rappresentata “lei sicuramente autoritratta”, e  “la condizione della mente creativa in un mondo che ha perso ogni riferimento”.

Torna l’angoscia, a dispetto del titolo, in “Le Stelle”, 2012, di umano ci sono soltanto le gambe che spuntano dal corpo peloso di un lupo che ulula nella notte serena: è l’incubo del licantropo che ha tormentato l’immaginazione collettiva con le paure ancestrali che assillano la mente e i sogni.

Rassicurante è, invece, “La Temperanza”,  con la fanciulla nuda che si stringe  al collo del cerbiatto, forse per avere protezione dalla pioggia battente con una quinta di alberi da sfondo. Come lo è “Gli innamorati”,non ci sono figure umane, ma un assemblaggio di torri e castelli, cabine e soprattutto arcate alla De Chirico che pongono l’enigma metafisico irrisolto nel titolo: innamorati sono gli edifici stretti fra loro come amanti, o le persone invisibili che li abitano, e non possono che essere innamorate, tale è il clima da poema cavalleresco che aleggia dalla bella composizione.

“Il Faro”, 2012 

scendenze metafisiche anche in “L’Eremita”, dove però nella piazza di cui si vede un angolo con strutture laterali ma senza arcate regna l’oscurità e non il sole del meriggio, rotta dal fascio di luce della lampada tascabile proiettato sulla giovane donna dal viso ispirato. E’ come se le due consuete figurine dechirichiane, dal centro della piazza dove si vedevano da lontano, con la notte si fossero perdute e l’uomo cercasse la compagna con la torcia elettrica come Diogene con la lanterna.

Realistico quanto mai “Il Carro”,  su uno sfondo rosso acceso che ricorda una celebre sequenza di  “Via col vento”,  una donna anziana trascina a fatica un  macabro contenitore di teste umane. All’orrore non c’è mai fine, così l’artista in “127” celebra le vittime del “femminicidio”  perpetrato nell’anno raffigurandole in una piramide di corpi rosa che ricorda le spaventose immagini dei lager. Questo quadro è della serie, di cui parleremo, più avanti  “Al di qua del bene e del male”, come “Grida”,  del 2011, dove le teste riempiono il quadro completamente, vive, unite nella protesta

Il dipinto “L’imperatore” può rappresentare il simbolo della violenza belluina che ha portato alle teste caricate nel “carro” e ai corpi ammucchiati nella piramide, su un trono rosso bordato d’oro siede tronfio e spietato uno scimmione con lo scettro in mano, è il male e la violenza sanguinaria.

C’è una giustizia dinanzi a queste efferatezze? L’artista la raffigura in un dipinto surreale con tanti riferimenti simbolici, intitolato proprio “La Giustizia”: alcune delle cabine di “Gli innamorati” sembrano prese come  “set”  di una visione fantastica con corvi e in lontananza donne velate di nero, una leggiadra siluette in volo, l’asse di equilibrio dove il peso schiacciante maschile prevale sulla leggerezza femminile – non ci sarò mai giustizia per il “femminicidio”? – e, in primo piano due  figure dominanti dalla testa di animali in un profilo di marca egizia. Inquietante!

La serie “Al di qua del Bene e del Male”

Vario il panorama immaginifico di questa serie, oltre ai due dipinti realistici prima citati  per collegarli all’immagine più cruda degli “Arcani”.  “Le Parche”  e “Il sogno del Bosco” , “Messaggera” e “Nemesi”, “Attesa”, “Anab”  e “Trofeo” sono anch’esse angoscianti, ma in un dimensione favolosa, mentre in “Babau”  l’incubo onirico è addolcito dalla tenerezza dell’immagine e in “Piccoli Fratelli” la figuretta inseguita dai pesci volanti evoca il “Signor Bonaventura”.

Tenerissime le immagini dei “Neonati morti dei maya”, che succhiano il latte dalle mammelle dell’albero della vita,  giocosa “La ruota della fortuna”, ingegnosa nel rappresentare  le opposte situazioni dalla posizione delle persone sulla ruota, che è poi la giostra della vita, un circo, come quello a cui fanno pensare “Rhino”, con la cavallerizza  in piedi sul rinoceronte in corsa, e “Cha Bu”, in rosso e nero una figura nel cerchio ripresa dall’alto, mentre la nave nell’immaginifica navigazione tra gli alberi ci ha ricordato l’apparizione magica del  Rex di Fellini,

Nel “tourbillon” di immagini spiccano le due composizioni più complesse, “Guerre intestine”, del 2011, un groviglio in cui si distinguono appena alcuni corpi umani  tra gi animali delle specie più diverse che si scontrano ferocemente; e “Studio per Centaure”,  l’originale femminilizzazione è resa con le figure scalpitanti che si affrontano in un clima ben diverso, aperto e luminoso.

“La Giustizia”, 2012 

Il matto, la morte  e il diavolo

Abbiamo lasciato per ultimi i tre dipinti che illustrano, visti in sequenza, il titolo della mostra, sono molto nitidi, come gli altri del resto, ma qui oltre alla forma stilistica c’è la chiarezza compositiva, nessun enigma.  “Il Matto”  è reso con la figura maschile che fugge, ‘impazzimento è reso dalla testa scoperchiata da cui fuoriescono i parassiti che l’hanno invasa; corre su un alastra di ghiaccio che si va spezzando, cosa c’è di peggio?  Forse c’è “La Morte”, il bacio della figura nera al vecchio inanimato nel letto, in un ambiente asettico e gelido, è quanto di più terribilmente realistico si possa rappresentare del momento estremo. Ed è quanto di più temuto “Il Diavolo”, in quattro figure diverse, prese da altrettante fonti con Lucifero in volo, riunite come nell’attesa.

Esorcizziamo il collegamento con un’altra attesa, anzi “Indugio”, la donna seduta a lata ad un tavolini che aspetta. Forse che,  dinanzi alle violenze atroci,  l’altalena sbilanciata sul versante maschile che abbiamo visto nel dipinto prima commentato, torni in equilibrio e si dia vera giustizia.

Ma vogliamo concludere con i dipinti più lontani dalla realtà odierna e anche dalla favola, quelli ispirati alla storia. Che segna la rivincita delle donne, anche se con eccezioni che ripropongono l’attesa. Si tratta di “Katerina”, “Maria Teresa” ed “Elisabetta”, imponenti figure nei sontuosi abiti imperiali dell’epoca poste su piedistalli opulenti. Ma l’inquietudine non è scomparsa, del resto è il destino dell’umanità, qui evocato in “La buona signora Lot” unendo, almeno nella nostra personalissima interpretazione, la statua di sale dell’antica leggenda con il fungo della bomba atomica della realtà di ieri, che nella guerra fredda era l’incubo del domani. Che può tornare.

E’ vero ciò che dice Strinati:  muovendosi nell’inconscio impenetrabile, è come entrare, e lo abbiamo fatto seguendo il percorso della mostra, nei “‘buchi neri’ del Cosmo che, mentre li si esplora, dilatano i confini delle nostre presunte certezze  sprofondandosi nell’Ignoto e spostando così costantemente in avanti i limiti del possibile”. Noi vi abbiamo trovato l’incubo atomico, perché siamo della generazione cresciuta nella guerra fredda. Ma sappiamo che è il limite dell’impossibile.

Info

Via San Pietro in Carcere, lato Fori Imperiali, Sala Giubileo, tutti i giorni, compresi domenica  lunedì, ore 9,30-19,30. Ingresso gratuito. Tel. 06.6780664. Catalogo:  Alessandra Zorzi: Il matto, la morte e il diavolo, a cura di Claudio Strinati, Canova Edizioni, pp. 96 formato 24 x 21, euro 10,00; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per Mario Praz cfr. i nostri due articoli sulla mostra fotografica alla sua casa museo romana in questo sito il 17 febbraio e in “guida fotografia.com” il 22 febbraio 2013.  Per Mondrian cfr. i nostri due articoli, in questo sito, il  13 e 18 novembre 2012,  a commento della mostra al Vittoriano.

Foto

Le immagini delle opere di Alessandra Zorzi sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra al Vittoriano, si ringrazia “Comunicare Organizzando” con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta, in particolare l‘artista che ha accettato di essere fotografata da noi davanti a una sua opera. In  apertura  l’artista dinanzi a “Il diavolo”; seguono “La morte” e “Il matto”, poi “La Giustizia”  e “Il Faro”; in chiusura “Gli Innamorati”, tutti del 2012. 

“Gli Innamorati”, 2012