di Romano Maria Levante
Essenziale e istruttiva la mostra “Sean Scully: Change and Horizontals” in corso alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 14 marzo al 9 giugno 2013. La mostra, realizzata da Joanna Kleinberg e Brett Littman per il “Drawing Center” di New York dove andrà dal 26 settembre al 10 novembre 2013, a Roma è curata da Peter Benson Miller dopo le esposizioni a Londra, Middlesbrough e Monaco di Baviera. Il Catalogo è edito da Drago. Sono esposte circa 20 opere e una ricca serie di Schizzi in fogli sparsi e 60 pagine del Notebook che mostrano come fissasse su carta gli impulsi spontanei destinati ad essere poi tradotti nelle sue composizioni con nastro adesivo e griglie, divenute “orizzontali” nel passaggio da Londra a New York ed esplosi infine a Roma in forme intensamente colorate. Tutte opere del 1975, tranne tre del 2005 realizzate a Roma.
Scully davanti alla sua opera “Untitled”
La mostra è essenziale perché con poche opere esposte marca con precisione ed efficacia uno stile e un’evoluzione; istruttiva in quanto consente di esplorare il mondo misterioso dell’arte astratta, qui nel versante ancora più indecifrabile del minimalismo, cercando di coglierne la cifra espressiva.
Una prima chiave di lettura ce l’ha data lo stesso artista allorché gli abbiamo chiesto se e come si differenzia dal minimalismo: ci ha parlato di sentimento, dopo aver ricordato che il minimalismo viene come reazione alla Pop Art e all’espressionismo, nella ricerca della pulizia, dell’essenza. Ha espresso quel “qualcosa di invisibile che resta nell’animo”, trovando l’essenza nelle griglie di un cromatismo delicato riflesso della situazione ambientale dalla quale trae impulsi e ispirazione.
Sulla profondità culturale europea, dalla nativa Irlanda alla Londra della sua formazione, si è innestata quella che ha chiamato “l’organizzazione formale americana” e il suo dinamismo: da un lato l’influsso dei grandi artisti – ha citato Cimabue e Tiziano, Velasquez e Goya – dall’altro il ritmo prodotto anche dalla musica, e in questo viene spontaneo il riferimento al Mondrian anche lui approdato nella terra del Jazz e del Rhytm and Blues: ricordiamo nella mostra al Vittoriano la varietà dei motivi musicali che accompagnavano l’esposizione dei dipinti della “perfetta armonia”. Sente molto la dialettica tra vecchio e nuovo mondo, l’incrocio e la sintesi dei loro caratteri.
Prima di passare alle sue opere è bene conoscerlo meglio, cominciando dalla biografia. Londra, dove è vissuto a lungo, la sente “grigia, dura e spiritualmente vuota”, laurea in Belle Arti all’università di Newcastle, borsa di studio ad Harward nel periodo del minimalismo, quando inizia con il nastro adesivo, le linee verticali e orizzontali con rare diagonali e colori altrettanto rari. Ed è significativo che nel trasferimento a New York scompaiano le griglie restando le sole orizzontali.
Ascoltiamo la sua intervista del gennaio 2013, proposta in un video molto istruttivo della mostra: “Il mio modo di dipingere è semplice, si trova ‘quasi’ ovunque, ma il ‘quasi’ è fondamentale”. E’ una definizione valida per quella parte dell’arte contemporanea che si traduce in opere basate su un’idea brillante che non richiedono abilità realizzativa; non è il caso di Scully, quel “quasi” è tutto.
Rivendica la sincerità della sua arte e confida di aver lasciato Londra perché cercava maggiore chiarezza, ma a New York si è sentito immerso ancora di più in quei fattori di confusione che lo opprimevano nella City. Però vi ha trovato un’assoluta libertà, che gli ha dato maggiore apertura mentale tradotta nell’evoluzione stilistica: ha ridotto il colore e gli elementi decorativi, eliminando le linee verticali, di qui il titolo della mostra, “cambiamento e orizzontali”, siamo sempre nel 1975.
Pur nell’astrazione formale, vuol mantenere il contatto con la realtà tangibile, per questo utilizza il nastro adesivo che gli fa sentire la materia, unendolo all’acrilico, quasi come un alchimista. Gli piace dipingere per se stesso e conservare le proprie opere, espressione della sua struttura mentale. Un’altra confessione è che vorrebbe mostrare di più la propria abilità di disegnatore, e che dietro le sue opere c’è un processo profondo di ricerca dell’essenza partendo dagli stimoli della realtà. Chiama “gioiosi” i Taccuini e i fogli con i suoi “schizzi”, spesso conti dei ristoranti, sono griglie di linee: “Mi piace appiccicarli come fanno i bambini sugli album, quasi giocando – sono sue parole – ma penso all’arte ed è per me un antidoto. Ho un modo di disegnare semplice e sincero”.
“Le persone tendono a pensare l’astrazione come astratta” – aggiunge giocando con le parole in una chiara lettura dell’indecifrabile – Ma nulla è astratto: è un autoritratto. Un ritratto della propria condizione”. E ritraggono la sua condizione – “qualcosa di visto e qualcosa di sentito” – le sue opere, dietro le quali vanno percepite le ben diverse atmosfere di Londra, New York e Roma.
“Change # 7”, 1975
Il “Change” londinese
Non si tratta di una mostra antologica, quindi non è rappresentativa dell’intera vita artistica di Scully, però è particolarmente significativa perché coglie, nel 1974-75, lo snodo del passaggio da Londra a New York con le opere dei due versanti nella loro evoluzione non solo stilistica. E nei tre dipinti del 2005 eseguiti durante il soggiorno romano a Villa Massimo coglie l’influenza diretta di una città come Roma, solare e luminosa, da lui ritenuta coinvolgente dal punto di vista psicologico “per la magnificenza della sua storia e della sua arte e per essere il centro del cattolicesimo”.
La soprintendente della Gnam, Maria Vittoria Marini Chiarelli, scrive che “questa fase iniziale della carriera dell’artista – che comunque getta le basi degli sviluppi successivi – è dominata dal pattern geometrico delle verticali e orizzontali e da una gamma ristretta di colori freddi: principalmente grigi, azzurri e verdi”. In effetti sono tali quelli della serie “Change” identificati solo da un numero, precisamente 1 e 8, 22 e 24, 35 e 42; mentre il n. 5 e soprattutto il n. 7 hanno toni caldi, il secondo un intenso rosso; “Untitled” è in terra di Siena di 4 riquadri con altrettante tonalità, che si stemperano in Grey red grey, due parti, una griglia tenue e un fondo a tinta unica. Le varianti tonali nella stessa composizione spesso evocano echi della realtà, come nel n. 24 le rotaie dei treni inglesi. Per questo i curatori americani Joanna Kleinberg e Brett Littman dicono: “Scully concepisce un’astrazione che giustappone alla purezza della geometria le associazioni implicate nella memoria e nella percezione visiva di ciascuno”.
Non è superficiale trovarvi assonanze con i tessuti, potrebbero essere alla base dell’ispirazione, dato che in un viaggio a Fez e Marrakesh – secondo i curatori – “è rimasto affascinato dalla sensualità e la particolarità tattile dei tessuti a righe marocchini”; oltre che dall’architettura e dall’ambiente, aspetti di cui diremo più oltre. Lo stesso fu per Paul Klee, dopo il viaggio a Tunisi e altri artisti. Lo stile è astratto, ma le “linee e le angolature esagerate rivelano gradualmente infinitesime variazioni di formato, di tavolozza e di ritmi. Scully capì che usando lo stesso motivo più volte si apriva a svariate profondità emotive e altrettante gamme interpretative”. Come sono le gamme cromatiche.
“I disegni che presentiamo partono dalla semplificazione minimalista – precisa la Chiarelli – ma approdano a una dimensione meno astratta e impersonale, perché il rigore è addolcito dalla levità vaporosa delle tinte”. L’artista ha parlato di sentimento e di sincerità, come abbiamo visto, e la soprintendente la vede così: “La spersonalizzazione cede il posto a una forma temperata di lirismo, perché nelle griglie di Scully si depositano ascendenza, ricordi, echi di una formazione personale complessa”. Ma è difficile decifrarli: “Una visione più profonda non vuol dire necessariamente più limpida. Sembra, invece, che dall’interiorità si sprigioni una nebbia capace di rendere indeterminata anche la determinatezza geometrica”.
“Horizontals # 10”, 1975
Gli “Horizontals” newyorkesi
Diviene ancora più essenziale la determinatezza geometrica dopo il suo trasferimento a New York, dove abitò con il pittore Natkin a Manhattan, nell’Upper West Side, l’ambiente è importante per lui; ma vedremo che viene ancora di più offuscata dalla nebbia proveniente dal suo sentire interiore.
I suoi lavori li intitola “Horizontals, anch’essi identificati da un numero, sono esposti i n. 1 e 3, 5 e 6, 8 e 10, l’evoluzione è definita dal titolo della serie. Così l’artista: “Quando ho lasciato Londra per New York ho rotto una griglia… la mia griglia, non era più incrociata. Sembrava caricata psicologicamente. Lasciai l’Europa e il suo ordine, per una New York in cui non comparivano più verticali stabilizzanti Semplicemente erano scomparse. Ho eliminato il verticale, ero rimasto solo con l’orizzontale. E così potei iniziare il mio viaggio lungo di esso”.
Potrebbe sembrare strano che abbia eliminato il verticale proprio nella città dei grattacieli, lo ha fatto per togliere dei vincoli, il riferimento ambientale è all’ordine geometrico stradale newyorkese, come si vede nei n. 6 e 8 dove – secondo la Kleinberg e Littman – “bande orizzontali alternate si espandono e ricordano le strade della città, e le sfumature sulla superficie di carta suggeriscono costruzioni architettoniche, giochi di luce che filtra fra grattacieli e corpi d’acqua”.
Ma non sempre mantiene il rigore lineare, si apre a campiture compatte rigorosamente squadrate, nei n. 6 e 8, in uno dei due grigi alternati nella composizione di fasce orizzontali; e a campiture di tonalità cromatica diversa, quasi una sintesi delle due alternate, nel n. 10. La sua libertà stilistica rispetto al minimalismo rigoroso non finisce qui, irrompe la nebbia cui si accennava prima, che proietta la sua ombra nella trama orizzontale delle fasce alternate, quasi un viluppo o una macchia, nei n. 3 e 5. I curatori notano che “le estremità ammorbidite sono maggiormente sensibili alle imperfezioni della mano dell’artista, un’estensione necessaria della sua condizione mentale e del cambio d’ambiente”; Si sono aggiunti i viaggi nel determinare in lui un'”esplosione di creatività”.
“Roma”, 2005
I “Colored Walls” romani
La mostra, nel passaggio all’ultima sala, fa fare un balzo di 30 anni nel tempo, ed attraversare l’oceano per tornare addirittura a Roma. Le tre opere del 2005 – molto diverse dalla produzione esposta, londinese e newyorkese del 1975 – sono state create durante il suo soggiorno a Villa Massimo, nell’Accademia tedesca, e riflettono la solarità e i muri cittadini. Sono acquerelli, quello intitolato Roma mostra due pile di diversa dimensione con forme rettangolari sovrapposte di vari colori, dal nero al giallo brillante, dai contorni irregolari.
Il curatore della mostra romana Peter Benson Miller vi vede “quella caratteristica dei mattoni romani, a esempio quelli usati per il Pantheon, il che lascia pensare che Scully stesse dedicando, nel corso del suo soggiorno, parecchia attenzione alla muratura antica della Città Eterna”. Non è una sorpresa, anche nel viaggio in Marocco oltre che dai tessuti rimase impressionato dalle architetture e dalle facciate colpite dalla luce, e così a Barcellona e in Messico, lo provano tante fotografie. Siamo ancora nella struttura orizzontale, sia pure non geometrica né ripetitiva come forma e cromatismo, ma a Roma la supera dipingendo piccoli blocchi intersecati orizzontali e verticali.
Lo vediamo nei due dipinti intitolati Colored Wall in cui – nelle parole immaginifiche del curatore – “le bande luminose dei pigmenti colorati sono compresse in unità più piccole, come panetti di burro che si sciolgono lentamente l’uno dentro l’altro”. Infatti i contorni dei “panetti” sfumano i quelli successivi, creando quello che Armin Zweite definisce un “duplice movimento paradossale”: contrasti netti e campi di colore da un lato, effetti cromatici dall’altro, in una “congiunzione di opposti che permea ogni forma e sfumatura di colore”.
Questo segna il superamento del minimalismo per avvicinarsi ad artisti come Kelly e Rothko, Mondrian, addirittura fino a Monet; ma soprattutto viene evocato Giorgio Morandi, su cui Scully scrisse nel 2005 un saggio come tributo. Vengono sottolineati gli aspetti paradossali che li accomunano, alla frontiera tra astrattismo e figurativo. Nelle “bottiglie” di Morandi – spesso sopra blocchi geometrici che somigliano a quelli degli acquerelli romani di Scully – nonostante l’apparenza figurativa viene vista una forma di astrazione, nel disegno, nel cromatismo e negli accostamenti; così nei blocchi apparentemente astratti di Scully si vede l’espressione figurativa dei mattoni della Città Eterna. Benson Miller usa addirittura l’espressione in politichese “convergenze parallele” per descrivere come due percorsi senza punti di contatto possano convergere nei risultati pratici, così per astrattismo e figurativo.
“Colored Wall”, 2005
Gli “schizzi” dei Taccuini e Notebook
Non possiamo concludere senza soffermarci sugli “schizzi” esposti in mostra, in oltre 50 pagine di Taccuini e fogli di “Notebook”. La maggior parte sono griglie in inchiostro nero con il motivo ricorrente di essere divise in riquadri, oppure, quando sono solo linee orizzontali, essere affiancate da campiture con una diversa geometria; ve ne sono anche quasi in miniatura, e colorate in inchiostro rosso o blu. Alcune di queste composizioni schizzate le abbiamo viste realizzate nelle opere esposte. E’ difficile descrivere l’impatto dei grandi quadri allineati sulla parete del corridoio che porta alle ulteriori sale della mostra, con esposti questi schizzi; si guardano sentendo di penetrare nell’intimo dell’artista perché sono espressioni spontanee di un momento del tutto personale, nel quale è nato l‘impulso a tratteggiare dei segni divenuti documenti importanti.
Maria Giuseppina Di Monte ne parla così: “Nei disegni di piccole dimensioni e nell’inedito album di sketches troviamo l’alfabetico segnico che compone la sua pittura in una versione quasi domestica… per non dire degli studi del Notebook che vengono per la prima volta esposti in occasione della mostra e rivelano, usando una scala minima, com’è ovvio, il peculiare uso della griglia che Scully non ha mai abbandonato dagli anni ’70 ad oggi, ma ne ha variato dimensioni, intensità ed espressività”. Senza mantenere fino in fondo la “modularità”, ma inserendovi dei “distruttori”: “Le finestre che si aprono spesso fra le bande e i quadrati interrompendo i ritmi e fornendo allo sguardo la possibilità di riorientarsi sulla ‘parte’ piuttosto che sul ‘tutto'”.
Nasce qui la forma espressiva di Scully, di cui abbiamo commentato le opere del 1975 e del 2005. Attraverso disegni vergati d’impulso tesse la tela della sua arte, che si esprime tra le griglie, le verticali ed orizzontali, i cromatismi soprattutto freddi, ma anche rossi e terra di Siena, nelle loro modulazioni cromatiche, viste “in una sorprendente gamma di sotto-toni e sopra-toni”. E, sono le parole della Di Monte con cui ci piace concludere, “condensa la sua poetica, costruendo reticolati che sembrano arazzi ed evocando atmosfere e sapori di luoghi esotici e lontani”.
Info
Viale delle Belle Arti 131, Roma, da martedì a domenica ore 10,30-19,30, la biglietteria chiude alle 18,45. Lunedì chiuso. Ingresso intero euro 12,00, ridotto euro 9,50 (cittadini UE tra 18 e 25 anni e docenti scuole statali UE); ridotto speciale solo mostre euro 7,00 (minori 18 e maggiori 65 anni). Tel. 06.32298221, http://www.gnam.beniculturali.it/. Catalogo: Sean Scully, Change and Horizontals, Drago Editore, pp. 112, formato 15,5 x 23. Per le citazioni riportate nel testo cfr. su questo sito i nostri servizi: per il Minimalismo, Kelly, Rothko, sulla mostra del Guggenheim al Palazzo Esposizioni, articoli del 22, 29 novembre e 11 dicembre 2012; per Mondrian, sulla mostra al Vittoriano, articoli del 13 e 18 novembre 2012; per Klee, sulla mostra alla Gnam, articoli dell’1 e 5 gennaio 2013. Per Monet, i nostri articoli sulla mostra al Vittoriano in “cultura.abruzzoworld.com” del 27 e 29 giugno 2010.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione della Gnam con i titolari dei diritti per l’opportunità concessa, e in particolare l’artista Scully anche per essersi fatto fotografare da noi davanti a una sua opera. In apertura l’artista davanti a “Untitled”; seguono “Change # 7” e “Horizontals # 10”, tutti del 1975, poi “Roma” e “Colored Wall”, entrambi del 2005; in chiusura “Schizzi” dal Notebook, 1974-75.
“Schizzi” dal Notebook, 1974-75