i Romano Maria Levante
Nel commentare la mostra sull'”Arte Astratta Italiana” con la celebrazione di “QUI Arte contemporanea” nel 60° di Editalia in corso alla Gnam fino al 27 gennaio 2013, abbiamo sottolineato il ruolo della rivista e della Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel dare visibilità al nascente astrattismo italiano. Al riguardo abbiamo evocato il ruolo del Guggenheim nell’escalation dell’astrattismo americano attraverso un vero e proprio mecenatismo, ruolo documentato nella mostra romana svoltasi dal 7 febbraio al 6 maggio 2012 al Palazzo delle Esposizioni, “Il Guggenheim – L’avanguardia americana 1945-1980”, che merita di essere ricordata.
Richard Estes, “The Salomon Guggenhein Museum”, 1979
Sono state esposte 60 opere tra dipinti, sculture e foto dalla celebre collezione, ordinate in 7 sezioni sulle tendenze nell’arte moderna transoceanica tra il 1945 e il 1980: Espressionismo astratto e Hard Edge, Pop Art e Minimalismo, Post minimalismo e Arte concettuale fino al Fotorealismo.
E’ stato un evento vedere opere di un’istituzione che rappresenta molto più di una rinomata sede espositiva o di una preziosa collezione di opere d’arte. Il celebre museo nasce dall’impegno per l’arte moderna del ricco uomo d’affari Salomon Guggenheim, espresso in un’instancabile attività di collezionista dall’inizio degli anni ’30, nell’omonima Fondazione istituita nel 1937 per “la promozione, lo sviluppo e l’educazione in campo artistico e l’istruzione del pubblico”, e nel “Museum of Non-Objective Painting” di New York creato nel 1939 che già nella denominazione si orientava verso un’arte non-oggettiva, vale a dire non tradizionale e figurativa ma tendenzialmente astratta. E questo con un linguaggio svincolato dall’oggettività per esprimere valori spirituali.
L’apporto di Peggy Guggenheim
Imperniato all’inizio sulle opere di Kandinsky che incarnava questa tendenza innovativa, creò il collegamento decisivo tra gli artisti europei fuorusciti negli Usa per sfuggire all’occupazione nazista e i giovani artisti americani. A questo riguardo fu fondamentale la nipote di Salomon, Peggy Guggenheim, che risiedeva in Europa occidentale dove aveva già formato un’ampia collezione di arte moderna nei suoi viaggi attuando, tra il 1938 e il 1941, il programma di “comprare un quadro al giorno” a contatto con gli ambienti parigini, in particolare con Duchamp e i surrealisti; tra l‘altro sposò Max Ernst. Anche Peggy lasciò l’Europa per New York nel 1941 prima dello scoppio della guerra con la collezione che aveva messo insieme e nel 1942 aprì una sede di arte contemporanea, “Art of This Century”, con il programma di “servire il futuro anziché documentare il passato”.
Non era un museo come il “Non-Objective Painting” dello zio, ma un centro di incontri e iniziative tra artisti e critici, curatori e collezionisti; organizzava mostre per opere selezionate da una giuria con Duchamp ed Ernst, Mondrian e i curatori; fu scoperto così, proprio nel 1942, segnalato da Mondrian, Pollock, legato subito per contratto al centro che gli organizzò quattro mostre personali lanciandolo nell’olimpo dell’arte. Peggy acquistò molte opere delle mostre che organizzava e ampliò la raccolta anche dopo che il centro fu chiuso nel 1947 per il suo ritorno in Europa. Il “Museum of Non-Objective Painting” di Salomon era cresciuto e nel 1959 assunse il nome di “Salomon Guggenheim Museum” nella Fifth Avenue in un edificio dell’architetto Wright dalle forme curvilinee nel panorama squadrato geometricamente dei grattacieli di Manhattan: doveva essere il “tempio dello spirito”. Nel 1976 vi confluì la collezione di Peggy, vastissima anch’essa.
Jackson Pollock, “Argento verde”, 1949
L’evoluzione dell’arte attraverso il Guggenheim Museum
Il raggio d’azione si era ampliato al di là della pittura “non-oggettiva” iniziale. Divenne fondamentale l’espressionismo astratto alimentato dall’inconscio, poi con la New York School si diffuse l’automatismo in un’arte che rifuggiva dalla riflessione costante e consapevole. Pollock ne è grande esponente per la sua capacità di esprimere il conflitto interiore mediante immagini astratte.
Nel 1962 divenne curatore del Guggenheim il critico inglese Alloway, a lui si deve il termine “Pop Art” come espressione della cultura popolare nei suoi aspetti creativi ritenuti fino ad allora minori, come pubblicità, fumetti e cinema. Nel 1958 aveva scritto: “Il nuovo ruolo delle belle arti è di essere una delle forme possibili di comunicazione, in un quadro che si allarga sempre più a includere le arti di massa”. Mise in pratica questa concezione nella mostra del 1963 “Six Painters and the Object”con Dine e Johns, Lichtenstein e Rauschenberg, Rosenquist e Warhol. che passano dai conflitti interiori a quelli inerenti la vita urbana riflessi attraverso i mass media e li esprimono in forme meno personali più vicine ai processi industriali che ai lavori artistici tradizionali.
La dissacrazione procede, dopo la “Pop Art” il distacco emotivo dell’artista prende anche la strada del Fotorealismo che traduce l’immagine fotografica in una pittura meticolosa con un precisionismo meccanico volto a dare la perfetta verosimiglianza: i soggetti sono quelli della vita quotidiana, come nella “Pop Art”. Alloway parla di “immagine raddoppiata”, il dipinto e la fotografia di base, ne sono esponenti Bechtle, Blackwell e Close.
Alloway non si arresta, e con lui l’avanguardia americana: Siamo alla “Systemic Painting”, nome di una mostra del 1966 e della relativa tendenza: resta il non espressionismo della “Pop Art” ma astraendosi dai temi dei mass media e concentrandosi sui problemi di linea, colore e forma della tela. I colori puri e le forme astratte lo fecero definire “Hard Edge”, tra gli artisti Stella e Noland.
Si va ancora oltre, si esplorano i rapporti tra gli oggetti d’arte e gli ambienti architettonici, si annulla il confine tra pittura bidimensionale e scultura tridimensionale con Kelly, troviamo scultori come Judd con i suoi cubi e le sue forme rettangolari, e Flavin con i tubi fluorescenti. Al Minimalismo, Post minimalismo e Arte concettuale fu dedicata una mostra con 21 artisti di 8 nazioni nel 1971 e una installazione luminosa di Flavin. Nel 1991 il Guggenheim acquistò gran parte della collezione del conte Giuseppe Panza di Biumo che aveva raccolto molte di queste opere.
Al Held, “Senza titolo Y”,1960
Il significato della mostra tra le recenti esposizioni di arte americana e russa
Ci fermiamo qui in una storia nella quale le iniziative del Museo e l’opera dei curatori hanno contribuito allo sviluppo artistico dell’Avanguardia americana. Alla presentazione della mostra sono intervenuti il direttore del Guggenheim di New York Richard Armstrong e quello della Peggy Guggenheim Collection di Venezia, Lauren Hinkson, che ne è la curatrice. Oltre alla grande sede newyorkese nella Fifth Avenue, ve ne sono tre europee, a Venezia sul Canal Grande, a Berlino e a Bilbao, in varie forme legate alla prima; è stata annunciata una sede in Abu Dhabi.
In tale contesto, la mostra del Palazzo Esposizioni ha assunto un significato diverso dalle esposizioni di grandi artisti con tanti musei prestatori; rispecchia l’impulso dato dal “Guggenheim Museum” all’arte in un’epoca di straordinario fervore innovativo, come ha sottolineato Emmanuele F. M. Emanuele, allora presidente dell’Azienda speciale Expo: “La mostra documenta i formidabili slanci creativi dell’avanguardia artistica statunitense, in un percorso che rappresenta un’esperienza visuale ed emozionale di forte impatto e che al contempo consente di inquadrare storicamente opere, artisti e movimenti decisivi per la formazione della sensibilità culturale occidentale”.
Una precisazione a questo riguardo: Emanuele è rimasto fortemente colpito dall’arte pittorica americana, tanto che ha portato a Roma nella sede espositiva della Fondazione Roma di Palazzo Cipolla al Corso, diffondendone la conoscenza in Italia, Edward Hopper nel 2010 e Georgia O’ Keeffe nel 2011, due visioni artistiche di una contemporaneità diversa da quella che ci ha proposto con le raccolte dell’avanguardia del Guggenheim. Lo stesso Emanuele ha fatto conoscere nel 2011, l’anno della cultura russa in Italia, al Palazzo Esposizioni, l’arte della parte del mondo che ne era l’antagonista frontale nella guerra fredda, i “Realismi socialisti” della Russia di Stalin, Krushev e Brehznev, in una importante mostra a ottobre accompagnata dalla personale di “Rodcenko”, il fotografo dell’Avanguardia russa oppresso dal regime, preceduta a febbraio da una personale su “Deineka”, tra i grandi del “Realismo”. E’ una visione a largo raggio di una modernità dalle tante facce, ciascuna con aspetti peculiari: dalle opere del Guggenheim emerge la ricerca degli artisti dell’Avanguardia di aderire ai mutamenti della società e del mondo in cui vivono oltre a manifestare la propria creatività, e per questo rifuggono dai vincoli per esprimersi in piena libertà.
Seguiamo l’itinerario indicato nelle 7 sale che fanno corona alla rotonda centrale del Palazzo delle Esposizioni, un ambiente descritto così dal direttore del Guggenheim Armtrong: “In quanto istituzione culturale d’eccellenza in Italia, il Palazzo delle Esposizioni è la sede ideale per esporre l’avanguardia artistica del dopoguerra americano: Con i suoi spazi monumentali e le spettacolari prospettive interne, il palazzo offre un luogo d’eccezione per la presentazione dei capolavori di Jackson Pollock, Robert Rauschenberg, Chuck Close e molti altri ancora”. Prossimamente il resoconto della visita: dopo la breve storia che abbiamo premesso la parola passa alle opere d’arte.
Info
Catalogo della mostra: “Il Guggenheim, l’Avanguardia americana 1945-1980”, a cura di Lauren Hinkson, Ed. Guggenheim, Palazzo Esposizioni, Skirà, 2012, pp. 140, formato 28×30 cm.; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I prossimi due articoli sulla mostra usciranno in questo sito il 29 novembre e 11 dicembre 2012. Le illustrazioni dell’articolo riguardano opere rispettivamente di fotorealismo, espressionismo astratto e hard hedge, pop art: tendenze che vengono analizzate nei due articoli successivi con immagini di altre opere esposte in aggiunta a quelle di introduzione generale di cui sotto si danno le didascalie.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante al Palazzo delle Esposizioni alla presentazione, si ringrazia l’Ufficio stampa del Palaexpo, il Guggenheim con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. – In apertura, Richard Estes,
“The Salomon Guggenhein Museum”, 1979; seguono, Jackson Pollock, “Argento verde” , 1949, poi Al Held, “Senza titolo Y” 1960; in chiusura, Andy Warhol, “Disastro arancione n. 5” , 1963..
Andy Warhol, “Disastro arancione n. 5” , 1963