Accessible Art, due mostre per sei artisti, a RvB Arts

di Romano Maria Levante

Tre artisti in due spazi di “Accessible Art” complementari, in via Giulia 193 e nella vicinissima via delle Zoccolette 28, e un programma con obiettivi inconsueti. Il tutto animato da un’entusiasta curatrice ed organizzatrice, Michele von Buren conosciuta all’inaugurazione della prima mostra aperta dal 19 maggio al 2 giugno 2012, con le opere di tre artisti  in due sedi nelle vie citate e incontrata ancora nella nuova mostra di altri tre artisti aperta fino al 4 dicembre 2012 con tre serate inaugurali il 20, 21 e 22 novembre: location di eccezione  “RvB Arts” e  “Antiquariato Valligiano, attivo dal 1982, con mobili e altri oggetti antiquari “delle regioni alpine  e non solo”.

Alessio Deli, una sua scultura con dietro un suo quadro  

La premurosa e cortesissima Michele von Buren  ci ha avvicinato lei stessa, dopo averci visto parlare con uno degli artisti espositori presente in mostra e prendere appunti. Era ansiosa di spiegare l’impostazione della nuova attività, ma prima ha risposto alla nostra domanda su come ha individuato gli artisti: è alla caccia di talenti emergenti per i quali organizza eventi e mostre, anche in questi casi c’è stata una sua ricerca e quando ha visto opere di suo interesse ha preso contatto con l’artista, per altri sono state segnalazioni indirette che l’hanno portata sulla pista giusta.  

Secondo quali criteri? Giovani emergenti o artisti affermati le cui opere rispondano ai requisiti dell'”Accessibile Art”, per questo  ha parlato dei suoi obiettivi con enfasi pari alla passione che la anima e riesce a trasmettere, insieme alla disponibilità e simpatia, alla grazia e gentilezza.

L'”Accessible Art” si apre alla gente

Gli obiettivi derivano dalla denominazione, “Accessible Art”, che riflette l’intento di avvicinare l’arte contemporanea alla gente comune in modi del tutto nuovi: portare le opere proposte in un ambiente che sia più accogliente della galleria fredda e razionale  e riproponga il calore familiare; e cosa può farlo meglio che il negozio di antiquariato dove il clima domestico è dato dagli oggetti e dai mobili di casa esposti in un arredamento in cui le opere si inseriscono come parti integranti?

Perché questo avvenga senza attriti è necessario che le opere di arte contemporanea offerte siano “comprensibili con  la vocazione ad integrarsi come complemento scenografico d’arredo”. In questo modo è possibile “far superare la diffidenza che l’arte contemporanea, attraverso un linguaggio enigmatico, può generare”. C’è molto coraggio in quest’affermazione, Michele infrange il tabù  del “linguaggio enigmatico” dell’artista contemporaneo ritenuto insindacabile anche se genera sconcerto; e la sua non è una velleità donchisciottesca, non combatte alcuna forma d’arte pur se incomprensibile: solo circoscrive la sua scelta all’arte “accessibile”, con un intento coraggioso: farla entrare nelle case della gente come la accoglie nella casa dell’Antiquariato valligiano e per questo deve essere compatibile con l’ambiente cui è destinata e con la sensibilità di chi deve riceverla.

Un ulteriore obiettivo completa la sua originale e lungimirante strategia: “Rendere l’arte più abbordabile dal punto di vista economico”, così vengono proposte opere “il cui prezzo non supera il tetto dei 5000 euro, lasciando intatto il potenziale dell’investimento”; nel senso che le opere, per il prezzo contenuto rispetto al livello artistico promettono una positiva valorizzazione economica.

Tetto di spesa e potenziale d’investimento sono la chiave di accesso che apre l’arte contemporanea alla gente comune fuori dagli addetti ai lavori, e soprattutto può aprire le loro case per accoglierla. Un “vasto programma” nel senso gollista cioè utopistico? Crediamo e auguriamo non sia così,  l’entusiasmo e il dinamismo di Michele von Buren sono una garanzia. Abbiamo visto tempo fa al Palazzo Esposizioni  la grande mostra sul “Guggenheim Museum” che alimentò fortemente l’avanguardia americana dal secondo dopoguerra  promuovendo mostre e acquisti delle opere di artisti ignoti e coraggiosi.

Michele von Buren come Peggy Guggenheim? La passione c’è e anche l’intento, diversa l’impostazione, ma ora non si tratta più di stimolare l’innovazione  al di fuori di ogni limite e convenzione, piuttosto di avvicinare la gente perché accolga l’arte  contemporanea nella propria casa, perciò l’iniziativa di Michele ci sembra meritevole oltre che innovativa. Che sia in grado di lanciare una tendenza, quella dell’ “Accessible Art”?  Lo auguriamo di cuore. Intanto dopo la prima mostra dal 19 maggio con tre artisti si replica dal 20 novembre con altri tre artisti. 

Abbiamo detto degli obiettivi e delle due sedi, ambienti caldi e accoglienti nelle due vie convergenti, la grande e celebre via Giulia, la piccola anch’essa rinomata via delle Zoccolette dove dalla prima mostra a quella attuale lo spazio espositivo è stato ampliato. Ora parliamo degli artisti.

Luca Zarattini, una sua composizione  

I tre artisti in mostra fino al 4 dicembre

Si tratta di giovani artisti che hanno un “cursus onorum”  ragguardevole, con premi prestigiosi e mostre personali e collettive. 

Cominciamo con Fabrizio Carotti. Le sue foto digitali elaborate mediante tecniche e cure particolari, colpiscono per la loro intensità, definita “caravaggesca” per la forza della luce che scolpisce i soggetti in colori e composizioni  di tipo pittorico. Non sono istantanee ma artistiche messe in scena che lui stesso costruisce. I pregi non sono solo nell’impatto visivo immediato quanto nei contenuti che si rivelano a un esame più meditato: atmosfere di abbandono e di assenza nelle quali il tempo sembra sospeso: la formazione filosofica dell’artista ha certamente un peso nel far sì che l’immagine possa rivelare l’essenza che la anima.

Nel 2011 ha esposto al Padiglione Italia per Urbino nella 54^ esposizione d’Arte alla Biennale di curata da Vittorio Sgarbi nel 150° dell’Unità d’Italia; la selezione di Sgarbi nella manifestazione si è basata sulla segnalazione di uomini di cultura e di spettacolo escludendo gli addetti ai lavori della critica professionista per individuare le opere di arte contemporanea che hanno interessato i più attenti osservatori e testimoni della società odierna, quindi un’idea non dissimile da quella alla base dell'”Accessible Art”, e vedremo come pure nella mostra di maggio c’è stato un espositore della Biennale.  

Una resa pittorica di tipo molto diverso quella delle opere di Luca Zarattini, dove spiccano i materiali usati per composizioni in cui sono presenti elementi figurativi spesso evanescenti: si percepiscono dei visi in un denso impasto materico con materiali comuni come il cemento, il metallo e la plastica. Il fatto che le figure immerse in questo impasto prodotto dall’industria dei nostri giorni  abbiano assonanze classiche può costituire un ponte ideale fra il presente e il passato; del resto la sensazione che dà l’impatto visivo è di trovarsi in una sorta di limbo senza tempo dove si delineano immagini dalle forme indistinte come fossero nei sogni o nella memoria.

L’artista è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna ed è impegnato in una sperimentazione molto interessante che merita di essere seguita per la coraggiosa contaminazione delle pittura con materiali che attengono soprattutto ad altre forme artistiche come la scultura.

Lo notiamo ancora di più  nell’artista di cui abbiamo visto esposte più opere nella mostra e sul quale possiamo soffermarci maggiormente avendo potuto incontrarlo e parlarci di persona nel primo giorno inaugurale, Alessio Deli. Anche lui proviene dall’Accademia delle Belle Arti, nel suo caso di Carrara, dove si è diplomato con il massimo dei voti, è abilitato all’insegnamento delle  “Discipline plastiche” all’Accademia delle Belle Arti di Roma; anche lui ha radici profonde nel classicismo.

Mentre il precedente artista è di estrazione pittorica pur utilizzando anche  materiali scultorei, lui si proclama scultore a tutto campo pur se ha incursioni pittoriche, o meglio sulla superficie piana di un quadro in aggiunta alle forme delle sculture vere e proprie.  E su questa superficie compie elaborazioni complesse con procedimenti di ossidazione e di altro tipo relativi a materiali che rappresentano la sua sperimentazione di certo propedeutica o almeno complementare alla scultura.

Anche quando opera sulla superficie così elaborata non manca di inserirvi rilievi scultorei  fortemente materici quasi a voler porre il sigillo della sua vocazione. Dalla superficie passa al rilievo con teste che balzano fuori come spinte da una molla; e con piccole figure come i gabbiani per i quali –  ci confida l’anticipazione –  pensa a un’utilizzazione massiccia anche simbolica in luoghi particolari come testimonianza dell’esigenza di difendere la natura e l’ambiente. Gli abbiamo detto che i gabbiani sono di casa sulla terrazza del Vittoriano, e che sarebbe bello affiancarvi i suoi.

La poliedricità di Deli è tale da lasciare sorpresi nel vedere esposte opere di diversa natura e fattura in un percorso che resta coerente con la sua concezione materica e la sua vocazione scultorea. Che esplode nelle grandi sculture dai titoli evocativi: “Odusia”, “Exodus”, “Summer”: sono figure monumentali in lamiera, ferro, plastica e altri materiali di recupero, quindi logorati dall’uso e dal tempo, cosa che conferisce loro il senso del “vissuto”. Maria Luisa Perilli vi vede “fermenti vitalistici di un particolare naturalismo pittorico”,  e questo rimando alla pittura  anche in sculture monumentali accresce l’interesse della sua sperimentazione.  La stessa Perilli  trova nei procedimenti di ossidazione con i quali tratta i materiali l'”occasione di riscatto dell’essere, possibilità di ricrearsi incessantemente, di recuperare quella spiritualità del ‘tempo e del mestiere di vivere’ usurpata, offesa dal relativismo dilagante dell’odierna società”. 

Che sia artista un giovane ad esprimere  “il male della solitudine, della incomunicabilità”  con sperimentazioni materiche che rientrano  a buon diritto nella “Accessible Art”  è confortante sul piano della forma e dei contenuti. Soprattutto perché la sua non è una denuncia senza speranza, anzi è animata da una convinzione che sempre la Perilli definisce così: “Essere progettati per esistere e vivere un tempo antitetico alla dissolvenza”.  E questo con una rinascita dalle sue stesse angosce resa dal riutilizzo dei materiali logori, cui va dato un  significato non solo ecologico ma vitale. Mentre un significato polemico è insito nei tre mitra esposti in mostra costituiti di materiale povero assemblato dall’artista con un forte impatto visivo ma anche simbolico: materiale povero come la povera gente obbligata a combattere guerre non sue. Ma pronta a risollevarsi, e a rinascere.

Al di là di questi significati che la critica colta può attribuire, l’osservatore percepisce le sue opere come direttamente accessibili e adatte ad essere inserite nell’arredamento. L’allestimento della mostra con il quadro sopra la grande cassapanca e a fianco la monumentale scultura è eloquente.

Christina Thwaites,  un suo dipinto da “album di famiglia” 

I tre artisti apripista della “première” di maggio

Sarebbe limitativo  se non ricordassimo i tre artisti della mostra precedente, apripista per così dire dell’ “Accessible Art”, svoltasi dal 19 maggio al 12 giugno. La nostra attenzione fu attirata dalle composizioni semplici di Tindàr. Grandi radici di alberi disegnate a matita con la precisione degli ingrandimenti fotografici su fogli di libri rimpiccioliti con un effetto d’insieme intrigante.

Ci è sembrata un’opera di “Arte concettuale” nel senso di avanguardia americana, cioè basata su un’idea forte, e qui l’idea di base è immediatamente percepibile. Ne parlammo con l’autore e ci confermò la bontà  della nostra intuizione, una  sorta di “prova finestra” che l’opera rientra nell'”Accessible Art” a pieno titolo in quanto comprensibile.  Diverse le varianti sul tema, sempre sotto la grande radice cambiano i fogli, c’è la “Divina Commedia” – l’Inferno, precisa Tindàr –  ma anche il “Canzoniere” di Petrarca, l'”Iliade” in greco fino a un manoscritto dell’800 di un notaio lucchese.

Confessiamo che dinanzi alle pagine rimpicciolite è scattato in noi l’interesse, anche perché nell’anticamera del nostro medico di famiglia c’è un grande quadro con riprodotti tutti i fogli del romanzo dei “Promessi sposi”. Qui c’è in più la grande radice, ed è questa l’idea concettuale:  rendere visivamente le radici della nostra cultura collegandole a parole immortali che ne sono la linfa vitale.

Quasi mimetizzati tra i mobili e gli arredi, inseriti perfettamente nell’ambiente domestico i quadri del secondo artista,  una pittrice inglese che vive a Roma, dove aveva esposto in una mostra collettiva al Palazzo Esposizioni e stava preparando una mostra per il Macro, il tempio del contemporaneo di Roma Capitale; aveva partecipato a un workshop internazionale in Palestina. Christina Thwaites potrebbe essere presa a simbolo dell'”Accessible Art”  nel senso di arte domestica, vicina al clima familiare.

I suoi quadri, che rappresentano volti abbozzati, sono ispirati dalle fotografie di vecchi album di famiglia; ma sono l’opposto del  fotorealismo – la corrente dell’avanguardia americana che riproduceva con una pittura precisionista  ogni dettaglio della fotografia –  c’è una trasposizione umoristica a volte caricaturale, sembrano sagome evocative  derivanti da ricordi resi confusi dalla distanza nel tempo e nello spazio. E proprio per questo mentre si cerca di penetrarne forme e contorni ci si sente  toccati da un che di affettuoso che esprimono.

Infine  i quadri della terza artista, la pittrice romana  Lucianella Cafagna,  formatasi all’Accademia parigina di Belle arti  e alla scuola di Pierre Caron, pupillo di Balthus e del maestro romano Gian Luigi Mattia, un ricco curriculum di mostre personali  e collettive.

Due diverse formule espressive, entrambe figurative, in un’arte che, nella nota critica,  “torna alle cose, al loro racconto, alla loro struggente fuggevolezza e alla bellezza che di queste è sorella”. Una formula di forte impatto cromatico, colori forti e contrastati su forme e contorni netti, composizioni di forme originali e non convenzionali, come quella della figura a terra in una prospettiva singolare delle gambe; l’altra formula è raffinata, dal cromatismo delicato, un’eleganza che richiama il passato, espressa in un’opera di grandi dimensioni, “Lady Jane”, esposta al “Padiglione Italia” della 54^ Biennale di Venezia, di cui abbiamo ricordato i criteri di selezione vicini alla sensibilità comune. Si tratta di una grande figura di donna elegante, enigmatica e carica di mistero, in una teca in plexiglas che le dà quasi un senso religioso. Forse una reliquia di qualcosa che ormai non c’è più ma va conservato e venerato?  Restiamo con questo interrogativo, di certo è una figura che scava dentro nell’animo.

Un impegno da seguire e incoraggiare

Le due mostre di “Accessible Art” a distanza di sei mesi hanno proposto sei artisti con una forte carica innovativa non disgiunta da un rigoroso ancoraggio culturale  e da una sensibilità che fa sentire  le loro opere di indubbia caratura e originalità artistica vicine al comune sentire, quindi  tali da inserirsi  benissimo all’interno di una normale abitazione, anche perché accessibili nel costo.

In diversi casi nello spazio espositivo sono abbinate direttamente a cassapanche e mobili d’epoca o caratteristici in una simbiosi che dimostra la fruibilità pratica unita all’accessibilità economica.

Michele van Buren si è impegnata con uno slancio pari alla sua passione, che ci ha fatto pensare a Peggy Guggenheim, nel sostenere attivamente i giovani sulla strada di un’arte innovativa. E  ha trovato una formula originale che va incoraggiata perché avvicina l’arte contemporanea alla gente e può portarla nelle case, in questo diversa dalla mecenate citata che le ha acquistava per la propria raccolta divenuta  ricca e preziosa fino ad essere incorporata nel museo del grande Salomon.

L’incontro con gli artisti espositori facilita la comprensione e la comunicazione. Il contatto  c’è anche adesso, almeno nelle serate di presentazione: sia nella prima mostra che nella seconda abbiamo potuto incontrare un giovane artista espositore e parlarci a lungo, ne abbiamo dato conto. Si potrebbe sviluppare e valorizzare ulteriormente l’attuale possibilità di incontrare gli artisti.

Di certo l’inventiva e la passione di Michele non farà mancare ulteriori iniziative per promuovere e diffondere l'”Accessible Art”. Le attendiamo con interesse perché meritano di essere seguite attentamente. Per quanto sta a noi, non le faremo mancare l’incoraggiamento. In bocca al lupo!

Info

“RvB Arts” con “Antiquariato Valligiano”, Roma, via delle Zoccolette  28 e via Giulia 193,  pressi Ponte Garibaldi, dal martedì al sabato, orario negozio; domenica e lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Tel. 06.6869505, cell. 335.1633518; www.RvBArts.com; info@rvbarts.com

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione delle due mostre, si ringrazia la galleria con l’organizzazione, in particolare Michele von Buren, gli artisti e i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Alessio Deli, scultura con dietro un dipinto; seguono, Luca Zarattini, composizione, poi Christina Thwaites, dipinto da “album di famiglia”; in chiusura, Tindàr, una delle sue radici di alberi disegnate su fogli di libri rimpixccioliti.  

Tindàr,  radice di albero disegnata su fogli di libri rimpiccioliti