Astrattismo, 2. 50 opere nel 60° di Editalia, alla Gnam

di Romano Maria Levante

La mostra sull'”Arte Astratta Italiana nella collezione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna”, espone a Roma, alla  Gnam, dal 20 ottobre 2012 al 27 gennaio 2013,  50 opere dell’astrattismo italiano  nella celebrazione dei 60 anni di Editalia, ora nella Zecca-Poligrafico dello Stato. La Casa editrice con la rivista “QUI arte contemporanea”, dal 1966 al 1977 ha inciso profondamente, in stretto rapporto con la Gnam di Palma Bucarelli, sugli sviluppi dell’arte italiana aperta alle avanguardie, in particolare l’astrattismo di cui alla mostra pittorica.

Attraverso l’esposizione antologica delle avanguardie artistiche del periodo, si celebra l’importanza dell’opera di Editalia e della rivista “QUI arte contemporanea” nei loro rapporti con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna: E quando si parla di avanguardie ci si riferisce a quelle stimolate da influssi internazionali e anche sviluppatesi sulla matrice italianissima di futurismo e metafisica.

Si tratta delle tante opere di arte astratta italiana nelle collezioni della Gnam che si aggiungono ai capolavori  dei massimi artisti in esposizione permanente nelle sale dove il pubblico può accedere nel visitare il Museo.  Hanno avuto un’importanza capitale nella storia artistica del ‘900 rivelando  l’apertura internazionale su alcune basi tipicamente nazionali. E’ un percorso che ha visto nascere ed esaurirsi movimenti sorti nel furore creativo degli artisti e nelle conseguenti dispute, in una dinamica incessante che si  manifesta per cinquant’anni in collegamento con le avanguardie europee e nel dopoguerra con gli influssi americani, oltre all’iniziale a matrice futurista e metafisica.

Motivo comune dei gruppi è il linguaggio dell’astrazione, che si contrappone a quello tradizionale legato alla natura e alla realtà oggettiva per una visione della mente in grado di trasformare e anzi di creare una realtà completamente nuova con la forza dell’intelletto.

Dall’anteguerra all’immediato secondo dopoguerra

Si parte dai futuristi che tuttavia  mantengono un legame con la realtà nell’evidenza geometrica, definita “la nuova grammatica espressiva”. Siamo ancora ai primordi, poi verrà l’aerofuturismo in cui la mistica del movimento mette le ali alla pittura.  Intanto negli anni ’20 subentra l’arte meccanica di Prampolini, artista animatore di mostre e riviste,  con Filla e Pannaggi. Del primo sono esposte 5 opere, su fondo rosso o giallo un intreccio di forme e segni paralleli o incrociati.  

L’arte si sprovincializza nei collegamenti europei, gli astrattisti  italiani entrano in contatto con quelli russi e tedeschi, francesi e olandesi, le avanguardie di questi paesi si muovono in direzioni coerenti. Come riferimenti per l’Europa basta citare i nomi di Mondrian, di cui è esposta un’opera particolarmente significativa, Malevic e Kandiskij, c’è anche il testo teorico “Astrazione ed empatia”; per l’Italia la metafisica di de Chirico eil futurismo di Balla e tanti altri.

La galleria milanese “Il Milione”  si segnala organizzando una mostra di Kandiskij nel 1934 e pubblicando nel 1935 il saggio di Carlo Belli sull’astrattismo pittorico e l’architettura razionalista;  intorno ad essa si era raccolto un gruppo orientato verso un  astrattismo geometrico ispirato  a Malevic, pur se in piena  autonomia sul piano cromatico e compositivo.  Il gruppo è formato da Reggiani e Fontana, Licini, Veronesi e, Soldati. Notiamo le forme nere e azzurre di Reggiani e la geometria rosso mattone di Veronesi, poi  le composizioni molto diverse di Soldati: ne sono esposte 5, una dai comparti precisi con figurette all’interno, in altri c’è qualcosa che ci ricorda Klee, in mostra nelle sale attigue.

Anche a Como nasce un gruppo di astrattisti, che mantiene stretti contatti con quello di Milano, intorno all’architetto Terragni: ne fanno parte  Radice e Rho, Galli, Badiali e Carla Prima. Di Radice colpisce lo schematismo  compositivo in un cromatismo a  tinte neutre.  

Nel primo dopoguerra, precisamente nel 1946,  nasce la “Nuova Secessione Artistica Italiana”, sull’onda del manifesto del realismo che si pone in contrasto con il novecentismo, oltre che con le scorie del fascismo da poco caduto. Ne fanno parte Birolli e Cassinari, Morlotti e Pizzinato, Santomaso, Vedova e Viani.  Nelle opere esposte, di Birolli notiamo i colori freddi, verde e celeste, in Santomaso il giallo e viola ravvivano l’insieme in tinta neutra,  in Cassinari e Pizzinato prevalgono le forme curvilinee. Di Vedova due composizioni diverse, stilizzate e cromatiche.

L’astrattismo  e il realismo tra arte  e ideologia

Dopo un anno, nel luglio 1947, in occasione di una mostra milanese, il gruppo si allarga con l’ingresso di Guttuso e Turcato, Campora, Fazzini e  Franchina mentre ne  esce Cassinari e assume il nome di “Fronte Nuovo delle Arti”.  Le critiche di Argan e Venturi sottolineano  il netto distacco dal post cubismo. Il movimento si presenta alla Biennale, ma una mostra d’arte contemporanea a Bologna nel 1949 lo fa implodere:  la scintilla è data dalla stroncatura di Togliatti  su Rinascita, diventano inconciliabili le visioni divergenti sui rapporti tra arte e ideologia.

Un’anticipazione di ciò che avverrà  in Unione sovietica quando Krushev  nel visitare una mostra a Mosca nel 1962 –  dove una sala era dedicata alle nuove espressioni in “Stile severo” – tuonò contro “Geologi” di Nikonov  dai contorni marcati su forme e sfondi sfumati, l’opposto dei canoni del  Realismo socialista con cui si assoggettava la creatività dell’artista all’ideologia e agli interessi propagandistici del regime, fino a “normalizzare” lo stesso Malevic e fargli ripudiare l’astrattismo.

Tredici anni prima in Italia l’astrazione geometrica rischia di venire ripudiata nel nome del realismo e la liberta creativa dell’artista subordinata alla matrice ideologica. Molti reagiscono, altri fanno la scelta opposta e si allineano. Guttuso sceglie il realismo e lascia il Fronte che si scioglie.

Poco prima della formazione del Fronte, nell’aprile 1947, esce una rivista che dà il nome al “Gruppo Forma 1”,  costituito da Carla e Ugo Accardi, Consagra e Dorazio, Guerrini e Perilli, Sanfilippo e Turcato, dichiarati “formalisti e marxisti”. Si propongono di conciliare astrazione e impegno ideologico, astrattismo e realismo in un formalismo che reagisce all’espressionismo. Il segno e la forma sono visti nella loro funzione di dare un senso oggettivo alle intuizioni dell’artista senza astrazioni né riferimenti simbolici e contenutistici. La rivista uscirà per un solo numero, quindi resta come manifesto formalista,  poi nel 1951 il gruppo si scioglie e gli artisti prendono strade diverse, chi nel realismo chi nell’astrattismo. Dei quadri in mostra notiamo i colori opachi ma netti di Carla Accardi e la geometria  con forte cromatismo nei triangoli di Dorazio e nei segni marcati di Guerrini,  lo schematismo a fasce di Perilli e le forme con linee e tinte neutre di Turcato.

L’anno dopo Forma 1, nel 1948,  nasce il movimento “Arte concreta”, con Soldati e Dorfles, Monari e Monnet,  dopo la mostra “Arte astratta concreta” di Milano.  Il ripudio del figurativo è totale, così  viene meno qualsiasi legame con il mondo naturale e la vita reale; come riferimento concreto anche qui l’approccio geometrico che aveva il Futurismo, e in particolare Balla. Prima uscita in una mostra a Milano, poi si estende dal Nord  con Milano, Torino, Genova, verso il  centro a Roma e Firenze, fino al Sud a  Napoli e Catania.  La geometria di riferimento è  costruttivista, quindi il gruppo accoglie, oltre a pittori   e scultori,  architetti e grafici compresi designer industriali. Ha diramazioni all’estero in contatto con un gruppo parigino. E’  numeroso,  vengono citati  25 pittori e 10 architetti, vi  sono collegati anche i pittori romani del gruppo Forma 1.   Oltre a quelli prima indicati ricordiamo Reggiani e Veronesi già nel Milione,  Rho  nel gruppo di Como.

Nel  1950, dopo l’implosione del Fronte nuovo per la reazione alla deriva ideologica, anzi più propriamente politica, i critici di questa involuzione si riuniscono in un gruppo, sono Birolli e Corpora, Merlotti e Santonastaso,  Turcato e Vedova.  Lionello Venturi diventa il portatore delle loro posizioni alla Biennale di Venezia, e nasce il “Gruppo degli otto pittori”, i sei iniziali più Afro e Moreni. Coerente con la linea “astratto-concreta” da lui portata avanti, Venturi li definisce né astrattisti né realisti, perché ogni schematizzazione cadrebbe nel manierismo o comunque limiterebbe la spontaneità e quindi la creatività.  Di Corpora due opere, su fondi in giallo variegato e azzurro intersecati da linee nere, due anche di Vedova molto diverse, una con segni marcati neri, linee e cerchi, l’altra  con forte cromatismo e forme curvilinee. Notiamo anche i colori del quadro di Turcato, fondo rosso mattone con giallo e blu con linee e griglie.

Lo stile adottato è un modo per non essere risucchiati dalle contrapposizioni artistiche e soprattutto ideologiche tra astrattismo e realismo e  non venire invischiati nei contrasti tra le diverse direzioni prese dall’astrattismo. Ci si allontana sempre più dal futurismo geometrico e dal cubismo picassiano per uno spontaneismo naturalistico e gestuale che per sua stessa natura non si traduce in indirizzi coerenti ma prelude alla discesa nell’informale. Il successo non manca, ma le divaricazioni interne si accentuano, si va verso la disgregazione del gruppo dopo  che nel 1954 ne esce  Vedova.-

Termina la rassegna delle opere degli artisti inquadrati nei  gruppi. Nell’avviarci alla conclusione non possiamo non citare i due quadretti di Capogrossi, dove affiorano timidamente le forme che si tradurranno nelle celebri “forchette” dei grandi dipinti dell’artista dell’esposizione permanente.  E poi l’intarsio di Soffici dal cromatismo delicato e i piccoli quadri orizzontali di Balla, con triangolini contrapposti o più grandi in forme allungate nel movimento, pensiamo alle grandi tele in mostra stabile. Infine  Afro e  Cagli in  un intarsio di forme curvilinee e colori discreti, quasi mandolini.

Una riflessione finale sulla cavalcata nel primo astrattismo italiano

Cosa si può dire al termine della visita alla mostra? L’allestimento in ambienti che si succedono senza soluzione di continuità formando spazi raccolti e ravvicinati crea un’atmosfera di vicinanza e di accoglienza, non si avverte la freddezza di molte mostre di arte contemporanea, ma un calore dato dal cromatismo e dalla varietà di forme e di stili che non provocano reazioni negative neppure nel visitatore più tradizionalista. Queste non si avvertono neppure nella sala con le 3 tele monocrome, di Verna, Strazza e Battaglia, e le 5 opere in materiali metallici tra cui la monumentale installazione vibrante di Soto, di ben 25 metri, che ha una storia tutta particolare, le lunghe aste orizzontali di acciaio di Carrino, e quelle verticali colorate, le altre di Santoro e Uncini in alluminio o lucido acciaio inossidabile, ben diverso dal ferro delle sculture di Colla che abbiamo visto nella grande sala  dopo l’atrio d’ingresso.

L’atteggiamento positivo è  merito della confidenza che si prende con l’arte contemporanea quando è autentica e propone veri capolavori, mentre la minaccia alla sua accettazione è data dalle possibili mistificazioni contro le quali la rivista “QUI Arte contemporanea” metteva in guardia fin dall’inizio assumendo la missione di prevenire riconoscimenti tendenziosi  in modo da aiutare ad apprezzare il “nuovo” nell’arte, frutto di genuina inventiva, a dispetto delle facili e troppo frequenti mistificazioni: “Dacché eminentemente inventiva, la ‘tradizione del nuovo’  si presenta alla discrezione e all’arbitrio dell’ultimo venuto”, cosa che si può ammettere solo “a patto che l’ultimo arrivato appartenga alla ristretta famiglia degli inventori autentici”.

Lo si leggeva nell’editoriale del terzo numero nel marzo 1967, sono parole da sottoscrivere anche oggi:  vuol dire che l’insegnamento di “QUI Arte contemporanea” non è stato effimero, anche per il grande pubblico che si vede confortato nella sua diffidenza ma insieme  esortato a rimuovere barriere di comprensione e di accettazione dell’arte vera anche se fuori dagli  schemi consueti .

Nella  mostra che abbiamo raccontato, sono esposte 50 opere degli artisti i quali hanno dato vita al fervore creativo che ha fatto la storia dell’astrattismo italiano fin dai primi anni del secondo dopoguerra. Editalia e “QUi arte contemporanea”  con la loro celebrazione hanno consentito anche questa riscoperta di una storia che è patrimonio di tutti noi, come storia di arte e anche di vita.

Info

Galleria Nazionale d’Arte Moderna,  Via delle  Belle Arti 131, Roma.  “QUI arte contemporanea 1966-1977”, dal 20 ottobre 2012 al 27 gennaio 2013. Martedì-domenica ore 10,30-19,30 (la biglietteria chiude alle 18,45), lunedì chiuso.  Ingresso (con visita alle altre mostre e all’esposizione permanente del Museo): intero  euro 12,00, ridotto  euro 9,50 (18-25 anni e docenti  UE), ridotto speciale solo mostre  euro 7,00  (minori di 18 e maggiori di 65 anni) . Gratuito museo: minori di 18 anni e maggiori di 65 anni. Tel. + 39.06.32298221; www.gnam.beniculturali.it. Il primo articolo sulla mostra è uscito ieri, 5 novembre 2012.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che si ringrazia con  l’organizzazione e i titolari dei diritti: nell’ordine sono quadri di Soldati, Vedova, Dorazio e Turcato.

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