di Romano Maria Levante
“Paris en liberté”, la mostra di Robert Doisneau dal 29 settembre 2012 al 3 febbraio 2013 a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, espone 200 fotografie originali della Ville Lumiere in una rassegna antologica del periodo 1934-1991. Sono immagini suggestive in bianco e nero riprese nelle strade del centro e della periferia, nei bistrot e sui ponti della Senna, nei giardini e negli atelier e gallerie d’arte. Offrono un vasto panorama della vita cittadina con la gente comune e i personaggi, giovani e anziani, ripresi nella vita quotidiana da un fotografo il quale sa aspettare il momento giusto per fermare l’immagine che ne fa emergere la profonda umanità.
Un fotografo “di strada” innamorato di quel che vede
Spicca la celebre fotografia dei due giovani che si baciano davanti all’Hotel de la Ville incuranti dei passanti tutt’intorno, divenuta l’icona degli innamorati. Ma non si è sottratta alla sorte di altre foto celebri, di cui è stata contestata l’autenticità, come la “Morte del legionario” di Robert Capa e “Iwo Jima” di Rosenthal, rimaste comunque icone della guerra di Spagna e della fine del conflitto mondiale. La foto di Doisneau sarebbe una ricostruzione con i soggetti in posa ripresi mentre ripetono il bacio che il fotografo non aveva fatto in tempo a”rubare”; divenuta celebre ha suscitato una folla di “pretendenti” all’identificazione, e dopo 40 anni due giovani hanno dimostrato di esserne i protagonisti con un autografo dato loro dell’autore all’epoca dello scatto. Al riguardo va ricordato che la prima esposizione di questa mostra si è tenuta a Parigi proprio all’Hotel de la Ville.
Nessuno scandalo, però, fa parte della documentazione della realtà che ha visto passare sotto i suoi occhi camminando incessantemente nelle vie di Parigi e anche fermandosi ad aspettare. “Aspettare chi? – ha detto – Non lo so, però aspetto. Io spero sempre, e quando uno ci crede con forza è difficile che qualcuno non finisca per arrivare. Dopodiché la messa in scena viene improvvisata all’insegna della fugacità”. Affermazione che spiega anche la messa in scena della celebre fotografia degli innamorati: con l’obiettivo vuole fissare la realtà quotidiana, a costo di reinventarla senza però deformarla neppure con effetti speciali, come il mosso e sfuocato e inquadrature dai tagli ricercati.
Viene dalla fotografia industriale, dalla pubblicità dei prodotti farmaceutici alla Renault, ma non lo interessava, preferiva assentarsi dal lavoro per cercarsi i soggetti nelle strade parigine, nel 1939 diventa fotografo-illustratore “free lance” e nel 1946 entra nell’agenzia Rapho; resisterà alle pressioni del suo grande amico Cartier Bresson per farlo entrare nell’agenzia Magnum. Nel 1974 espone alla Galleria Chateau d’Eau di Toulouse e negli anni ’70 le sue fotografie si diffondono nel mondo, giungono premi e riconoscimenti. E’ diventato un testimone qualificato del suo tempo.
Ma non è stato questo il suo intento: “Oggi posso tranquillamente confessare che quella di lasciare alle future generazioni una testimonianza della Parigi dell’epoca in cui ho cercato di vivere è stata l’ultima delle mie preoccupazioni”, è una sua affermazione del 1984. “No. Nella mia condotta non c’è stato mai nulla di premeditato, A mettermi in moto è stata sempre la luce del mattino, mai il ragionamento. D’altronde che c’era di ragionevole nell’essere innamorato di quel che vedevo?”
In queste parole c’è un’ulteriore chiave della verità “reinventata” quando è sfuggita all’istantanea e ne è innamorato al punto di non volerla far svanire senza averla fissata sull’obiettivo; nella foto icona è lui ad essersi innamorato degli innamorati che ha visto baciarsi e non vuole perderli. Poi parla delle sue incessanti “camminate” per Parigi – tra il pavé e l’asfalto, da pedone instancabile anche nelle ore “rubate” al lavoro – che hanno prodotto fotografie a lui particolarmente care.
E’ l’opposto del reporter di guerra o semplicemente di viaggi, tanto più in luoghi esotici: “I lunghi viaggi mi hanno sempre turbato. Non posso sopportare gli sguardi sprezzanti degli indigeni. Mi vergogno. A Parigi l’indigeno sono io fuso nella massa. Faccio parte della scenografia: francese medio, statura media, segni particolari: nessuno”. Però con la macchina fotografica al collo portata senza ostentazione, come se ne vedono tanti: “Discreto, efficiente, mi confondo nel gregge dei pedoni”. E cerca anche punti di vista diversi: “Un giorno, tuttavia, mi sono voluto levare la voglia di vedere la città con gli occhi dei turisti organizzati”, sale su uno dei loro pullman per poi seguirli nel Quartiere latino, a Montmartre fino ai campi Elisi, alla fine si ritrova sul marciapiede, stordito.
“All’indomani di quella spedizione, ho scoperto il raro lusso dell’immobilità”, lui che ha camminato incessantemente “solcando in lungo e in largo per mezzo secolo la città”. Ecco come spiega questa folgorazione: “In una città in cui tutto è in movimento bisogna avere il coraggio di piazzarsi in un punto e di restarci immobili: e non per qualche minuto, ma per un’ora buona, magari anche due. Bisogna trasformarsi in una statua senza piedistallo”. Allora si diventa parte integrante dell’umanità che passa, quelli che chiama “i naufraghi del movimento” si fermano a chiedere informazioni. Per lui “vedere, a volte, significa costruirsi, con i mezzi a disposizione, un teatrino e aspettare gli attori”. Qualche volta, aggiungiamo, chiedendo di replicare la scena cui si è assistito.
Gli itinerari variano “per non cadere nel confort dell’abitudine, che porta alla fiacca”, ci sono i quartieri dalla vita difficile dove “i gesti della vita vengono compiuti con semplicità e i volti di coloro che al mattino si alzano presto sono commoventi”; e quelli dove “la vita è invisibile, come nascosta per i suoi traffici segreti”. Ci sono anche “i fantasmi”, la città cambia nel tempo, lui non piange sulle demolizioni, “la bellezza, per commuovere, dev’essere effimera”; ma lo turba aver “visto sparire uno a uno i miei punti di riferimento personali. Quello che mi dà più fastidio, è la confisca delle mie oasi. I miei poli d’attrazione funzionano solo per me, sono riservati, per così dire, al mio uso personale”. Sono le parole di un innamorato che ci racconta la sua Parigi in libertà.
La Parigi “a casaccio” e dei parigini
Al Palazzo Esposizioni le 200 fotografie sono in sezioni senza soluzione di continuità, la narrazione di una Parigi vista nell’umanità che circola per le strade in oltre mezzo secolo è unitaria e coerente. Le sezioni sono ricavate nel grande salone all’ultimo piano del palazzo, si è mantenuta la struttura appropriata dei massicci separé realizzata per la mostra del grande fotografo russo Rodcenko.
Pur avendo l’occhio rivolto alle immagini esposte, per il loro raggruppamento ci piace riferirci alle categorie evidenziate nel monumentale Catalogo Alinari, che danno loro un preciso ordine logico: Parigi a casaccio e La Parigi dei parigini, Parigi si ribella e Parigi si diverte, fino a Parigi e il cemento. E soffermarci sulle immagini forse più amate dall’autore, come si vede dai suoi commenti.
La prima Parigi, “Parigi a casaccio”, è quella dell’assemblaggio casuale delle istantanee di strada, dove alla curiosità del fotografo risponde l’umanità della gente nella varietà dei luoghi in cui sono state scattate: i giardini e le vie cittadine, i bistrot e i posti più celebri, Torre Eiffel in testa.
Ci soffermiamo su un tema che fa riflettere il fotografo, le sedie: se sono vuote le ritrae pensando a chi le ha occupate, riprende i bimbi che ci giocano trovandole abbandonate, in altre immagini si vede un’anziana coppia seduta in primo piano con l’ombra di una grande costruzione sul fondo, lui legge il giornale, lei ha tra le mani forse un rosario; o due donne sedute tra i passanti, che guardano tre aerei in formazione nel cielo, fino alle due donne che si allontanano portandosi via le rispettive sedie. Quasi una sequenza cinematografica che sembra di vivere come se le figure fossero animate.
Il dinamismo è massimo nelle foto dei “posti maledetti”, come Place de la Concorde in cui “alcuni individui, particolarmente agili riescono a sfuggire alla muta degli automobilisti”. E qui una impressionante teoria di pedoni nel mirino del traffico urbano, singoli e gruppi ripresi mentre evitano correndo di essere investiti dalla massa di autoveicoli che sembra una mandria di bisonti, nella mostra ne è stata fatta una gigantografia che copre una parete. Solo i bambini riescono a rendere festoso l’impatto con le auto, nella foto che li vede bloccare il traffico in una fila gioiosa, mentre è inquietante il campo lungo della donna sola che spinge la carrozzella nella foresta di auto.
Dalle auto alle persone protagoniste, i pedoni ripresi innanzitutto mentre superano ostacoli nei marciapiedi, e con fotografie tagliate per evidenziare le gambe che si muovono rapidamente; poi nell’umanità dei singoli, grandi e piccoli, ripresi nei più diversi atteggiamenti. L’artista è attirato dai gruppi, in particolare i musicisti: “Non solo si parlava, ma anche si cantava insieme”, dice. Però torna presto a riprendere i singoli soli con se stessi, come nella serie di immagini della “Vetrina di Romi”, dove i passanti si fermano guardando il dipinto di nudo femminile con le espressioni più diverse, nella mostra sono inserite in un box verde allestito appositamente per renderne l’effetto.
Oltre a questa normalità sia pure molto speciale, le sorprese, dalle capriole dei bambini alla scalinata con ai piedi il barboncino bianco e 15 gradini sopra l’uomo che tiene il lungo guinzaglio, fino alla foto celebre del bacio davanti all’Hotel de Ville tra i passanti impassibili, siamo nel 1950.
Si torna alla normalità parigina con i bistrot, visti nei tavolini all’esterno e negli interni, frequentati da gente di varia umanità, dal barbone Coco nel “bistrot dei mendicanti” ai turisti nelle “grandi brasseries scintillanti di luce”, come le chiama lui stesso. Aggiungendo: “Personalmente preferisco i bistrot meno vistosi dove, a ore fisse, alcuni habitué si ritrovano alla luce di lampade discrete per scambiarsi discorsi dettati da una riposante complicità”, e ne dà la dimostrazione con le immagini.
Ci sono poi alcuni personaggi come Georges Simenon e luoghi celebri, come la Torre Eiffel con la gente sotto le grandi arcate, il Carrousel con il vasto piazzale disseminato di turisti sparsi o in gruppo; e le immagini affettuose delle statue con le Ninfe alle Tuilleries, nella delicata irrisione che sono prese di mira dai piccioni.
“La Parigi dei parigini” prosegue il discorso della “Parigi a casaccio” con fotografie “mirate” su luoghi e momenti che ne rendono la vita del tutto speciale. Come “Les Halles”, il mercato con gente che “si dava del tu, diffondeva allegria e buona volontà”, per la sua sparizione “Parigi perde il suo ventre e un po’ del suo spirito”: e qui una galleria di immagini in campo lungo e primi piani delle bancarelle di macellai, pescivendoli e pollivendoli ripresi nella loro umanità con un‘attenzione affettuosa. E poi lavandai e falegnami, fotografati anche mentre lavorano in strada.
Le immagini di questa Parigi sparita alternano inquadrature da lontano e da vicino dei gestori di piccoli esercizi, anche poveri bistrot ben diversi da quelli “scintillanti di luce”, come di portinai e varia umanità ripresi in interni raccolti e suggestivi. Veri e propri bozzetti, con ricordati i nomi dei fotografati quasi fossero dei grandi personaggi, mentre si tratta di macchinisti e facchini, mobilieri e suonatori, l’uomo dei palloncini e il giardiniere,il collezionista e il duellante bonapartista, il pittore straccivendolo e lo scultore ultimo bohemien. Non manca il colore locale sui ponti della Senna, con il pescatore e i passerotti di Parigi, e i tuffi all’ombra della Torre Eiffel, in preziose inquadrature.
La Parigi vista in momenti speciali fino ai momenti felici
E’ rievocato anche “il film dell’orrore dell’occupazione” con i cavalli di frisia a Piazza della Concordia ma soprattutto con le immagini di riscossa raccolte sotto “Parigi si ribella”:dalla rivista clandestina alla barricata di Rue des Panoyaux, dove è ritratto anche un bambino e un giovane con bandoliera che vi si appoggia esausto, e i resistenti con i fucili spianati. Poi la liberazione, scene di massa delle piazze gremite e De Gaulle che scende nei Campi Elisi acclamato, baci ai liberatori.
Ma è una parentesi, Parigi è sempre Parigi nelle immagini di “Parigi si diverte”. E’ una pittoresca galleria dal teatro delle pulci ai giocolieri di piazza della Bastiglia, dal treno fantasma di Foire du Trone al club del Vieux Colombier, dalla palestra Constant al Concert Mayol: non sono i luoghi celebri, ma locali raccolti dei quali viene resa al’atmosfera festosa e intima, che trasuda umanità nei frequentatori e nei gestori e attori come Anita che, ricorda il fotografo, “senza neanche alzare gli occhi, mantenne quell’atteggiamento di ostinata modestia che tanto le donava”. Come folgorata: “E da quel giorno del 1951, Anita non si è più mossa”. Danze di sala e feste, individui e gruppi, suonatori e ballerini acrobatici fino alla serie di seducenti nudi femminili nel Concert Mayol.
Non manca nulla, la Parigi che si diverte non sarebbe completa senza il French cancan del Moulin Rouge, le ballerine del Casino du Paris e delle Folies Berger, riprese in immagini molto espressive. Compare anche Maurice Chevalier, icona degli chansonnier francesi, ripreso tra la gente.
“Dei due, o forse tre, anni trascorsi a ‘Vogue’ mi restano solo ricordi nebulosi che si sfilacciano con il passare del tempo”, dice nell’introdurre la parentesi “glamour”, fu scelto per il suo “sguardo nuovo” di estraneo a quegli ambienti. E qui una carrellata di immagini ben diverse da quelle “popolari” fin qui descritte. Sono i grandi personaggi, “artisti, scrittori, creativi di ogni genere”, le indossatrici “ritratte in varie parti della città, oppure contro il temibile sfondo bianco dello studio”, gli eventi mondani, “quelli che mi hanno lasciato i ricordi più duraturi”.
Siamo all’inizio degli anni ’50. Ecco mademoiselle d’Origny e il “grande matrimonio”, la festa danzante dai baroni de l’Espées, il ballo nel castello di Corbeville in tanti scatti, con “i pettegolezzi di Elsa Maxwell”. Prima e dopo le foto del “teatro della moda” con le indossatrici riprese mentre si preparano nel back stage e nelle immagini patinate costruite con maestria. Sono ritratti anche i grandi maestri della moda, da Hubert de Givenchy a Christian Dior, oltre a creativi e scrittori.
Ma c’è anche “La Parigi del cemento” ed è il contrario della “Parigi in libertà”, perché “il fascino della città è come quello dei fiori, ossia in parte è dovuto al tempo che vi vediamo scivolare sopra. Il fascino necessita dell’effimero. Niente di più indigesto di una città-museo, consolidata da protesi di cemento”. Fotografa vecchie facciate che trasudano di vita interna a fronte di grattacieli freddi e squadrati con i quali “la città diventa astratta. Riflette solo se stessa” e non la sua vita interna. Oggi, denuncia Doisneau, “ogni spontaneità è messa al bando, la vita fa paura”. E qui le immagini sono eloquenti: in “La casa degli inquilini” del 1962 l’edificio fotografato mostra gli interni delle stanze dei diversi piani animati e vitali; in “L’innesto, Place de Fetes”del 1975 la prospettiva fa nascere il grattacielo dal tronco di albero tagliato. Negli spazi tra i grattacieli i bimbi giocano senza allegria né umanità.
L’artista torna a sorridere quando incontra il suo “maestro di felicità”, Maurice Baquet, e lo fotografa a Port de Vanvas nel 1982 davanti a una grande farfalla graffita su un muro di cemento con sopra una gru. Crediamo sia uno dei momenti più belli che gli fanno dire: “Certi giorni basta il semplice fatto di esistere per essere felici. Il ricordo di quei momenti è il mio bene più prezioso. Forse perché sono così rari”. E’ una lezione di vita che ci lascia il grande Doisneau, del resto la sua non è solo “Parigi in libertà”, ma la vita in libertà. Le sue fotografie sono un campionario dei momenti vissuti in modo libero camminando e aspettando di poterli fermare con l’obiettivo.
Info
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Orari domenica e da martedì a giovedì ore 10,00-20.00; venerdì e sabato 10,00-22,00, lunedì chiuso; la biglietteria chiude un’ora prima. Il biglietto d’ingresso permette di visitare tutte le mostre del Palazzo: dal 29 settembre al 26 ottobre 2012 intero euro 7,00, ridotto euro 5,50; dal 27 ottobre 2012 al 3 febbraio 2013 intero euro 12,00, ridotto euro 10,00. Catalogo: Robert Doisneau, Paris en liberté, Fratelli Alinari., Ed. italiana “L’Ippocampo” Milano 2010, volume fotografico grande formato cm 25×32, pp. 400, euro 50,00.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nel Palazzo delle Esposizioni, si ringraziano gli organizzatori con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta.