di Romano Maria Levante
Una proposta: destiniamoli alla cultura
Oltre alla revisione della legge quadro sullo spettacolo dal vivo e sul Fus va rivisto l’intero sistema di contributi pubblici all’editoria e alla radio-televisione da orientare alla promozione culturale. I fatti separati dalle opinioni, come nella più corretta ortodossia giornalistica. Li prendiamo dal sito di Radio Radicale, impegnata nella lotta per la sopravvivenza legata alla Convenzione di 10 milioni di euro annui in scadenza il cui rinnovo, corrispettivo per le trasmissioni delle sedute parlamentari, è stato rimesso in discussione.
Il servizio pubblico di Radio Radicale
E’ un vero servizio pubblico quello svolto da Radio Radicale che ininterrottamente dal 1976, quindi per trentatre anni fino ad oggi, ha coperto il vuoto lasciato dalla Rai che avrebbe dovuto fornire tali prestazioni; come la trasmissione in diretta dei Congressi di tutti i partiti politici e dei convegni e conferenze, dibattiti e manifestazioni di natura politica ed economica, sociale e sindacale.
La Rai si è “svegliata” soltanto quando per le trasmissioni parlamentari, servizio svolto per quasi un ventennio spontaneamente e gratuitamente dall’altra radio, è stata prevista un’apposita Convenzione con adeguato corrispettivo; ha cercato di competere mediante “Gr Parlamento”, una quarta rete costata cara per l’acquisto delle frequenze e gestita, a quanto si è capito, con un livello qualitativo di gran lunga inferiore a quello di Radio Radicale, come analiticamente documentato nel sito di quest’ultima. La quale, peraltro, è irraggiungibile dai “new comer”, i neofiti tardivi, per la nastroteca di registrazioni che possiede e rende disponibili, dinanzi alla quale nessuno potrebbe fornire un servizio equivalente, a meno di limitarsi ai meri collegamenti senza memoria storica.
E anche se la Convenzione prevede soltanto i collegamenti e non le riproposizioni, queste vengono fatte in modo autonomo nelle normali trasmissioni della radio e l’ascoltatore sa che può trovarle; e anche che può accedere ad esse seguendo l’accurato inventario fornito dalla stessa radio. Sa pure che Radio Radicale è da sempre la vera Radio Parlamento come è la Radio Congressi, la Radio Convegni e la Radio Manifestazioni, la Radio Incontri e la Radio Dibattiti; un’autentica scuola di politica e di economia, nonché di varia umanità con i fili diretti non per quiz o giochi demenziali ma per i temi politici senza filtri né censure dinanzi agli sfoghi spesso molto istruttivi dei cittadini.
L’essere “organo delle lista Marco Pannella” rappresenta indubbiamente un’anomalia, tanto più che questa lista è sparita da molto tempo dal panorama politico, e per sanarla non basta certo lo stacco sonoro che separa le “trasmissioni in convenzione” dalle altre. Se, però, l’anomalia non ci fosse stata, non sarebbe stata in grado di effettuare le trasmissioni nemmeno all’inizio, quindi non avrebbe potuto dare le dirette del Parlamento per diciotto anni prima della Convenzione, trattandosi di radio che rinuncia alla pubblicità e non ha un editore danaroso, tutt’altro. C’è stata anche la lunga stagione di due frequenze, terminata con la vendita di “Radio Radicale 2”, oltre ad “agorà telematica” e altri beni patrimoniali per finanziare la costosa campagna “Bonino for President”, che con la percentuale dell’8% alle successive elezioni europee ha dimostrato l’efficacia della visibilità sull’opinione pubblica; e se si desse altrettanta visibilità ai temi e ai protagonisti della cultura?
Così targata, Radio Radicale ha potuto usufruire dei contributi di Stato all’editoria, oltre che del finanziamento pubblico ai partiti che le è stato devoluto dal partito di riferimento dopo il referendum per l’abolizione, aggirato dalla “casta” cambiando denominazione in “rimborsi elettorali”, e dopo le iniziative dimostrative di rinuncia ai fondi erogati mediante una folkloristica distribuzione al pubblico, presto rientrata. Quel che conta tuttora è che se non ci fosse stata l’anomalia di questa radio non avremmo neppure la preziosa nastroteca, il tutto per responsabilità della Rai che avrebbe dovuto attivarsi almeno quanto i radicali. E o non è servizio pubblico pagato dallo Stato un miliardo e seicentomila euro l’anno? Altro che i 10 milioni di Radio Radicale!
Quindi, prima di rimuovere l’anomalia di una radio di partito che trasmette a seguito della Convenzione con lo Stato, va rimossa l’anomalia di una emittente di Stato che spesso si comporta come radio e Tv di partito; e comunque ha omesso per un trentennio di svolgere la copertura spontaneamente fornita da Radio Radicale ben al di là della sua etichetta politica. Finché questa non sarà rimossa non si può chiedere che lo sia l’altra.
Più radicali dei radicali
La nostra posizione è più radicale di quella radicale, se ci è consentito il bisticcio. Perché tra le 80 pagine della loro accurata ricerca sulle “illegalità”, nel sessantennio della Repubblica, “La peste italiana”, ingiustamente ignorato, ci sono otto pagine fittissime, per almeno 40.000 battute, su “La negazione del diritto alla conoscenza”, per responsabilità della Rai, passata “dall’Eiar a Raiset”.
Ebbene, la documentata analisi è riservata esclusivamente all’informazione, come fa il suo rappresentante in Commissione parlamentare di vigilanza, Marco Beltrandi; l’illegalità viene vista solo nel mancato rispetto dell’obbligo di dare voce nel modo dovuto a tutte le espressioni politiche, quelle radicali in particolare, e di recente nel mancato rispetto dell’accesso penalizzando la loro associazione “Luca Coscioni”. Non sono proteste, tengono a precisare, ma denunce documentate con il preciso minutaggio del loro Centro di ascolto. La cultura, però, non viene mai evocata.
Il cannone la mosca l’ha colpita, a stare alle sentenze a loro favore del Garante per le Comunicazioni che hanno imposto alla Rai presenze di esponenti radicali a reintegro del “maltolto”; ma poteva mirare a un bersaglio più grosso, l’illegalità non limitata all’informazione e al “contratto di servizio” burocraticamente citato da Bertrandi, bensì estesa all’intero palinsesto, alla sua programmazione. Abbiamo provato a dimostrarlo con due servizi, uno del 21 ottobre, l’altro del 16 marzo sempre del 2009, e forse ci siamo riusciti dato che nessuna replica è giunta dalla Rai; eppure al loro ufficio stampa, che si presume sia adeguatamente informato, non sarebbero dovuti sfuggire dato che l’ultimo è anche su Google News; o si deve pensare che lavori al livello di Gr Parlamento?
Che il cannone radicale non puntasse al maschio del castello limitandosi alle pertinenze, la mosca di cui parlavamo, lo ha confermato il fatto che sono state lasciate cadere le nostre dirette sollecitazioni (ahimè, hanno fatto “emettere silenzio”, come dicono, anche a noi); e quando l’abbiamo chiesto nella conferenza stampa che ci fu diversi mesi fa nella sede di Torre Argentina per presentare la “Peste italiana”, Emma Bonino rispose che “c’è una legge” e così via, senza entrare nel merito delle nostre argomentazioni; nella loro immancabile registrazione potranno trovarne puntuale conferma.
Ricordiamo questo non per sostenerne l’incoerenza rispetto a vecchie loro battaglie contro l’obbligo del canone; hanno anzi il merito, che fu riconosciuto dal presidente della Corte costituzionale Bonifacio, di aver creato il clima adatto alla sentenza della Corte di abolizione del monopolio della Rai. Vogliamo invece sottolinearne la coerenza con la posizione gandhiana e socratica, le leggi si rispettano bevendo la cicuta costi quello che costi; un “de iure condito” per dirla con i giuristi.
“De iure condendo”
Sempre con i giuristi, noi vogliamo parlare “de iure condendo”, la risposta “c’è una legge” non ci basta, e a questo contrapponiamo che è del 1938 e c’è la sentenza della Corte Costituzionale del 26 giugno 2002 numero 284 che fissa i termini in cui è legittimo devolvere l’“imposta sull’apparecchio” alla Rai; e non solo per la formica delle specifiche prestazioni del “contratto di servizio” cavalcata da Beltrandi, ma soprattutto per l’elefante della promozione della cultura e della differenziazione rispetto alla Tv commerciale di fatto disattese; tanto che Sandro Bondi, che della cultura è Ministro, ne ha chiesto il rispetto con una rete dedicata a cui destinare il canone per tenerla fuori dall’esigenza commerciale di attirare pubblicità dove “la moneta cattiva scaccia la moneta buona”; rispondendo così al “non possumus” della Rai ai ripetuti richiami all’impegno culturale.
Ma non vogliamo prendercela con i radicali, tutt’altro; diciamo loro che “si può fare di più” se il loro cannone punta il tiro “più alto e più oltre”, secondo il motto dannunziano. Del resto, la loro “moderazione” è stata punita, se si è pensato di poter dare alla Rai il servizio che hanno svolto storicamente, anzi hanno “inventato”; e questa sottrazione è stata prospettata formalmente pur avendo accertato che il servizio sarebbe svolto con una qualità e quantità nettamente inferiori, come documentato dai radicali. E, ciò che più conta, appropriandosi di fatto di un “copyright”, o almeno di un “preuso” come si dice in diritto commerciale, protrattosi per oltre vent’anni; che ha portato Andreotti a definirla “la mano della Provvidenza” e Fini a formulare apprezzamenti uniti a gustose battute sulla prova delle fedeltà coniugali venute dai collegamenti al Congresso del suo partito.
L’appetito viene mangiando alla Rai: oltre a mangiarsi il diritto alla promozione della cultura al quale sono finalizzati i 1.600 milioni annui di canone che le viene devoluto, vorrebbe mangiarsi anche quanto meritoriamente destinato a Radio Radicale. Perché non fare questa battaglia con la strategia che adottò Sharon quando per difendere Israele dall’improvviso attacco arabo- palestinese attaccò, superando il canale di Suez e puntando sul Cairo, fermato solo dall’alt americano?
Un indizio che qualcosa ormai si è messa in moto in questo senso è dato dai fatti che il sito di Radio Radicale documenta, come vedremo, relativi a una legge-vergogna; forse l’accettazione socratica inizia a vacillare anche senza il ricorso al referendum, sterilizzato dall’uso eccessivo dei promotori e dal mancato rispetto dei suoi verdetti dalla “casta; speriamo che questo possa estendersi alle inadempienze sulla promozione della cultura e sulla diversità rispetto alla Tv commerciale, il loro centro d’ascolto potrebbe documentarle agevolmente con le prove incontrovertibili degli accuratissimi minutaggi che andrebbero estesi ai contenuti delle trasmissioni. Con questa speranza torniamo ai fatti, cioè alla documentazione di Radio Radicale.
I fatti e misfatti delle sovvenzioni all’editoria
Questo che abbiamo svolto fin qui è soltanto un doveroso anche se interminabile inquadramento per introdurre i fatti presi dal sito di Radio Radicale. Più che fatti sono cifre nude e crude senza commento. Contengono una sorta di autodenuncia; i radicali ci sono abituati, ne hanno fatte anche quando ciò ha comportato processi e condanne, si pensi a quelle sulla droga. L’“autodenuncia” è avere avuto 4,4 milioni di euro di contributo per la Radio con la legge sull’editoria in aggiunta ai 10 milioni annui per la Convenzione; “autodenuncia” che non è passata inosservata se qualcuno lo ha rinfacciato loro cumulando i contributi percepiti con due titoli diversi Ma come sempre le loro autodenunce servono a fare scandalo, sono l’“oportet ut scandala eveniant”.
Ed ecco una sintesi del documento pubblicato nel sito internet con i più minuti dettagli, da meritorio costume dell’emittente che, a differenza della Rai, fornisce la notizia a tutto tondo senza intermediazioni giornalistiche spesso fuorvianti o almeno riduttive rispetto all’evidenza.
I contributi pubblici all’editoria nel 2008 sono stati di 200 milioni 776 mila euro, e fin qui nulla da dire; chiunque è indotto a credere che queste risorse hanno sostenuto iniziative di valore culturale prive di fonti di finanziamento autonome. Il sito di Radio Radicale fornisce questi dati: “Sono 32 le testate che hanno ricevuto contributi per più di 2,5 milioni di euro” nel 2008; e le elenca in bell’ordine.
Troviamo in testa i quotidiani “Libero” e “L’Unità”, un bel “compromesso storico” se nel 2008 il primo porta a casa quasi 8 milioni di euro e la seconda quasi 6,5 milioni. Bella accoppiata ideologica anche il cattolico “Avvenire” e “Il Manifesto”, 6,2 il primo, 4,4 il secondo, ovviamente milioni di euro. Della “top ten” fanno parte “Italia Oggi” con 5,3 e “Radio Radicale” con 4, 2, “La Padania” e “Liberazione” con 4 milioni di euro cadauna dove il denaro unì quel che la politica divise, “Il Foglio” e “Cronaca Qui.it”, stessi 3,7 milioni di euro ciascuno, divisi solo dalla notorietà, che vede una star del giornalismo e un oggetto misterioso.
Seguono a ruota 6 testate, dai 3,6 milioni di “Europa” ai 2,8 del “Corriere canadese”. Nel “bene gli altri”, termine da critica teatrale che si addice a questo squallido “teatrino della politica”, 14 testate ad ognuna delle quali sono andati contributi di circa 2,5 milioni di euro: precisamente 2.530.638.
Così si completa l’allegra compagnia delle 32 testate gratificate di contributi da 2,5 milioni di euro in su. L’enunciazione della notizia di Radio Radicale è stata così declinata nei dettagli. Ulteriori specifiche riguardano i 14 “organi di partito”, dai 2,5 milioni di “Notizie verdi” si va a meno di 300 mila euro di Democrazia Cristiana, meglio l’allusivo “Socialismo lab” con 472 mila euro.
Altre sorprese vengono dalle “12 imprese editoriali che hanno ricevuto contributi in quanto organi di partito trasformati in cooperative”, e qui si va nel surreale: a “Il Denaro” vanno quasi 2,5 milioni di euro, “nomina consequentia rerum”, ma non basta, ben 2 milioni di euro cadauno a “Metropoli day” e “Opinione delle libertà”. Fa tenerezza la “Voce Repubblicana” con 624 mila euro perché accomunata ad “Area” e “Milano metropoli”, che peraltro ricevono la metà, e “Aprile” e “Il Duemila” con un terzo del suo emolumento: “meglio essere il primo nel paese degli Allobrogi che il secondo a Roma”, si diceva, ma non crediamo basti a consolare del perduto lignaggio. Come per il prima citato “Democrazia Cristiana”, qui si misura la decadenza politica oltre che giornalistica.
C’è un “bene gli altri” cattolico, l’anticlericalismo o se si preferisce il laicismo radicale non poteva lasciarsi sfuggire la puntatina sugli 8 milioni 800 mila euro per l’Avvenire e le 85 testate diocesane.
Per concludere in gloria e aprire ancora di più gli occhi a chi è pronto a intenerirsi ritenendola carità giustificata dalla modestia, e insieme povertà, di molte delle testate citate, riportiamo ulteriori dati tratti anch’essi dal sito di Radio Radicale: “Sommando le voci tra quotidiani e periodici nel 2004 la Repubblica-Espresso riceve 12 milioni di euro, RCS Corriere della Sera 25 milioni, ‘Il Sole 24 ore’” della Confindustria 18 milioni di euro, la Mondadori 30 milioni di euro”. Ma questa è la punta dell’iceberg, sommando le agevolazioni fiscali, i contributi sulla carta e le riduzioni nelle tariffe postali si arriva a 1000 milioni di euro di aiuti pubblici che vanno soprattutto ai grandi editori.
Tornando ai contributi alle testate giornalistiche, qual è la motivazione delle elargizioni? Un paradosso, la titolarità fittizia, movimenti politici fantasma per due parlamentari autocertificatisi in partito; manca il “partito della bistecca”, o forse no, messi così sono tutti partiti della bistecca…
Nessuna relazione con i contenuti, il riferimento alla tiratura e non alle vendite ha comportato elargizioni miliardarie a giornali fantasma; inesistenti per i lettori ma molto attivi nella distruzione di foreste per tirature pagate a peso d’oro, come mezzo secolo fa per l’Aga Khan; le cronache hanno raccontato di mucchi di copie abbandonate come invendibili al pubblico ma vendute eccome allo Stato pagatore, per non parlare delle copie regalate con quotidiani di larga diffusione, ne abbiamo visti a Latina, per dare alla tiratura drogata uno sbocco diverso dall’abbandono e dal macero.
Una soluzione veramente radicale
Come si può dinanzi a questa realtà incredibile ma vera, avere il rispetto socratico per la legge, ragionare in termini “de iure condito”? Limitarsi a fare le pulci al minutaggio nelle trasmissioni Rai, e non operare “de iure condendo” per spazzare via un’anomalia che ammorba la coscienza civile?
Facciamo entrare in campo la grande assente in queste erogazioni dissennate a stampa, Tv e anche a siti Internet: la CULTURA con la maiuscola, anzi in tutte maiuscole. Non ce n’è traccia, ci domandiamo cosa ne pensi il ministro Bondi che per la Tv ne ha lamentato l’assenza chiedendo un pronta e radicale correzione. Sarebbe paradossale se in queste richieste di interventi radicali, da quella di Bondi alla nostra, mancasse proprio la voce dei veri radicali e ancora peggio se non dessero voce a queste richieste, pur collimanti con la loro impostazione e basate su loro denunce, facendoci “emettere silenzio” come lamentano per il modo con cui spesso vengono ignorati.
Perché non fare un intervento organico a favore della cultura per l’editoria a stampa e in Internet, radio e Tv.? Cosa ne pensano i Direttori generali competenti del Ministero per i beni e le attività culturali? Come promuovere queste attività se le risorse vengono dirottate altrove?
Non serve a mettersi a posto la coscienza organizzare kermesse pur meritevoli e manifestazioni come “Ottobre piovono libri” quando si mortifica la cultura nei fatti che contano: l’elargizione di risorse in tutte le direzioni come si è visto, politiche e anche ippiche, esclusa la cultura quasi fosse una bestemmia, mentre è una benedizione. Senza neppure una soglia di inammissibilità ai contributi riferita alla consistenza economica dell’editore, che dovrebbe escludere colossi come Mondadori e RCS Corriere della sera, giganti i quali possono e debbono reggersi sulle proprie gambe!
Precisiamo la soluzione da noi proposta, incuranti del fatto che potrà venire presa come provocazione, ma non è così, per le autorità responsabili della promozione culturale, alcune delle quali sopra citate. Riaprire i giochi, superare l’inaccettabile riferimento esclusivo alla politica – condita dall’ippica, il denaro e quant’altro – dato che per essa c’è il finanziamento pubblico, pardon, il rimborso elettorale ai partiti, che anche nell’ipotesi estrema di voler mantenere un sussidio alla stampa di rappresentanza politica dovrebbe riguardare solo i partiti rappresentati in Parlamento; altrimenti senza un criterio di selezione si aprirebbe il Far West delle miriadi di finti gruppuscoli.
Riteniamo la scelta migliore sia togliere il riferimento ai partiti, degradato a simulazioni di coppie fantasma e cooperative di comodo; ciò perché anche per i veri partiti il finanziamento per questa via dovrebbe risultare indebito essendovi i cosiddetti rimborsi elettorali senza rendiconti a sostenerne l’attività, stampa compresa. Pertanto va trovato un altro riferimento al quale collegare il contributo.
Non può essere l’informazione generica, che trova espressione nel giornalismo “tout court”. Deve essere un’informazione qualificata nei temi e nei modi, quella culturale, con l’approfondimento che porta alla riflessione e non al consumismo da “fast food” giornalistico indotto a scimmiottare quello mediatico della Tv; anzi della sola Tv generalista, Rai e Mediaset in testa, perché sui canali culturali della Tv tematica l’approfondimento e la documentazione ampia sono la regola, non la “rara avis”.
La cultura è anche un valore economico, lo ricorda oltre al Ministro il sottosegretario ai Beni e attività culturali Francesco Maria Giro e il Direttore generale per la valorizzazione Mario Resca.
E allora vanno messe in colonna da un lato le risorse e dall’altro le testate in lizza, valutate per la loro consistenza culturale: in base a quanto hanno prodotto e non solo a quanto promettono. E con testate non ci riferiamo soltanto a quelle a stampa ma anche e soprattutto a quelle sul web. Non perché di moda, ma perché danno ai contenuti che veicolano una diffusione senza confini di spazio e di tempo, venendo portati in tutto il mondo dai motori di ricerca che li rendono sempre disponibili; e in più consentono l’interattività, quindi la partecipazione, la replica o condivisione, l’integrazione e il dibattito che sono l’alimento della cultura e forzatamente mancano, o sono limitate alle lettere al direttore, nelle pubblicazioni a stampa anche di grandi tirature e prestigio.
Conoscere per giudicare
Radio Radicale ha il merito di aver tirato fuori i dati. Li abbiamo riassunti e commentati. Non commentiamo la legge, nel loro sito è spiegato tutto con la tradizionale accuratezza e precisione di una fonte qualificata che dà un’informazione completa e documentata senza filtri né censure.
E poiché non vogliamo essere da meno riportiamo interamente la lista dei beneficati, in modo che i lettori possano formarsi un giudizio autonomo prescindendo dalla sintesi giornalistica che abbiamo fornito. “Conoscere per deliberare” dicono i radicali; “conoscere per giudicare” diciamo noi adesso.
In “stampa e regime” del 2 novembre, l’imperdibile rassegna mattutina dei quotidiani, il direttore Massimo Bordin ha accennato a una schiarita nel problema della Convenzione alla sua Radio per le trasmissioni parlamentari; nel senso che le posizioni contrarie, ridotte al parlamentare fautore della mancata conferma, sarebbero isolate e si penserebbe a un rinnovo temporaneo. Ne saremmo lieti e lo auspichiamo, anzi ci mettiamo il nostro peso di Rivista culturale nel sostenerlo, perché Radio Radicale fa cultura e tanta: cultura politica e cultura istituzionale, cultura economica e cultura sociale, cultura storica e cultura giornalistica diversa dalla stampa ordinaria perché fornisce approfondimenti di grande spessore non episodici ma costanti, oltre alle tradizionali dirette integrali.
Proprio per questa legittimazione culturale non deve mollare la presa. Ha lanciato il sasso dei contributi pubblici all’editoria, ora non deve nascondere la mano quando il sasso ha avuto un primo limitato effetto. La battaglia si deve proseguire fino alla vittoria, anche qui le strategie fanno scuola.
Noi abbiamo fatto la nostra parte proponendo una soluzione. Qualcuno dirà che è una “proposta indecente”. Può essere così. Ma mai indecente come il quadro che riproduciamo integralmente ricordando che i milioni diventano miliardi e si raddoppiano volendo esprimerli nelle vecchie lire. Quindi gli 8 milioni e i 6,4 milioni di euro dei due capofila “Libero” e “L’Unità” diventano rispettivamente 16 e 13 miliardi d lire. E dire che per ottenere i 60 milioni di euro di parziale ripristino dei tagli al Fus c’è voluta la mobilitazione del mondo dello spettacolo!
E’ donchisciottesco pensare che i partiti vogliano fare harakiri? Crediamo di no, difendere l’assistenza pubblica da Eca o Caritas per il giornale “fondato da Antonio Gramsci” vorrebbe dire immiserirsi in una causa ingiusta, posizione che l’opinione pubblica, se ben informata, non perdonerebbe: “conoscere per giudicare”, appunto. E la purezza ideologica di “Il Manifesto” e “Liberazione”? L’altro quotidiano d’opposizione, “Europa”, è di incerta collocazione, il “Nuovo Riformista” è troppo “chic” per ricorrere a certi mezzucci da quattro soldi.
Per i giornali vicini alla maggioranza, di “Libero” e “Il Foglio” è meglio non parlarne; la loro legittimazione a meritarsi l’accesso ai fondi pubblici è inesistente, anche se le norme ora lo consentono; ma possono e devono essere cambiate essendo irragionevoli. Né possono nascondersi dietro l’assurdo dei giornali dell’ippica e del denaro…
“Il Secolo d’Italia”, organico al partito di cui è storicamente l’organo ufficiale, non dovrebbe avere difficoltà a farsi sostenere con i rimborsi elettorali; regola che vale anche per i sopra citati “L’Unità” e “liberazione”, “Europa” e il “Nuovo Riformista”: se i partiti li riconoscono come loro organi hanno i rimborsi a cui attingere, altrimenti tagliato questo collegamento cade il presupposto.
Ed ora è il momento di presentare la “hit parade” dei contributi pubblici, la offriamo ai lettori nel testo integrale del sito Radio Radicale.it, invitandoli alla conversione in vecchie lire raddoppiando i milioni e chiamandoli miliardi; fa un bell’effetto quel fiume di denaro pensando a chi resta a secco!
Le elargizioni alle testate “organi di partito”: dai giornali alle “imprese editrici” di partiti fantasma
“Sono 32 le testate che hanno ricevuto contributi per più di 2 milioni e mezzo di euro:
TESTATE CONTRIBUT0 2008
Libero quotidiano 7.794.367,53 Corriere canadese 2.834.315
L’Unità 6.377.209,80 Sportsman – Cavalli e corse 2.530.638
Avvenire 6.174.758 La discussione 2.530.638
Italia Oggi 5.263.728 Il Nuovo Riformista 2.530.638
Il Manifesto 4.352.698 Roma 2.530.638
Radio Radicale 4.153.452 Provincia quotidiano 2.530.638
La Padania 4.028.363 Corriere di Forlì 2.530.638
Liberazione 3.947.796 Il Corriere mercantile 2.530.638
Il Foglio 3.745.345 L’Avanti! 2.530.638
Cronaca Qui.it 3.732.669 Voce di Romagna 2.530.638
Europa 3.599.203 Il cittadino 2.530.638
Nessuno Tv 3.594.846 Linea 2.530.638
Ecoradio 3.354.296 America oggi 2.530.638
Conquiste del lavoro 3.346.992 Rinascita 2.530.638
Secolo d’Italia 2.959.948 Giornale nuovo di Toscana 2.530.638”
“Sono 14 le testate che hanno ricevuto contributi in quanto organi di partito”. Abbiamo già riportato L’Unità, La Padania, Liberazione, Europa e Secolo d’Italia. In aggiunta ci sono le seguenti:
TESTATE CONTRIBUTO 2008
Notizie verdi 2.510.957 Zukunft in Sudtirol 650.081
Italia democratica 1.476.783 Il socialista lab 472.036
Liberal 1.200.342 Le peuple Valdotain 301.325
Il Campanile nuovo 1.150.919 Democrazia cristiana 298.136”
La rinascita d. sinistra 934.821
“Sono 12 le imprese editrici che hanno ricevuto contributi in quanto organi di partito trasformatisi in cooperativa”. Abbiamo già riportato Il Foglio, il Nuovo Riformista, Roma e Zukunft in Sudtirol. In aggiunta ci sono le seguenti:
TESTATE CONTRIBUTO 2008
Il Denaro 2.459.799 Milano Metropoli 288.432
Metropoli Day 2.024.511 Aprile 206.317
Opinione 1.976.359 Il Duemila 178.007
Voce repubblicana 624.111 Cristiano sociali news 57.717
Area 343.004
“Almeno 9 milioni e 800 mila euro sono destinati a 85 testate chiaramente di proprietà di soggetti legati alla Chiesa cattolica, dall’Avvenire, quotidiano dei vescovi, a tutta una serie di testate diocesane. Sono 2 le Tv satellitari che hanno ricevuto contributi in quanto organi di partito [2008]:
Nessuno Tv 3.594.846 Informazione libera 2.133.874”
Siamo dinanzi al paradosso nel paradosso: c’è un “organo di partito” che rinverdisce il mito di Polifemo quasi volesse nascondere la propria identità, e ce n’è un altro che si rifà alla libertà d’informazione: ma gli organi del partito non devono essere visibili e vincolati alle sue direttive?
E’ chiaro che non ci aspettiamo una risposta. La domanda è retorica e, forse, provocatoria, si riferisce non tanto alle due testate quanto all’intero panorama che abbiamo riportato. Non erano ignoti i fatti denunciati, ma vedere tutte quelle cifre ben allineate fa un effetto tutto speciale. A noi lo ha fatto, non sappiamo cosa ne penseranno i lettori. Possono esprimere liberamente il loro giudizio, la bellezza della nostra rivista in Internet è l’interattività. Perché non metterla alla prova?