Gianni Testa, 2. I recessi corruschi dell’Inferno, al Museo Crocetti

di Romano Maria Levante

Visitiamo la mostra-evento “La Divina Commedia raffigurata dal genio pittorico di Gianni Testa che espone al Museo Crocetti a Roma, dal 1° al 31 marzo 2022, 101 dipinti a olio, uno per ogni canto, cominciando dall’ Inferno: 34 dipinti con la forte intensità cromatica e materica propria dell’artista, ciascuno riferito a una terzina ispiratrice che viene indicata espressamente. E’ possibile acquistare due stampe numerate fino a 100. La mostra è organizzata da Chiara Testa, che l’ha anche curata, catalogo di  Gangemi Editore Internazionale, una straordinaria galleria dal forte cromatismo con il fascino della cornice nera e l’inquadramento nei Canti e nei versi ispiratori.

Canto 8°, versi 112-114

Raccontare la mostra – dopo averla inquadrata nel suo alto valore simbolico e artistico con riferimento all’eccezionalità del suo contenuto e delle sue motivazioni a chiusura del 7° centenario dalla morte di Dante – è come ripercorrere il viaggio dantesco degli anni di scuola attraverso i dipinti evocativi con i versi ispiratori che rappresentano vere e proprie didascalie, autore addirittura il sommo Poeta.

Ma non è solo emozione retrospettiva: nei due terzi dei dipinti sull’Inferno c’è una dominante rossa che incombe sulle figure di Dante e Virgilio, e su quelle ancora più inermi dei dannati quando emergono dai recessi corruschi. Il pensiero va alle immagini quotidiane delle esplosioni dei missili e delle bombe sulle popolazioni delle città ucraine, lo stesso rosso violento sugli inermi, è come se l’artista avesse dipinto l’inferno di oggi.

Cominciamo dall’Inferno la nostra carrellata dantesca sui 34 dipinti con i versi ispiratori in corsivo, mentre gli altri versi in tondo hanno per lo più ispirato ulteriori dipinti dell’artista che espone un solo dipinto per Canto.

I Canti iniziali, dal 1° all’11°

Si inizia con l’ingresso di Dante, apertosi il varco tra un  intreccio  arboreo  con i colori che si avviluppano come liane;  al di là dell’apertura  ancora rischiarata dalla luce si sentono risuonare i  versi del  Canto 1°: “Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/  ché la diritta via era smarrita” (vv. 1-3). Poi, mentre crede di poter ritrovare la giusta direttrice sul colle della purificazione, tre belve lo ostacolano e Virgilio, espressione della ragione, gli preannuncia che gli farà da guida in un lungo percorso, tra i dannati e i penitenti.  

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Canto 2°, vv 70-72

L’angosciosa oscurità della selva è rotta come per incanto da  un’immagine luminosa, “I’ son Beatrice che ti faccio andare;/ vegno del loco ove tornar disio:/: amor mi mosse, che mi fa parlare” (vv. 70-72): è il Canto 2°, la dolce figura femminile  ha le braccia  aperte nella sua bellezza eterea, il Poeta  la guarda trasognato mentre è circonfusa  di un cerchio di luce  tra il rosso incombente che accende il buio tutt’intorno di  bagliori fiammeggianti. E’ stata Beatrice a chiedere a Virgilio di accompagnare Dante, per il volere della Vergine Maria e l’intercessione di Santa Lucia.

Con la terza immagine la scena cambia, “Ed ecco verso noi venir per nave/ un vecchio, bianco per antico pelo,/ gridando: ‘Guai a voi, anime prave!’” (vv. 82-84). E’ il Canto 3°,  “Caròn dimonio dagli occhi di bragia” è  ritratto  in piedi sulla sua barca  mentre  i dannati  aspettano in lontananza di essere traghettati sul fiume Acheronte,  in un clima tempestoso, cupo e infiammato. Ci sono gli ignavi, con Celestino V, “che per viltade fece il gran rifiuto”, poi un terremoto scuote la terra.

Siamo ora al Canto 4°, il Poeta svetta con lo sguardo proteso su un panorama di anime vaganti, un’immagine spettacolare e nel contempo di grande intensità: “…e l’occhio riposato intorno mossi/ diritto levato, e fiso riguardai/ per conoscer lo loco dov’ io fossi” (vv. 4-6): è nel Limbo, dall’alto vede l’espressione del  “duol senza martiri” di chi “non aveva pianto mai che di sospiri”; tra le piccole figure che si muovono in basso ci sono  Omero e Orazio,  Ovidio e Lucano.

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Canto 3°, vv 82-84

E’ ’ sempre ritto come una statua nel  Canto 5°,  in un forte cromatismo contrastato tra il rosso  e il blu,  il bianco e l’azzurro. L’artista è ancora colpito dai versi che descrivono l’angoscia suscitata dall’ambiente infernale, “Io venni  in luogo d’ogni luce muto,/ che mugghia come fa mar per tempesta/ se da contrari venti è combattuto” (vv. 28-30). E’ il cerchio dei lussuriosi, ci sono Achille ed Elena, Cleopatra e Didone, e soprattutto Paolo e Francesca. L’artista non ritrae “quei due che ‘nsieme vanno/ e paiono sì al vento esser leggieri”,  ma li fa sentire con forme fluttuanti  che si intravedono in volo nell’atmosfera corrusca;  mentre il  Poeta non cade subito “come corpo morto cade”,  intanto si copre gli occhi perché non regge alla vista dopo la loro storia, come Ulisse si chiuse le orecchie per resistere al  canto delle sirene.

 Nel Canto 6°, “Cerbero, fiera crudele e diversa,/ con tre gole caninamente latra/ sopra la gente che quivi è sommersa” (vv. 13-15), è il cerchio dei golosi, il Poeta con Virgilio guarda, oltre a Cerbero,  abbacinato dalla luce in uno scenario di fuoco, uno dei peccatori a terra che gli dice “riconoscimi, se sai….”: è un fiorentino irriconoscibile nel fango, che gli parla della condanna all’Inferno dei politici della sua epoca e gli rivela il proprio nome nei versi 52-54: “Voi cittadini mi chiamaste Ciacco;/ per la dannosa colpa della gola,/ come tu vedi alla pioggia mi fiacco”.

Dai golosi ai prodighi e avari nel Canto7°,  con Pluto di guardia all’ingresso che spaventa Dante ma viene fatto tacere da Virgilio, non è questo che ispira l’artista e neppure i grossi massi che i dannanti devono rotolare, bensì i versi “ E io, che di mirare stavo inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte, con sembiante offeso” (v.v 109-111)Di qui le figure femminili rappresentate nude con i piedi nell’acqua che suscitano tenerezza per il pudore e la ricerca di calore stringendosi le une alle altre, le loro tinte delicate contrastano con il forte cromatismo che incombe sulla scena.   

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Canto 4°, vv 4-6

Dopo i prodighi e gli avari, ecco gli iracondi nel Canto 8°, ci sarà  Flegiàs, il traghettatore infernale che accetta di portare Dante e Virgilio nella sua barca sulla palude di Stige, e un cavaliere fiorentino, “messer Filippo Argenti” che cercherà di aggrapparsi alla loro barca e viene così descritto nel versi 52-54: “… Maestro, molto sarei vago/ di vederlo attuffare in questa broda / prima che noi uscissimo da lago”. L’artista si riferisce ad altri versi, “Udir non potti quello ch’a lor porse;/ ma ei non stette là con essi guari,/che ciascun dentro a pruova si ricorse” (vv. 112-114), e rappresenta la barca con sopra Dante in una stupenda distesa azzurra, senza entrare nel complicato dialogo tra Virgilio – che spiega come il poeta sia lì per volere divino – e chi non vuole  credergli ostinato nel male.

L’artista è colpito dall’apertura del Canto 9°, ”Quel color che viltà di fuor mi pinse/ veggendo il duca mio tornare in volta,/ più tosto dentro il suo novo ristrinse” (vv. 1-3), con la figura pallida del Poeta atterrito dai diavoli che vorrebbero impedire loro di proseguire entrando nella città di Dite, e Virgilio che si era allontanato torna indietro e lo rassicura. C’è l’apparizione  delle tre Furie, con la minaccia della Medusa, un  magma materico piove sul Poeta, questa volta lontano dalla sua guida.

Nel  Canto 10° vengono rappresentati di nuovo insieme, anzi per sottolineare lo scampato pericolo del distacco, figurano stretti l’uno all’altro mentre guardano dall’alto un fiume  rosso infuocato incanalato tra due rupi, che travolge i dannati:  “Ora sen va per un secreto calle/ tra ‘l muro de la terra e li martiri/ lu mio maestro , e io dopo le spalle” (vv. 1-3). Vengono evocate  le lotte tra Guelfi e Ghibellini,  è il canto con Cavalcanti e  Farinata  degli Uberti, però l’artista, come sempre, più che dal personaggio, “dalla cintola in su tutto il vedrai”,  è preso dall’ambiente. Siamo tra gli eretici.

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Canto 12°, vv 55-57

Muta  la scena,  eccoci al Canto 11°: “In  su l’estremità d’un’alta ripa/ che facevan gran pietre rotte in cerchio/ venimmo sopra più crudele stipa” (vv 1-3), vediamo  raffigurati il Poeta e la sua guida  non più ai piedi di una roccia ma sulla cima della rupe aguzza che sovrasta il settimo cerchio in una rappresentazione che fa sentire vertigine e solitudine e resta impressa per la sua forza. E’ il girone in cui viene punita l’usura, e poiché “l’usuriere altra via tiene,… poi ch’in altro pon la spene”, cioè devia dalla retta via e sfrutta il lavoro altrui, si trova tra i violenti.  C’è molta forza morale, anche contro i fraudolenti,  resa dall’immagine della vetta circonfusa di luce.

I Canti centrali, dal 12° al 22°

Con il  Canto 12°  dedicato ancora ai violenti, nei primi versi, 10-12,  ”‘n su la punta della rotta lacca/ l’infamia di Creti era distesa” (v. 10-12)  si incontra il Minotauro, ma non viene rappresentato dall’artista preso da un’altra immagine “… e tra ‘l piè della ripa ad essa in traccia/ corrien Centauri, armati di saette,/ come solìen nel mondo andare a caccia” (vv 55-57): sono quattro, in primo piano, rivediamo le sagome inconfondibili e il dinamismo dei  “bradi” scalpitanti del più celebre ciclo dell’artista; vorrebbero impedire il loro passaggio, poi Chirone li fa accompagnare da Nesso che indica loro famosi tiranni e predoni condannati alla pena eterna

Dai violenti ai violenti contro sé stessi nel Canto 13°, trasformati in sterpaglie dove si annidano le arpie, “Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:/  ben dovrebb’esser la tua man più pia,/se state fossimo anime di serpi” (vv 37-39), vediamo un viluppo di corpi con le braccia alzate immersi in una caligine livida nella  mutazione in sterpi evocando anche le serpi, sentiamo dei brividi…

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Canto 14°, vv 106-108.

L’immagine del  Canto 14°  è radicalmente diversa, torna il cromatismo infuocato: “La dolorosa selva  l’è ghirlanda/  intorno, come ’l fosso tristo ad essa:/ quivi fermammo i passi a randa a randa” (vv 10-12). E’ il  girone del violenti contro Dio, in particolare i bestemmiatori, come Capaneo, uno dei sette Re greci contro Tebe. L’artista presenta la “dolorosa selva”  disposta in cerchio, con una figura distesa sulla destra, il Poeta e Virgilio spiccano al centro di una scena di grande equilibrio compositivo.

Cromatismo attenuato nel Canto 15°  con i violenti contro natura tra cui Brunetto Latini che riconosce Dante suo discepolo con “qual meraviglia!”, si intrattiene a parlare di Firenze, poi raggiunge la teoria di bianche figure che salgono, più da anime penitenti che da dannati. Ed è la visione d’insieme più che il personaggio, che ha ispirato l’artista: “quando incontrammo d’anime una schiera,/che venian lungo l’argine, e ciascuna/ ci riguardava, come suol da sera…”  (vv 16-18) in una visione panoramica coinvolgente.

Torna il magma cromatico tra il bianco e rosso in alto e il celeste-blu in basso, nel Canto 16°:“Già ero in loco onde s’udìa ‘l rimbombo/ dell’acqua che cadea nell’altro giro,/  simile a quel che l’arnie fanno rombo” (vv 1-3), come la precedente la rappresentazione ambientale è spettacolare, ed è questa che impegna l’artista piuttosto che le figure dei sodomiti che vi sono puniti, tra cui Jacopo Rusticucci e i guelfi fiorentini. Più avanti ci sarà un altro fiume infernale, il Flegetonte. 

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Canto 26°, vv 55-57

Dai violenti contro natura  ai violenti nell’arte nel Canto 17°,  che l’artista interpreta con una immagine di grande equilibrio compositivo, Dante e Virgilio al centro perfetto con dietro una fascia scura, sopra il rosso incombente, sotto il chiarore delle acque evocate dalla terzina che lo ha ispirato: “”Io sentia già da la man destra il gorgo/ far sotto noi un orribile scroscio;/per che con li occhi ‘n giù la testa sporgo” (vv 118-120). E’ il baratro sopra il quale stanno i dannati, Dante e Virgilio saliranno poi sulle spalle di Gerione che li farà scendere nel cerchio successivo.

Altrettanto spettacolare l’immagine ispirata alla parte iniziale del  Canto 18°: “Quel cinghio che rimane adunque è tondo/ tra ‘l pozzo e ‘l piè dell’alta ripa dura,/ e ha distinto in dieci valli il fondo” (vv 7-9), la massa corrusca incombe dall’alto sulle due piccole figure, si intravvedono diversi piani e livelli.  Ci sono i  ruffiani e i seduttori, tra i quali Giasone, l’argonauta del “vello d’oro”, ma all’artista interessa evocare  l’ambiente.

Nell’ immagine del Canto 19°,  il Poeta e Virgilio guardano dalla riva del lago alle acque azzurro-blu le sagome dei papi simoniaci, come Niccolò III,  riuniti in cerchio nell’altra riva, mentre si preannuncia il prossimo arrivo di Bonifacio VIII, ancora in vita ma già “dannato”.  L’artista si ispira ai versi della parte conclusiva del canto:  “Di voi pastor s’accorse il Vangelista,/ quando colei che siede sopra l’acque/ puttaneggiar coi regi  a lui fu vista” (vv 106-108),  scende dall’alto una cascata d’acqua e di luce, con una figura bianca a braccia aperte che evoca  l’Evangelista. Il canto inizia con “O Simon mago, o miseri seguaci/ che le cose di Dio, che di bontate/  deon essere spose/ voi rapaci/per oro e per argento avolterate”.

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Canto 27°, vv 79-81

Nel  Canto 20° gli impostori che hanno professato l’arte divinatoria, condannati ad andare con la testa rivolta all’indietro, una specie di contrappasso rispetto alla visione del futuro che hanno spacciato in vita. Al centro della scena delle figure nude, alcune immerse nell’acqua, una fuori con le braccia alzate, Dante e Virgilio come il solito la contemplano da lontano: “Quindi passando, la vergin cruda / vide terra nel mezzo del pantano,/ senza coltura e d’abitanti nuda” (vv. 82-84), la pena per chi è stata spietata nei sortilegi.

Immersi nella pece bollente i barattieri degli uffici del Comune nel Canto 21° con i diavoli che li rigettano dentro quando cercano di uscirne: “Non altrimenti i cuoci a lor vassalli/ fanno attuffare in mezzo la caldaia/  la carne con li uncin, perché non galli” (vv 55-57), l’artista ne dà una rappresentazione fedele con la grande caldaia infuocata, i diavoli ai lati e le figure dei dannati appena delineate in un rosso fuoco.

Altri barattieri nel Canto 22°,  i trafficanti di grazie e giustizia nelle corti dei principi, qui tornano gli amati  “bradi” dell’artista, questa volta non più bianchi  ma di un intenso rosso con sfumature rosa e chiare, e senza  la variante dei Centauri, sempre dinamici e arrembanti intorno a una striscia bianca, evocano le cavalcate e i tornei dei versi del Poeta: “… corridor vidi per la terra vostra,/ o Aretini, e vidi gir gualdane,/ fedir torneamenti e correr  giostra” (vv 4-6).  Questo colpisce la fantasia e dà l’ispirazione, più che le schermaglie tra diavoli, con a capo Barbariccia,  e i dannati  nella bolgia, tra i quali Ciampolo di Navarra.

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Canto 28°, vv 79-81

I Canti finali, dal 23° al 34°

Dopo il rosso sfumato dei “bradi”, nel Canto 23° il rosso acceso con chiazze bianche che incombe su una teoria di dannati in fila l’uno dietro l’altro sotto pesanti cappe di piombo,  verso i quali Dante tende  la mano, dietro di lui  Virgilio appoggiato a una roccia: “Taciti, soli, senza compagnia,/ n’andavam, l’un dinanzi e l’altro dopo,/ come i frati minor vanno per via” (vv 1-3).  L’immagine che ritroviamo nel versi 61-63, “Elli avean cappe con cappucci bassi/ dinanzi alli occhi, fatte della taglia/ che in Clugnì per li monaci fassi”, non poteva non colpire l’artista che li ritrae sotto un addensarsi corrusco mentre in basso spunta addirittura un prato verde.  Sono gli ipocriti, con Caifa, il gran sacerdote degli ebrei che fece condannare Cristo.

Con il Canto 24° le tinte diventano chiare ma non per questo rasserenanti, tutt’altro, sembra una dissolvenza inquietante per rappresentare la pena inflitta ai ladri, che vengono morsicati da serpi orribili, bruciano e risorgono dalle loro ceneri, ecco perché il colore cenerino: “Con serpi le man dietro avean legate;/ quelle ficcavan per le ren la coda/ e ‘l capo, ed eran dinanzi aggrappate”. (vv 94-96). I corpi dei dannati si intravedono nel loro contorcersi e dissolversi.

Il rosa, con degli squarci bianchi, rischiara appena l’ambiente che resta oppressivo nell’immagine del Canto 25°, con le piccole figure di Dante e Virgilio in uno scenario lunare, monocromatico color terra,  siamo tra i bestemmiatori, tra i quali Vanni Fucci,  non appare il mostro sanguinario che lo insegue cui sono dedicati i versi danteschi: “Lo mio maestro disse: ‘Questi è Caco,/ che sotto il sasso di monte Aventino/ di sangue fece spesse volte laco (vv 25-27)”. Pur essendo un centauro, non si trova tra quelli che sorvegliano i violenti, punito per un furto di armenti e abbattuto da Ercole.

Canto 29°, vv 10-12

Altra indicazione virgiliana  che ha ispirato l’artista quella del Canto 26°,  Virgilio si rivolge a Dante: “Rispuose a me: ‘Là dentro si martira./ Ulisse e Diomede, e così insieme/ alla vendetta vanno come all’ira” (vv 55-57).  Colpito da questi versi immerge i due eroi greci in una nuvola rossa che quasi li nasconde alla vista del Poeta e della sua guida,  tenuti fuori dal clima infuocato come se si trovassero su una nuvola candida. Siamo tra i consiglieri fraudolenti, Ulisse sconta  l’inganno del cavallo di Troia, il tono si eleva con la nobile esortazione ai compagni: “Fatti non foste  a viver come bruti/ ma per seguir virtute e conoscenza”, poi l’esaltante partenza, “dei remi facemmo ali al folle volo”, quindi la successiva doccia fredda,  “noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto”, e infine l’epilogo nella tragedia, “… finché  il mar fu sopra noi richiuso”.

Altro consigliere fraudolento nel Canto 27°, Guido da Montefeltro, che gli chiede notizie dello stato di Romagna e gli rivela di averlo dato, sotto fede di assoluzione, addirittura a Bonifacio VIII. Troviamo di nuovo citato il pontefice odiato da Dante che gli ha già assegnato un posto nell’Inferno per motivi politico-religiosi, non per la scelleratezza di aver gettato in una fetida cella Pietro da Morrone dopo averlo indotto a fare “il gran rifiuto” al pontificato – cui era stato chiamato come Celestino V- per ritrovare la pace nel suo eremo mentre morì poco tempo dopo di stenti e malattie nella prigionia. Il verso che ha ispirato l’artista, nella confessione accorata di Guido,  è di portata generale: “Quando mi vidi giunto in quella parte/ di mia etade ove ciascun dovrebbe/ calar le vele e raccoglier le sarte” (vv 79-81), in realtà i beni mondani sviano dalla retta via: La metafora è colta nella barca affollata con le vele ancora alzate e una figura che si protende in basso verso le acque.

Un grande vascello per il Canto 28°, con i ricordi di guerre sanguinose e visioni orripilanti di corpi straziati, tra i “seminator di scandalo e di scisma”, fra i quali Maometto,   viene evocato un episodio drammatico: “… gittati saran fuor di lor vasello/ e mazzerati presso a la Cattolica/ per tradimento d’un cristiano fello” (vv 79-81): si tratta del “gran fallo”, il misfatto per cui i “due miglior da Fano”, Guido  e Angiolello, furono buttati fuori dal vascello dove li aveva attirati  l’inganno del tiranno Malatesta. Atmosfera tempestosa, con il cielo rosso fuoco e le acque  blu con il bianco spumeggiante. 

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Canto 31, vv 31-33

Il bianco è ancora più diffuso, pur se resta dominante il rosso, nell’immagine ispirata al  Canto 29°, e in particolare ai versi “E già la luna è sotto i nostri piedi;/ lo tempo è poco omai che n’è concesso,/ e altro è da veder che tu non vedi” (vv 10-12);  nella bolgia ci sono i seminatori di discordia e i falsari,  ma è la luna l’evento inatteso che rompe  la corrusca atmosfera infernale.

Atmosfera livida  nella visione  del Canto 30°  dove si trovano i falsari, della persona,  della moneta e della parola.  Ma l’artista è preso dalla tragica sorte della regina di Troia: ”Ecuba, trista misera e cattiva,/ poscia che vide Polissena morta,/ e del suo Polidoro in su la riva” (vv 16-18), segue che “forsennata latrò si come cane/; tanto il dolor le fè la mente torta”.  Si vede il corpo senza vita nell’acqua e il gruppo intorno alla regina che ha perso la ragione, non può esserci colore per esprimere tale dramma, ma un biancore diffuso per manifestare il doloroso raccoglimento che vediamo nella scena composta, del tutto inattesa dato il restante contenuto del canto.

Altrettanto inattesa, nel Canto 31°,  la vista dei giganti, che Dante da lontano scambia con delle torri, ma Virgilio gli spiega: “… sappi che non son torri, ma giganti;/ e son nel pozzo intorno dalla ripa/ da l’umbilico in giuso tutti quanti’” (vv 31-33). c’è Nembrot, ideatore della Torre di Babele, punito con la lingua incomprensibile, e Anteo che si presta a depositare Dante e Virgilio in fondo all’ultimo cerchio. L’artista presenta due figure, una chinata e l’altra eretta, in un ambiente oscuro, sono gli unici primi piani, a parte Dante e Virgilio, dell’intero “corpus”, è uno dei pochissimi dipinti di maggiori dimensioni, 80 x 80, gigante anch’esso… rispetto allo standard 60 x 60  degli altri.

,Canto 34° vv 28-30

L’atmosfera cambia, è come se tornasse la luce, lo vediamo nell’immagine ispirata al  Canto 32°: “Per ch’io mi volsi, e vidimi davante/, e sotto i piedi un lago, che per gelo/  avea di vetro e non d’acqua sembiante” (vv 22-24). Questa volta non è il riflesso della luce lunare ma il ghiaccio del fiume Cocito su cui camminano Dante e Virgilio, davanti a loro una sorta di roccia anch’essa bianca, è il gelo a creare questo, ma è anche l’artista alla ricerca della luce dopo tanta oscurità. Vi sono puniti i traditori dei parenti, i fratelli Alessandro e Napoleone degli Abati, e della patria, Bocca degli Abati per il tradimento nella battaglia di Montaperti. Sono conficcati nel ghiaccio infernale.

C’è  un ultimo episodio che lo fa ripiombare nell’atmosfera corrusca, anzi addirittura l’intera composizione si  tinge di rosso sanguigno. Siamo al Canto 33°, in cui ci sono i traditori della fiducia riposta in loro, l’artista si ispira ai versi “In picciol corso mi parìeno stanchi/ lo padre e’ figli, e con l’agute scane/ mi parea lor veder fender li fianchi” (vv 34-36). Nel sogno premonitore della tragedia del Conte Ugolino, i cani dai denti aguzzi addentano la preda. Non vediamo il conte mentre “la bocca sollevò dal fiero pasto”, e neppure “più che il dolor potè il digiuno”, ma delle figure su una sorta di  pavimento, una distesa a terra, l’altra protesa in un bacio con un bambino a fianco, una delle poche scene viste da vicino in un interno scuro indefinibile, prima della fine.  

Subito dopo  l’artista riprende quella luce accecante che  ha rischiarato le immagini del 29° e 32° Canto,  siamo al Canto 34°, l’ultimo dell’Inferno, con le figure di Dante e Virgilio  più piccole del solito, e sul bordo della composizione, dalla parte dell’osservatore, che guardano in alto una massa tenebrosa con delle lingue rosse che fanno piovere dal cielo gocce infuocate. Siamo sempre tra i traditori, questa volta è punito Lucifero, che ha nelle sue bocche Giuda, Bruto e Cassio.  E’ la libera interpretazione dell’artista,  Lucifero è descritto da questi versi: “Lo ‘mperador del doloroso regno/ da mezzo il petto uscìa fuor della ghiaccia;/ e più con un gigante io mi convegno/ che giganti non fan con le sue braccia” (vv 28-31). Le braccia sono dunque gigantesche, e così la testa,  mentre il ghiaccio viene rappresentato con il bianco accecante che copre  metà composizione.

Con il biancore che illumina di  luce  risplendente il primo piano dell’immagine, contrastando l’angosciosa massa scura che incombe grondando sangue,  anche l’artista che ha seguito Dante e Virgilio nel viaggio all’Inferno potrà dire con loro: ”….e quindi uscimmo a riveder le stelle”.  E così il visitatore che ha seguito l’itinerario poetico e pittorico della prima Cantica. Ma il suo e nostro viaggio è appena iniziato, come per Dante continua nel Purgatorio sempre con la guida di Virgilio, per ascendere infine al Paradiso con Beatrice. Proseguiremo il nostro racconto appassionato per i sentimenti che suscita la mostra prossimamente.

Inferno, uno scorcio della parete espositiva, tra le due file le terzine ispiratrici

Info

Museo Crocetti, Roma, via Cassia 492. Tel. 06.33711468, info@fondazionecrocetti.it.; www.giannitesta.it Dal lunedì al venerdì ore 11-13 e 15-19, sabato ore 11-19, domenica chiuso, ingresso gratuito. Catalogo: Gianni Testa: “La Divina Commedia”, a cura di Chiara Testa, Gangemi Editore, 2022, pp. 128, bilingue italiano-inglese, formato 24 x 28. Nel sito giannitesta.it nella sezione “Opere – Divina Commedia” sono riportate tutte le immagini corredate da introduzione e versi ispiratori, e da note critiche sul’intera opera. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito il 23 marzo 2022, seguiranno i prossimi tre. Cfr. i nostri articoli in questo sito per le precedenti  mostre di Testa: Antologica al Vittoriano 14 settembre 2014,  L’espressionismo astratto e La “perfetta armonia” all’Otium Hotel di Roma 8, 10 luglio 2019,  Il tour negli emirati arabi 14 marzo 2015,  Pittori di marina 6 artisti premiati 21 gennaio 2016; sull’Inferno di Dante Rodin all’Accademia di Spagna e Coni alla Galleria Russo  20 febbraio 2014. Per una mostra su Dante:  L’esposizione, I protagonisti a Palazzo Incontro 9, 10 luglio 2011.   Per Crocetti, lo scultore nella cui casa-museo si svolge la mostra: Il ‘900 e il senso dell’antico a Palazzo Venezia 9 ottobre 2013, Il mondo di Venanzo Crocetti, tra Teramo e Roma 2 febbraio 2009.  

Inferno, quadro 80×80 esposto in mostra su cavalletto, Canto 11°, vv. 1-3

Foto

Le immagini dei dipinti dell’Inferno sono state fornite dall’organizzatrice e curatrice Chiara Testa che si ringrazia, insieme all’artista titolare dei diritti. Le ultime 3 immagini sono di Romano Maria Levante, quelle dei quadri dell’Inferno nella parete espositiva e del quadro 80 x 80 esposto su cavalletto nella mostra riprese al Museo Crocetti, l’immagine dell’artista con un quadro dell’Inferno ripresa nella sua casa-atelier nei pressi della Fontana di Trevi. In apertura, Canto 8° vv. 112-114, seguono, Canto 2° vv 70-72, e Canto 3° vv 82-84; poi, Canto 4° vv 4-6, e Canto 12° vv 55-57; quindi, Canto 14° vv 106-108 e Canto 26° vv 55-57; inoltre, Canto 27° vv 79-81 e Canto 28° vv 79-81; ancora, Canto 29° vv 10-12 e Canto 31° vv 31-33; continua, Canto 34° vv 28-30, e Inferno, uno scorcio della parete espositiva, tra le due file le terzine ispiratrici; infine , Inferno, quadro 80×80 esposto in mostra su cavalletto, Canto 11°, vv. 1-3; in chiusura, L’artista Gianni Testa nella casa-atelier mostra il suo quadro del Canto 11° vv. 1-3 dell’Inferno.

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L‘artista Gianni Testa nella casa-atelier mostra il suo quadro del Canto 11° vv.1-3 dell’Inferno

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