Gianni Testa, 3. Le anime penitenti nell’ascesa del Purgatorio, al Museo Crocetti

di Romano Maria Levante

Passiamo al Purgatorio dopo aver percorso le 34 “stazioni” dell’Inferno dantesco nella mostra-evento “La Divina Commedia raffigurata dal genio pittorico di Gianni Testa che espone al Museo Crocetti a Roma, dal 1° al 31 marzo 2022, 101 dipinti a olio, uno per ogni canto. Sono 33 dipinti anch’essi, come per le altre Cantiche, riferiti ciascuno a una terzina ispiratrice. Si possono acquistare due stampe numerate fino a 100. Curatrice della mostra Chiara Testa, che l’ha realizzata, catalogo di  Gangemi Editore Internazionale con riproduzioni dei dipinti corredate dall’ inqudramento dei Canti e dai versi ispiratori, in una cornice nera che ne fa risaltare l’intenso cromatismo.

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Canto 3° vv. 58-60

Le  33 rappresentazioni del  Purgatorio esprimono il senso di liberazione dopo i recessi corruschi dell’Inferno, con la luce, i colori e l’apertura degli spazi dove  si muovono Dante e Virgilio. Nelle sue plaghe si purgano i peccati commessi dei quali coloro che scontano la pena si pentono sinceramente. Nella nostra carrellata, i versi ispiratori dei quadri esposti sono in corsivo, i versi in tondo per lo più hanno ispirato altri dipinti dell’artista non esposti.

I Canti iniziali, dal 1° all’11°

Con l’Antipurgatorio, nella prima immagine dell’artista ci sono i colori rossastri, l’Inferno è ancora vicino: la barca dove si trovano Dante e Virgilio si muove nelle acque agitate con gli spruzzi che li bagnano mentre seduti sono impegnati a  reggersi per restare a bordo.  Si ispira ai versi iniziali del Canto 1°, visualizzandone la similitudine: “Per correr miglior acque alza le vele/ ormai la navicella del mio ingegno,/ che lascia dietro di sé mar sì crudele” (vv. 1-3).   Poi viene l’incontro con Catone, simbolo di integrità morale, penitente per il suicidio cui ricorse nell’anelito di libertà.  

Nel  Canto 2°,  con i peccatori per vanità, una navicella porta le anime biancovestite, c’è un grande angelo con le ali aperte ad accoglierle sulla riva, le guardano due figure, una eretta vestita di bianco, l’altra di marrone accoccolata a terra, potrebbero essere  Dante e Virgilio che hanno dismesso i panni blu e rosso, così in Dante si ha la piena immedesimazione con le anime. Casella intonerà poi  il  canto. “amor che nella mente mi ragiona”, con le parole del “Convivio” dantesco,  fino al brusco richiamo di Catone “Che è ciò, spiriti lenti?”.  Questi i versi del Poeta che hanno ispirato l’artista: “Da poppa stava il celestial nocchiero,/ tal che faria beato pur descripto;/ e più di cento spirti entro sediero” (vv. 43-45). 

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, Canto 5° vv 22-24

Entriamo  ancora di più nel vivo con il Canto 3°, vi sono i defunti per morte violenta che  non si sono potuti pentire e gli scomunicati, una lunga schiera di anime biancovestite: “da man sinistra m’apparì una gente, che movieno o piè ver’ noi,/ e non pareva, sì venian lente” (vv. 55-60). L’immagine ne dà una visione corale di grande intensità, la fila di penitenti sul crinale del monte guidata dall’angelo dall’alto, li guardano Dante e  Virgilio che si rivolge a loro con le parole “ben finiti, spiriti eletti”. Dopo si parlerà del peccato originale, di Aristotele e Platone, ci sarà  l’incontro con gli scomunicati, tra cui  Manfredi, “nipote di Costanza imperatrice”, che  rivela come in punto di morte si rivolse “a quei che volentier perdona”, e il suo appello alla misericordia divina lo salvò dalla pena infernale.

Nel Canto 4° – dove di trovano i negligenti che sono stati sorpresi dalla morte prima di confessarsi –   l’artista non si è ispirato direttamente ai versi 31-33 “Noi salivam per entro il sasso rotto,/ e d’ogni lato ne stringea lo stremo,/ e piedi e man volea il suol di sotto”, tanto che Dante e Virgilio sono quasi indistinguibili, ma a una terzina più avanti: “ch’a lui fu giunta alzò la testa  appena,/ dicendo: ‘Hai ben veduto come il sole / da l’omero sinistro il carro mena?” (vv. 118-120) e non poteva essere altrimenti: l’immagine, infatti,  rappresenta  un sole rosso sulla sinistra  di una montagna aguzza, e ha colpito l’artista più che l’ascesa pura e semplice, inoltre evoca le questioni astronomiche del  canto, con i penitenti idealmente presenti in tracce bianche anche nel cielo.

La natura trionfa nei suoi colori, dal verde della vegetazione al  bianco luminoso dei raggi del sole che bucano le rosse nuvole nell’incontro con le anime di altri negligenti verso Dio che hanno subito ingiurie, sono stati vendicativi ma nel morire  di morte violenta solo all’ultimo si sono pentiti e hanno perdonato, chiedono  a Dante e Virgilio  di ricordarli ai congiunti  appena tornati nel mondo.  E’ il Canto 5°, “E ‘ntanto per la costa di traverso/ venivan genti innanzi a noi un poco,/ cantando ‘Miserere’ a verso a verso” (vv. 22-24).  Poi sentiranno  “io fui da Montefeltro, io son Bonconte”,  una voce che confida  la sua tragica fine  nella consolazione del  perdono divino,   fino alla tenera espressione  “Ricorditi di me che son la Pia” seguita dal ricordo nefasto “Siena mi fe’, disfecemi Maremma”. Le emozioni continuano, mnemoniche e visive, nello scorrere la galleria pittorica.

Canto 8° vv 22-24

Nel Canto 6°, ancora con i peccatori di negligenza morti tragicamente che per vendicarsi hanno omesso di confessare i loro peccati, un penitente si rivolge a Virgilio con il sole che  continua a dardeggiare i suoi raggi nella sinfonia di colori caratteristica dell’artista: ”Surse vér lui del loco ove pria stava/, dicendo : ‘O Mantovano, io son Sordello/ de la tua terra !’E l’un l’altro abbracciava” (vv. 73-75). Segue la denuncia: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta…”..

Torna la splendida moltitudine nel Canto 7° – sono sempre negligenti, questi hanno indebitamente tardato di confessarsi – le anime biancovestite ritratte in basso protese,  con  Sordello che  si offre come guida, nel tripudio della natura: “’Salve Regina in sul verde e ‘n su’ fiori,/ quindi seder cantando anime vidi,/ che per la valle non parean di fori” ( vv. 82-84). Ci sono i principi e i sovrani, anch’essi negligenti, ne viene ricordata la vita, sono citati gli avi e i successori.  Sembra di intravvedere Nino de’ Visconti e Malaspina risplendenti nel  loro biancore quasi in punta di piedi in una enclave rocciosa sotto un cielo nel quale appare l’azzurro con figure fluttuanti di angeli in volo.

Le bianche figure sono erette su un pianoro circondato da monti nell’immagine  del Canto 8°, che inizia “Era già l’ora che volge il disio/ ai navicanti e  ‘ntenerisce il core”. L’artista si ispira ai versi: “Io vidi quello esercito gentile/ tacito poscia riguardare in sue,/ quasi aspettando, palido e umile” (v. 22-24). Si vede che ne arrivano molti in una lunga teoria in dissolvenza, scontano la negligenza di aver trascurato i loro doveri morali, come la confessione,  per l’esercizio del potere o per avidità.  Nel canto sono protagonisti Nino Visconti, Corrado Malaspina, e soprattutto le tre virtù teologali..

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Canto 10° vv 73-75

Ed ecco, terminato l’Antipurgatorio, si apre la porta del Purgatorio, in uno sfondo bianco e celeste. Siamo al  Canto 9°,  approdano su una barchetta  in un ambiente raccolto,  protendono le braccia in un saluto al grande angelo che dinanzi alla porta che si vede dopo alcuni scalini, ha le ali aperte  come in un abbraccio: “…in sogno mi parea veder sospesa/ un’aguglia nel ciel con penne d’oro,/ con l’ali aperte e a calar intesa” (v. 19-21). L’artista è colpito da questi versi premonitori, e nella sua interpretazione unisce la visione del sogno all’arrivo che il Poeta descrive nei versi 76-77 dicendo”… vidi una porta, e tre gradi di sotto per gire ad essa…”.

C’è un’altra immagine, ancora più aperta e luminosa, per il  Canto 10°: come nell’Inferno ritroviamo i  suoi splendidi “bradi “, ma qui sono come nuvole bianche con dei cavalieri, riproducono una delle storie scolpite su dei bassorilievi nello zoccolo roccioso, quella di Traiano imperatore, con delle colonne sullo sfondo,  mentre  Dante e Virgilio ammirano la scena spettacolare: “Quiv’era storiata l’alta gloria/ del roman principato, il cui valore/ mosse Gregorio e la sua gran vittoria” (vv. 73-75)  è la terzina ispiratrice, ma di certo si è aggiunta anche quella appena successiva dei versi 79-81: “Intorno a lui parea calcato e pieno/ di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro/ sovr’essi in vista al vento si movieno”.  Siamo nel primo girone del Purgatorio, con i superbi, la lunghezza della pena è commisurata al peccato di vanità, ci sono anche esempi preclari di umiltà. .

Luminosa nella metà superiore con un cielo dall’azzurro variegato di bianco tendente all’arancio l’immagine del Canto 11° nel quale ci sono i superbi per vanagloria, tra cui Liberto da Santafiore e il senese Provenzano Salvani.  La parte inferiore  è una terra brulla che si innalza  in una rupe sotto la quale si intravedono appena delle figure quasi compenetrate in essa  cui si rivolgono Dante e Virgilio visti da dietro. La terzina ispiratrice,  “Oh vana gloria de l’unmane posse com’ poco verde in su la cima dura,/ se non è  giunta da l’etati grosse!”(vv. 91-93) si riferisce alla caducità del successo, Cimabue fu oscurato da Giotto, Guinizelli da Cavalcanti, il “poco verde” è usato in senso metaforico, e la sua assenza totale nel dipinto ne è la trasposizione pittorica, come lo è la compenetrazione delle figure nella terra fino quasi a scomparire, altro che “lumane posse”.

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Canto 11° vv 91-93

I Canti centrali, dal 12° al 22°

Dal celeste con bianco-arancio al blu molto intenso che scolora nel bianco nel Canto 12°,  nel girone  sono puniti i superbi presi dalla vanità delle glorie mondane. condannati a portare dei pesi sulle spalle: “Di pari, come buoi che vanno a giogo,/ m’andava io con quell’anima carca,/ fin che ‘l sofferse il dolce pedagogo” (vv. 1-3).  Dante non affianca più Oderisi da Gubbio che sconta la sua superbia con il carico opprimente ma guarda, con Virgilio, i  penitenti raffigurati nel suolo, ne vediamo  tre con i carichi e due stremati a terra, sono tra le poche figure restate “umane” ritratte dall’artista. L’ambiente sembra scolpito, con la parete rocciosa di un intenso cromatismo rossastro scuro, e la grande fenditura in cui entrano il blu e il bianco altrettanto intensi, il suolo chiaro come le figure, anche qui in una  compenetrazione cromatica significativa, anzi simbolica.

La già intensa tempesta cromatica si accentua, sopra alla mesta teoria di penitenti chini e incappucciati, che non hanno sembianze umane, anime protese nell’ascesa lenta ma continua, le figure di Dante e Virgilio che sembrano attenderli più in alto sono appena percepibili. Siamo  nel  Canto  13°, dove si trovano gli invidiosi. Nei primi tre versi si legge “Noi eravamo al sommo de la scala/ dove secondamente  si risega/ lo monte che, salendo, altrui dismala”, nei versi 58-60 “Di vil cilicio mi parean coperti,/ e l’un sofferìa l’altro  con la spalla,/ e tutti da la ripa eran sofferti”, tutto questo è reso nel dipinto che però  si ispira direttamente a un’altra terzina sempre descrittiva ma più personale: “Allora più che prima li occhi apersi;/ guarda’mi innazi , e vidi ombre con manti/ al color de la pietra non diversi”  (vv. 46-49).

Fa quasi “pendant” con questo cromatismo, quello  dell’immagine del Canto 14°, con ancora gli invidiosi tra cui Rinieri  da Calvoli.  Sullo sfondo della tempesta rossa e corrusca con squarci bianchi, si vede uno specchio d’acqua dove spiccano due grandi forme indistinte agli estremi: “infin la ve’ si rende per ristoro/ di quel che ‘l ciel de la marina asciuga,/ ond’hanno i fiumi ciò che va con loro” (vv.34-36). Si tratta dell’acqua dei fiumi che va alla foce per gettarsi nel mare e dargli “ristoro” compensando ciò che gli viene tolto dall’evaporazione causata dai raggi del sole. Un procedimento naturale al quale potrebbero alludere in modo criptico le forme indistinte.

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Canto 12° vv 1-3

Ancora più netto il contrasto di masse cromatiche avvolgenti per il  Canto 15°,  con chi si è fatto attrarre troppo dai beni terreni,  Dante e Virgilio – in basso a destra nel dipinto –  sono separati dal piccolo gruppo di penitenti alla metà della composizione. L’artista si ispira ai versi che  ricordano la lapidazione di Santo Stefano da parte della folla adirata, il santo potrebbe identificarsi nella piccola figura in alto: “Poi vidi genti accese in foco d’ira/ con pietre un giovinetto ancider, forte/ gridando   a sé pur: ‘Martira, martira!” (v. 106-108).

Nel  Canto 16°,  dove sono gli iracondi, con Marco Lombardo,  avvolti nel fumo, l’artista rappresenta la grande croce nel cielo che in una intensa sinfonia cromatica sovrasta Dante e Virgilio con gli occhi rivolti in alto: “Io sentia voci, e ciascuna pareva/ pregar per pace e per misericordia/ l’Agnel di Dio  che le peccata leva” (vv. 15-19) è la terzina di riferimento. I versi successivi, 25-27,  completano la scena: “Poi  piovve dentro a l’alta fantasia/ un crocifisso, dispettoso e fero/ ne la sua vista, e cotal si morìa” (vv. 25-27). E’ la punizione del ministro persiano che preso dall’ira condannò alla crocifissione un ebreo, perché non aveva adorato il Re, e i correligionari, poi fu crocifisso lui dal Re con un atto di giustizia  riparatrice. Si condanna la corruzione morale e politica.

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Canto 16° vv 16-18

Una figura che li guarda molto dal basso in una invocazione con le braccia aperte è nel dipinto del Canto 17°, nel girone dei colpevoli di ira punita, per converso segue l’Angelo della Pace e la dottrina dell’amore, principio di ogni virtù. Sull’alta rupe che sovrasta la figura invocante si vedono le sagome piccolissime di Dante e Virgilio con sullo sfondo il tramonto descritto nella terzina che ha ispirato l’artista: “e fia la tua imagine leggera/ in giugnere a veder com’io rividi/ lo sole in pria, che già nel corcar era” (vv. 7-9).

Ai piedi di alberi dai rami spogli li vediamo nel Canto 18° dove viene punita, anzi “purgata”, l’accidia: “Poi, come  l’foco movesi in altura/ per la sua forma  ch’è nata  a salire/ là dove più in sua matera fura” (vv. 28-30) sono i versi ispiratori. La metafora della tensione dello spirito verso l’alto come il fuoco la vediamo  tradotta negli alberi altissimi con il fuoco che sale, in un impasto cromatico particolarmente intenso.

Distesi sul terreno i penitenti del Canto 19°, tra le poche figure umane ritratte, che Dante e Virgilio guardano vicino a loro, scontano  la penitenza per l’avarizia o prodigalità, mescolati alla terra da cui non hanno saputo liberarsi. L’immagine lo rende con la coloritura giallastra in un ambiente desertico: “Sì come l’occhio nostro non s’aderse/ in alto, fisso a le cose terrene,/ così giustizia qui a terra  il merse” (v. 118-120). Poco dopo,  l’incontro con Ottobuono de’ Fieschi, divenuto  papa  Adriano V, si rese conto che i beni mondani sono ingannevoli e la felicità è data solo dai beni spirituali, il suo papato fu brevissimo, di 38 giorni.

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Canto 17 °, vv 7-9

Ancora gli avari e i prodighi  nel Canto 20°,  torna il clima tempestoso, masse cromatiche si incrociano, chiare ma agitate sulla sinistra, scure e distese sulla destra, in primo piano degli arbusti in una  desolata solitudine, con al margine le sagome minuscole di Dante e Virgilio. La terzina ispiratrice evoca  Carlo d’Angiò che, catturato  dopo una battaglia navale, fa sposare sua figlia per interesse a un marchese ricchissimo: “L’altro, che già uscì preso di nave,/ veggio vender sua figlia e patteggiarne,/ come fanno i corsar de l’altre schiave” (v. 79-81).. Sono ricordati  nel canto i misfatti di Carlo di Valois e di Filippo il Bello, i casi di avarizia puniti di Mida e Licinio Crasso, Eliodoro e Pigmalione, finché un  terremoto scuote il suolo,  le anime allora cantano un inno in gloria di Dio.

La sete di conoscenza di Dante viene soddisfatta nel Canto 21°, l’immagine dell’artista  è  ancora densa di masse cromatiche, nel girone ci sono i penitenti per prodigalità, ed è dominato dalla figura di Stazio che spunta fuori all’improvviso  “già surto fuor de la sepulcral buca / ci apparve un’ombra, e dietro a noi venia,/ dal piè guardando la turba che giace” (vv. 9-11), si vedono figure distese a terra. Il suolo si muove quando un’anima ha terminato la sua espiazione, ed è Stazio, che si dichiara discepolo di Virgilio senza averlo riconosciuto, fino all’”agnitio” in umiltà reciproca.

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Canto 19° vv 118-120

Torna la scalinata, contornata di bianco con l’azzurro del cielo sulla sinistra,  nell’immagine sul  Canto 22°, ai piedi della quale ci sono Dante e Virgilio, con dei rami leggeri che fanno da cornice in primo piano: “E io più lieve che per l’altre foci/ m’andava, sì che senz’alcun labore/ seguiva in su li spiriti veloci” (v. 7-9), si parla delle beatitudini, in particolare della temperanza, con l’Angelo che la impersona,  e la scala che sale verso l’alto sembra evocarle.

I Canti finali, dal 23° al 33°

Nel Canto 23°  le candide figure dei penitenti – questa volta i golosi tra cui l’amico di un tempo, Forese Donati, irriconoscibile per la magrezza della pena – sono in un ambiente quasi terreno, una radura amena, dietro una rupe, attraversata da un rivolo bianco, con un albero e l’azzurro del cielo.

Rende visivamente i versi: “Chi crederebbe che l’odor d’un pomo/ si governasse, generando brama,/ e quel d’un’acqua, non sappiendo como?” (v. 34-36): odori, frutta, acqua, gli umori della natura, l’essere umano è stato evocato nei versi che precedono,  “chi nel viso de li uomini legge ‘omo’/ben avria quivi conosciuta l’emme”, con gli zigomi uniti dalle sopracciglia a formare la “m”.

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Canto 22° vv 7-9

La terzina ispiratrice del  Canto 24° , sempre con i golosi, si riferisce a Firenze: “Però che ‘l loco u’ fui a viver posto,/ di giorno in giorno più di ben si spolpa,/ e a trista ruina par disposto” (vv. 79-81). Il responsabile della  “ruina” della sua città natale è Corso Donati, capo dei Guelfi neri,  di cui viene prefigurata da Forese Donati la morte violenta.  Al  centro della scena Dante e Virgilio con un corpo disteso a terra, l’atmosfera è cupa nel cromatismo scuro mentre in alto l’azzurro con squarci bianchi è percorso da misteriose forme oscure quasi presagio di sventura. Poi ci sarà l’incontro con Bonaggiunta, che riconosce in Dante l’autore  dei versi  “Donne ch’avete intelletto d’amore”, inizio della “Vita nova” e parla con lui dello “stil novo”; e  anche celebri esempi di gola punita

Una apertura luminosa di bianco e celeste tra due rupi, con un  lago dalle acque arrossate su cui passa una barchetta di penitenti, mentre  Dante e Virgilio si fermano, alle prese con la difficoltà del cammino: è  il Canto 25°, l’ispirazione viene dalla terzina“E già venuto a l’ultima tortura/ s’era per noi, e volto a la man destra,/ ed eravamo attenti ad altra cura” (v. 109-111).  Prima di questo momento che precede l’incontro con i lussuriosi, c’è stata la lunga disquisizione di Stazio sull’evoluzione dell’essere umano, fino alla trasmigrazione dell’anima nel luogo assegnato da Dio.

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Canto 25° vv 109-111

Sono  su una grande rupe all’inizio del  Canto 26°,  continuano le difficoltà, dalla “tortura” (la cornice), all’ “orlo”, con i consigli di Virgilio: “Mentre che sì  per  l’orlo, uno innanzi altro,/ ce n’andavamo, e spesso il buon maestro/ diceva: ‘Guarda: giovi ch’io ti scaltro’” (vv. 1-3). Sorge il sole e rischiara un lato della rupe, il resto ancora in ombra è il lato oscuro dopo gli squarci luminosi visti in precedenza. I lussuriosi incontrano i sodomiti, si rievocano Sodoma e Gomorra,  e Pasifae, poi il tono si eleva incontrando lo stilnovista Guido Guinizellii e il provenzale Arnaldo Daniello.

Nel Canto 27° torna la scalinata dove salgono i penitenti nelle loro sagome bianche tutte uguali, questa volta Dante e Virgilio li attendono al culmine, lo sfondo è di un blu variegato con grandi squarci bianchi, la terzina ispiratrice contiene altri particolari : “’Lo sol sen va, soggiunse, ne vien la sera; / non v’arrestate, ma studiate il passo,/ mentre che l’occidente non si annera’” (vv. 61-63). E’ una voce che li esorta  a procedere verso la sommità del monte, hanno incontrato l’Angelo della castità, e attraversato il muro di fuoco, li aspetta l’Eden e si avvicina il commiato di Virgilio.

Si entra nell’Eden con il Canto 28°, l’artista è ispirato dalla prima terzina “Vago già di cercar  dentro e dintorno/ la divina foresta spessa e viva,/ ch’a li occhi temperava il novo giorno” (vv. 1-3) e rappresenta  la foresta incantata con un tripudio luminoso che accoglie Dante e Virgilio. Ci sarà poi il fiume da non oltrepassare e la dolcissima fanciulla, Matilda, che al di là del fiume gli parla di quel nuovo luogo e scioglie i suoi dubbi, gli dice che il fiume Lete dà l’oblio del peccato e che forse l’età dell’oro preconizzata è proprio l’Eden, il paradiso terrestre.

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Canto 27° vv 61-63

Luminosità e verde splendente nell’interpretazione del paradiso terrestre da parte dell’artista per il Canto 29°,  c’è la processione delle bianche figure dei penitenti nel tripudio della natura: “dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,/ ci si fe’   l’aere sotto i verdi rami;/ e ‘l dolce suon per canti era già inteso“ (v. 34-36), il Poeta invoca le Muse per “forti cose a pensar metter in versi”, avanza un carro trionfale con il grifone. Dante e Virgilio tendono le braccia dinanzi a tale  spettacolo, le strisce rosse sono simbolo della carità, il bianco della fede, il verde della speranza, 

L’atmosfera si fa celestiale nell’immagine per il Canto 30°, bianche figure in volo con le ali aperte,  sono gli angeli che accompagnano Beatrice mentre scende dal cielo, Virgilio scompare, la sua missione è terminata, Beatrice è la nuova guida di Dante e inizia subito a rimproverarlo per le sue deviazioni dalla retta via, poi: “Ella si tacque e li angeli  cantaro/  di subito ‘In te, Domine, speravi’:/ ma oltre’pedes meos’ non passaro” (vv. 82-84), è un salmo sulla misericordia di Dio .

Dagli angeli in volo alle ninfe del Canto 31°, che ispirano l’artista in una immagine in cui la dominante verde dell’intenso cromatismo è interrotta da un rivolo bianco che separa la scena in due parti, a destra l’ospite, a sinistra quattro figure candide: “’Noi siam qui ninfee nel ciel siamo stelle;/ pria che Beatrice discendesse al mondo,/ fummo ordinate a lei per sue ancelle” (vv. 106-108). Oltre questa interpretazione pittorica, il viaggio poetico continua con Beatrice che non smette di ricordare a Dante i suoi errori, lui si pente e si sente mancare, poi  ecco Matilde e l’immersione purificatrice nel Lete, le 4 virtù morali e le 3 virtù teologali, fino al disvelamento di Beatrice.

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Canto 33, vv. 88-90

L’albero di Adamo, dove si dirige “la santa schiera”, è al centro del Canto 32° come simbolo sia della storia dell’uomo che di quella della Chiesa dopo il peccato originale: “Io sentì mormorare atutti; ‘Adamo’,/ poi cechiaro una pianta dispogliata / di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo” . (vv. 37-39) . Viene interpretato dall’artista in una intensa raffigurazione proiettata verso l’alto, con Dante quasi connaturato nella sostanza terrena che sembra elevarsi verso un cielo anche qui con la dominante verde tra bagliori luminosi. Avviene di tutto intorno all’albero, dove restano Dante, che  si addormenta al canto dei beati,  e Beatrice circondata da sette donne; irrompono animali fino a un drago, nel dipinto c’è un qualcosa di recesso e misterioso, è l’ultimo di sapore terreno.

Siamo alla raffigurazione finale, sul Canto 33°   conclusivo della Cantica, porta già “in più spirabil aere”, la figura di Dante  emerge dall’ombra con lo sfondo di un cielo sfolgorante di azzurro e di un bianco luminoso dove angeli in volo emergono dalle nuvole, una vera liberazione: “e veggi vostra via da la divina/ distar contanto, quanto si discorsa/ da terra il ciel che più alto festina” (vv. 88-90), la scienza umana distante dalla sapienza divina come la terra dal cielo, Ci saranno i quattro fiumi del Paradiso, e Dante potrà elevarsi verso il cielo della terza Cantica, dopo la richiesta di Beatrice di scrivere ciò che ha visto e un nuovo bagno purificatore, questa volta nell’Eunoè. Così è “puro e  disposto a salir alle stelle”.

Ed è disposto a salir alle stelle anche chi ha ripercorso il viaggio del Poeta attraverso le immagini dell’Artista attraversando le plaghe del Purgatorio come prima ha fatto con i recessi corruschi dell’Inferno. Lo aspettano, anzi ci aspettano, le stelle dell’infinito, con l’incommensurabile che l’artista interpreta visivamente in una “missione impossibile” che  diviene “missione compiuta”. Lo vedremo prossimamente con la nostra narrazione dantesca che  attraverserà i cieli del Paradiso fino a  raggiungere il culmine, l’Empireo, nella magica trasposizione pittorica di Gianni Testa.

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Purgatorio, uno scorcio della parete espositiva, tra le due file le terzine ispiratrici

Info

Museo Crocetti, Roma, via Cassia 492. Tel. 06.33711468, info@fondazionecrocetti.it.; www.giannitesta.it Dal lunedì al venerdì ore 11-13 e 15-19, sabato ore 11-19, domenica chiuso, ingresso gratuito. Catalogo: Gianni Testa: “La Divina Commedia”, a cura di Chiara Testa, Gangemi Editore, 2022, pp. 128, bilingue italiano-inglese, formato 24 x 28. Nel sito giannitesta.it nella sezione “Opere – Divina Commedia” sono riportate tutte le immagini corredate da introduzione e versi ispiratori, e da note critiche sul’intera opera. I primi due articoli sulla mostra sono usciti in questo sito il 23 e 25 marzo 2022, prossimamente l’ultimo articolo. Cfr. i nostri articoli in questo sito per le precedenti  mostre di Testa: Antologica al Vittoriano 14 settembre 2014,  L’espressionismo astratto e La “perfetta armonia” all’Otium Hotel di Roma 8, 10 luglio 2019,  Il tour negli emirati arabi 14 marzo 2015,  Pittori di marina 6 artisti premiati 21 gennaio 2016; sull’Inferno di Dante Rodin all’Accademia di Spagna e Coni alla Galleria Russo  20 febbraio 2014. Per una mostra su Dante:  L’esposizione, I protagonisti a Palazzo Incontro 9, 10 luglio 2011.   Per Crocetti, lo scultore nella cui casa-museo si svolge la mostra: Il ‘900 e il senso dell’antico a Palazzo Venezia 9 ottobre 2013, Il mondo di Venanzo Crocetti, tra Teramo e Roma 2 febbraio 2009.  

Purgatorio, quadro 80×80 esposto in mostra su cavalletto, Canto 2° vv 43-45

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Le immagini dei dipinti del Purgatorio sono state fornite dall’organizzatrice e curatrice o prese dal Catalogo Si ringrazia Chiara Testa, insieme all’Editore e a Gianni Testa, l’artista titolare dei diritti. Le ultime 3 immagini sono di Romano Maria Levante, quelle dei quadri del Purgatorio nella parete espositiva e del quadro 80 x 80 esposto su cavalletto nella mostra riprese al Museo Crocetti, l’immagine dell’artista con un quadro del Purgatorio ripresa nella sua casa-atelier nei pressi della Fontana di Trevi. In apertura, Canto 3° vv. 58-60, seguono, Canto 5° vv 22-24 e Canto 8° vv 22-24; poi, Canto 10° vv 73-75, e Canto 11° vv 91-93; quindi, Canto 12° vv 1-3 e Canto 16° vv 16-18; inoltre, Canto 17 ° vv 7-9 e Canto 19° vv 118-120; ancora, Canto 22° vv 7-9 e Canto 25° vv 109-111; conrinua, Canto 27° vv 61-63, e Canto 33, vv. 88-90; infine, Purgatorio, uno scorcio della parete espositiva, tra le due file le terzine ispiratrici, e Purgatorio, quadro 80×80 esposto in mostra su cavalletto Canto 2°, vv. 43-45; in chiusura, L’artista Gianni Testa nella casa-atelier mostra il suo quadro del Canto 27° vv. 61-63 del Purgatorio.

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L’artista Gianni Testa nella casa.-atelier mostra il suo quadro del Canto 27° vv. 61-63 del Purgatorio