di Romano Maria Levante
Prosegue, e si conclude, la narrazione della maratona poetica “Ritratti di poesia”, svoltasi venerdì 8 aprile a Roma, all’Auditorium della Conciliazione, con il resoconto delle sezioni pomeridiane sulla poesia italiana con “Di penna in penna”, internazionale con “Poesia sconfinata”, degli Editori di libri di poesie con “Idee di carta”, di altri interventi poetici e al termine un “recital” di Lina Sastri, che unendo confidenze e poesie alle canzoni ha creato un’atmosfera suggestiva. La manifestazione, giunta alla 15^ edizione, è stata ideata, fortemente voluta dal 2006 e promossa dal presidente onorario della Fondazione Roma Emmanuele F. M. Emanuele, poeta egli stesso, realizzata e curata come sempre da Vincenzo Mascolo, organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazione con Inventa Eventi.
Alla ripresa pomeridiana, nella 3^ parte di “Idee di carta”, viene presentata AV, con tre direttori che l’hanno creata nel segno dell’amicizia, Massimo Morasso, Roberto Pietrosanti, Andrea Valcalda. Ha una “doppia anima”- dicono a Mascolo che li intervista – rivista e monografia, con testi inediti spesso diversissimi tra loro per genere, forma e contenuto, collegati a testi appositamente concepiti, pubblicata in piccola tiratura non in commercio per biblioteche, centri di cultura e… amici. E’ al 4° numero, dedicato all’Italia, esplora il rapporto tra l’homo italicus e la sua terra alla ricerca dell’italianità ideale.
Poi i “Ricordi della villeggiatura” di Cecco Mariniello, lo presenta sempre Mascolo. E’ illustratore di libri e si è dedicato alla “pittura di confine”, in un “altrove” rispetto al caos della vita, i suoi sono paesaggi inventati, fantastici ma familiari, mediterranei, con la realtà fisica in qualche modo estraniata. Un quarto di secolo di mestiere illustrativo come vignettista, autore di fumetti, illustratore e anche con la vena poetica, poi la pittura, con la scrittura insieme all’illustrazione. Da “Che farò senza Euridice”: “In quale inabissata ansa del tempo, su quale sperduta sponda ancora mi aspetti, Euridice?/ Di nuovo specchia la tua immagine Acheronte e dietro la porta a vetri, sul piano di marmo in cucina./ Persefone impasta con l’acqua la sua farina”.
Siamo alla 2^ parte di “Poesia sconfinata”, cioè internazionale, con Kate Clanchy, scozzese che risiede in Inghilterra a Oxford, la presenta la traduttrice Giorgia Sensi: è romanziera da 20 anni con un manuale sulla carriera di insegnante premiato, nella sua pubblicazione c’è una selezione di poesie e brani in prosa sul laboratorio di poesia con rifugiati di cui abbiamo detto all’inizio, presentando con lei Shukria Rezaei, e “Le colombe di Damasco”. Ha letto anche una poesia inedita. Da “La testa di Shakila”, 2019: “Mi lascio in giro, da sciattona,/ pezzi di me, momenti che ho amato:/li lascio lì dove/ cadono, si stropiccino, se vogliono./ So come farli camminare/ e respirare di nuovo…/ … gli alberi in fiore, leggeri,/ leggeri e festosi. Rimettiti/ in sesto, dicono, giustamente,/ ma è testarda, la ragazza,/ quell’ottimista che continua a camminare”.
Di nuovo la poesia italiana, addirittura la “Vita nova”, nell’incontro di Mascolo con Stefano Carrai, poeta e professore, filologo e traduttore, Alcuni suoi versi da “Equinozio”, 2021: “Paradosso della fotografia/ essere testimonianza di vita/ e anche certificato/ di morte/ lo stesso della poesia”. E’ dantista, parla dell’edizione della “Vita nova” di Dante commentata, e del rapporto con la “Divina Commedia”, proprio al termine del 7.mo centenario dantesco. E’ un rapporto molto stretto, la “Vita nova” racconta l’amore terreno che ha un seguito nel viaggio nell’al di là, quando ritrova Beatrice nel paradiso terrestre; sono due momenti diversi di una stessa storia con l’amore infelice della “Vita nova” sublimato nella visione celeste della “Divina Commedia”. Anche senza la “Divina Commedia” Dante sarebbe rimasto nella storia per la “Vita nova”, di straordinaria originalità allora e modernità oggi. E’ il primo libro di poesia, misto con prosa, originale perché prima l’amore era sentito come desiderio e passione dei sensi – la malattia d’amore – mentre con la “Vita nova” la poesia d’amore cambia, vi entra il concetto dell’amore spirituale idealizzato, premessa del viaggio ultraterreno, si concilia la passione erotica con il concetto cristiano dell’amore. Beatrice era morta veramente, e questo gli fa trasformare l’amore terreno della “Vita nova” nella sublimazione celeste della “Divina Commedia”. La modernità è nel riconoscimento dell’amore senza speranza – dato che Beatrice era promessa sposa – l’amore infelice di tanti ragazzi – la lingua arcaica è uno scoglio soltanto apparente. Con la lettura del celebre sonetto si conclude la rievocazione: “Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia, quand’ella altrui saluta,/ ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,/ e li occhi no l’ardiscon di guardare…”, è la prima quartina, anche il resto nessuno lo ha dimenticato…
Segue la 3^ parte di “Di penna in penna, con Annalisa Comes, introdotta da Anna Toscano, che scrive – anche in francese dopo dieci anni vissuti in Francia, e in inglese – poesie nate da un dialogo, poesie brevi da ebraico biblico che evocano i racconti brevi di Kafka, e brevi prose con andamento poetico. Si vola sull’airone, in continui spostamenti tra cielo e terra. Da “Alberi a fronte, Versi-segni”, 2018: “Saremo ancora dopo il gelo e la tempesta/ dopo la solitudine e il deserto/ saremo ancora fioritura piena/… e dove il buio incide nell’alba/ saremo ventre e radici/ germogli per le generazioni a venire”. Poi Gianni Montieri presenta Piero Simon Ostan, interessato al paesaggio, ricorda gli anni universitari quando un libro gli ha aperto gli occhi, usa mischiare italiano e dialetto per avvicinarsi al paesaggio nel modo più familiare. Da “Il verde che viene ad aprile”, 2019, ecco l’”Autoritratto”: “E’ il taglio degli occhi di mio padre/ non il suo colore/ l’attaccatura bassa dei capelli/ quasi piatti i piedi e lo stesso stampo delle mani/ o forse è lo stare scorretto della schiena/… Sarà poi un giorno mio figlio/ e il figlio di mio figlio/ sarà l’aggirarsi nello stesso buio delle strade/ ad aspettare che venga il vento giusto/ e il chiaro dentro gli occhi”.
La “Poesia sconfinata”, 3^ parte, ci fa conoscere lo spagnolo José Carlos Rosales, presentato dal suo traduttore Damiano Sinfonico, racconta la storia di uno che lascia la casa e scompare sentendosi distante dal mondo al punto di voler sparire. Da “Se volessi potresti alzarti e volare”, 2021: “Sarai così stanco che ti senti leggero,/ così leggero/ che anche ora potresti alzarti e volare/ non pesi più, non peserai più come prima,/ pesi davvero così poco/ che il mondo ti sembra lontano/ anche la stanchezza ti sembra lontana,/ è evaporata all’improvviso,/ ciò che pesa a volte evapora/ e anche ora potresti alzarti e volare,/ non lo fai, non lo fai, e non/ perché il peso del corpo o la tua volontà/ potrebbero impedirlo, / non lo fai/ perché non c’è nessun posto/ dove vorresti tornare,/ un luogo perduto o ignorato,/ il posto dove potresti entrare e dissolverti,/ sdraiarti con le ali piegate,/ quelle ali giganti che ti impediscono di vivere”. Abbiamo riportato interamente la non brevissima poesia perché ci ha fatto ripensare a “Miracolo a Milano”, quando al canto “ci basta una capanna/ per vivere e dormir/ ci basta un po’ di terra/ per vivere e morir…”, si sono alzati in volo leggeri verso un posto “dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno” : forse quel posto perduto e ignorato, dove entrare e riposarsi, che il poeta sembra non aver ancora trovato.
Nella poesia italiana – siamo alla 4^ parte di “Di penna in penna” – siamo stati colpiti da Alessandra Carnaroli che cita tentativi di suicidi e oggetti contundenti, legati alla cronaca di una realtà lucida e dissacratoria senza sentimentalismi. Presentata da Anna Toscano, parla di storie che nascono ispirate dall’osservazione esterna e dall’esperienza personale, con cadute, ferite, emarginati, ci siamo tutti in queste storie nate dalla quotidianità. E’ come una voce che chiama alla vita o rende muta e ci coinvolge dicendo chi siamo e cosa possiamo fare per cambiare la situazione. I versi sono scanditi dalla poetessa con una cadenza quasi da automa, cita anche la fine tragica del piccolo Samuele a Cogne, una cronaca terribile che torna. Da “50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti”, 2021: “Dentro il garage/ dove ho passato l’infanzia/ a separare i chiodi dalle viti/ per mostrare a mio padre di valere/ almeno quanto gomma/ da bagnato mclaren/ abbassare il finestrino/ sgasare”, è tutto… Elisa Donzelli, che viene presentata da Mascolo, dirige la Collana di poesie dell’omonima casa editrice, insegna letteratura contemporanea e svolge attività di critica, il suo recente libro di poesia contiene un insieme di ricordi pubblici o privati. Al pari dell’album di fotografie unisce frammenti di memoria, lo ha scritto a quarant’anni e accortasi che le vicende personali si intrecciavano a vicende del Paese ha voluto ricostruire la formazione di una coscienza privata singola ma anche collettiva. Per la sua età si è sentita sospesa tra la contestazione del 1968 e il riflusso degli anni ’80 in una città come Torino dove dominava il conflitto di classe, evoca l’inizio della guerra del Golfo del 2 agosto 1990 e il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. Da “Album”, 2021, alcuni versi del “Sonetto per Hevrin”, attivista dei diritti delle donne e segretaria generale del Partito siriano del futuro” uccisa nel nord della Siria il 12 ottobre 2019: “Ma oggi che apro l’immagine alla notizia/ ancora ti vedo al mattino bronzea Nefertiti/ stringere alta sul capo l’acconciatura/ di tremila anni sorella mostrare e punire/ la minaccia alla troppa bellezza”. Segue, presentata ancora da Mascolo, Claudio Pozzani, che ha iniziato con la musica ed è organizzatore di tanti eventi sulla poesia, direttore artistico del Festival di poesia di Genova “Parole spalancate”, aggettivo associato alle parole che il titolo del suo libro associa agli spazi, dando al termine “spalancato” il significato suo proprio di molto aperto. Le poesie lette ripercorrono il percorso esistenziale dalla nascita. Da “Spalancati spazi. Poesie 1995-2006”, 2017: “Sono l’apostolo lasciato fuori dall’Ultima cena,/ Sono il garibaldino arrivato troppo tardi allo scoglio di Quarto/ Sono il Messia di una religione in cui nessuno crede/ Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto che non cede”, e così per altre tre quartine da “outsider”.
Incalza la “Poesia sconfinata”, 4^ parte, viene presentato dal traduttore Simone Sibilio il palestinese Najwan Darwish, sentiamo in luil’odissea di un popolo tormentato dalla lotta atavica con Israele, con cui condivide una storia millenaria, pensiamo alla “spianata delle Moschee” e alla storia di Cristo, vi si ispira il poeta nella parte in cui presenta simboli religiosi per esprimere le difficili condizioni del suo popolo. Redattore della pagina culturale di un giornale arabo e interessato alla poesia italiana, il suo libro “Più nulla da perdere” fu scritto prima in inglese poi in arabo e uscì con il titolo “Un giorno ci svegliammo in Paradiso”. Erede della grande tradizione della poesia palestinese politicamente impegnata legata al passato impresso nella coscienza araba, se ne distacca e rielabora sovvertendo con una riscrittura in cui esprime le preoccupazioni della sua terra e delle altre comunità oppresse in silenzio, con sguardo disilluso e ironia pungente. Nelle sue poesie sulle città, come Gerusalemme, si sente un afflato lirico profondo ma emergono anche le contraddizioni. Da “Più nulla da perdere”, 2011, la poesia “Gerusalemme”: “Ci fermammo sul monte/ per offrirti un sacrificio/ e al vedere le nostre mani levarsi, vuote/ capimmo di essere noi il tuo sacrificio”/…resterai per sempre/ un confuso pellegrinaggio/ di gente di passaggio/ ma a te cosa importa?/…”.
Torniamo alla poesia italiana nella 5^ parte di “Di penna in penna”, con un poeta e una poetessa, entrambi introdotti da Gianni Montieri. Il primo è Flavio Santi, friulano, quindi di terra di confine, poeta, traduttore, romanziere, il suo libro con le poesie dal 1999 al 2019, è fatto di frammenti: sono importanti gli oggetti nel rapporto con il tempo, in una archeologia postmoderna, con i televisori prima ingombranti, ora sempre più sottili, erano presenze fisiche e familiari nelle case di tutti. E’ un modo per recuperare quell’Italia degli anni ’70, un tempo vissuto quasi in seduta psicanalitica. Da “Quanti”, 2021, la poesia “Luce”: “Mentre guardavo/ la foto di te, Lucia, a un mese di vita, mi dicevo che la Natura/ deve avere uno strano senso dell’umorismo/… crea esseri luminosi come te/ e poi questo COVID 19./ Che poi nemmeno lui – o lei o esso -/ dev’essere cattivo/a di per sé, sai?”. Lo strano senso dell’umorismo, diremmo macabro conoscendo l’interminabile catena di lutti portati dal COVID, sembrerebbe del poeta, chiamiamola … licenza poetica, allude forse al fatto che il virus non ha la benché minima consistenza fisica e tanto meno psichica; è una considerazione spontanea, ovviamente non vogliamo commentare l’immagine poetica che è personale e assolutamente legittima. Sara Ventroni ha in comune con Santi il fatto di essere poliedrica, ha scritto per il teatro, la radio e la Televisione, i libri più recenti sono “La sommersione” e “Le relazioni”. Le nostre relazioni hanno a che fare con la storia, cosa ci succede e cosa non ci succede e ciò che non riusciamo a cogliere; “La sommersione” si apre con le parole “Adesso che si rompono le cose…” ce ne accorgiamo solo quando vanno in frantumi e rischiamo di perderle, e vediamo quello che ci interessa e prima ignoravamo. È necessario l’incanto, non si può fare senza, questo cerchiamo nella poesia, ci fa vedere le cose meglio di come non le abbiamo mai viste. Da “Le relazioni”, 2019: “Prima di essere santi ci piace la materia/risucchio di luce nel buco/ in cui si cade: materia che ruba la luce/ per cui siamo vivi, che tira come un metallo al magnete/ nel punto in cui il tempo è movimento/ capovolto/… (all’occhio manca la luce/ che la materia trattiene)”.
David Riondino, introdotto da Nicola Butrini, presenta le “Variazioni in versi”, è un artista eclettico che spazia in diversi campi, scrittore e drammaturgo, attore e regista, perfino autore di canzoni e cantante, con dischi pubblicati e un laboratorio video di canzoni originali ispirate a fatti di cronaca. Attivo nel teatro e nel cinema, nella televisione in trasmissioni leggere e nella radio anche in programmi impegnati su Boccaccio e soprattutto su Dante – i “Tipi danteschi” del 2021 seguono nel 2022 i “Tipi pasoliniani” – ha una vena satirica che si è espressa nelle apposite riviste e in spettacoli con Paolo Rossi, ha pubblicato nel 2019 scritti satirici in versi nel “Sussidiario”. La sua è una sperimentazione continua, che mescola generi e forme espressive diverse, con una forte base culturale. E’ anche poeta tra i poeti in controtendenza, la sua poesia ha una forma chiusa, adotta una metrica rigorosa, in questo sembra fuori tempo; è uno schema seguito fin da ragazzo, con le terzine incatenate dalla forma che dà maggiore concretezza perchè la rima porta alla concretizzazione, non è autocostrizione ma senso di esattezza, la forma chiusa lo rende libero. Non è più tempo di rivoluzione né di palingenesi terzomondista, la palingenesi è inesistente, fino all’affermazione sui due ultimi sindaci di Roma, che le “buche della Raggi” da ieri diventano le “buche di Gualtieri”. Gustoso e profondo.
Ed ora una delle due attrazioni dato il momento che stiamo vivendo con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia appoggiata dalla Bielorussia. Nella “Poesia sconfinata”, 5^ parte, presentata da Moira Egan, con i due poeti intrattenuti insieme – una eccezione alla formula consueta – la bielorussa Valzhina Mort parla del lascito nella sua eredità, ma lei non ha un lascito – la Bielorussia è nata dall’ex Unione Sovietica – per l’impossibilità di usare un linguaggio appropriato. Due poetesse russe sono state le pietre angolari della sua generazione, una di loro partigiana voleva fare la narratrice ma non era possibile dinanzi a una realtà inimmaginabile. Attraverso le testimonianze si può capire la tragedia dell’Ucraina e quella della Bielorussa sotto Lukashenko, ora non sa se il suo lascito e anche la sua vita saranno influenzati da questi eventi, si dedicherà alla poesia postbellica. Da “Freeman’s amore”, 2021: “Ho preso il tuo libro dallo scaffale di Sandeep/ la biografia del poeta diceva: ‘vive e insegna.’/ Anche se il libro era piuttosto recente non era più vero./… Ora i treni stanno di ghiaccio nella bufera invernale,/ e io li compatisco/ come fossero farfalle scosse da brividi,/ uno stormo intero, l’ultimo del genere,/ bloccato in una neve che l’Inghilterra non ha mai visto/… Il tuo libro nelle mie mani bruciate dal gelo”. L’americano Ishion Hutchinson alla domanda sul lascito dell’eredità risponde che è difficile perché la vita si sviluppa con gli eventi che accadono, ne sottolinea le contraddizioni; proviene dai Caraibi, terra in cui si sente la spinta alla riconciliazione ma anche la resistenza all’influenza del colonizzatore. Attraverso la poesia cerca di superare le contraddizioni, adora i poeti caraibici e vuole consolidarne la tradizione. Da “Nuova poesia americana – Volume III”, 2021: “La bellezza degli alberi la quieta,/ lei è quiete che fissa le foglie,/ immobili e verdi, che reggono il cielo/… gli occhi che fissano sbarrati, fondi, silenziosi/ fissi sugli alberi e sulla bellezza/ del cielo, del verde, delle foglie”.
Di nuovo la poesia italiana con la 6^ parte di “Di penna in penna”, Edoardo Albinati, romanziere vincitore nel 2016 del Premio Strega con “La scuola cattolica”, una storia dell’Italia degli anni ’70, autore anche di libri di poesia, introdotto da Mascolo. Dopo un lungo silenzio è tornato molto di recente alla poesia con una sorta di canzoniere erotico: si pone la domanda se è più forte il desiderio poetico o quello del corpo. Mentre la prosa avrebbe diluito i concetti, la poesia con i suoi versi è vista come lente per concentrare. Non c’è qualcosa di più profondo del centro della terra dove dovrebbe cessare la forza di gravità. Il sesso rende anonimi coloro che lo praticano…. “Afferrata, posseduta, trafitta, respinta, abbandonata”, ecco alcune espressioni che rendono la forza della sua visione erotica. Da “La tua bocca è la mia religione”, 2022: “… un corpo nudo dev’essersi infilato/ accanto a me nel letto, gelido come il ghiaccio/ … prima le gambe/ poi la schiena premute per scaldarsi contro di me/ che non capivo niente, non sentivo nulla…/ … Sei tu? Nel buio della semincoscienza ho allungato/ le mani: il morbido del seno, i capezzoli dritti”.
Ancora la “Poesia sconfinata”, siamo alla 6^ parte, con la tedesca Susan Stephan, anche scrittrice di prosa e saggi. La presenta Paola del Zoppo, parlando del senso della memoria e di come l’arte può essere trasmessa, vissuta e percepita tramite il vivere, nella prima sezione del suo libro la ballata con poesie su compositori quali Schubert e Chopin, nelle altre sezioni visite a Roma quando si è trovata di fronte a cosa vuol dire percepire la storia passata con arte e memoria e con la musealizzazione che vale per ogni altra arte. Anche la memoria funebre è coniugata alla possibilità della narrazione poetica avendo la capacità di non distogliere lo sguardo: l’ultima immagine è focalizzata su ciò che la poetessa vede non restringendola a percezione immediata ma per poter raccontare l’indicibile. Da “Manovra d’autunno”, 2016: “Il portale ben chiuso/ ma di lato una finestra in frantumi./ Un’immagine di cose abbandonate velate di polvere,/ vecchi strumenti elettrici/ … Sull’altare un silenzio troppo breve”.
Si conclude l’alternanza tra poeti italiani e poeti stranieri con la 7^ parte delle due ultime sezioni. In “Di penna in penna” due poetesse italiane, la prima, Maura Del Serra, è narratrice e traduttrice, autrice di “L’opera del vento” , editore Marsilio, premio Montale 1995. Mascolo nel presentarla la interroga sull’idea di poesia come conoscenza, risponde che ha una funzione conoscitiva ed è conoscenza essa stessa come diceva Pasternak. Ci fa cercare la luce e tanto più in tempi come questi permette di superare la violenza in cui siano imprigionati nella nostra realtà materiale mediante la congiunzione tra bellezza e verità; non c’è passività nel farsi parola, coscienza e conoscenza, la sua funzione attiene all’essere in quanto creatura, voce, coscienza intima civile e cosmica. Bisogna pensare all’assoluto invisibile come nostra dimensione teleologica senza mai dimenticarlo, siamo immersi nel cosmo di essenze invisibili e le portiamo con la poesia nella vita quotidiana: questa la funzione conoscitiva. Attraverso la parola poetica si può penetrare l’esistenza nel cosmo, non narcisismo e potere ma poesia a testimonianza individuale e collettiva. Il discorso poi va verso il sole e la notte, si estende all’agonia degli elementi acqua aria fuoco terra, fino ai profumi e agli affetti. C’è anche un omaggio a Umberto Saba. Da “Taccuini di certezza. Poesie 1999-2009”, 2010: “Tu dall’alto di un jet puoi contemplare/ tutte le strade per salire in vetta/ ma i tuoi piedi non possono percorrerne che una./ … L’arte può farti vivere ogni vita, scagliarti negli abissi o nella luna/ ma di una sola vita tu puoi testimoniare,/ sentirla eterna./… e quella/ per te è la storia, e niente la cancella”. Dell’altra poetessa, Maria Luisa Vezzali, introdotta da Fabrizio Fantoni, viene sottolineato lo sconfinamento dall’intimità all’esterno, nel movimento verso il paesaggio concepito come compenetrazione tra dentro e fuori; la vita si fa largo, il vento porta con se l’eco dello stare al mondo. Nello spettro di casa le scie di calore restano come funi tese tra le pareti, i giorni si arrampicano sul tetto, si avvolgono intorno al camino… serve calore. La camera da letto cigola… Uno sguardo all’angolo fuori tra gli infissi della finestra fa capire come la poesia nasca dalla percezione dello stare e posizionarsi e il continuo desiderio di sconfinamento; dalle coordinate temporali non viene nulla di certo, neanche la memoria, occorre disciplina ma è doloroso e si scivola nel passato e futuro mentre c’è da ancorarsi nel presente. Nell’orizzontalità della parola e nella verticalità della percezione poetica si coglie il senso della vita. Da “Tutto quanto”, 2018: “Non è vero che non siamo stati felici, abbiamo avuto leggende manifesti confusi tra case spezzate e chiglie gelide, venti radicali, onde senza compensi, infastiditi indocili come canne occhiute nell’immenso fogliame… / …..abbiamo avuto lettere piene di mattino, un paesaggio di corpi possibili./… Ma ora un logorio diverso di guerre che sembrano uguali. E non sappiamo che farmaco ci addormenta la notte”.
Nella “Poesia sconfinata”, parte 7^, la seconda attrazione dopo la poetessa bielorussa, è l’ucraino Ilya Kaminski, introdotto da Giorgia Sensi. La sua opera in versi è originale, racconta una storia con tono narrativo, in un testo di tipo teatrale ibrido con personaggi che non parlano in prima persona: sono due atti, un narratore nel primo atto, e un altro nel secondo atto, è la storia violenta e drammatica di un paese invaso da un esercito, è del 2019, sembra una premonizione. Cosa l’ha spinto, cosa gli ha dato l’ispirazione? Nel 1993 la sua famiglia fuggì dinanzi a un esercito invasore, lui rifugiato negli Stati Uniti non voleva parlare di guerra di invasione e di rifugiati, il suo scritto, ricco di immagini del mondo abbandonato, è un ponte tra il mondo lasciato e il nuovo mondo trovato negli Usa. Da “Repubblica sorda”, 2021: “Ora ciascuno di noi è/ testimone./ Vasenska ci guarda guardare quattro soldati che buttano Alfonso Barabinski sul marciapiede./ Glielo lasciamo prendere. Siamo tutti codardi./ Ciò che non diciamo/ ce lo portiamo in valigia, in tasca, nelle narici./ Dalla strada lo investono con cannoni ad acqua. Lui grida,/ poi smette./… Sotto un sole così forte/ ciascuno di noi/ è testimone/ prendono Alfonso/ e nessuno si fa avanti. Il nostro silenzio si fa avanti per noi”. La realtà attuale nell’Ucraina è ben diversa, contro l’invasore gli ucraini non sono testimoni muti ma combattenti, l’opposto dei codardi della poesia che descrive altre situazioni. Gli ucraini si sono battuti e si battono da eroi!
Ed ora … “la musica è finita”, anzi si può dire che “la poesia è finita” al termine di una giornata così intensa; ma gli amici non “se ne vanno”, è in scena Lina Sastri con il fascino sottile e insieme intenso della sua sensibilità artistica in un crescendo in cui poesia e canzone si intrecciano in storie evocate con toni accorati e insieme delicati. Il titolo “Appunti di viaggio”, il viaggio della sua vita, ben si collega a quello della manifestazione, “In viaggio con la poesia” come sottolinea Mascolo nell’accoglierla. E’ in completo pantalone nero su camicia bianca, al collo una sciarpa rossa lunga fino alle ginocchia, inizia dichiarando di sentirsi fuori posto senza il riflettore che isola sul palcoscenico, per di più in un incontro di poeti, non in uno spettacolo, anche se “la musica è poesia” e lei ha scritto delle poesie. Parla della madre con commozione, poi una carrellata sui grandi incontri della sua vita artistica, da Eduardo a Patroni Griffi, alternando l’italiano al napoletano in una narrazione suggestiva accompagnata dagli accordi della chitarra di Maurizio Pica che hanno dato un’eco profonda alle sue parole; e lei alla fine darà atto ai musicisti come lui che hanno valorizzato il suo teatro-canzone fatto anche di riflessioni a cuore aperto: citazioni teatrali seguite da poesie, canzoni seguite da confidenze e condivisioni di sentimenti.
Da “Lo suldato ‘nammurato” – che ha ricordato, come intensità pur nella diversità, la grande Anna Magnani – a “Reginella” fino a “Mala Femmena” con tante altre canzoni e al bis finale di “Terra mia” nel quale ha raggiunto il diapason canoro e interpretativo. E’ stata più di mezz’ora di magica suggestione, con il suo viso acceso nelle espressioni più vive – dolce e aggressiva, compunta e sorridente, febbrile e ispirata – e Mascolo al termine l’ha fatta aprire ancora alle confidenze sulla sua vita: una giovinezza presa dalla voglia di cambiare il mondo come i giovani di allora, quindi teatro di ricerca e di rottura in italiano, il napoletano legato alla tradizione non poteva esprimere la ribellione. Poi il cambiamento, “il tempo ci regala la possibilità di liberarci dalle cose inutili”, il suo teatro diventa napoletano, conosce Eduardo, scopre Filumena Marturano che fa di tutto per rivendicare la famiglia e l’appartenenza. Segue il cinema, a partire da “Mi manda Picone”, altri film per sette-otto anni, e finalmente la musica con il canto, prima non prevista, ed è quella che rimane stabilmente nel suo impegno artistico. Parla infine dei suoi programmi, uno spettacolo al Teatro dell’Opera della Crimea – dopo la poetessa bielorussa e il poeta ucraino un’altra evocazione dello stesso segno – ed è allo studio un film la cui sceneggiatura già scritta è tratta da un suo libro in ricordo della madre. Mascolo le fa gli “auguri per tutto” e a questo punto un gustosissimo siparietto, lei si agita ed esclama allarmata “auguri mai, perché porta male!”, e lui subito muta l’augurio in “in bocca al lupo”; ma lei non lo recepisce, si piega su se stessa e le scappa un “mannaggia” inquieto, Mascolo premuroso e imbarazzato dice “mannaggia, non lo devo dire, non lo dovevo dire” e lei “aspetta”, mentre lui preoccupato “che dobbiamo fare?” con lei che insiste “ha detto auguri.. .”, lui ripete “che dobbiamo fare ora?” e lei “dica in bocca al lupo”. Mascolo lo aveva già detto ma lo dice di nuovo per sentire la risposta rassicurata di lei “crepi il lupo, anzi viva il lupo”, quasi che con entrambe le opposte formule volesse garantirsi meglio, e per noi ha fatto bene, da abruzzesi che di lupi se ne intendono preferiamo la seconda. “Bene, perfetto!”, il commento di Mascolo, ed è così: è stata una prova inattesa di napoletanità genuina e verace, con Mascolo quasi da “spalla”, involontaria quanto efficace, in un duetto imperdibile, nell’autenticità spontanea che chiude “bene” e in modo “perfetto” la lunga giornata di serissima poesia come il botto finale dei fuochi di artificio nelle feste paesane.
Così la sfilata dei 50 poeti si è conclusa in maniera scoppiettante dopo la magica atmosfera creata da quest’artista così sensibile e appassionata. La maratona poetica è finita e anche la nostra narrazione. Il sigillo finale lo abbiamo trovato nei versi dell’ideatore e realizzatore da 15 anni della manifestazione, Emmanuele F. M. Emanuele, per l’apertura alla vita in questi momenti drammatici del passaggio dall’angoscia della pandemia, pur ancora presente, a quella della guerra di aggressione della Russia che il 24 febbraio ha invaso l’Ucraina. Dalla poesia “Vivere nel sole” che ha dato il titolo all’ultima raccolta pubblicata nel 2021 e apre il Catalogo della 15^ edizione dei “Ritratti di poesia”: “Ne ho sempre sentito la presenza,/ anche nei giorni più scuri e tristi,/ e ha illuminato, con il suo fulgore,/ il mio vivere./ Come una corazza e uno scudo/ ha protetto il mio essere/ e il divenire di ciò che è stato/ è dipeso dallo stare dentro di me/ dando vigore al mio pensiero/ e ai miei passi./ E oggi ancora lo guardo/ sebbene con occhi socchiusi,/ al mattino e sera,/ all’alba e al tramonto,/ considerandolo/ il protettore del mio esistere”. Un luminoso esempio per tutti.
Info
Auditorium della Conciliazione, via della Conciliazione 4, Roma. Il primo articolo sulla manifestazione è uscito in questo sito il 22 maggio 2022. Cfr. in questo sito i nostri articoli, sulle precedenti edizioni dei “Ritratti di poesia” 12 marzo 2020, 17 febbraio 2019, 1°, 5 marzo 2018, 10 marzo 2017, 10 febbraio 2016, 15 febbraio 2013, 9 maggio 2011; su Emmanuele F.M. Emanuele 22 ottobre 2019, 14, 20 aprile 2019; sulla citazione di Pasolini, gli articoli nel centenario della nascita il 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 marzo 2022; sulla citazione di Dante. gli articoli sulla recente mostra del pittore Gianni Testa sulla “Divina Commedia” il 23, 28, 29 marzo e 3 aprile 2022, sulle mostre “L’Inferno” di Rodin e di Roberta Coni 20 febbraio 2014, su una collezione dantesca 9, 10 luglio 2011. .
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Le immagini sono state tratte dalla pagina “Facebook” dei “Ritratti di Poesia”, si ringrazia l’organizzazione di Inventa Eventi, e in particolare Carla Caiafa, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Vincenzo Mascolo, nella conduzione della maratona poetica; seguono, “Idee di carta” 3^ parte, Massimo Morasso di AV con Vincenzo Mascolo, e “Ricordi della villeggiatura”, Cecco Mariniello con Vincenzo Mascolo; poi, “Poesia sconfinata” 2^ parte, la scozzese Kate Clanchy, e “Vita nova”, Stefano Carrai, con Vincenzo Mascolo; quindi, “Di penna in penna” 3^ parte, Annalisa Comes, a sin. in fondo Anna Toscano, e “Poesia sconfinata” 3^ parte, lo spagnolo José Carlos Rosales, a sin. in fondo Damiano Sinfonico; inoltre, “Di penna in penna” 4^ parte, Alessandra Carnaroli, a sin. in fondo Anna Toscano, e “Poesia sconfinata” 4^ parte, il palestinese Najwan Darwish, a sin. in fondo Simone Sibilio; ancora, “Di penna in penna” 5^ parte, Sara Ventroni, a sin. in fondo Gianni Montieri, e “Variazione in versi”, David Riondino; continua, “Poesia sconfinata” 5^ parte, la bielorussa Valzhina Mort“, a dx in fondo l’americano Ishion Hutchinson, e “Di penna in penna” 6^ parte, Edoardo Albinati; prosegue, “Poesia sconfinata” 6^ parte, la tedesca Susan Stephan, a dx, con Paola Del Zoppo, “Di penna in penna” 7^ parte, Maria Luisa Vezzali, a sin. in fondo Fabrizio Fantoni, “Poesia sconfinata” 7^ parte, l’ucraino Ilya Kaminski, a sin. in fondo Giorgia Sensi; poi, “Appunti di viaggio”, Lina Sastri, e Lina Sastri con Vincenzo Mascolo; quindi, Il pubblico del recital finale, e una visione d’insieme della sala; in chiusura, il palco vuoto al termine della maratona poetica.
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