De Chirico, trilogia I – 3. Dalla Metafisica “ferrarese” al ritorno al classicismo

di Romano Maria Levante

Prosegue la visione di “Il Film della mia vita”, come abbiamo chiamato, riferendoci al Maestro, il monumentale volume di Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, Siamo alla 3^ puntata della “fiction” in cui si snoda, dopo la 1^ dedicata all’educazione in Grecia, ai trasferimenti a  Monaco e Milano, poi Firenze con l’illuminazione metafisica di Piazza Santa Croce; e la 2^ agli sviluppi della Metafisica con il trasferimento a Parigi, dove nascono le Piazze d’Italia, la malinconia di Arianna, le rivoluzioni prospettiche e gli oggetti insensati, fino ai manichini, con la figura ispiratrice di Apollinaire. Un’evoluzione  artistica apparentemente incomprensibile decrittata dall’accurata ricerca di Benzi, che fornisce spiegazioni documentate anche per il seguito, altrettanto criptico nella Metafisica “ferrarese”.

“Le Muse inquietanti” , giugno 1918

La metafisica dei biscotti e oggetti insensati di Ferrara

Abbiamo lasciato de Chirico a Parigi, Apollinaire si è arruolato per la Grande Guerra nell’estate 1914, ma con l’entrata in campo dell’Italia anche lui viene richiamato in patria con il fratello Savinio. E’ il maggio 1915, vanno al distretto militare di Firenze, poi sono assegnati a Ferrara e all’artista vengono date mansioni di “scritturale” che gli permettono di dipingere, dopo una fase di assestamento iniziale, il “Portrait de Paul Guillame”, della prima parte dell’anno: è l’ultimo retaggio parigino, del resto è il mercante al quale ha lasciato i suoi quadri e con cui resterà in continuo contatto. E’ preciso e figurativo, come il “Ritratto di Carlo Cirelli” di ottobre, già sotto la naja; altrettanto figurativi“Natura morta”  e “Les jouets du prince”, stesso periodo, mentre nell’inverno con “Le projects de la jeune fille” torna l’apparente insensatezza del guanto con dei rocchetti in primo piano, ma a sinistra spicca un edificio rosso con la cima turrita.

Dopo la scomparsa di ogni reminiscenza localistica e poi anche di ogni senso logico, Ferrara comincia a entrare con forza nella sua ispirazione, cominciando dai palazzi. E la Metafisica delle piazze, le arcate e i manichini, per non parlare di Arianna? Sembra dimenticata, ma per una nuova Metafisica, quella “ferrarese”, con la quale cerca di “riannodare i fili della sua ispirazione” con “i nuovi segni che Ferrara gli suggerisce – è la chiave con cui Benzi interpreta l’indecifrabile – Vetrine di provincia con oggetti disordinati, dimenticati forse da generazioni, quasi vetrine di una  Wunderkammer dove si annidano stranezze di mondi lontani, oggetti il cui uso è stato apparentemente dimenticato e sembra appartenere ad altre, remore culture”.  Si tratta della cultura ebraica, del ghetto di Ferrara, che risveglia l’interesse di de Chirico coltivato nella Biblioteca Nazionale di Firenze, con l’ebraismo considerato da Reinach fondante la civiltà occidentale, giudaico-cristiana.

“La nostalgie de l’ingénieur”, prima metà 1916

E gli oggetti che lo colpiscono, esposti nelle vetrine e presenti nelle case, sono soprattutto, nelle sue parole, “dolci e biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane. A tale periodo appartengono i quadri detti ‘interni metafisici’.  A questi si aggiungono, fino a diventare prevalenti, oggetti geometrici, come squadre e righe da disegnatore, strumenti curvilinei e goniometri che provengono da un’altra “cultura”, le composizioni meccaniche futuriste, del movimento italianissimo da lui preferito, sia pure attribuendogli “molte debolezze”, al  cubismo “eminentemente francese” e al fauvismo. Tutto ciò si manifesta nelle opere della prima metà del 1916, quali  “Composizione metafisica” e “La nostalgie de l’ingénieur”,  “La révolte du sage” e Le fèdele serviteur” , “Le salut de l’ami lontain”, “Le deux après midi” . Mentre, nell’estate successiva, in “L’auge  juif”  torna una composizione da “manichino” formato dall’assemblaggio di righe e squadre da disegno, e in “Interno metafisico con grande officina” le squadre sono il contorno di un “quadro nel quadro”.

Nel settembre-dicembre 1916 un’altra novità, con i contorni dati dagli strumenti del disegnatore troviamo la cartina geografica dell’Istria,  altra manifestazione di italianità – oltre al riconoscimento dato al futurismo, al quale peraltro restò estraneo – dopo la notizia giunta a fine agosto dell’impiccagione da parte degli austriaci dell’irredentista istriano Cesare Battisti catturato sul sommergibile incagliato nel Quarnaro. Anche qui Benzi dà un’interpretazione: “E il coacervo di riquadri con oggetti, di squadre e segmenti tubolari, non è escluso che evochi l’affollato intrico degli interni dei sommergibili della prima guerra”. L’onda emotiva gli fa scrivere a Soffici “il cuore mio sventola ‘spiegato come una bandiera’”, parole del poeta che fa sue, e gli fa inserire una bandierina in “La mélanconie du départ” e in “La politique”,  non in “Natura morta evangelica” e “Le corseire”, nei quali comunque, come nei primi due, c’è la cartina dell’Istria.

“La révolte du sage”, metà 1916

Abbiamo sottolineato il suo riconoscimento del futurismo, al riguardo nacque un sodalizio con Carrà presentatogli da Soffici, peraltro quando entrambi avevano abbandonato il movimento. Carrà, anch’egli sotto le armi, si fece trasferire prima a Pieve di Cento vicino Ferrara, poi nell’aprile 1917 nella stessa Ferrara per stare con de Chirico. Voleva fondare una rivista, anche insieme a Soffici,  a Parigi, con il mercante Guillaume e Apollinaire, la cui morte nel 1918 fece cadere il progetto.

De Chirico è ancora legato ai temi “ferraresi”: nei suoi dipinti tra la primavera  e l’autunno 1917  abbiamo i biscotti in “Natura morta evangelica “, il “quadro nel quadro” con un’officina in “Le jeux du savant” e “Interno metafisico con piccola officina”, dopo quello con la “grande officina” dell’anno precedente, di nuovo il “quadro nel quadro”  in  “Le réve de Tobie” con un pesce  e in  “Interno metafisico con villa”.

“Le fidèle serviteur”, metà 1916

Rivediamo i “manichini” in due opere tra marzo e agosto, “La musa metafisica” eSolitudine”, ma non sono di  de Chirico nonostante i titoli, bensì di Carrà. Cos’è avvenuto?  De Chirico in “La révélation du solitaire” , ai biscotti “ferraresi” dentro un riquadro, ha aggiunto una parvenza di testa di manichino, senza rilievo ma evocativa. E allora, è sempre Benzi che interpreta: “Carrà aderisce entusiasta alle ‘rivelazioni’ dechirichiane, ma con una radice fortemente idealistica, dichiaratamente platonica, che si distacca di netto dal nichilismo vaticinatorio di de Chirico”. Con intenti ambiziosi: “Egli crea una sorta di ‘religione’ dell’arte, in cui tutto si risponde secondo regole armoniche e filosofiche, ma usa e abusa delle immagini e dei segni dechirichiani”. E seguendo queste modalità: “L’adozione entusiastica del tema del manichino, che egli sviluppa in questo momento più del suo inventore de Chirico (dal quale comunque la trasse), lo ricollega  a sue esperienze precedenti… di personaggi meccanici futuristi”.

De Chirico ne è influenzato, abbandona l’assemblaggio di oggetti del secondo periodo “ferrarese” senza tornare alla compressione degli spazi e della prospettiva dell’ultima fase parigina; gli stessi temi “ferraresi” tradizionali, prima citati,  assumono parvenze oniriche e inquietanti; inoltre, con gli strumenti da disegnatore e le carte geografiche istriane, “inizia a comparire con sempre più evidenza qualche squarcio  di natura apparentemente iperrealista”, ma che rappresenta invece un sogno evocato nell’”Autobiografia”, dal quale è nato l’”Interno metafisico con villa”.

“Interno metafisico con grande officina”, estate 1916

Ricompaiono i manichini

Ai manichini bianchi e statuari di Carrà de Chirico risponde, alla fine del 1917, con gli splendidi manichini  compositi e cromatici di “Il trovatore” e la coppia “Ettore e Andromaca”, nei quali restano le squadre ma di contorno, mentre in “Il grande metafisico” sono elementi strutturali.

E’ solo l’inizio, nel giugno 1918 con “Le Muse inquietanti” “trova la sua apoteosi” – osserva Benzi – “in un completo abbandono del sistema di trasfigurazione che de Chirico applicava nella prima fase della metafisica…, ma accrescendo così il senso di realismo oggettivo e straniante che è proprio dei sogni; la sostituzione dei personaggi umani  con i manichini, già elaborati al tempo di Parigi, accresce la ‘disumanizzazione’ e l’onirismo delle scene”. La figura seduta senza testa si ispira a una statua acefala che aveva visto al Museo Archeologico Nazionale di Atene, vicinissimo  all’Accademia di Belle Arti del Politecnico da lui frequentata. Si tratta della dea Artemide, alla base la scritta OMEGA,  come  fine del tempo, letta alla rovescia AGEMO come “Hegemone”, secondo Benzi “dovette fondersi nella sua memoria con l’idea dell’eterno ritorno nietzschiano:  ‘L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere’”, viene evocato anche Eraclito, “il filosofo dei misteri” molto seguito da Nietzsche e da de Chirico.

“Les jeux du savant”, maggio 1917

L’autore fa una considerazione di ordine generale:  “A Ferrara la Metafisica diviene dunque un incrocio potremmo dire ‘fatale’, non un vero  e proprio movimento ma un movimento in nuce, progettato ma mai concluso, un gruppo disomogeneo per quanto ristretto, il quale trasforma l’invenzione pura e autonoma di de Chirico nel linguaggio comune di una piccolissima falange di artisti che si pone in parallelo alle contemporanee sensibilità europee di ‘riforma’ delle avanguardie prebelliche”. E conclude: “La visione di de Chirico si allarga come un cerchio nell’acqua a Carrà, che ne riprende puntualmente i temi salienti (manichini, stanze incubatrici di sogni, oggetti misteriosi, carte geografiche, perfino i biscotti e i pani tratti dalle vetrine di fornai del ghetto di Ferrara) riverberandosi in poco tempo su Giorgio Morandi…, sul giovane Filippo de Pisis, sul fratello di Giorgio, Alberto Savinio, ancora solamente come poeta e critico, e sul nume tutelare di tutti, Ardengo Soffici”.

A Roma il “ritorno all’ordine” verso il classicismo

De Chirico, pur essendo il padre assoluto della pittura Metafisica, ci teneva  a mantenere unita quella “piccolissima falange”, anche per poter meglio penetrare in Italia dove era poco conosciuto avendo maturato a Parigi la propria crescita artistica. Ma questo gli creò dei problemi che vedremo.

“‘Interno metafisico con piccola officina”, primavera-estate 1917

Torniamo al clima che si respirava a Roma alla fine del 1918, ben diverso da quello “di inquieta sospensione” della fase bellica che aveva visto gli artisti disperdersi per il richiamo alle armi. Già nella primavera due mostre contrapposte movimentano l’ambiente romano: a maggio la collettiva alla galleria dell’Epoca con de Chirico e Carrà, che espongono quadri metafisici, Soffici e Prampolini; a giugno la mostra di Piacentini  e Tridenti con 7 giovani di orientamento secessionista.

Sembra in atto la ricerca faticosa di un ritorno all’ordine dopo il caos nell’arte creato dalle avanguardie. Viene fondata la rivista “Valori Plastici” aperta ai contributi degli artisti, apre i battenti la galleria “Casa d’arte Bragaglia”, si succedono le mostre di pittori delle varie correnti, futuristi in testa con Balla e Depero, oltre a de Chirico e Sironi. Non manca Picasso conosciuto ancora come cubista, anche se in Italia aveva riscoperto il classicismo; pure de Chirico a Roma nell’aprile 1918 per la propria mostra sente il fascino del classicismo, sul quale si è aperto un dibattito,  dopo le tante esperienze che lo avevano allontanato dai classici ma solo in parte, restando il richiamo in sottofondo.  Non si limita a discutere, dipinge tra giugno e luglio quello che è stato definito il “dittico amoroso”: la “testa di donna” preannunciata a Soffici per la mostra,  “Alcesti”, che incarna la sua fidanzata, con il riferimento classico degli occhi  rivolti in alto come le Niobidi, e in sequenza, tra luglio e novembre, il proprio  “Autoritratto”.

; inoltre, “Interno metafisico con villa”, estate 1917

C’è un ritorno di fiamma per la metafisica “ferrarese” del “quadro nel quadro” tra righe e squadre da disegno in quest’ultimo mese in “Natura morta con cascata  paesaggio” e “Interno metafisico con faro”,  dove cascata-paesaggio e faro sono incorniciati. E nella mostra del 2 febbraio 1919 espone i quadri metafisici più rappresentativi, dall’”Enigma dell’oracolo” e “L’enigma di un pomeriggio d’autunno” del 1910, a “ll trovatore”, “il grande metafisico” del 1917 fino alle “Muse inquietanti” del 1918 e al contestuale “Alcesti” che apre il nuovo corso.

Qui un cenno va fatto all’italica tragedia delle gelosie tra artisti,  Carrà, che dall’esperienza futurista aveva appreso l’importanza di un’etichetta artistica efficace come era la Metafisica, cercava di acquisirne il primato, sebbene fosse di de Chirico, al punto di boicottarne la partecipazione a una mostra del 1917 per apparirvi come unico metafisico presente; ma non si fermò qui, indusse l’amico Papini a suggerire a de Chirico Roberto Longhi come critico al quale sollecitare un articolo, mentre era d’accordo con loro per una stroncatura sul giornale “Il Tempo” dal titolo “Il dio ortopedico” uscita il giorno dopo la chiusura della mostra perchè non traesse vantaggi dal clamore suscitato.

Papini arrivò a proporre a Carrà – e non a de Chirico che non vi sarà nemmeno citato, cosa che gli aprirà gli occhi – di scrivere un libro dal titolo “Pittura metafisica”, dopo aver fatto cadere quello che lo considerava amico nella trappola del critico Longhi.  Benzi è molto circostanziato nell’analizzare i vari momenti di questo autentico complotto, dovuto alla frenesia di Carrà per rifarsi dall’uscita dal futurismo con l’aureola del creatore di un nuovo movimento altamente evocativo come  il metafisico, mentre gli avveduti parlavano “senza mezzi termini di plagio”.

“Ettore e Andromaca”, 1917

L’interesse non era del solo Carrà; de Chirico nell’Autobiografia scrive di essersi accorto tardi di essere “al centro di una congiura, e non sta fronteggiando solo l’ambizione del singolo Carrà”, che  godeva di molti appoggi mentre lui era isolato; ci sono anche gli altri, da Papini a Longhi, interessati ad essere protagonisti di un movimento che avrebbe dato “una nuova definizione dell’arte contemporanea”. De Chirico ne subì a lungo gli effetti negativi sulla sua vita artistica.

“Pictor classicus sum”, l’abdicazione alla metafisica 

Prima di riferire della “congiura” metafisica abbiamo accennato al nuovo fascino classicista riemerso tra il 1918 e il 1919, ma ancora “episodico e concettuale”, tanto che all’inizio del 1919 ancora dipinti metafisici di pregio, “I pesci sacri” e “Melanconia ermetica”, spogli ed essenziali senza più le divagazioni oniriche ferraresi e per questo  intensi ed efficaci, una sorta di botto finale.

Ormai il fascino classicista lo prende, scrive che alla vista di un quadro di Tiziano a Roma, durante la mostra nella galleria di Bragaglia, ebbe  “la rivelazione della grande pittura”. Per questo, dopo una condiscendenza verso il futurismo – ritenuto nella prima metà del 1919 “una necessità indiscutibile, un movimento che giovò immensamente alla nuova arte” – nella seconda parte dell’anno “la sua posizione si ribalta – dichiara Benzi – alla ricerca di un classicismo antiavanguardistico e di un “ritorno al mestiere” degli antichi, per cui ogni futurismo diviene un’aberrazione “che non ha nullamente giovato alla pittura italiana’”, scrive nei “Valori Plastici” a fine 1919.  Ed è questo il “ritorno all’ordine” del dopoguerra conclamato dalla rivista di Broglio.

“I pesci sacri””, inizio 1919,

Devono essere evitati gli accumuli di oggetti senza senso nati da sollecitazioni oniriche per una compostezza ispirata alla pittura rinascimentale, “in una ricostituzione ideale dell’ordine costruttivo dell’antica arte italiana”. Addirittura de Chirico si assoggetta a fare copie di opere antiche e, mentre copia un ritratto di Lorenzo Lotto alla galleria Borghese, ha un malessere fisico del tipo di quello provato quando ebbe l’illuminazione metafisica, ora ha dell’arte una nuova visione classicistica. Il “Ritratto di gentiluomo” di Lotto diventa il suo tenebroso “Ritratto d’uomo”, siamo nel luglio 1919.

Inizialmente è un classicismo che mantiene delle reminiscenze metafisiche, come “Ritratto dell’artista con la madre”, di fine primavera 1919, e anche la rivista “Valori Plastici” pubblica articoli accondiscendenti, di Carrà, Savinio e dello stesso de Chirico, con eventuali contaminazioni siano esse futuriste, metafisiche o altro. Sono dei mesi tra luglio e novembre i dipinti in cui sperimenta  la tecnica ad olio “all’antica”, e per questo “son tutti segnati dalle ossidazioni e dai prosciughi”: “Il ritorno del figliol prodigo” e “La vergine del tempo”, “Natura morta con le zucche (Le zucche)” e “Diana (Vestale)”.

“Il ritorno del figliol prodigo” , luglio-novembre 1919

La transizione non dura molto, presto “Valori Plastici” si irrigidirà, con tutto il suo gruppo, in una concezione molto rigida di classicismo. E dire che ne facevano parte sia Carrà, come si è visto già entusiasta della pittura metafisica al punto di volerla scippare a de Chirico;, sia il re della metafisica in persona, che evidentemente  stava abdicando, tutto preso dal nuovo amore per i classici!. I “valori plastici” secondo lui risiedevano nel Rinascimento, mentre secondo Carrà nel Trecento: prima si “litigavano” la Metafisica, ora il classicismo.

Dal “ritorno all’ordine “ al “richiamo all’ordine”, per così dire, e paradossalmente de Chirico è tra i più rigidi assertori dell’esigenza di una purezza assoluta. Dipinge “Autoritratto con busto antico e pennello”, che Benzi definisce “vero manifesto di un dipingere all’antica”, meglio conservato di quelli appena citati, segno che si è impadronito della tecnica pittorica classica. E’ novembre-dicembre 1919, scrive su “Valori Plastici”: “Mi fregio di tre parole che voglio siano il suggello d’ogni mia opera:  “Pictor classicus sum”. 

“Mercurio e i metafisici (La statua che si è mossa)””, 1920

Termina il 1919, il dado è tratto, la svolta si è compiuta e l’appassionante “Film” di Benzi ne celebra il Centenario. Della pittura metafisica resta solo un ricordo, anche se in qualche caso se ne vede la traccia nell’identificazione dei luoghi, con richiami greci, del resto classicità è anche Grecia antica. E’ il caso di “Il saluto degli Argonauti partenti”, siamo entrati nel 1920,  Benzi lo considera “il manifesto delle intenzioni del nuovo corso classicista dechirichiano” e lo associa all’”Enigma di un pomeriggio d’autunno”, entrambi segnano l’inizio di una fase, il “saluto” per quella classica,  l’”enigma”  per quella metafisica.

Dello stesso anno,  due “Mercurio e i metafisici”, nel primo il corpo nudo del dio sembra materializzarsi da una statua, nel secondo c’è addirittura la statua di Arianna al centro della piazza, ed “Edipo e la  Sfinge (Il tempio di Apollo)”,  non più vaticinatori ma dei: “Dallo stato dionisiaco nietzschiano della Metafisica la visione sembra essersi spostata sulla calma apollinea”, spiega Benzi; mentre in “Lucrezia”, dipinta tra il 1919 e il 1921, si notano segni metafisici nello squarcio di finestra triangolare con nuvolette, e l’incarnato finale è tipicamente classico.  Anche Picasso aveva abbracciato il classicismo, ma senza abbandonare il cubismo, li alternava, pur così diversi; mentre de Chirico diventava sempre più “Pictor classicus”.

“Mercurio e i metafisici”, fine 1920

Il suo entusiasmo per il nuovo corso classico è evidente nella lettera al mercante Guilllaume del 28 dicembre 1921 in cui propone una mostra per presentare la sua “nouvelle picture” ai francesi che pensavano si fosse smarrito, e scrive appassionatamente: “Ho risolto il problema tecnico della pittura in un modo eclatante: vedrete una pittura di una solidità, di una chiarezza, di un fascino e di un mistero meravigliosi”. Ma i francesi non la pensavano così,  e lui lo sapeva avendone scritto a Breton, con il quale avrà nuovi contatti nella fase surrealista.

Concludiamo questo terzo tempo del “Film” di Benzi con i suoi 3 “Autoritratti”, dopo quello del 1919:  la sua testa su fondo verde nel 1920-21, affiancata  a una testa da statua greca, come il “Ritratto d’Apollinaire, la sua figura al lato del Busto di Euripide con la scritta “Nulla sine tragoedia gloria”.

Ma le sorprese non finiscono mai, il rigore classicista si allentò e vennero le contaminazioni anche con un certo secentismo, de Chirico mostrò tutta la sua apertura a sollecitazioni opposte. Si entra nel periodo ‘romantico’”, ma poi verrà il surrealismo, un nuovo classicismo ed altro ancora, fino alla neo-metafisica, nell’evoluzione con rinnovamento continuo ma in una continuità di fondo di un artista irrequieto. Ne parleremo prossimamente nelle successive  puntate della “fiction” appassionante in cui si dipana “Il Film della mia vita” con la “regia” di Fabio Benzi.

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“Il saluto degli Argonauti partenti”,1920

Info

Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560; dal libro sono tratte le citazioni del testo. I successivi articoli sulle tre parti della trilogia usciranno in questo sito tutti nel mese di settembre 2019: i 4 articoli restanti sul libro di Benzi dopo l’attuale e quelli dei giorni 3 e 5 – la I parte della trilogia – nei giorni 9, 11, 13, 15; i 3 articoli sulla mostra di Genova – la II parte della trilogia – il 18, 20, 22 ; i 3 articoli sulla mostra di Torino – la III parte della trilogia – il 25, 27, 29 settembre. Per i nostri articoli precedenti su de Chirico degli anni 2016 e 2015, 2013 e 2010 cfr. le citazioni riportate in Info del precedente articolo del 3 settembre. Sugli artisti citati nel testo cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com, per Futuristi 7 marzo 2018, Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Morandi 17 maggio 2015, Secessione 21 gennaio 2015, Sironi 1, 14, 29 dicembre 2014, Cubisti 16 maggio 2013, Tiziano 10, 15 maggio 2013; in cultura.inabruzzo.it, “Il teatro del sogno” 30 settembre, 7 novembre, 1° dicembre 2011, Lotto 2, 12 giugno 2011, Futuristi 30 aprile, 1° settembre, 2 dicembre 2009, Picasso 4 febbraio 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).  

Foto

Le immagini delle opere di de Chirico riguardano il periodo considerato nel testo e sono riportate in ordine cronologico, a parte l’apertura; sono state riprese dal libro di Fabio Benzi, si ringraziano l’Autore con l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura, Le Muse inquietanti” giugno 1918; seguono, “La nostalgie de l’ingénieur” prima metà 1916, “e ““La révolte du sage” metà 1916, e “Le fidèle serviteur”, metà 1916; poi, “Le doux après-midi” metà 1916, e “Interno metafisico con grande officina” estate 1916; quindi, “Les jeux du savant” maggio 1917, e “‘Interno metafisico con piccola officina” primavera-estate 1917; inoltre, “Interno metafisico con villa” estate 1917, e “Ettore e Andromaca” 1917; ancora, “I pesci sacri” inizio 1919, e “Il ritorno del figliol prodigo” luglio-novembre 1919; continua, “Mercurio e i metafisici (La statua che si è mossa)” 1920, e “Mercurio e i metafisici” fine 1920; infine, “Il saluto degli Argonauti partenti” 1920 e, in chiusura, “Autoritratto con busto di Euripide” 1922.

Autoritratto con busto di Euripide” 1922

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