di Romano Maria Levante
cultura.inabruzzo.ir, 18 agosto 2009 Autore: Romano Maria Levante Tradizioni
Oggi, nell’indomani della pubblicazione del ricordo di Ciro Soria, anico carissimo e “uomo di mare” che ci ha lasciato un mese fa, ripubblichiamo la cronaca del viaggio indimenticabile del 2009 sulla sua imbarcazione “Luna” , meta l’annuale festa di Sant’Anna con il Palio dei Carri di Tespi sul mare di Ischia. Un viaggio il cui ricordo è ancora vivo per le qualità di Ciro il capitano, squisito nella sua ospitalità,, la bellezza della traversata e la manifestazione suggestiva vissuta molto da vicino; dell'”equipaggio” di due amici faceva parte Aldo Visco che ha tenuto l’orazione funebre al funerale nella chiesa di Santa Maria Regina Pacis. Lo rievochiamo in omaggio al carissimo Ciro con emozione mista ad autentica commozione sublimata nel segno della festa da lui sempre prediletta.
Sotto il Castello Aragonese la 77ema Festa a mare agli scogli di Sant’Anna
Tra le tante Giornate “dedicate” di questi ultimi mesi – dalla Musica popolare a quella senza aggettivi, dalle diversità culturali alla cultura ebraica, dalle tante tematiche artistiche a quelle socio-economiche – ci mancava una giornata vissuta anche dall’interno e non solo come attenti cronisti. Un assaggio è stata la giornata della pastorizia, nell’annuale Fiera sulla montagna teramana della Laga, con un tempo da tregenda tra acquazzoni rovinosi e squarci di sole. Abbiamo voluto viverne un’altra, questa volta sul mare, la festa di Sant’Anna nell’isola d’Ischia; e viverla dall’interno per noi ha significato raggiungerla in barca a vela, per coglierne interamente lo spirito marino.
Non si tratta di una semplice festa per un santo patrono, ma della Festa a mare agli scogli di Sant’Anna, che culmina nel palio marino di barche allegoriche e si conclude con l’esplosione di fuochi d’artificio fino all’“incendio” del Castello Aragonese, lo splendido maniero in cima all’isoletta-promontorio che domina lo specchio d’acqua nel quale si svolge la manifestazione.
Ve la raccontiamo tutta, compresa la navigazione su un bialbero di dodici metri dal nome “Luna”, insieme a tre esperti navigatori, Ciro il “comandante” con la moglie inglese Dilys a dare il tocco internazionale, e due amici ben assortiti, Aldo e Beppe, il cui imbarazzante cognome di Grillo dà il tocco dell’imprevedibilità e della fantasia, benché sia un “vice-comandante” metodico e riflessivo.
La navigazione da Nettuno a Ischia
Partenza da Nettuno a motore perché il mare è “forza quattro” e sarebbe più lungo bordeggiare di bolina con il vento contrario. Però viene issata anche una vela, rende la barca più stabile; la velocità è minima, quasi da jogging, sembra di andare sulle montagne russe. Si resiste al mal di mare, basta non scendere sottocoperta e mettere sotto i denti una galletta ai primi fastidi. D’altra parte, se si va in mare non dispiace sentirlo accanirsi sui fianchi dell’imbarcazione mentre la prua fende le onde tagliandole come una spada. E’ bello spostarsi nella parte anteriore, non si ha dinanzi la sagoma delle sartie con l’imponente albero maestro, pur nelle dimensioni contenute di un tredici metri; sembra di essere su una canoa, e allora non si sente più lo scuotimento dei cavalloni, prevale la lama che penetra nel burro dell’acqua marina.
Il sole non si sente affatto, la brezza neutralizza il calore ma non la forza dei suoi raggi. Ovviamente abbiamo dimenticato la crema solare protezione 30 che avevamo acquistato con inutile preveggenza, Aldo sopperisce con la sua, però è a protezione 4, ma è meglio di niente. Fa comunque il suo dovere, a sera non dobbiamo cospargerci di limone per rinfrescare le scottature, anche perché al momento opportuno una provvidenziale maglietta ha aiutato la crema solare.
Il Monte Circeo si staglia tra mare e cielo, sembra un’isola, per noi è familiare, non pensiamo affatto ad Ulisse e alla Maga Circe. Però una spontanea associazione di idee da appassionati dannunziani ci fa ripensare alla crociera che il Poeta fece sul veliero “Fantasia” di Edoardo Scarfoglio, “dalle immense vele”, per sbarcare in Grecia e raggiungere il Pireo a cavallo. Non abbiamo “immense vele” né c’è l’immaginifico, e noi cinque non somigliamo neppure al cenacolo dannunziano di Francavilla a mare, non ci sono artisti. Però come il “porfiriogenito” innamorato del mare al punto di immaginarsi nato su una barca dalle vele color porpora, si interrogava poeticamente “perché non sono anch’io coi miei pastori?”, chi scrive ha portato sull’imbarcazione il cappellino bianco con la figurina verde della pecora nella visiera della Fiera della pastorizia. Un modo per sentire riunite la testa di Camoscio e la coda di Sirena che sono il sigillo d’Abruzzo, “la regione verde d’Europa” che ora richiama anche le acque marine oltre ai boschi secolari.
La prima tappa è l’isola di Ponza, ed ecco comparire Palmarola alla sua destra, poi anche Zannone a sinistra. Ponza sta al centro, dall’avvistamento all’attracco il tempo è lunghissimo, non passa mai, i contorni dell’isola sono sempre più definiti finché entriamo nella cala Feola. La natura vulcanica è evidente nelle coste scoscese di pomice e altro materiale lavico. Si squaderna dinanzi a noi un fondale di villette arrampicate sulla collina a picco sul mare, ma senza eccessivi addensamenti, sono raggruppate in piccole strisce edificate, in orizzontale e in verticale, poi tanto verde. Sembrano le note di un pentagramma quando cala la notte e si accendono le luci.
La cena sottocoperta nel piccolo cabinato è un’esperienza da vivere. Nella tavola imbandita spicca un casuale tricolore, il verde dei peperoni arrosto, il bianco della bufala campana, il rosso dei pomidoro, sembra che il vano ristretto si allarghi e diventi un salone. Sarà l’appetito o le traveggole dopo una giornata di mare mosso?
Presto l’ambiente si trasforma in un dormitorio ben organizzato, due camere doppie a prua e a poppa, una al centro più due letti a castello. Ci sono otto posti, noi siamo cinque, la cortesia del comandante Ciro mi assegna l’intera cabina di prua, la “suite imperiale” dice. Non sa di farmi un regalo maggiore di quello che pensa, perché c’è un lucernario dal quale si vede il cielo. Anche questa volta chi scrive pensa in grande, l’associazione di idee è addirittura con il viaggio di Darwin intorno al mondo, quando dalla sua cuccetta, in realtà un’amaca sospesa sopra al tavolo del vano soggiorno dell’imbarcazione, ammirava il cielo notturno dal lucernario. Certo l’alloggio qui è migliore, una piccola cabina, ma non si può sperare di vedere la Croce del Sud. Neppure il cielo trapunto di .stelle di Pietracamela – il pensiero torna ancora alla montagna – qui è lattiginoso con una timida falce di luna. Per immaginare le stelle basta socchiudere gli occhi e guardare le luci delle abitazioni inerpicate sulla costa e quelle in cima agli alberi delle barche nella rada. Dipende dal “cappello delle isole”, la cappa di umidità genera una foschia attraverso la quale le stelle si intravedono sbiadite.
Risveglio all’alba, partenza di buon’ora dopo la ricca colazione a base di un’ottima marmellata portata da Beppe, è di sua produzione. La foschia si è stesa sul mare, l’orizzonte non “s’imporpora”, il mare traslucido come l’argento assorbe i raggi del sole sempre più luminosi. Costeggiamo l’isoletta Gavia, ieri era un puntino ora sembra grandissima, per l’effetto della prospettiva sul mare si moltiplica. Nessun’isola all’orizzonte, non ci sono più i riferimenti visivi di ieri, ma il Gps oltre all’esperienza del comandante Ciro non crea problemi. Lo si vede anche quando il motore si arresta all’improvviso. Nella bonaccia in cui ci troviamo oggi, al contrario di ieri, si riaffacciano i fantasmi dei romanzi di navigazione con il veliero bloccato per giorni interi. E la nostra meta? Nessun timore, basta spurgare l’aria dal condotto del gasolio, si elimina la bolla e la navigazione riprende; pensiamo che purtroppo non è così facile per gli esseri umani colpiti dall’embolia.
Scacciamo il pensiero fastidioso, senza un alito di vento il mare è una tavola che però si muove trasversalmente, un’onda lunga parallela alla rotta, ma il leggero moto ondulatorio è ben più sopportabile del violento moto sussultorio di ieri. Dovremmo essere presso Ventotene, anche se non si vede per la foschia, il visore del quadro comandi non può sbagliare; infatti appare una sagoma sfumata appena percettibile dalla forma caratteristica dell’isola. E’ tutto semplice, Ciro che si è alternato al timone con Beppe e Aldo, lo lascia alla signora Dilys, anche lei esperta, l’unico incompetente è chi scrive, del resto il reporter non è protagonista diretto degli eventi, li registra.
E così navighiamo verso Procida, Ischia è a un tiro di schioppo. La costa è molto più estesa di quanto pensavamo, e lo vedremo ancora di più quando la circumnavigheremo. Appare come un fondale teatrale il maestoso Castello Aragonese, su un’isoletta-promontorio unita da un ponte. Ma vi torneremo. Ci sorprende la vicina Vivara, una piccola isola collegata a Procida con un vecchio ponte ora non agibile, parco naturale incontaminato tutto verde e rocce a picco sul mare.
Ecco Procida con il promontorio e il carcere, la cupola e un addensarsi di abitazioni che non disturbano, sono le antiche case dei pescatori, l’insediamento umano è ormai incorporato nella natura che trionfa tutt’intorno. Per oggi le emozioni sono bastate, si getta l’ancora, il capitano e i due secondi, per così dire, sono impegnati nell’operazione.
Scendiamo a terra, ecco finalmente la crema protezione 30, ma ormai non serve più. Tuttavia “melius abundare quam deficere”, servirà quando riprenderemo la navigazione. Le melanzane ed altri cibi compaiono sulla tavola, Ciro è un impareggiabile anfitrione, aiutato da Beppe e Aldo. I due veri passeggeri sono chi scrive e la signora Dilys. Con Ciro, tutto preso dal ruolo di comandante, si parla della navigazione e dei luoghi che ben conosce, con Aldo e Beppe si spazia anche su altri temi, dall’attualità alla cultura, il tempo non passa mai e quando la barca oscilla non si può leggere, si rischierebbe il mal di mare, è possibile soltanto parlare, e neppure troppo.
La visita al Castello Aragonese
Nuovo risveglio di buonora, si va ad Ischia, la nostra meta. Giriamo di nuovo intorno all’isoletta-promontorio del Castello Aragonese, questa volta lo circumnavighiamo completamente, siamo impressionati dalla maestosità, è un tutt’uno con la rupe rocciosa in una fantasmagorica simbiosi nella natura. Mura imponenti circondano il promontorio, non sono megalitiche date le minori dimensioni delle pietre rispetto alle opere millenarie, ma l’effetto è il medesimo; spiccano nel verde mediterraneo su più livelli. E anche le costruzioni, che spesso si confondono con loro, si inerpicano su più ripiani fino a identificarsi anche con la rupe su cui sono state edificate, la incorporano o ne sono incorporate nelle forme, nei volumi e nei colori perfettamente integrati. E poi il Castello è uno spettacolo, i segni del tempo si intravedono nelle aperture buie, ma da lontano sembra intatto.
Siamo alla fonda nella rada dove ci sarà la manifestazione, occorre calare l’ancora alla giusta distanza dalle altre imbarcazioni, viene “ammainato” un canotto a motore, altra operazione attenta e meticolosa che impegna l’intero “equipaggio”, cioè i tre prima nominati. I due “passeggeri” assistono, e chi scrive lo fa con gratitudine perché il canotto è tutto per sbarcarlo a terra, precisamente ai piedi del Castello dov’è la tribuna della stampa per assistere al Palio marino.
La giornata è ancora lunga, niente di meglio che visitare il Castello dopo averlo tanto ammirato girandoci intorno lungo la costa. Dall’interno l’imponenza è confermata nella cinta di mura, che si percorrono lungo vialetti perfettamente tenuti tra il verde mediterraneo con belvedere mozzafiato da ogni lato della piccola isola: c’è il lato a picco su verde e mare incontaminato senza neppure una barca, e i lati che pullulano di barche alla fonda o in transito. Riconosciamo la barca di Ciro con gli occupanti, dall’alto sembra un modellino per la prospettiva. La fotografiamo, sarà un bel ricordo.
Quanto entusiasma l’esterno del Castello, tanto delude l’interno, per il semplice motivo che non c’è. Nel lungo elenco di siti indicati all’ingresso manca la residenza degli Aragonesi, il maschio del Castello, che ne è il cuore, che è tutto. Sapremo soltanto dopo che non è agibile, gli arredi e le opere d’arte furono portati al museo di Napoli, i due fratelli che lo acquistarono in un’asta dei primi del Novecento indetta dal Demanio che l’aveva lasciato in abbandono, hanno fatto già molto a restaurarne una parte. Che sono le “dependance”, pregevoli soltanto per la vista altrettanto mozzafiato che dalle mura; mentre la chiesa semidiroccata con la cupola ancora riconoscibile è senza dubbio suggestiva, come lo sono gli angoli merlati per la difesa.
La delusione viene superata dalla “scoperta”, sulla via dell’uscita, della grande cripta gentilizia costituita da un ambiente centrale con volte a crociera circondato da sette cappelle con volte a botte, e decorato da una serie di affreschi trecenteschi di scuola giottesca, deteriorati ma di notevole pregio, con immagini di santi; uno dei quali da prendere a simbolo dell’ignoranza umana, anzi disumana, reca incisi i nomi dei giovani che hanno voluto imprimervi la propria abissale incultura e insensibilità. La cripta fu individuata per caso dietro un muro di mattoni e aperta dieci anni fa. Suggestione opposta rispetto a quella dei panorami, ma non minore; la semioscurità, le volte a crociera e ciò che si vede fanno sentire tutto il fascino dell’antico, arte e storia ancora unite.
E quando usciamo “a riveder le stelle” ci troviamo di nuovo nel buio, in un tunnel scavato nella roccia; un’altra suggestione trovarsi all’improvviso nell’oscurità in un luogo rutilante di luce. Un buio che segue quello della ragione evocato dall’esposizione degli strumenti di tortura, una vera mostra tematica dell’orrore così completa e documentata nei particolari da far rabbrividire. Però, a parte i luoghi appena citati nelle opposte configurazioni di luce e di oscurità, la visita al Castello delude non per il suo contenuto effettivo, ma per le aspettative. Basterebbe precisarlo all’ingresso che la parte più consistente, la residenza aragonese, non è accessibile oppure, e sarebbe la cosa ovviamente migliore, fare uno sforzo in più: restaurare anche quella parte, ovviamente con l’intervento dello Stato che potrebbe poi rivalersi sulla gestione.
La miopia del Demanio privatizzò un secolo fa questo bene culturale di valore inestimabile; ma il concorso e l’associazione dei privati è il fulcro della nuova strategia di valorizzazione dei beni culturali presentata con grande rilievo dal presidente del Consiglio e dal nuovo Direttore Generale Mario Resca, che proprio nel settore privato ha dato prova di grandi capacità manageriali. E’ una sfida da lanciare, convinti come siamo della validità di questa strategia e delle capacità di realizzarla in chi ne ha avuto l’onore e l’onere con una così solenne investitura. L’identificazione con l’isoletta- promontorio ne fa l’equivalente di un “Palazzo Ducale” di Urbino, purtroppo questo di Ischia ha perduto la ricchezza e la magnificenza, riacquistasse almeno l’agibilità e la visibilità, passando da rudere pur interessante e significativo a testimonianza viva ed eloquente.
Il parallelo è meno ardito di quanto possa sembrare, anche il Castello Aragonese per lungo tempo è stato un palazzo-città. Nella rocca si rifugiavano in migliaia, soprattutto dopo l’eruzione del Monte Trippodi del 1331; ancora di più dopo che Alfonso d’Aragona ricostruì il vecchio maschio angioino e realizzò le poderose mura e fortificazioni entro le quali il popolo di Ischia trovò rifugio e protezione dalle scorrerie dei pirati. Alla fine del XVI secolo la rocca arrivò ad ospitare circa 1900 famiglie, l’intera popolazione dell’isola, e solo dopo il 1750, cessato il pericolo, la gente cominciò a scendere nella piana e a formare gli abitati sulle coste in prossimità delle bellissime insenature con accesso al mare. Fu una scelta oculata, nel 1809 gli inglesi assediarono la rocca tenuta dai francesi e la distrussero a cannonate. Poi fu sede di luoghi di pena dei Borboni. Nel 1912 la vendita.
Si è fatta sera, ci affrettiamo a occupare il nostro posto in tribuna, dopo una rapida pizza in uno dei tanti locali caratteristici di questo lato dell’Isola, il comune Ischia Ponte. Ridente, come gli altri numerosi approdi – elegante quello di Sant’Angelo, caratteristico quello di Forio – questo, però, si colloca nella dimensione creata dal Castello Aragonese, dove la storia è in simbiosi con la natura.
Il Palio sul mare della festa di Sant’Anna
E’ un’antica festa propiziatoria per le partorienti, che dura da 77 anni, prima le barche raggiungevano la chiesetta di Cartaromana addobbate con ghirlande di fiori e festoni di frutta, ora si presentano all’insegna della fantasia e si misurano in una gara d’arte e di bellezza per conquistare il palio, uno stendardo simbolico dipinto da un pittore locale. “E’una delle manifestazioni più importanti sotto il profilo culturale e storico della nostra isola, le cui origini sono antichissime – ha scritto il sindaco di Ischia Giuseppe Ferrandino.- uno spettacolo di quelli che forse oggi diventano sempre più rari, che non teme di far uscire dal ‘cilindro magico’ di tutto, colori, suoni, forme, per incantare il pubblico”.
La cornice d’eccezione è data dal Castello, un fondale che dà un’incredibile suggestione, è indescrivibile. Viene tenuto sgombro lo specchio d’acqua antistante, delimitato dal ponte, un insolito palcoscenico dove si esibiranno le straordinarie protagoniste di una vera e propria rappresentazione teatrale: le barche allegoriche realizzate in mesi di prove e di lavoro sulla spinta di un’antica tradizione e delle rivalità di campanile che porta con sé, in realtà piattaforme galleggianti sopra le quali è stata costruita una scenografia completa. Più tardi ci sarà la gara, si animeranno.
Una platea di natanti e motoscafi, yacht e panfili , con qualche barchetta, è assiepata ai bordi del “palcoscenico”. Avremmo voluto restare sulla barca come i compagni di navigazione, per immedesimarci meglio, ma la visuale sarebbe stata incerta, niente a che fare rispetto alla tribuna, per questo siamo scesi a terra. E già abbiamo avuto un vantaggio, abbiamo visitato il Castello, altri ne verranno con gli incontri che faremo, e ne daremo conto.
Ora il Castello è illuminato da una luce discreta, che rimbalza sulla severa facciata con le finestre che disegnano dei grandi buchi neri, avvolge le mura sempre più simili a una cintura protettiva, mentre il verde mediterraneo rimane come macchia scura appena lambita dal chiarore. Spicca come un Castello d’If inaccessibile, una Torre di Babele che si alza verso il cielo alla pari di un vulcano.
A bordo vasca, per così dire, un palco da dove un cantante isolano, Nick Pantalone, aiuta a ingannare l’attesa con le sue melodie, affiancato da una volenterosa cabarettista locale. E poi la presentatrice che farà un’appassionata radiocronaca della serata. Tutto ben organizzato.
Il nostro posto di osservazione è davvero privilegiato, siamo nell’area della stampa dietro la Giuria. Però ci spostiamo in avanti e prendiamo posto alla destra dell’artista autore del Palio, il giovane pittore Massimo Venia, che ci mostra il dipinto sul suo telefonino, lo vediamo anche nello stendardo poco lontano. Rappresenta una cascata di fuochi d’artificio che si solleva dal mare, come in effetti avverrà, ha voluto raffigurare il “clou” della festa, i fuochi; noi vi troviamo qualcosa di più, la delicatezza del tratto delinea forme delicate, stellari, quasi simboli religiosi che rimandano alla cupola diroccata in alto nel Castello, una sintesi di valori, dunque, anche spirituali. Accoglie compiaciuto la nostra interpretazione e insieme attendiamo l’inizio della sfilata delle barche in gara.
In realtà è una sfilata di carri su enormi zattere, in passato hanno partecipato anche i maestri d’ascia del Carnevale di Viareggio, fuori concorso. Ma è riduttivo definirli così, sono altrettanti Carri di Tespi che si presentano uno dopo l’altro sul proscenio di un set di sogno per mostrare le loro coreografie in una rappresentazione teatrale muta, in un confronto a distanza serrato. La componente artistica non viene trascurata, i bozzetti sono stati esposti nell’isola, il migliore avrà il premio Funiciello, la scenografia prescelta avrà il premio Nerone, l’arguto soprannome di un personaggio locale entrato con Funiciello nella storia della festa di Sant’Anna, furono i primi a passare dalle barche con frasche e ghirlande a zattere con figurazioni, poi a fare le gare.
I carri sono cinque, manca solo Barano tra i comuni dell’Isola, in passato c’è stata anche Procida, fortissima; quest’anno problemi e dissidi vari ne hanno impedito la partecipazione. Assistiamo alla sfilata, lentissima e tuttavia avvincente; nel giro intorno ai bordi dello specchio d’acqua che fa il set in movimento sul mare si attende che si avvicini al massimo per coglierne tutti i particolari.
L’inizio è in sordina, con la “Storia della Sambuca” di Casamicciola, il comune rimasto nell’immaginario collettivo per il catastrofico terremoto nel quale rimase sepolto ma per fortuna si salvò, anche Benedetto Croce. Il soggetto presentato non fa nulla per allontanare il brutto ricordo, anche se richiama la Dolce vita; infatti la Sambuca, evocata visivamente da una gigantesca bottiglia galleggiante con due grandi bicchieri ai lati e davanti scene di vita mondana, non è fatta per suscitare particolari entusiasmi, anche se ideata e prodotta da un personaggio del luogo, quindi è stato giusto ricordarla, pur se la resa scenica è modesta. Il pubblico rimane freddo, nonostante la calda serata.
Viene accolta meglio “La storia del pesce Filippo” di Lacco Ameno, una fiaba animata, di quelle fatte per spaventare i bambini affinché non siano avventati, una sorta di Cappuccetto rosso che viene preso da un pesce invece che da un lupo, fino all’arrivo provvidenziale del cacciatore, pardon, dell’angelo salvatore, con il lieto fine assicurato. Le piccole mongolfiere rosse che si innalzano, a sorpresa, dal carro, ne sollevano, ma non più di tanto, le sorti, che sembrano segnate, un buon piazzamento e nulla più.
Con “La Nuova Assunta” di Serrara Fontana, comune arrampicato sulla scogliera che vede il mare dall’alto, sembra realizzarsi il miracolo della Svizzera di Alinghi nella Coppa America, l’unica nazione non bagnata dalle acque che ha vinto il trofeo marinaro per eccellenza, un ossimoro mondiale. Qui l’ossimoro si preannuncia isolano; questo carro, che fa pensare all’audacia di un varo dalla montagna, sembra non avere rivali. Il veliero è un capolavoro, perfetta la riproduzione delle sartie, suggestiva la scenografia con la vedetta in coffa, la ciurma che fa “ammuina” in un’esplosione di vitalità napoletana coinvolgente, tra un teatro di marionette e un Masaniello marittimo. Anche l’autore del Palio al nostro fianco lo vede virtualmente issato su quel pennone. Il successo è travolgente.
Ma non si deve precipitare il giudizio, le vie per toccare il cuore sono infinite, e le due barche successive propongono scenografie che puntano sull’emozione piuttosto che sulla tecnica.
Scivola verso di noi il carro di Ischia Ponte, la località in cui ci troviamo, gioca in casa ma va dato onore al merito. E’ come se la chiesa diroccata del Castello sopra di noi si specchiasse sul mare miracolosamente ricostruita con la sua cupola. Questo per celebrare, con la cornice di pubblico che merita, “Il matrimonio di Vittoria Colonna e Ferrante di Avalos”, avvenuto 500 anni prima, una delle storie edificanti e torbide del castello. Gli sposi sono davanti all’altare, dietro l’officiante nella solennità degli abiti talari e della mitria, intorno i dignitari in costume e il popolo. La scena incute soggezione per la sua compostezza, fino all’irrompere dei giullari e dei saltimbanchi che intrecciano le loro acrobazie nello scatenarsi della festa rinascimentale.
Non c’è tempo di riprendersi dalla sorpresa che arriva l’ultimo carro, mentre quello precedente termina lentamente il suo lungo giro seguito ancora dagli sguardi degli spettatori. E’ il “Bar internazionale Maria” di Forio, “un angolo di Paradiso”, due modeste casette da pensione estiva, una di colore rosa; avventori, e scene di vita dignitosa, quanto ha assicurato per decenni il Bar Maria nel comune di Forio. E’ la proprietaria l’invisibile artefice e protagonista della magnifica accoglienza e del delizioso soggiorno ad artisti, pittori, e a tanti altri personaggi. Generale è il rimpianto, la sua scomparsa si intuisce dai grandi ventagli che scendono avanti alle casette; c’è malinconia e non oblio, la memoria è nella grande fotografia di Maria che una mongolfiera porta in alto nel cielo.
Un’esistenza semplice e virtuosa, evocativa di un tempo trascorso si contrappone alla ritualità sacrale e nobiliare di personaggi d’antico lignaggio, entrambe competono con la vitalità di una Piedigrotta sul mare a bordo del veliero così acclamato. Prevarrà il sentimento, la storia o la vita?
Lina Sastri, seduta dinanzi a noi, non ha dubbi, è per il sentimento. Raffinata e sensibile come sempre, ha toccato gli animi con il breve intermezzo di “’O surdato ‘nnamurato”; mentre il cantante lo intonava dal palco un intervistatore in tribuna le ha porto il microfono e dopo molte insistenze l’ha convinta, mentre la canzone scorreva; è entrata in contrappunto con il cantante, poche note accorate che sono andate dritte al cuore, come quelle della Magnani nella “Sciantosa”, un sigillo di arte e di napoletanità. Vorrebbe dire la sua preferenza nel giro di opinioni finale sulla festa, non può, non deve. Si è schierata e attende il verdetto senza speranze, il veliero sembra imbattibile.
I risultati della gara, il Palio è andato al sentimento
Ma ecco i risultati cominciando dall’ultima, la Sanbuca, e non poteva essere altrimenti. E’ una sorpresa che la storia di Tommaso abbia sopravanzato il matrimonio al Castello, ma ora l’interesse è sui primi due. Viene proclamato il secondo, è il veliero, la Sastri capisce a volo chi è il vincitore ed esulta, la sua è un’esplosione di entusiasmo mentre la giuria viene coperta di fischi. Ha vinto il sentimento che si legge negli occhi febbrili della delicata attrice, l’allegria nella vita può attendere. Certamente la fotografia di Maria portata in cielo dalla mongolfiera ha avuto il suo peso, i voti di differenza sono stati solo due, 42 a 40, un battito di ciglia forse inumidite dall’evocazione celeste.
Il contrasto tra pubblico e giuria è stato rumoroso – anche se al veliero viene assegnato uno dei premi- satellite, il “Premio Nerone” – ma non quanto i fuochi artificiali a chiusura di ognuna delle cinque esibizioni per scatenarsi al termine nell’apoteosi finale. Dopo i fuochi verso il cielo dai carri, questi vanno insolitamente in orizzontale, verso la tribuna, come ventagli monocromatici a forma di corolle e di piante che si aprono, di stelle e di delicati arabeschi, quasi che il Palio dipinto si fosse acceso di luci; alternati con esplosioni a grappolo nel tripudio di colori di una Piedigrotta spumeggiante sul mare. I cui riflessi moltiplicavano l’effetto mentre il Castello si incendiava di rosso, quasi a rivaleggiare con Nerone evocato dal premio di consolazione, avvampando dal cielo al mare. Quando tutto è finito lo spettacolo del Castello che si staglia superbo su un proscenio di barche anch’esse illuminate su un mare tornato d’argento, non ha eguali, tanto più in una serata in cui arte e cultura hanno attinto alla tradizione.
Questo vuol dire valorizzare ambiente naturale e storia locale mantenendo viva una memoria popolare che è insieme identità di un nobile passato e garanzia per il futuro. C’è anche Giampiero Mughini, in un settore alla nostra destra, non resistiamo a chiedergli un commento, l’indomani presenterà a Lacco Ameno il suo “Gli anni della peggio gioventù”. Non si smentisce, ha l’inconfondibile verve che conosciamo: “Uno spettacolo vivace e raffinato in un posto straordinario, si è spremuto dalla natura e dalla storia, dalla cultura e dalla serata, tutto quello che si è potuto spremere”.
Anche a Lina Sastri chiediamo un commento, la risposta è in carattere con la sua sensibilità: “Una manifestazione popolare, tanta gente che partecipa significa che vuol essere coinvolta con la propria terra, con le proprie radici”.
Queste parole fanno pensare, ed allora avanziamo una modesta proposta, nata dalla profonda impressione provata per quanto abbiamo visto. Perché non farne uno spettacolo itinerante- tale era il Carro di Tespi – per non bruciare in una sola serata, per quanto indimenticabile, tanto impegno ed energia, tanta inventiva e tanta arte? Le isole partenopee, e perché no, la costa campana, potrebbero moltiplicare le serate, farne momenti significativi di quella “circolazione delle attività culturali” che è uno degli strumenti della politica di valorizzazione del patrimonio artistico del paese. E abbiamo già detto come il bene culturale del Castello Aragonese potrebbe essere a sua volta valorizzato, con l’effetto moltiplicativo della sinergia con la natura, la storia e la tradizione.
Lina Sastri dovrebbe esserne l’ineguagliabile madrina, e siamo certi ne sarebbe entusiasta, come lo è stata all’annuncio del risultato dopo aver seguito l’intero spettacolo con totale immedesimazione.
I Carri di Tespi del mare potrebbero essere quelli di Ischia, nei suoi sei comuni, che hanno l’antica tradizione di Sant’Anna. Ma pensiamo a cosa potrebbe nascere se si aggiungessero quelli delle altre isole, Procida già ha partecipato in passato, ma poi ci sono Capri e Ponza, Ventotene e le altre isole, per non parlare delle perle della costa napoletana. Non solo “piazze” estive per gli spettacoli turistici, ma possibili protagoniste di grandi rappresentazioni sul mare con i loro scenari naturali tanto suggestivi. In un campionato estivo, come le coppe calcistiche; con eliminatorie e finali.
Crediamo che a Lina Sastri anche questa prospettiva piacerebbe senz’altro.
Photo
Le immagini delle località incontrate lungo il viaggio e del Palio dei Carri di Tespi alla Festa di Sant’Anna ad Ischia del 2009 – andate perdute quelle originarie nel trasferimento dell’articolo dal sito chiuso a quello attuale – sono tratte dai siti web seguenti, di cui si ringraziano i titolari, precisando che sono inserite a puro scopo illustrativo senza alcun intento di natura commerciale o pubblicitaria, e se la pubblicazione di alcune di esse non fosse gradita dai titolari dei diritti basta comunicarlo che saranno immediatamente eliminate. I siti web sono i seguenti in ordine di tema e di inserimento: per le località lungo la traversata: Nettuno e-borghi.com, Monte Circeo nauticareport.it, Ponza visitgaeta.it, Palmarola tripadvisor.it , Zannone planetmountain.com, Ventotene latitudeslife.com, Procida italia.it, Ischia Porto ischialike.com; per il Castello Aragonese, turismo.it, ischialike.com, castelloaragoneseischia.com; per le 7 immagini della festa, tutte ischiasky.it, cui va il merito di rendere disponibili le immagini del 2009; per l’incendio del Castello Aragonese, ischiablog.it, ischia.it, ischianews.it. Di nuovo grazie a tutti. Le foto delle località attraversate sono intervallate da alcune immagini della barca “Luna” nei diversi momenti descritti. In apertura, Ciro, il “capitano”, sale sulla sua “Luna” per il viaggio verso Ischia, seguono, la Partenza da Nettuno e Il promontorio del Monte Circeo, quindi Ponza e Palmarola, inoltre Zannone e Ventotene, continua, Procida e Porto d’Ischia, prosegue, Il Castello Aragonese; con ‘L’nterno del Castello, la Cripta e Gli affreschi del Castello; poi, Il Palio dei Carri di Tespi, “Storia della Sambuca” di Casamicciola, e “La Nuova Assunta” di Serrara Fontana, “Il matrimonio di Vittoria Colonna e Ferrante di Avalos” di Ischia Ponte, e “Bar internazionale Maria, un angolo di Paradiso” di Forio; prosegue, La sfilata del Carro di Forio vincitore e Uno scorcio della tribuna e delle barche alla fonda; poi, Le luci della manifestazione e L'”incendio” del Castello Aragonese; qundi, L’avvampare dell'”incendio” del Castello dal cielo al mare; inoltre, I fuochi pirotecnici di chiusura; infine, Sulla via del ritorno (in un viaggio successivo) e , in chiusura, Ciro, il “capitano”, al timone della sua “Luna”.
2 Responses to Ischia, festa di Sant’Anna, il palio dei Carri di Tespi
- Romano Maria Levante 29 settembre 2009 a 17:28
Grazie, ma è tutto vero, è la cronaca fedele di un bel viaggio e di una bella festa sul mare, Mughini e Lina Sastri compresi.
Romano
- CIRO SORIA 28 settembre 2009 a 20:34
Bravo Romano certo che ne hai di fantasia