di Romano Maria Levante “
La mostra “A. T. Anghelopoulos. Ex-Change” espone nella sede della Banca Generali di Roma dal 7 ottobre al 12 novembre una serie di opere con i cicli pittorici di un artista il quale guarda la realtà con occhi penetranti, cerca di non farsi ingannare dalle apparenze e fissa con la pittura le frammentazioni, fratture e ostacoli che si frappongono quando si vuole esplorare in profondità la vita dell’uomo nella società contemporanea. Si inserisce nella Settimana di arte contemporanea “Rome Art Week” inaugurata alla Casina Valadier con la mostra site-specific “Inner Life” di Anghelopoulos e Micaela Legnaioli. Sia la mostra alla Casina Valadier che questa alla Banca Generali sono a cura di Sabrina Consolini intervenuta sull’artista anche nella precedente mostra del 2015 al Vittoriano. Catalogo di Campitano Editore Service.
E’ una “location” inconsueta quella della mostra, sottolineata dal “private banker” della banca ospitante che l’ha voluta, Andrea Petrangeli, con queste significative parole: “Considerato il luogo dell’evento, il centro direzionale di un’importante istituzione bancaria, ambiente che più di altri incarna gli archetipi delle moderne società – mercato, profitto, successo economico – quel titolo suona come una provocazione, un incauto incitamento alla diserzione”. Lo interpreta quale mutamento del punto di osservazione, per avere “un diverso sguardo sul mondo, quindi inevitabilmente sulla condizione umana”. Come “osservatore semplice” – cita le parole di Anghelopoulos – e non di semplice osservatore, “scavalcando le convenzioni, i giochi di ruolo, il pensiero di massa”. Ne dà conferma la curatrice Sabrina Consolini affermando – prima delle considerazioni sulla cifra artistica espressa nei diversi cicli pittorici – che “Anghelopoulos, uomo e artista lontano da mode e tendenze traccia un percorso nel quale la lettura personale travalica ogni esperienza collettiva restituendo pura intimità all’esperienza sensoriale”.
Dalla fotografia alla pittura che trascende il reale
Con queste presentazioni intriganti si avverte ncora di più la sfida posta da ogni artista contemporaneo che si allontana dal figurativo per l’astrazione indefinita. Il primo problema è quello dell’interpretazione delle opere, per la quale non basta l’osservazione da visitatore attento, ma vanno ricercati indizi e orientamenti nella biografia dell’artista e occorre documentarsi su sue esternazioni che aiutino a decifrare ciò che appare incomprensibile; a volte pure all’artista, diremmo, almeno quando l’opera è “Untitled”, ed è anche il nostro caso per alcune delle opere esposte. “L’ “osservatore semplice” è già un indizio, ma non basta.
E’ un artista affermato, molte mostre personali e collettive in Italia – dove vive a Roma – e all’estero, apprezzato anche dalla critica straniera, la definizione di “artista di alto livello” é della curatrice italo-francese con attività internazionale Dominique Stella. La biografia registra che frequentava dei corsi di pittura sin nell’infanzia, a dieci anni, e nel contempo prendeva lezioni di chitarra classica, trattandosi di una famiglia di musicofili, è stato un lettore accanito di classici e di poesie, con predilezione per Montale, ha studiato psichiatria e neurologia; si è appassionato anche alla fotografia, fino ad aprire un laboratorio semi-professionale. In questa molteplicità di interessi Laura Colonnelli vede una “nostalgia del Rinascimento, quando un artista era anche scienziato, letterato, filosofo, musicista”.
Nella pittura inizia con il figurativo, nello studio di Gigino Falconi, lo attira anche Monet, ma l’arte contemporanea diventa un richiamo irresistibile, predilige Dalì e Rothko, Magritte e Schifano, per questo vi si dedica dopo una sorta di duplice “autoritratto” da fotografo imbarazzato perché mentre vuole riprendere ciò che lo circonda vede che sono maschere decomposte (“Me shooting”, 2009); o gli si frappone un ostacolo che cerca di superare sporgendosi attraverso un varco (“The Camera Man”, 2010).
Chissà se l’”autoritratto” confuso e tormentato non sia la confessione di aver scoperto che è inutile riprendere la realtà con la fotocamera, perché sfugge e non è quella che appare! La nostra interpretazione si basa sul carattere dell’artista, impegnato a indagare e ricercare, esplorare e perimentare, per cui ci sembra logico pensare che abbia voluto esternare con quegli “autoritratti” rivelatori il passaggio del Rubicone non solo dalla fotografia alla pittura ma dal figurativo all’astratto.
Una conferma si trova nelle sue parole, una “interpretazione autentica” della propria vocazione pittorica: “L’arte non deve copiare la realtà ma tornare ad amare l’uomo, provocarne l’intelligenza, portare l’osservatore in una dimensione che trascenda il reale, nella quale proprio l’uomo sia al centro di tutto, di ogni pensiero, di ogni progetto, di ogni fine”.
L’assonanza con l’affermazione di Roberto Longhi secondo cui “l’arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa” porta Gianfranco Ferroni ad affermare che “Anghelopoulos traccia un percorso dove la lettura personale travalica ogni esperienza collettiva, restituendo un senso intimistico all’esperienza dell’apprendimento”; mentre Silvana Lazzarino vede in lui “il desiderio di riscoprire nuove possibilità per lasciare che le emozioni individuali possano sfiorarsi”.
Sono tutte interpretazioni in linea con quella della curatrice, che non debbono far pensare a un disimpegno dai temi collettivi, tutt’altro, perché per meglio approfondirli occorre scrollarsi di dosso le convenzioni della società massificata nella libera visione individuale e personale. Ne dà chiara conferma la Consolini, dopo aver parlato di “lettura personale” e “pura intimità”: “Insofferente verso i ritmi, i miti e i riti della contemporaneità, Anghelopoulos è convinto che l’arte debba veicolare valori universali e parlare della condizione umana nel presente”.
Come parla della condizione umana dell’uomo contemporaneo lo spiega Federico Castelli Gallinara: “Al centro della sua ricerca pittorica l’uomo e la sua difficoltà e impossibilità di contatti realmente solidali e profondi con i suoi simili, il rapporto tra conoscenza e mondo interiore, tra tensione intellettuale e emozioni, la sua ricerca di verità nascoste sotto la superficie delle cose”. Ripensiamo alla lunga ricerca di Ennio Calabria sul “tempo dell’essere” nella rivoluzione permanente del progresso, espressa in opere pittoriche radicalmente diverse da quelle di Anghelopoulos ma mosse da una analoga esigenza interiore.
L’ “osservatore semplice” che guarda “oltre”
Dunque una visione della vita dell’uomo e della realtà libera dalle sollecitazioni interessate della società massificata, al di là delle apparenze fuorvianti. Ma cosa vede con gli occhi dell’“osservatore semplice” ? E come lo esprime nella sua trasposizione, anzi trasfigurazione, il nostro artista?
Aver sottolineato il carattere prettamente “individuale” e “personale” di questa sua visione non basta per decifrarne le forme espressive, all’apparenza incomprensibili, anzi le rende ancora più criptiche in quanto proprio per questo non decodificabili a livello collettivo.
Claudio Strinati, nella presentazione alla mostra del 2015, fornisce qualcosa di più di una chiave di lettura, il codice per aprire, come una “password”, immagini come crittogrammi. Per lo storico e critico dell’arte, in Anghelopoulos c’è un “disimpegno” non solo del Dio – come intitola una sua serie che vedremo – ma in termini più generali, in un concezione dell’arte antitetica all’”arte impegnata” anche in termini politici, si pensi all’opposto in Guttuso. Il disimpegno “è quel luogo dell’arte posto al confine tra un territorio e l’altro, il territorio dell’evidenza e della forza espressiva e quello del mistero e della sparizione”.
A questo punto il critico sarebbe lui stesso indecifrabile se non precisasse: “Sparizione non solo e non tanto dell’oggetto rappresentato, ma della volontà espressiva stessa dell’artista”. In una sorta di “non esserci”, di “sottrarsi”, inconcepibile se non fosse motivato dalla volontà di sparire per vedere meglio immergendosi, diciamo noi, da sottomarino che alza il periscopio a 360°. Ciò corrisponde – torniamo a Strinati – “all’’ingresso in una dimensione analoga a quella che in matematica si rintraccia nei numeri ‘negativi’, nel ‘meno uno’ e così via”.
E’ una dimensione che allontana dalla visione esistenziale della vita quotidiana, con le sue false apparenze e fa entrare in mondi invisibili ma esistenti come quelli esplorati dalla scienza alla ricerca di risposte sulla nascita della vita e sui meccanismi che regolano l’Universo. Al riguardo il critico cita la meccanica quantistica, con l’”antimateria” e i “buschi neri” fino al “neutrino”, con l’annullamento di tempo e spazio, elementi invisibili ma veri che pongono tanti interrogativi: “Sono quesiti innumerevoli e traumatici tendenti tutti a farci pensare che esista un altrove che è la vera realtà e quello che percepiamo sia apparenza al di là della quale c’è, appunto, l’‘oltre’; l’arte di Anghelopoulos sembra mossa da tale istanza”. Quindi a questo “oltre”, oggetto dell’attenzione della scienza, si rivolge anche la ricerca che definiremmo leonardesca, del nostro artista, e lì dobbiamo trovare il segreto della sua forma espressiva, perché vi risiedono gli equilibri invisibili ma decisivi nel macrocosmo dell’universo con i corpi celesti, come nel microcosmo dell’atomo di cui è composta la nostra materia.
Le opere con la visione della condizione umana da parte dell’artista
Guardiamo le sue opere con queste chiavi di lettura, la visione “individuale” e “personale” dell’artista libero dalle sensazioni ingannevoli offerte dalla realtà, e il suo “guardare oltre” penetrando al di là di ogni evidenza sensoriale per scavare in profondità.
Abbiamo cercato di esplorare i suoi intenti, ma come decodificare le sue realizzazioni? Aiutano in questo le parole di Castelli Gallinara: “Nasce così una pittura potentemente materica, spessa e colorata, textures che rimandano a dimensioni al contempo cosmiche e e neuronali, finestre su un mondo complesso dove si intrecciano mistero, rivelazione, malcerte promesse e barlumi di speranze, in una struggente attesa di cambiamento”.
Nella prima serie della galleria espositiva, i 2 “Passages”, del 2015, definiti dalla curatrice “sfumati”, vediamo una superficie pittorica con quello che la Colonnelli chiama “il dilagare dell’oro”, per ”le ampie campiture di colore, che piano piano virano verso l’oro assoluto, quello di Giotto, dei trecentisti, delle icone bizantine”; c’è l’oro anche nei due “Untitled”, del 2016-17, con diverse tonalità e gradazioni.
Più avanti, i 3 “Point of View” sono “enigmatici”, tre simil-istogrammi bianchi calati dall’alto, immersi in un fondale d’oro, nell’opera del 2016, mentre nelle 2 opere del 2018 sono immersi in un fondo nero con dei riflessi chiari sotto agli istogrammi, rispettivamente due e tre; come se nei due anni trascorsi i “punti di vista” fossero passati dalla luce al buio.
Nulla da aggiungere alla definizione di “filigrane meditative” data dalla curatrice per “Trama (Weave)”. 2016, se non che sono anch’esse intessute d’oro.
Per interpretare le altre serie torniamo agli intenti dell’artista come espressi nella traduzione pittorica secondo la visione della Consolini: ”In questo percorso alle radici dell’esistenza, in questa riflessione sul senso della vita si materializzano davanti allo spettatore spiragli, portali, varchi, occasioni per una riflessione, inviti ad alzare lo sguardo, e perché no a compiere un passo nella misteriosa e luminosa direzione offerta, oltre i confini claustrofobici dell’ovvio, del quotidiano, lontano dalle sabbie mobili del consumo e ben oltre la superficie delle cose, una irresistibile induzione al fatidico passo oltre i confini del proprio perimetro vitale, oltre la superficie delle cose, un’istigazione alla rivolta”. Ci tornano in mente le parole ’incitamento alla diserzione” dell’esponente della Banca che ospita la mostra, consapevole di come vi sia particolarmente esposto chi, per sua stessa affermazione, “più di altri incarna gli archetipi delle moderne società, mercato, profitto, successo economico“. Ma nessun timore, ricordiamo che quella di Anghelopoulos non è un’“arte impegnata” sul piano politico.
La Consolini nel 2015 aveva già indicato come si manifestano questi “confini claustrofobici” negli addensamenti materici di alcune opere che generano nell’osservatore “la sensazione di una mancanza di visuale o di una visuale insufficiente, soffocata. E’ come se con queste opere egli volesse ricordarci che l’esistenza di ciascuno è circoscritta da un invisibile diaframma, una pellicola che lo protegge dal mondo esterno”. Lo protegge ma nello stesso tempo lo imprigiona, per cui “quello che l’uomo riesce a concedersi è inevitabilmente un’occhiata furtiva, uno sguardo limitato a ciò che sta intorno, uno sguardo costretto a farsi largo tra le fitte trame difensive di un vero e proprio bozzolo”; attraverso quelli che lei stessa oggi chiama “spiragli, varchi, portali per una riflessione”.
Vediamo questi addensamenti materici claustrofobici e soffocanti nelle due opere esposte dal titolo “God Engagement”, 2014-15, è i l”disimpegno del Dio” perché anche la divinità si arrende dinanzi ai muri dell’esistenza, il piano pittorico sembra una superficie lunare, una variazione della “Superficie fratturata bianca”, 2012, dell’esposizione precedente., dove anche il trittico “Sulle orme di Dante”, 2015, presentava il Paradiso dorato schiacciato tra un Purgatorio dalla superficie “fratturata” come nel “God Engagement” e da un Inferno in cui nella barriera invalicabile spunta una piccola lucertola, l’unico elemento figurativo, ispirato a quella di bronzo fusa dal Bernini alla base del baldacchino dell’altare della Basilica di San Pietro.
Così l’ha definita Anghelopoulos: “E’ simbolo di rinascita, perché cambia pelle. L’ho adottata come sentinella dell’anima, simbolo di veglia attenta tra occhi offuscati e menti obnubiliate”; e ha concluso: “Se esiste un inferno questo è sulla terra, di essa e dei suoi abitanti dovremmo occuparci prima di tutto”. Altra prova che il suo apparente “disimpegno” è per meglio “impegnarsi” in una visione che penetra “oltre”, come dimostra la sua lucertolina simbolica ed evocativa. Ricordiamo, per averli commentati, l’”Inferno” nei disegni di Rodin e nei dipinti di Roberta Comi, le tre cantiche nei dipinti di Gianni Ttesta, raffigurazioni di una realtà immaginata nel figurativo, qui siamo nell’astrazione assoluta e imperscrutabile.
Il simbolo di rinascita dall’inferno “sulla terra” è dunque presente, ma sembrerebbe velleitario, se stiamo alla serie “Deep Sky (Cielo Denso)”, 3 opere dal 2013 al 2015, quasi sovrapponibili con minime varianti nella bianca rugosità che lascia trapelare minimi spiragli di azzurro, piccole fessure sulla coltre bianca soffocante che copre il cielo come la cenere dell’eruzione copriva Pompei. Con una quarta opera, intitolata significativamente “Inner Sky (Cielo interiore)”, del 2015, però, si ribaltano le proporzioni: il bianco è soltanto nei modesti spazi prima dedicati agli spiragli di azzurro, il “cielo interiore” è azzurro e blu intenso; mentre l’opera con lo stesso titolo del 2012 era in celeste chiaro, la citiamo per il significato che può avere questa maggiore intensità nel senso di una penetrazione più profonda. Vi troviamo un invito a leggere dentro di sé per trovare la chiarezza che ci nega il mondo esterno, anche quando eleviamo lo sguardo verso il cielo: che non è il “cielo stellato” di Kant, il quale peraltro vedeva “dentro di noi” la legge morale, quasi una proiezione interna del firmamento. Anghelopoulos ha reso visivamente questa visione.
Ma non è tutto, Strinati ha scritto: “Le sue superfici vengono percepite come graffiate, soffocanti per certi versi, e viene da paragonarle a crateri lunari, visioni satellitari, filamenti celesti, viaggi in mezzo a cieli densi di nuvole pesanti e tempestose”. “ cita Klee e Rothko, aggiungendo: “Ma sempre si avverte l’eco, sulle sue superfici. di bagliori che si stanno spegnendo, di visioni in cui non si riesce a scorgere più nulla, di una specie di ritorno al futuro…”.
Lo abbiamo visto con l’oro che risplende pur nella desolazione, e negli spiragli di azzurro nel cielo coperto di “cenere” che diventano firmamento interiore con poche macchie residue. Ora lo vediamo nella “Serie Turner – Senza titolo”, 3 opere del 2018 ispirate al grande artista dalle straordinarie visioni naturali, con i suoi cieli nelle più diverse meteorologie serene o tempestose. Con un contorno dorato si passa dal rosso-arancio a due azzurri con diverse striature bianche che sono proprio i “filamenti celesti” evocati da Strinati che, insieme ai “bagliori”, pur se “si stanno spegnendo”, rappresentano comunque un’apertura, qualcosa di altamente positivo e di salvifico. E’ un finale in bellezza che apre il cuore alla speranza.
La “Bella Principessa”, metafora del mistero della vita interiore
La figura umana è assente in questa esplorazione che diremmo cosmica, ma l’artista non l’ha dimenticata. E, a parte i due “Autoritratti” citati – che non sono tali nell’accezione tradizionale, perchè esprimono il disorientamento che lo ha portato dalla fotografia alla pittura con gli intenti e la visione sottesi – non possiamo non ricordare l’opera esposta nella mostra del 2015 “Vita interiore-Inner life”, del 2014, espressa nel volto della “Bella Principessa”, ritratto attribuito a Leonardo, in cui Anghelopoulos colloca un vistoso ingranaggio, che parte dalla parte destra del viso e prosegue nella spalla. Un intervento leonardesco, possiamo dire, considerando che il grande genio del Rinascimento abbinava nei suoi “codici” disegni di ingranaggi e di parti del corpo umano ugualmente oggetto della sua inesausta ricerca.
Il nostro artista ha spiegato così quella che potrebbe sembrare una profanazione del delicatissimo volto e della figura femminile: “Ho voluto raffigurare il suo lato nascosto, il lato sottratto per sempre agli sguardi del mondo e per ciò stesso metafora del mistero che circonda la vita interiore del soggetto ritratto”. Il mistero che “ella, come ciascuno di noi porta con sé”, è spiegato così dalla Colonnelli: “La creatura in cui carne e anima sono un tutt’uno a riflettere l’immagine divina, è ormai un mezzo robot…. l’uomo non è più la magnifica creatura celebrata da Leonardo e dai pensatori suoi contemporanei, ma una macchina vivente totalmente manipolabile. E sempre più misera e inaccessibile appare la sua vita interiore”. Per la Consolini “l’inaccessibile emivolto, ora svelato, assurge a metafora del mistero che circonda la vita interiore… un magma di desideri, paure, pulsioni, lati oscuri. Il complesso ingranaggio innestato sul suo profilo… è parte di quel mistero svelato, è una proiezione degli insondabili ingranaggi interiori, è vita interiore”.
Anche se quest’opera sulla “Vita interiore” non è presente nella mostra attuale, è esposta la già citata “Inner Sky (Cielo Interiore)” il cui azzurro, divenuto ancora più intenso di un’opera precedente, ha scacciato la cenere soffocante del “Deep Sky” , una metafora dell’”Ex-Change”, come “occasione di ricontrattare le regole d’ingaggio con la realtà”. Sono parole della curatrice Consolini che così conclude la sua presentazione: “Cosa sono queste opere se non l’occasione per l’impossibile di realizzarsi, per l’imprevedibile di diventare realtà, l’opportunità – che solo l’arte fornisce– di ‘sognare contro il mondo e strutturare mondi che sono altri’, citazione quest’ultima di Steiner che ci riporta all’assunto iniziale.
E’ compito dell’ artista, un “osservatore semplice” che come Bertoldo possa dire: “Il re è nudo”.
Info
Banca Generali, Roma, Via Leonida Bissolati 76, dal lunedì al venerdì, ore 9,00-17,00, ingesso gratuito. Catalogo “A. T. Anghelopoulos. Ex. Change”, Campisano Editore Service, ottobre 2019, pp. 34, bilingue italiano-inglese, formato 20 x 20; per la mostra del 2015 al Vittoriano, catalogo “Tra materia e anima, tra memoria e tempo. A. T. Anghelopoulos, Andrea Pinchi”, a cura di Claudio Strinati, Gangemi Editore, novembre 2015, pp. 112, bilingue italiano-inglese, formato 24 x 28. Dai due cataloghi sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli sugli artisti e i temi citati: in questo sito, su Leonardo 2, 4 giugno 2019; in www.arteculturaoggi.com, per la mostra precedente, “Anghelopoulos e Pinchi, astratto e concreto al Vittoriano” 16 novembre 2015, Calabria 31 dicembre 2018, 4, 10 gennaio 2019, Turner 17 giugno, 4, 7 luglio 2018, Guttuso, 14, 26, 30 luglio 2018, 16 ottobre 2017, 27 settembre, 2 e 4 ottobre 2016, 25 e 30 gennaio 2013; Klee 1° e 5 gennaio 2013, Dalì 28 novembre, 2 e 24 dicembre 2012, Rothko, nella Collezione del Guggenheim 22 e 29 novembre, 11 dicembre 2012; Monet e gli impressionisti 12, 18, 27 gennaio 2015, 11 maggio 2014; per le visioni dell’Inferno, Rodin, Roberta Comi 20 febbraio 2013, per le tre cantiche Gianni Testa 14 settembre 2014; per le visioni cosmiche “Meteoriti”5 ottobre 2014, per i “numeri negativi” e simili,””Numeri” 23, 26 aprile 2015; in cultura.inabruzzo.it, Leonardo, 6 febbraio 2012, 23 febbraio 2011, 11 gennaio 2010, 6 luglio e 30 settembre 2009, Monet e gli impressionisti 27 e 29 giugno 2010; guidaconsumatore.fotografia, Schifano 15 novembre 2011 (i due ultimi siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini, riportate nell’ordine in cui sono citate nel testo, sono tratte dal Catalogo dell’attuale mostra, tranne quella di apertura fornita cortesemente dalla curatrice, e quella di chiusura tratta dal Catalogo della mostra del 2015, si ringraziano Sabrina Consolini, i due Editori, con i titolari dei diritti, in particolare l’artista Anghelopoulos, per l’opportunità offerta. In apertura, Anghelopoulos all’inaugurazione dinanzi a una sua opera della serie “Passages” ; seguono, 2 opere intitolate “Passages” entrambe 2015, e “Untitled” 2017; poi, 2 opere intitolate “Point of View” 2016 e 2018, e “Trama (Weave)” “2016; inoltre 2 opere intitolate “God disengagement – Disimpegno del Dio” 2014 e 2015; ancora, 2 opere intitolate “Dense Sky (Cielo Denso)” 2013 e 2015, e “Inner Sky (Cielo Interiore)” 2015; infine, 2 opere intitolate “Serie Turner – Senza titolo” entrambe 2018; in chiusura, “Vita Interiore – Inner Life” 2014.
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