di Romano Maria Levante
Nel trentennale della caduta del Muro di Berlino la mostra “Il Muro infranto, Berlino, 9 novembre 1909, di Anna Di Benedetto Pace” espone dall’8 novembre 2019 al 15 gennaio 2020 alla Sala da Feltre – Open Art agli Orti di Trastevere in Roma, una serie di istantanee scattate dalla fotoreporter inviata nel novembre 1989 a Berlino. La mostra è a cura di Sabrina Consolini. Nel catalogo di Gangemi Editore International le immagini sono accompagnate dalla cronaca viva di quei giorni dell’autrice dello storico “reportage”.
L’evento e la testimone che lo ha fissato nelle immagini
Ci sono eventi, tragici o festosi, che segnano l’immaginario collettivo a livello planetario, a ognuno capita di chiedersi, e spesso di ricordare, dov’era quando ha ricevuto la notizia dell’attentato a Kenendy o di quello alle Torri Gemelle, così per la caduta del Muro di Berlino. Esattamente trent’anni fa, il 9 novembre 1989, siamo rimasti avvinti davanti al televisore, come tutti del resto, partecipi della gioia collettiva che bucava lo schermo, con un popolo che si liberava da una segregazione trentennale. Un anno dopo siamo andati a Berlino, c’era ancora aria di festa ma il momento magico era passato, del muro restavano poche tracce anche se venivano venduti frammenti con un’improbabile certificato di autentica in fotocopia.
Anna Di Benedetto, invece, si è trovata a Berlino e ha potuto vivere direttamente i momenti topici di un simile evento. Infatti, da giovane giornalista, in quall’inizio di novembre, era stata inviata dal settimanale “Il Sabato”, rilanciato alla grande da Paolo Liguori, a Berlino per un servizio su come la città viveva un momento di attesa per quello che si muoveva al di là del muro, dopo i primi segni di allentamento delle ferree misure restrittive evidenti nella svolta impressa da Gorbaciov. Una giornalista fotoreporter, qualificata e intraprendente, nello stesso 1989 la sua partecipazione a Torino Fotografia 1989, tre anni prima a “Vetrina” nel Parterre di Firenze, all’estero alla Biennale dei giovani di Barcellona. Quindi la persona giusta, con l’entusiasmo giovanile e la professionalità giusta, nel posto giusto al momento giusto.
Nel trentennale dell’evento presenta una selezione tra le 300 fotografie scattate, sono state scelte immagini quasi di quotidianità, con i volti raggianti di gioia della gente dell’est che incontrava quella dell’Ovest altrettanto felice del ricongiungimento tanto atteso. Oltre a quelle, naturalmente, del “Muro della vergogna” con i giovani che lo aggrediscono con piccoli punteruoli, incapaci anche di scalfirlo per “souvenir”, ma in grado di esprimere tutta la rabbia repressa che si sfoga come può.
Da allora la fotografia di ricerca è stata la grande passione della Di Benedetto, sui quattro elementi, acqua, fuoco, terra, aria, sulla luce e il buio, ma anche su grandi campioni dello sport. Dopo quotidiani e riviste, entra in RAI , con rubriche e reportage culturali, dalle opere d’arte dimenticate ai restauri, dal buio della distruzione alla luce della ricostruzione della “Fenice” di Venezia, dalla lirica nei grandi teatri all’architettura delle nostre città; nel Giubileo del 2000 esplora la storia e la cultura del “cammino medioevale”, sua l’inchiesta premiata su “I cantieri della Serenissima”e quella di successo sulla figura di Caterina da Siena, sua la rubrica “Angeli d’Europa” nei luoghi di cultura europei con le loro storie. Non mancano video, cortometraggi e, naturalmente, interviste ai personaggi del mondo della cultura. Sono alcuni elementi tratti fior da fiore da una vita professionale nella cultura particolarmente intensa.
Ma questo è stato “dopo”, nel 1989 la vediamo attiva e intraprendente, nella Berlino sospesa dall’incertezza, pronta a cogliere l’occasione che si sarebbe presentata di fissare sulla pellicola un momento epocale. E lo fa in un “reportage” che ci viene proposto come si trattasse di un’opera teatrale in 3 quadri: “Divisioni”, “La Gabbia”, “Il cambiamento”.
Le immagini esposte ci fanno rivivere le emozioni che, pur da lontano, provammo tutti davanti al televisore. In prevalenza c’è il Muro, nella sua presenza incombente, i “graffiti” colorati dei writers metropolitani hanno ingentilito l’immagine spettrale che resta nella realtà per i morti che ha provocato; ma anche immagini della gente comune, dell’Est e dell’Ovest. La galleria si apre con “I segni e le ombre”, rivelatrice del clima, poi la sequenza di fotografie nei 3 “quadri” della rappresentazione evocativa.
Il “reportage”, le Divisioni, la Gabbia, Il cambiamento
Le “Divisioni” suscitano la “Giostra dei sentimenti”, ansie e attese davanti a un muro che è un “tazebao”, si legge “Doors not Walls” – ripensiamo a scritte attuali dello stesso tono – e anche in grandi caratteri “Kant”, chissà se è un richiamo al cielo stellato, che l’ oppressione non può cancellare, e soprattutto alla legge morale che invece viene calpestata. Due immagini sull’”Attesa” mostrano la gente che si accalca intorno al muro, le voci che si potrà passare si sono moltiplicate, si cerca una posizione di prima fila per essere tra i primi, i graffiti variopinti sembrano sottolineare la festa che si preannuncia. C’è qualcuno che non può più aspettare, “Il cuore oltre l’ostacolo” lo mostra aggrappato alla sommità del muro, la scritta “El Salvador” fa pensare alla salvezza, più che alla nazione sudamericana. Ma ancora “Una sentinella della Germania Est vigila sul muro alla Porta di Brandeburgo”, lo vediamo in piedi serio e compassato, restano i pericoli della reazione dei “Vopos”, ma per fortuna sono increduli e in qualche caso fraternizzano, non aggressivi.
Tanto che, mentre “Un ragazzo e una ragazza guardano in una sorta di buco aperto nel muro, improvvisamente una sentinella si affaccia dall’altra parte”. E’ forse l’immagine più straordinaria dell’intero servizio, rende perfettamente la costrizione dell’Est dove anche un buco viene sorvegliato, rispetto all’Ovest, la testa bionda della ragazza contrasta mirabilmente con l’occhiuta presenza oltre il Muro. Ed ecco “Il varco”, il Muro è ripreso da lontano, si vede la gente che si accalca per passare dall’altra parte.
Le 10 immagini che documentano “La Gabbia” mostrano le due facce della realtà. Una faccia la vediamo nella “Tenacia” dei giovani che scalfiscono impotenti il muro con i loro scalpelli, e nei “Frammenti di memoria”, sempre con i graffiti variopinti, che si cerca di prendere come “souvenir” quando ormai non vi sono più dubbi sul lieto fine; non solo giovani tedeschi, anche una figura con una giacca a vento rossa e un cappello a bombetta da peruviano; “Al di là del muro” si attende, è vicino il momento di rivedere i propri cari e amici segregati nell’Est della città.
Dell’altra faccia della realtà, vediamo il volto e la figura degli agenti, con le loro divise e i loro berretti che non incutono più timore, sono ormai inoffensivi, in “Contrapposizioni. La libertà controllata” e “Confine” la gente discute con loro. Ma non si possono dimenticare i “vopos” assassini: lo testimonia “L’ultima croce per Chris”, la vediamo fissata a una rete vicino al muro nel ricordo del ragazzo ucciso nel tentativo di superarlo per raggiungere Berlino Ovest, il 6 febbraio, nove mesi prima della caduta del Muro; ripensiamo al proiettile che in “All’Ovest niente di nuovo”, fulmina il giovane sulla trincea a guerra ormai finita, proviamo la stessa stretta al cuore che ci suscitò allora quell’immagine di morte così ingiusta e beffarda.
Nel terzo “quadro” dell’opera teatrale che viene presentata per immagini, “Il cambiamento”, vediamo i due “vopos” presi dal “Dubbio”, hanno il colbacco, vicino ad una rete, il terreno coperto di neve, l’immagine di una “Fuga” sulla neve è enigmatica, come lo sono le “Vestigia contrastanti”, il Muro in primo piano e le colonne della Porta di Brandemburgo di sfondo sfuocate, ancora i “Cuori ribelli” e la “New generation” , giovani che scalano il muro o lo scalfiscono con punteruoli, c’è ancora “Il freddo della storia” nei volti di alcuni, ma le minestre calde e il vin brulé dell’“Accoglienza e solidarietà” della gente dell’Ovest riscaldano i fratelli dell’Est; le immagini sono eloquenti, non c’è più il Muro, la comunità si è subito ricostituita, anche se non mancano le discussioni, si cominciano a confrontare le rispettive esistenze, così diverse.
I “Colori del futuro” e il “Sogno d’Occidente” offrono immagini espressive dei miraggi che si aprono, la rutilante auto sportiva rossa dov’erano le utilitarie Trabant a due tempi come una motocicletta, rumorose e inquinanti, l’ampolla con all’interno qualcosa cui solo la fantasia può dare un contenuto, i colori e il futuro compongono una miscela inebriante. Ma si finisce con il Muro, “Uno squarcio verso la zona franca”, nome ingannevole perché al contrario era chiamata più propriamente “striscia della morte”, lì i “vopos” facevano le loro vittime. E l’alta fessura “Per guardare oltre”, che fa scoprire l’antenna televisiva alta 360 metri, con cui l’Est sfidava l’Ovest, ma il sole riflettendosi sulla sfera posta alla sommità creava per un effetto ottico l’immagine di una croce, beneaugurante come segno divino, che le autorità cercarono di eliminare senza riuscirci.
Con questa notazione termina il diario per immagini della Di Benedetto Pace, mentre l’ultima visione del Muro, in primissimo piano, sebbene sia imponente, quasi ingigantito, non fa più paura, i graffiti sono in parte scorticati dai tentativi di aprire dei varchi o rendere “souvenir”, è “L’arte strappata”. Per poco tempo il Muro diventerà un reperto, poi verrà tolta ogni traccia, la vista anche di pochi tratti inizialmente lasciati come “memento” era fonte di ricordi angosciosi, con la loro scomparsa la liberazione si è compiuta. Comunque, “La città ritrovata” si presenta subito nel suo ritorno alla normalità di prima del Muro.
I ricordi di quei momenti dell’amica giornalista
Tutto questo è stato colto dall’autrice del “reportage”, di cui abbiamo citato i titoli, con gli altri motivi contenuti nelle ulteriori immagini del suo archivio; ci si chiede qual è stato il criterio della scelta, dato che la maggior parte delle immagini sono “normali”, nessun effetto speciale di arte fotografica. Per lo più vediamo la quotidianità di una giornata pur straordinaria, l’evento ricondotto a una dimensione domestica. Ma per scattare tante fotografie nel torpore dell’attesa prima, nella concitazione dell’evento poi, c’è voluta molta energia, con la fotoreporter in punti di osservazione spesso acrobatici, oppure nei passaggi tra Est e Ovest quando ancora le notizie rimbalzavano incerte e mutevoli, fino alla sospirata conferma data per comunicato stampa, .ma poi tradottasi in un’ondata popolare irrefrenabile, come una valanga umana.
Così rievoca quei momenti Maria Gabriella Susanna, giornalista anche lei che ha condiviso quei momenti a Berlino con la Di Benedetto Pace: “Bisognava fotografare tutto e tutti in un solo momento. Cogliere gli stati d’animo, gli abbracci e l’energia dei colpi di scalpello per salvare le scritte, i murales da immortalare come iconografie di un secolo. Ognuno portava a casa un frammento di quei graffiti con poesie, disegni pop, dichiarazioni d’amore e anche parole oscene contro il potere, che avevano costituito un dialogo muto tra i tedeschi di Est e Ovest, ma anche una denuncia fantasiosa sullo ‘Schandmaue’ (Il Muro della Vergogna)” come lo definirono i berlinesi. Morirono così i contrasti: tutto sembrava dissolversi in una notte di grida, di pianti, di entusiasmi sotto la Porta di Brandemburg”.
E sulle immagini afferma: “Sono foto da pellicola studiate scatto dopo scatto, senza l’opportunità delle tecniche correttive di oggi. Un click, e l’istante è quello, immodificabile, con tutto il suo fascino e la sua intensità”, qui risiede la magia della fotografia istantanea. “Svela lo stato dei sentimenti, ma anche le probabili incomprensioni, le differenze somatiche e gli atteggiamenti di un popolo uguale costretto da una separazione fisica e materiale a sentirsi diverso”. E in molte immagini la gente dell’Est si mescola a quella dell’Ovest che la accoglie con i conforti del caso.
I ricordi dell’autrice del “reportage”
Sentiamo, dal racconto della protagonista, i particolari di quel “reportage” straordinario. Abbiamo detto che scattò 300 fotografie, sembrano troppo poche rispetto alla grandezza dell’evento, almeno con i criteri di oggi. Ma aveva una scorta limitata di rullini Kodachrome per la sua Nikon, e doveva contenersi per non rimanere senza nei momenti topici. Dalla parte dell’Est e dell’Ovest è “un fiume in piena inarrestabile”, dice la giornalista, che si riversava dopo i primi momenti di incredulità. “Ricordo il forte brusio gioioso della folla e anche il rumore fragoroso delle prime Trabi o Trabant che iniziarono a uscire dal varco suonando il clacson. Mi resi conto di vivere la storia”.
Era giunta in treno due giorni prima, con l’amica giornalista Susanna, ospite a Berlino Ovest di due amici che poi, due giorni dopo la caduta del muro, le portarono in giro per la città con l’auto scoperta, in modo che, in piedi sul sedile, lei potesse fotografare ciò che avveniva lungo il loro percorso;. Ovviamente si muoveva anche a piedi, nessun disagio pur quando si metteva in posizioni acrobatiche, come nessuna fatica nel portare la pesante attrezzatura, l’attenzione era tutta su ciò che avveniva per le strade: “I Berlinesi dell’Ovest, già nelle prime ore della notte del 9 novembre, avevano organizzato spontaneamente punti di ristoro. Provvedevano a donare, nel freddo pungente di quei giorni, zuppe calde e vin brulè”, lo abbiamo visto nelle immagini. “I Berlinesi dell’Est erano sopraffatti dalla gioia e increduli per quello che stava accadendo. Si spostavano freneticamente nella città ritrovata, come se tutto potesse svanire all’improvviso, da un momento all’altro. Ma nulla svanì”.
Poi l’ attenzione si sposta verso il Muro: “Ricordo che la folla rendeva difficile avvicinarsi al Muro. Ognuno voleva portarsene via un pezzo, e così martelli, scalpelli, e qualsiasi utensile utile allo scopo, fecero il loro ingresso nelle mani di chiunque. Tutti volevano partecipare alla distruzione di quel simbolo di divisione. . Tutti volevano portarsi via la testimonianza di quel momento storico. I nostri amici continuavano a ripetere:.’We Were There!’, ‘Noi c’eravamo’”.
Per questo abbiamo riportato testualmente alcuni ricordi dell’autrice del “reportage”, lei c’era e ha la fortuna di dire: “L’esperienza di quei giorni mi rimarrà per sempre nella mente ma soprattutto nel cuore”.
Una storia epocale, dalla palla di neve del Muro alla valanga liberatoria
E’ stata una pagina di storia, nel grande libro della “guerra fredda” che ha portato alla contrapposizione dei due blocchi, Unione Sovietica e paesi del Patto di Varsavia all’Est, e l’Occidente con l’Europa e gli Stati Uniti d’America all’Ovest, la Germania divisa in due con gli accordi di Yalta, poi la cortina di ferro calata sull’Europa, come disse Churchill, “da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico” con settemila chilometri di barriere invalicabili. La città di Berlino anch’essa divisa in zone amministrate dalle potenze vincitrici, in sostanza in due parti assegnate ai due blocchi contrapposti.
Per circa quindici anni la situazione tenne, i passaggi tra le due parti della città per i motivi più diversi erano normali, finché la libertà e il benessere dell’Ovest fecero sì che 2 milioni di persone non rientrarono nella zona Est. Finché nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 nel confine tra le due zone fu posta una barriera di 135 chilometri di filo spinato, poi finestre al confine murate, edifici abbattuti, separazioni innaturali tra parti contigue.
Il filo spinato circondava l’intera città, poi fu sostituito dal Muro, come le cinte murarie delle carceri, tale era diventata Berlino Ovest. Per la divisione con Berlino Est il muro era di 42 chilometri. prima eretto da muratori con mattoni, blocchetti e cemento armato, in seguito rafforzato con grossi prefabbricati alti 4 metri e pesanti 3 tonnellate ciascuno; dieci anni dopo il raddoppio, doppia barriera con frapposta una “terra di nessuno” che divenne, come abbiamo già ricordato, la “striscia della morte” per le tante vittime dei berlinesi fulminati dai “vopos” che vigilavano dalle 300 torri di controllo e pattugliavano con cani addestrati. Per i passaggi autorizzati c’erano soltanto 8 posti di controllo, il più noto il “Checkpoint Charlie” che immetteva nel settore americano.
Dalla “prigione” che era diventato Berlino Est, i tentativi di fuga oltre il Muro erano continui. Le finestre al confine furono murate per impedire che si gettassero dall’alto per entrare nell’altra parte con sprezzo del pericolo; l’anelito della libertà non solo faceva sfidare la morte, ma moltiplicava l’inventiva, dai tunnel sotterranei alle teleferiche fino ai palloni aerostatici, non parliamo delle automobili con doppio fondo e dei tanti stratagemmi. E non mancavano i temerari che cercavano di superare il Muro calandosi dall’altra parte e divenendo bersaglio dei “vopos”, le vittime furono 130, ma ben 5000 riuscirono a fuggire nei 28 anni di permanenza del Muro.
L’avvento di Gorbaciov al vertice dell’Unione Sovietica segnò la fine del regime accentratore e oppressivo verso gli altri paesi dell’Est, la “perestrojka e la “glasnost” incoraggiarono movimenti libertari in Cecoslovacchia e Ungheria, non più soffocati come era stato all’epoca dei “fatti d’Ungheria” e della “primavera di Praga”; la gente non solo protestava pubblicamente rivendicando libertà e democrazia, ma fuggiva attraversando frontiere dove non poteva esserci nessun muro, finché caddero anche i fili spinati. Dall’Ungheria e Cecoslovacchia si cominciava a passare in Austria e nella Repubblica Federale Tedesca.
In questa situazione che evolveva rapidamente verso una sempre maggiore liberta di movimento senza più opposizioni armate la Germania Est, nonostante l’oppressivo apparato poliziesco della STASI, incontrava difficoltà crescenti nel cercare di resistere alle pressioni popolari che si esprimevano con una serie di manifestazioni di protesta, dato che non c’era più la mano armata del regime sovietico a sostenerla.
Un mese prima della caduta del Muro ci fu a Dresda una manifestazione popolare con 20.000 partecipanti, e anche a Lipsia con un numero maggiore, si parlò di 100.000, nonostante il regime avesse ammonito che non l’avrebbe tollerata. Ma, come ha ripetuto un testimone, se fossero stati pochi li avrebbero fermati, erano troppi anche per i 5.000 agenti armati.
Il dittatore Eric Honecker – di cui è esposta in mostra l’immagine del celebre bacio in bocca a Breznev – si dimise il 18 ottobre 1989 dopo 18 anni di potere ininterrotto. Tre settimane dopo, nella giornata del 9 novembre in una riunione del nuovo vertice fu stabilita una maggiore apertura verso l’Occidente. Riguardava una liberalizzazione dei permessi tra Berlino Est e Berlino Ovest, da motivare e richiedere con il passaporto, documento peraltro dato con il contagocce, sarebbero stati larghi nelle concessioni.
Qui scatta la ricostruzione di come fu possibile che nella stessa giornata in cui si prendevano decisioni all’insegna di una certa gradualità la situazione precipitò, prendendo di sorpresa le autorità. Tre sono i personaggi-protagonisti nei quali è racchiusa la storia di quella giornata memorabile, oltre alla gente.
Il primo protagonista è il portavoce del governo dell’Est, che in una conferenza stampa comunicò le decisioni della riunione alla quale non aveva partecipato, quindi non aveva notizie dirette; si tenne nel vago pur prospettando la liberalizzazione degli accessi. Il secondo protagonista è un giornalista italiano, corrispondente dell’Ansa, che chiese precisazioni su tempi e modi, il portavoce – dopo aver posposto la risposta a quella data a compiacenti giornalisti tedesco- orientali – non potè sottrarsi e si lasciò sfuggire che avevano effetto immediato senza limitazioni; per il giornalista dell’Ansa fu tutt’uno correre a telefonare alla sua Agenzia che il Muro era caduto, ma i berlinesi non dovettero attendere i giornali dell’indomani perché la conferenza stampa era trasmessa per televisione, così da entrambe le parti del Muro una folla oceanica accorreva senza alcun freno. Il terzo protagonista è il capo delle guardie del confine tra l’Est e l’Ovest, all’accorrere della massa umana non si sentì di ordinare ai suoi uomini di fermarla con le armi, capì e sentì che non poteva farlo, sarebbe stata una carneficina. Mentre il giornalista italiano ebbe una medaglia e fu elogiato da Kohl, per i due tedeschi la soddisfazione di aver scritto una pagina di storia: il portavoce per aver anticipato ciò che sarebbe stato solo graduale, il comunicato ufficiale previsto per l’alba del 10 novembre avrebbe indicato le modalità di una apertura progressiva e controllata, non di liberalizzazione totale e immediata; il responsabile delle guardie di confine che disse “ho vissuto la miglior e peggiore notte della mia vita” per avere evitato il bagno di sangue che non avrebbe fermato ciò che era inarrestabile.
Lungo il Muro non ci furono momenti drammatici, il clima di festa coinvolse anche le guardie, tutto avvenne in un modo impensabile in tali circostanze, perchè quando i mutamenti epocali precipitano ciò comporta disordini e violenze, rivolte e repressioni, nulla di questo avvenne.
I grandi della terra, i presidenti, l’americano Bush e il sovietico Gorbaciov si tennero in stretto contatto tra loro e con il capo del governo della Germania Ovest Kohl per controllare la situazione. Anche se centinaia di migliaia di persone erano passate da una parte all’altra della città, la maggior parte di loro erano rientrate nella propria zona: la “breccia” non era temporanea ma definitiva, quindi non serviva fuggire.
Kohl lo comunicò in un telefonata a Gorbaciov in quei giorni drammatici, per rassicurarlo che non era in corso un esodo sconvolgente, concludendo così: “Non molto tempo fa le ho detto che non vogliamo una destabilizzazione della situazione nella DDR. Sono sempre di quell’idea”. E Gorbaciov: “I cambiamenti si verificano addirittura più in fretta di quanto potessimo immaginare solo poco tempo fa… Tuttavia, per mantenere la stabilità, è importante per tutti agire responsabilmente. Tutto sommato, io credo che stiamo migliorando i fondamenti di una comprensione reciproca. Ci stiamo avvicinando gli uni agli altri. E’un fatto molto importante… Io penso, signor Cancelliere, che stiamo vivendo una svolta storica verso nuove relazioni, verso un mondo nuovo”.
E possiamo così celebrare questo trentennale, un lungo intervallo di tempo nel quale gli avvenimenti epocali si sono moltiplicati. La fine dell’Unione Sovietica con la libertà riconquistata dai paesi dell’Est che ne facevano parte, al punto che alcuni tra i più importanti come Polonia e Ungheria sono entrati nell’Unione Europea; la riunificazione della Germania con il ritorno della capitale a Berlino, dopo aver avuto due capitali, Bonn per la parte Ovest e Pankov per la parte Est; nella riunificazione fu riconosciuta la parità tra due monete molto lontane tra loro.
Sono soltanto dei flash di eventi straordinari di dimensione continentale e mondiale. Ma tutto nasce da quella serata del 9 ottobre 1989, la palla di neve trasformatasi in valanga liberatrice e benefica.
Come non ringraziare Anna Di Benedetto Pace per averci fatto rivivere quei momenti? Perché lei “c’era”, “She Was There” direbbero i suoi amici che l’hanno ospitata allora; per quanto ci riguarda, anche se eravamo a casa incollati al televisore, attraverso le sue immagini e le sue parole ci sentiamo di dire con la mente ed il cuore: “We Were There”, anche noi c’eravamo.
Info
Sala da Feltre-Open ART, via Benedetto Musolino, 7 (Orti di Trastevere). Dal lunedì al giovedì ore 9-13, 14-17, venerdì chiusura ore 16, ingresso gratuito; festivi e prefestivi per appuntamento, tel. 06.585205274. Catalogo: Anna Di Benedetto Pace, “Il Muro infranto. Berlino 9 novembre 1989”, Gangemi Editore International, ottobre 2019, pp. 48, formato 24 x 28; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo relative alla mostra, quelle sui colloqui telefonici Kohl-Gorbaciov sono tratte dal catalogo della mostra del 2009 Davide Monteleone, “La linea inesistente. Viaggio lungo la ex Cortina di ferro”, Italianieuropei-Contrasto, novembre 2009, pp. 152, formato 22 x 30,5. Oltre al presente articolo sulla mostra in atto, abbiamo ripubblicato, sempre in data di oggi, tre nostri articoli usciti su due mostre tenutesi a Roma nel novembre 2009: per la prima mostra, di cui al catalogo appena citato, “Cortina di ferro, il viaggio della memoria di Monteleone, al Palazzo Esposizioni ” e “Berlino, il culmine del viaggio della memoria di Monteleone, al Palazzo Esposizioni” ; per la seconda mostra, “Berlino, la caduta del Muro, rievocata nel ventennale al Palazzo Incontro“. I tre articoli furono pubblicati in cultura.inabruzzo,it (ora non più raggiungibile), il 12 e 14 gennaio 2010 per la prima mostra, il 9 novembre 2009 per la seconda. In tal modo, nel giorno del trentennale della caduta del Muro, celebriamo l’evento con la recensione sulla mostra attuale, e anche con le nostre recensioni sulle due mostre del 2009 celebrative del ventennale.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Sala Feltre – Open Art all’inaugurazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione con i titolari dei diritti, in particolare l’autrice delle fotografie, per l’opportunità offerta. Sono inserite nell’ordine della citazione nel testo, con le didascalie date dall’autrice. In apertura, “I segni e le ombre”; seguono, “Giostra di sentimenti”, e “Il cuore oltre l’ostacolo”; poi, “L’attesa” e “Una sentinella della Germania Est vigila sul muro della Porta di Brandeburgo”; quindi, “Un ragazzo e una ragazza guardano in una sorta di buco aperto nel muro, improvvisamente una sentinella si affaccia dall’altra parte”, e “Tenacia”; inoltre, “Frammenti di memoria” , e “Il dubbio”; ancora, “Cuori ribelli” e “New Generation”; continua, “L’arte strappata” ‘e Un’ultima immagine del Muro; infine, “Il “acio” , tra Breznev e Honecker e, in chiusura, Alcune fotografie con la gente che accoglie i fratelli dell’Est e discute.
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