di Romano Maria Levante
In contemporanea con la mostra “Sublimi anatomie” , dal 22 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 al Palazzo Esposizioni, di Roma, al piano superiore, la mostra “La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium” espone una serie di reperti e documentazione di prima mano sui maggiori successi cinematografici del mago degli effetti speciali insignito di 3 Premi Oscar, e presenta l’organizzazione che ha curato la mostra e si muove, per così dire, nello stesso campo della meccatronica con gli ultimi aggiornamenti. Sempre al piano superiore, la mostra fotografica “Tecniche d’Evasione” con una serie di immagini che esprimono il disorientamento dinanzi all’oppressione comunista all’Est, forse i veri mostri.
Notevole l’impegno per queste mostre, oltre che per le “Sublimi anatomie” con l’aula realizzata al centro della rotonda. Qui tutto si svolge al piano superiore con visite guidate e laboratori per le scuole e, per Carlo Rambaldi, una programmazione cinematografica ricca di 25 film dal 29 ottobre al 9 dicembre 2019 a cadenza quasi giornaliera a parte l’intervallo dal 10 al 20 novembre.
Un ricordo personale, il nostro incontro con Rambaldi prima dell’escalation americana
I film, dei quali Rambaldi ha curato gli effetti speciali, sono stati realizzati dal 1962 al 1984, in un’escalation di successi scandita da 3 Premi Oscar. Ma prima di parlare della sua storia e di quanto viene presentato nella mostra, vogliamo rievocare il nostro lontano incontro con lui. Avvenne a Cinecittà, in una specie di antro carico di oggetti e di strumenti, a parte in una nicchia c’era un grande plastico che riproduceva la penisola italiana immersa nel mare con modellati i profili monumentali delle città d’arte..
Era quello l’oggetto della visita di chi scrive con il collega Peppino che era stato avvicinato dall’amico Gabriele cognato di Rambaldi per avere un aiuto nella preparazione del progetto collegato a quel plastico: la realizzazione di un centro divertimenti alla “Disneyland” ma italianissimo, aveva già pensato al nome, “Minitalia”, oltre che all’impostazione e alla struttura, di lì il plastico. Aveva idee molto chiare su questo centro, la “penisola” percorribile a piedi e con veicoli appositi, i monumenti in corrispondenza delle città d’arte realizzati con un materiale speciale da lui escogitato, e tutto il resto. Occorreva fare, però, la valutazione economica basata sui costi di realizzazione e di esercizio e sulle previsioni di ricavi considerando i prevedibili afflussi, e per la realizzazione bisognava identificare l’area disponibile nei dintorni di Roma e trovare i finanziamenti.
Non era poco, ma l’entusiasmo era tanto, come l’entusiasmo mostrato da Rambaldi nel mostrarci, oltre alla maschera di Polifemo realizzata per l’’Ulisse televisivo, il Pimocchio meccanico e soprattutto un robot semovente i cui movimenti erano imprevedibili perché determinati su base casuale; di questo particolare era orgoglioso, non capimmo perchè, lui lo considerava eccezionale. Ci mettemmo subito al lavoro, chi scrive per il Business Plan, in collaborazione con il collega Rosario esperto statistico per il quadro previsionale degli arrivi e delle presenze, mentre il collega Peppino che teneva i contatti, esperto in relazioni esterne, per trovare il comprensorio in cui realizzare il vasto insediamento – lo stivale percorribile con le acque dei mari solcate da battelli con i visitatori – e soprattutto i finanziamenti necessari.
Il progetto fu preparato, nel “Business Plan” le previsioni erano compatibili con la sostenibilità e redditività economica, furono trovate due possibili aree, una verso Anguillara sul lago di Bracciano, l’altra addirittura tra Roma e Ostia nelle proprietà di un conte, se non ricordiamo male, si fecero i primi sondaggi per i finanziamenti. A quel punto con nostra sorpresa uscirono le fotografie del plastico con le notizie sull’iniziativa allo studio in due pagine a colori della Domenica del Corriere, pensammo fosse su iniziativa di Rambaldi per un primo lancio, e forse fu un errore perché qualche tempo dopo ci fu un’altra notizia: un industriale produttore di tute, ci sembra di ricordare, stava per realizzare una “Minitalia”.
In effetti – non sappiamo se da quest’industriale o da altri – la “Minitalia” è stata effettivamente realizzata vicino Rimini, ma non da Rambaldi. Il quale, però, tornato dall’America dopo il successo planetario di ET, ha realizzato “Millennium”, dedicato alla storia dell’umanità dalla preistoria, idealmente vicino a “Minitalia” perché basato anch’esso, pur su ben altro tema, sui soggetti realizzati con lo speciale materiale e sulla creazione intorno a questo, di unas sede di svago e divertimento.
Perché abbiamo raccontato questa lontanissima vicenda personale? Perché ci sembra dimostri come venga da lontano lo spirito di iniziativa di Rambaldi, la sua ricerca di interessare il pubblico, che ne ha segnato la inarrestabile escalation cinematografica.
L’intensa cinematografia di successo del ”mago degli effetti speciali”
Erano i suoi primi passi all’epoca del nostro incontro per “Minitalia”, infatti aveva uno spazio a Cinecittà, aveva già lavorato nel 1962 a “Ti- Kojo e il suo pescecane” di Folco Quilici, e forse la poesia dell’incontro tra il pescatore e il pescecane gli era rimasta così impressa da esprimerla a livelli indimenticabili con il gigantesco gorilla e il temibile alieno, tanto che King Kong, Alien ed ET sono scolpiti nei ricordi di ognuno di noi per la poetica tenerezza delle loro espressioni intrise di una struggente umanità in contrasto con il loro aspetto “alieno” che veniva magicamente annullato.
In quegli anni, nel 1965, ha lavorato per “Giulietta degli spiriti” di Fellini, “Marcia nuziale” di Marco Ferreri e “Terrore nello spazio” di Marco Bova, di cui ha curato gli effetti speciali in “Diabolik” nel 1968; nella prima metà degli anni ’70 è con Sergio Collima per “La città violenta” nel 1970, con Dario Argento per “Quattro mosche di velluto grigio” e Lucio Fulci per “Una lucertola con pelle di donna” , entrambi nel 1971, con Fulci anche per “Non si sevizia un paperino” del 1972, anno in cui lavora anche con Pier Paolo Pisolini per “I racconti di Canterbury”.
Il 1973 è l’anno dalla sua partecipazione al film “La grande abbuffata” che lo vede ancora con Marco Ferreri e a “Il mostro è in tavola. Barone Frankestein” con Paul Morissey e Antonio Margheriti, con i quali lavorerà per un altro film su personaggi horror, “Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete” nel 1974, anno nel quale torna anche con Pasolini per “Il fiore delle Mille e una notte” e lavora con Sergio Garrone in “Le amanti del mostro” e “La mano che nutre la morte”. Con Pupi Avati nel 1975 per “La mazurca del barone, della santa e del fico fiorone” , e Dario Argento per “Profondo rosso” , fino al 1976 nell’ultima apparizione italiana di nuovo con Marco Ferreri per “L’ultima donna”.
La magistrale realizzazione di effetti speciali nei film citati non poteva passare inosservata, si trasferisce a Hollywood alla metà degli anni ’70, il lancio con “King Kong” di John Guillermin nel 1976 con cui ebbe il primo Premio Oscar per gli “effetti speciali” e la conferma con “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg e “Sfida a White Buffalo” di J. Kee Thompson nel 1977, finché con “Alien” di Ridley Scott nel 1979 il secondo Premio Oscar. Dopo “Possession” di Andrzei Zulawski, e “La mano” di Oliver Stone, entrambi del 1981, ecco l’esplosione planetaria con la creazione di “ET. L’extraterrestre”, ancora di Steven Spielberg, ma l’alieno è diverso da quello della fugace apparizione al termine degli “Incontri ravvicinati”, qui è un personaggio centrale del film, anzi ne diviene il protagonista e il suo creatore merita il terzo Premio Oscar.
Seguiranno “Dune” di David Lynch e “Conan il distruttore” di Richard Fleischer nel 1984, “Unico indizio. La luna piena” di Daniel Attias nel 1985, fino a “Kng Kong lives” ancora di Guillermin nel 1986. Nel 1988 gli ultimi due film, “I demoni della mente” di Armand Mastroianni e “Furia primitiva” con la regia del figlio Vittorio Rambaldi, una bella conclusione in ambito familiare di una vita artistica così movimentata. Questo, infatti, è l’ultimo film della ricca programmazione collaterale alla mostra.
L’ arte e la poesia nella meccatronica degli “effetti speciali”
Questa la gran parte dei 35 film del percorso di Rambaldi – 20 anni di attività nel cinema con “effetti speciali” tanto perfetti da sembrare veri – 25 dei quali nel ricco programma cinematografico della mostra. Con i grandi successi culminati nei tre Premi Oscar che ricordiamo ancora, tale è stata la loro risonanza: nel 1976 con King Kong, nel 1979 con Alien e nel 1982 con ET, seguiti da altri premi come lo speciale “David di Donatello” e il premio della Los Angeles Film Association, nel 1982, e “Mysrtfest” nel 1985.
I suoi successi sono derivati da una creatività e spirito di iniziativa sostenuti dal talento, che ne hanno fatto un innovatore nel campo degli “effetti speciali”, termine forse riduttivo alla luce del modo radicalmente diverso in cui ha svolto quella funzione apparentemente marginale nel cinema. Da un punto di vista tecnico ha introdotto la “meccatronica”, “meccanica ed elettronica unite negli “effetti speciali”, la “meccanica dei mostri”, come la chiama il titolo dell’esposizione, anche se ai “mostri”, da lui resi animati come degli automi, ha dato un’identità e un’umanità che li ha resi dei personaggi familiari divenuti beniamini del grande pubblico. C’è un’importante componente ingegneristica nella sua opera ma soprattutto un afflato poetico e anche artistico. Del resto, si è laureato all’Accademia delle Belle Arti di Bologna alla quale si iscrisse dopo aver conseguito un diploma da geometra, quindi formazione artistica dopo quella tecnica.
Abbiamo citato i suoi film dal 1962, ma il suo ingresso nel mondo del cinema risale al 1956. nel film “Sigfrido” di Giacomo Gentiluomo per il quale diede vita a un drago della lunghezza di 16 metri. Nel decennio successivo le sue capacità negli effetti speciali si imposero, tanto che nel 1972 un magistrato gli affidò il compito di riprodurre in un manichino il corpo dell’anarchico Pinelli morto tragicamente nella caduta dalla finestra della questura di Milano per l’esperimento giudiziale. Forse alla base di questo incarico ci fu il suo intervento nel giudizio che era stato intentato contro il regista Fulci imputato di maltrattamenti e crudeltà verso gli animali per la cruenta vivisezione raffigurata nel film del 1971 prima ricordato “Una lucertola con la pelle di donna” in cui lui aveva curato gli “effetti speciali”: portò le prove che i “cani” apparsi vivisezionati erano fantocci meccanizzati realizzati così bene da sembrare veri; e questa capacità dimostrata giudizialmente fu il presupposto per l’incarico del manichino di Pinelli.
Ma il suo maggior merito non risiede tanto nell’aspetto tecnico, pur rilevante, quanto nella forza espressiva che ha saputo dare alle sue “creature” rendendole, come abbiamo già detto, figure amate dal pubblico andando molto al di là degli “effetti speciali” a lui richiesti. E questa è cultura, questa è arte senza tempo, è anche poesia, in una simbiosi feconda con la tecnica come portato dei tempi moderni.
Vediamo esposto il modello di “King Kong” e il gigantesco braccio meccanico con il quale sorreggeva Jessica Lange nella dolcissima scena dagli sguardi tenerissimi per tranquillizzare la giovane spaventata, il primo modello di “alieno” con l’interno meccatronico, la fotografia in cui lui indica le parti evidenziate per essere meccanizzate di“White Buffalo”, alcune realizzazioni con i congegni meccatronici in vista, un inestricabile groviglio di ingranaggi all’interno delle figure semoventi aperte per mostrare la complessità del “motore” che le muoveva.
Torna il pensiero al robottino semovente che a metà degli anni ’60 ci mostrò muoversi sul pavimento a Cinecittà, e ancora tutto doveva accadere. C’’è anche il timido ultraterrestre degli ”incontri ravvicinati del terzo tipo”. Fino all’evocazione di “E. T., l’extraterrestre” con gli occhi tenerissimi spalancati e la documentazione relativa sui progetti che mostrano le diverse facce ed espressioni, l’idea gli venne dal muso del suo gatto domestico, ma lo trasfigurò con il tocco dell’arte. Ed è con questa immagine rimasta nel cuore di tutti che chiudiamo la rievocazione di Carlo Rambaldi, da “mago” a “poeta” degli “effetti speciali”.
I continuatori, il gruppo Makinarium
La sua opera prosegue, in una continuità possibile perché precedeva i tempi, con il gruppo Makinarium, che si è affermato nel cinema di oggi , in cui si assiste al ritorno della meccatronica dopo l’ubriacatura digitale, utilizzando tali tecniche in modo innovativo. Si tratta di una “factory”, creata nel 2015, con creativi, tecnici e artigiani che oltre alle tecnologie sperimentate, come la meccatronica di Rambaldi, utilizza proprie tecniche frutto di un’attività di ricerca sulla percezione visiva che ha consentito ad essa di acquisire una precisa identità nell’integrare gli effetti fisici, meccanici ed elettronici con quelli digitali.
Questo dal punto di vista tecnico, sotto il profilo artistico un punto di forza è l’approccio interdisciplinare dei creativi appartenenti a diverse discipline, caratteristica incontrata anche nel grande gruppo leader nel campo dei fumetti, Pixar, che ha in comune con quello degli effetti speciali la creazione di esseri fantastici dalla forte presa sul pubblico. Hanno lavorato per Makinarium 200 professionisti, ha sede a Cinecittà e opera, oltre che nel cinema, nella televisione e nella moda, senza trascurare l’arte contemporanea.
Nella sezione introduttiva dell’esposizione, Makinarium, che l’ha curata, presenta proprie realizzazioni, poi si entra nella mostra su Rambaldi con i “reperti” meccatronici e documentali che la società ha restaurato, dei quali abbiamo citato quelli maggiormente evocativi per noi. In questo modo la società impegnata nello stesso campo di Rambaldi ha dato un segno tangibile della continuità con il suo lascito tecnico ed artistico qualificandosi ancora di più, e meritoriamente, come sua erede legittima.
“Tecniche d’evasione” dai mostri dell’Est europeo
La mostra contemporanea sempre al piano superiore è radicalmente diversa, salvo l’assonanza tra la “meccanica dei mostri” ai quali però Rambaldi riusciva a dare umanità e la “sopraffazione dei mostri” di un regime disumano nel sopprimere ogni libertà opprimendo i suoi cittadini. I quali hanno trovato il modo di esprimere la loro ribellione con le fotografie esposte nella mostra in cui vi è anche molta leggerezza e, anche qui, si sente il respiro dell’umanità così vilmente vilipesa.
Le “tecniche di evasione” sono i sotterfugi ai quali ha fatto ricorso un gruppo di artisti ungheresi per reagire alla privazione della libertà imposta dal regime comunista negli anni ‘60 e ’70 con una serie di strategie sovversive, quantomai pacifiche, attuate con immagini direttamente allusive o di irrisione, “per sfuggire ai controlli, per stordire la censura, eludere il potere, deriderlo, lasciarlo interdetto”. Un spinta libertaria da cittadini insofferenti di prevaricazioni ai loro diritti primari alla quale si aggiunge soprattutto l’ulteriore spinta “per custodire e proteggere la propria fedeltà all’arte e al proprio sogno d’artista”. A questo riguardo viene ricordato che l’arte, e quella contemporanea in particolare, spesso “è stata, ed è tuttora, storia di clandestinità, di sotterfugio, di fuga, di elusione”. Sono parole della presentazione.
Vediamo l’”invito alla guerriglia” dissimulato in 6 fotografie del terreno con sampietrini che vengono spostati in successione fino a raffigurare una stella. Poi l’immagine dell’uomo, ripreso in primo piano con la bocca tappata da giornali appallottolati, è una denuncia quanto mai esplicità della stampa asservita al regime; ma in una sequenza di 12 fotografie una giovane donna si strappa il cerotto che le tappa la bocca, perchè nell’asfissiante propaganda di regime si comunica solo nel silenzio. Un’altra modalità di reazione è la scritta sui muri, definiti “gradi di libertà” con cui ci si sfoga nel modo più semplice e clandestino irridendo il potere che non può controllare tale protesta popolare, è esposta una sequenza fotografica con un giovane che compie questo gesto di ribellione. La sequenza ulteriore di 16 fotografie presenta un uomo nudo nel suo essere inerme e indifeso investito e travolto da un’onda scura, la violenza del potere.
C’è anche il “ritratto dell’artista”, con la strategia dell’insensatezza e idiozia per smascherare l’ottusa rigidità del potere, vediamo fotografie eloquenti di questo nonsense libertario. E la realtà poliziesca, con l’agente simbolo di repressione di ogni libertà. Ma forse la forma più irridente, nella sua semplicità, è quella del giovane che si fa fotografare con l’immagine di Lenin, ma poi ne copre provocatoriamente il viso sovrapponendogli il proprio, e con la falce e martello impugnati a muso duro fino al imbolo comunista che ha trovato segnato con la vernice nera su un muro di Firenze con lui a lato, un apersecuzione…
E’ assolutamente geniale, per questo citiamo il nome dei due autori, Katalin Ladik, che ha scattato, Szemmbathy in posa nelle fotografie, mentre le altre espressioni fotografiche dell’anelito alla libertà le lasciamo nell’anonimato come simboli di tutti gli artisti che hanno sofferto e operato nella clandestinità nella eversione soprattutto attraverso la derisione pacifica.
Anche nella storia di E.T:, per ricollegarci alla mostra su Carlo Rambaldi citando la sua creazione più geniale, c’è l’irrisione del potere cieco e ottuso delle autorità locali da parte dei ragazzi che si identificano nel desiderio di libertà dell’extraterrestre. Tanti extraterrestri, tanti ET., dunque, vediamo nel gruppo degli artisti fotografi ungheresi, le loro “tecniche di evasione” ci ricordano la cavalcata verso il cielo in bicicletta di E.T., come quella mezzo secolo prima di “Miracolo a Milano” sulle scope. E’ l’irrisione dei “mostri” del potere cieco e ottuso, come quello del comunismo dell’Est europeo.
Info
Palazzo delle Esposizioni, Roma, Via Nazionale, 194. Orario ore 10,00-20,00 per tutti i giorni di apertura con prolungamento alle 22,30 venerdì e sabato fino alle 22,30, lunedì chiuso, ingresso fino a un’ora prima della chiusura. Ingresso euro 12,50, ridotto 10,00 (under 26 e over 6) ed euro 6 (7-16 anni e martedì-venerdì dalle ore 18), gratuito under 6 anni; condizioni particolari per speciali categorie e convenzioni. Brochure: “Sublimi anatomie, La meccanica dei mostri, Katy Couprie”, Palazzo delle Esposizioni, Public program, ottobre 2019, pp. 55, 2^ parte , “La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Machinarium” . Cfr. i nostri articoli, sulla mostra parallela “Sublimi anatomie” con “Katy Couprie” in questo sito 2 gennaio 2020; su Pasolini: in www.arteculturaoggi.com 27 ottobre 2015, 15, 27 giugno 2014, 11, 16 novembre 2012, in fotografia.guidaconsumatore.com maggio 2011 (l’ultimo sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione delle due mostre, si ringrazia l’organizzazione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Le prime 19 immagini sono su “La meccanica dei mostri. Da Carlo Rmbldi e Makinarium”, le successive 10 su “Tecniche d’evasione”. Sulla prima mostra, in apertura, Carlo Rambaldi mentre riceve uno dei 3 Premi Oscar, seguito dalle stuatuette dei suoi 3 Premi Oscar; poi, una delle sue prime creazioni meccatroniche per il “Pinocchio” televisivo di Comencini, e i “Guerrieri” per il film di Roger Vadim; quindi. un modello di “King Kong” e un suo braccio meccatronico; inoltre, un modello di alieno e il suo interno meccatronico; ancora, Rambaldi dinanzi al grafico di “White Buffalo” ne indica i meccanismi interni e un’altra sua creazione con l’interno meccatronico; continua, Rambaldi con la sua celebre creatura, “E.T.”, da angelo custode…, e 4 immagini su “ET”, modellini e disegno, meccatronica e sguardo tenerissimo; cambia scena on 4 realizzazioni degli epigoni del gruppo “Makinarium”, disegno e modello di “mostro”, un modello per film e modellini per film, “stuntmen”. Seguono, sulla seconda mostra, Sampietrini che evocasno l'”invito alla guerriglia”, poi, l ‘uomo con la bocca tappata dai giornali asserviti al regime, e la sequenza con la giovane donna che si strappa il cerotto dalla bocca; quindi, la sequenza con un uomo nudo, inerme , travolto dall’’onda scura del potere, una scena irridente con la provocazione del nudo femminile e un’immagine poliziesca; inoltre, due immagini del giovane con il ritratto di Lenin, i loro volti a confronto, e dopo provocatoriamente copre il volto di Lenin con il suo, infine, altre due immagini del giovane, mentre impugna a muso duro la falce e martello comunista, e, in chiusura, al lato della falce e martello su un muro di Firenze.
E’ una sorpresa struggente!
La lucida e viva esposizione delle opere del grande Carlo Rambaldi sono un tuffo nel passato ormai remoto che affonda le radici nel terreno della nostra iniziale attività professionale, ricca di soddisfazioni ma anche di rimpianti; e la “Minitalia” di Carlo, alla quale partecipò con grande entusiasmo il caro amico Gabriele, prematuramente scomparso, ha un posto nella prima fila dell’amarcord.
Vorrei tanto inviare il tuo articolo a Diana, moglie di Gabriele ed alla sorella di lei, moglie di Carlo. Ma sono decenni che non ho loro notizie.
Voglio però fare partecipe Rosario D’Agata, che ha ultimato il suo ultimo libro di prossima pubblicazione, e che segue ai successi de “Il prezzo del coraggio” Enrico Mattei e il cane a sei zampe tra mistero e realtà e de “Il posto dei sogni possibili” in ricordo di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore vittima della malavita organizzata.
Leggo soltanto adesso, con un imperdonabile ritardo, il “tuffo nel passato” di Giuseppe, l’amico da una vita Peppino, che è anche un tuffo nel mio passato, nel “nostro” passato: con Gabriele, di cui ricordo lo slancio e l’allegria e mi addolora la sua scomparsa, e Rosario, con la precisione e meticolosità da statistico figlio d’arte, scopertosi poi scrittore, complimenti!
Ricordo la nostra divisione dei ruoli per “Minitalia” dopo l’incontro con Carlo Rambaldi – procurato da Gabriele, suo parente e amico di Peppino – dinanzi al suo plastico che la doppia pagina sulla “Domenica del Corriere” fece conoscere e imitare – anzi, diciamo la parola giusta, “copiare” – nella realizzazione concreta.
Toccammo con mano la differenza tra invenzione e innovazione, la prima è l’idea geniale, la seconda l’intruduzione materiale, però con i brevetti sono legate, mentre qui fu l’opposto. E avvenne sebbene non ci limitassimo all’idea, elaborammo un vero “business plan”, Rosario per la parte statistica, io per la parte economica, Peppino, in contatto con Gabriele, per la supervisione e le relazioni esterne, e quali relazioni esterne! C’era da trovare l’area dove realizzare “Minitalia” e i finanziamenti, non era poco… Ma Peppino con il voluminoso dossier che avevamo preparato ci era riuscito, prima aveva esplorato una possibilità di realizzarla tra Roma e Ostia nella tenuta di un conte, poi nella zona del lago di Bracciano, vicino ad Anguillara, andammo anche a vedere l’area. Finchè, quando sembrava di essere giunti al traguardo, giunse la doccia fredda della telefonata di Gabriele, che ci aveva coinvolti nell’iniziativa con il suo entusiasmo contagioso: “Potete avere notizie su un imprenditore con una azienda che produce tute il quale sembra voglia realizzare un’iniziativa come la nostra ‘Minitalia’?” Ci diede il nome dell’imprenditore, eravamo nell’Ufficio studi della Confindustria, ci fu facile accertare. Così finì il sogno di “Minitalia”, che poi Rambaldi, dopo i grandi successi americani culminati negli Oscar cinematografici, tornato in Italia, tradusse in “Millennium”, un riferimento molto diverso ma la stessa concezione di allora.
Fin qui il nostro “amarcord”, si era nel “millennium” precedente all’attuale, ricordarlo nel terzo millennio non può che essere augurale per tutti…