di Romano Maria Levante
Dal 13 dicembre 2019 sono riaperte al pubblico 10 sale dell’ala nord di Palazzo Barberini, piano nobile con il nuovo allestimento della pittura del ‘600, rinnovato nei criteri espositivi, negli “apparati” illustrativi e negli altri aspetti rilevanti, dall’illuminazione al restauro architettonico.
E’ un rilancio della collezione di Arte Antica che, ad operazione completata, andrà dal Medioevo al ‘500, dal ‘600 al ‘700 con la spettacolare esibizione di un grande patrimonio di arte e storia. La direttrice Flaminia Gennari Sartori ne ha indicato gli intenti e i motivi ispiratori.
I criteri del uovo allestimento
Dopo l’allestimento nelle sale di Palazzo Barberini recuperate dalla interminabile occupazione da parte del Ministero della Difesa per il Circolo Ufficiali della pittura del ‘700, questa volta è la pittura del ‘600 a venire sistemata in dieci sale per 550 metri quadri; inoltre è stato preannunciato per il prossimo ottobre 2020 il riallestimento delle opere del ‘500 e successivamente nel 2021 di quelle collocate al piano terra con la conclusione dell’intera operazione.
Viene aggiornata così, secondo nuovi criteri, la presentazione della prestigiosa collezione di Arte antica, senza intaccare quella di Palazzo Corsini che ne rappresenta la naturale prosecuzione. Si segue una “narrazione” in cui le opere “dialogano tra loro” per gli accostamenti non solo cronologici ma soprattutto tematici e di derivazione o influenza di seguaci, come i “caravaggeschi” esposti in un raffronto intorno ai capolavori di Caravaggio in tre sale.
Le opere “dialogano” non solo tra loro, ma anche con il visitatore, per il quale sono stati studiati “apparati” innovativi nella grafica e nell’esposizione: sono panelli esplicativi ed etichette dalle didascalie essenziali e nello stesso tempo esaurienti, in un impianto di illuminazione anch’esso del tutto rinnovato.
Si tratta di un nuovo “impianto concettuale” – ha sottolineato la direttrice Flaminia Gennari Sartori impegnata a realizzarlo – “che focalizza a Palazzo Barberini una struttura espositiva narrativa dal Medioevo al Settecento, cercando di valorizzare anche la storia del Palazzo e dei Barberini, lasciando integra la quadreria settecentesca a Galleria Corsini”.
La famiglia Barberini è l’espressione più alta della gerarchia ecclesiastica, cardinalizia e papale con Urbano IV, ma anche dell’aristocrazia laica, tanto che le due ali del palazzo con diversa destinazione e frequentazione storica si saldano nei grandi saloni di rappresentanza. E’ stata citata anche dalla Flamini Sartori la compresenza nel Palazzo, nelle diverse ali, “dell’esuberanza della natura con i giardini e della vitalità urbana”, due scenari spettacolari molto diversi offerti dalle finestre che si aprono nelle pareti espositive.
In questa prospettiva, il nuovo allestimento è stato accompagnato dal restauro della parte architettonica. Nelle nuove sale con le finestre che danno sul giardino sono collocate 80 opere di artisti del ‘600 seguendo un itinerario di tipo circolare dallo scalone Bernini allo scalone Borromini, ed è tutto dire.
Ciò premesso, percorriamo le sale in cui le opere sono raggruppate intorno a temi, periodi e artisti capifila, citandone le principali caratteristiche e gli artisti rappresentati senza commentare le singole opere, dato che non è una mostra temporanea ma un’esposizione permanente che invita il visitatore ad approfondirle immergendosi nel suggestivo contesto espositivo di cui riportiamo un’ampia parte.
Le prime 5 sale, con Tiziano e Tintoretto, Annibale Carracci e il paesaggio
Il percorso inizia nella sala 19^, il cui soffitto è affrescato con le storie del patriarca Giuseppe e gli stemmi cardinalizi come espressione della protezione divina accordata alla famiglia proprietaria, non ancora i Barberini ma gli Sforza, su commissione di Paolo I di Santa Fiora. Tra i pittori che li realizzarono spicca il Pomarancio.
Sono esposte opere del manierismo romano con Pietro Francavilla e Gerolamo Muziano, Jacopo Zucchi e Marcello Venusti, di quest’ultimo ricordiamo la recente mostra “I colori di Michelangelo”; e del manierismo internazionale con Jacob de Backer, Joseph Heintz, Jan Metsys.
Siamo alla fine del ‘500, viene sottolineato il “cambio di passo” nell’atteggiamento verso gli artisti e le loro opere che si manifesterà appieno nel ‘600. Cresce l’attenzione alla finalità e al significato delle immagini pittoriche valutando il modo in cui sono utilizzate. Si tende a passarle al vaglio soprattutto dopo che nel 1564 Giovanni Andrea Gilio in “Degli errori e degli abusi dei pittori” critica gli usi inappropriati delle opere.
I ritratti possono essere espressione di esibizionismo, le immagini religiose snaturate rispetto alla fede e al bene e il male, tema trattato nel 1582 dal vescovo Gabriele Paleotti nel “Discorso intorno alle immagini sacre e profane”. Al culto degli artisti si associa così la rilevanza delle opere analizzate con spirito critico dando avvio a una storia esegetica destinata a perpetuarsi nella critica d’arte.
La sala 20^ è dedicata alla pittura di Venezia, presenti i grandi maestri Tiziano e la sua scuola, con “Venere e Adone”, restaurato per l’occasione, e Tintoretto, ci sono due opere inconfondibili di El Greco, formatosi nella scuola veneziana.
Erano molto diffuse le botteghe, particolarmente fiorenti quelle di Tiziano e Tintoretto, per cui si pone il problema di distinguere le opere progettate ma non eseguite dal caposcuola da quelle totalmente o in parte dovute alla sua mano: il riferimento diretto si può attribuire sulla base delle peculiarità della sua impronta quando è chiaramente individuabile.
Non poteva intervenire nella gran parte delle opere affidate agli allievi dato il notevole afflusso delle committenze, della Serenissima, ecclesiastiche ed aristocratiche; e anche quando eseguiva i dipinti di propria mano, poi venivano soddisfatte le molte richieste con copie e repliche degli allievi sotto la sua direzione.
All’arte ispirata al sacro, che va oltre i soggetti tradizionali, si affianca quella ispirata ai temi mitologici e ai temi derivanti dalle leggende immortali di Ovidio. Questi ultimi sono alla base dei dipinti “Poesie”, realizzati da Tiziano per l’imperatore Carlo V e Filippo II di Spagna.
Nel Soffitto, l’affresco “Carro di Apollo con le quattro Stagioni” celebrativo delle nozze del principe Urbano Barberini, del 1693, autore Giuseppe Chiari.
La terza tappa del nostro percorso, la sala 21^ – con gli affreschi della volta valorizzati dalla nuova illuminazione – aggiunge ai temi religiosi e mitologici di cui si è detto, quelli legati alla realtà, cosa che costituisce un’importante innovazione pittorica.
Gli oggetti diventano soggetti dell’immagine, si tratta della Pittura di genere, per rispondere alle richieste del mercato sempre più ampio e diversificato con artisti sempre più professionali e specializzati; anche nelle opere religiose e mitologiche viene dato spazio crescente alla visione circostante in cui spiccano oggetti visti nella loro consistenza materiale, lo si nota nelle opere della bottega dei Bassano oltre che in quelle dei fiamminghi.
Lo stile non è più aulico ma “modesto”, una sorta di “sermo humilis” che, paradossalmente, come si legge nella presentazione, “trova posto in una concezione delle arti visive esemplata sul modello dell’eloquenza retorica”. Sullo sfondo la passione per le Wunderkammerm.
Vediamo 2 dipinti di Bartolomeo Passerotti, espressione delle ricerche naturalistiche di fine ‘500 di Ulisse Aldrovandi, che in certo senso anticipano le nature morte; e altri esposti molto di rado, come il “Diluvio universale” della scuola di Jacopo Bassano e le opere di Frans Francken il giovane.
I temi aulici tornano nella Galleria con la “Fondazione di Palestrina” di Francesco Romanelli, divenuta feudo di Taddeo Barberini, marito di Anna Colonna cui era riservata la Galleria, e il “Sacrificio di Giunone” di Giacinto Gimignani.
La piccola sala 22, raccolta e per la prima volta aperta al pubblico, presenta Annibale Carracci, ma non un suo dipinto, bensì l’”Altarolo portatile”, realizzato con Innocenzo Tacconi su commissione del cardinale Odoardo Farnese: un Tabernacolo con la Pietà e i santi Cecilia ed Ermenegildo all’interno, san Michele e l’Angelo, Cristo e Dio all’esterno; ci sono anche la Maddalena costernata con le braccia aperte e san Giovanni che sorregge la Madonna abbandonata tra le sue braccia mentre stringe a sè il corpo di Cristo, gesto che la rende “co-redentrice”.
Nella scelta di alcuni santi c’è il riferimento al committente, il cardinale era devoto di Santa Cecilia, aveva dovuto rinunciare a posizioni di potere ed aveva scelto la via della fede nel nome di valori pià alti; come Ermenegildo, principe visigoto che si convertì al Cristianesimo contro la volontà del padre e fu martirizzato. Un’opera splendida, veramente spettacolare.
Dopo questo intermezzo suggestivo, l’orizzonte si apre nella sala 23 con la pittura di paesaggio, in particolare vediamo tre paesaggi di Paul Brill che rappresentano i “Feudi Mattei”, Fino ad allora era considerato soprattutto uno sfondo, ma alla fine del ‘500 e poi nel ‘600 il paesaggio diventa soggetto principale non solo per motivi artistici ma soprattutto per il notevole rilievo dato dal Concilio di Trento alla natura nella sua bellezza come espressione della creazione di Dio.
Si inizia con piccoli quadri su rame commissionati ai pittori fiamminghi dai cardinali; tra loro il potente Federico Borromeo che ha scritto come questi dipinti fossero sostitutivi della natura in cui immergersi nella preghiera. Divennero presto di grandi dimensioni, spettacolari arredi delle ville in campagna dei nobili romani. In questa sala ne vediamo un esempio, con riprodotti nella residenza romana gli ambienti naturali delle proprietà feudali.
Nel Soffitto, paesaggi di scuola fiamminga, animati dalle figure dei Profeti e delle Sibille con libri sui quali sono scritte le profezie.
Caravggio, i seguaci e i “caravaggeschi”
Ed ora la grande pittura di Caravaggio distribuita in tre sale, in ciascuna un quadro del Maestro, circondato dalle opere di seguaci o comunque di pittori con il suo influsso.
La sala 24, con vista sul Giardino, espone il primo dipinto di Caravaggio, “Giuditta e Oloferne”, il quadro che con aspro realismo presenta la scena della decapitazione da parte dell’eroina la quale nel vibrare il colpo fatale sembra allontanare da sé la testa dallo sguardo vitreo, in cui alcuni vedono un suo autoritratto, mentre la figura della vecchia rugosa si pone in contrasto con l’esuberanza e freschezza della protagonista.
I caratteristici tagli netti di luci e di ombre e la forza della raffigurazione ci immergono in una forma espressiva che fu provocatoria nei toni e nei modi, e lo è anche nei riguardi dell’osservatore che si sente obbligato “a partecipare, più che solo a contemplare”.
Si capisce subito l’impatto che ebbe sulla scena artistica, con la spinta a seguire la nuova strada da lui tracciata tenendo conto, però, dei desideri della committenza, non sempre pronta a simili provocazioni. Perciò anche i suoi seguaci più fedeli, riconoscibili dalla raffigurazione realistica dei soggetti e dalle sciabolate di luci a tagliare le ombre, declinano in modo diverso la sua forma espressiva e la sua struttura compositiva, per l’insorgere di altri motivi e di nuove esigenze.
Vediamo esposte opere di Carlo Saraceni, il più vicino al suo realismo ma che lo rivive in termini personali, di Orazio Borgianni che pur muovendosi nel solco tracciato se ne distacca maggiormente, di Bartolomeo Manfredi e Giovanni Baglione, quest’ultimo tra l’ammirazione e l’emulazione da un lato e la rivalità e l’inimicizia dall’altro che lo fecero entrare in duro conflitto, anche giudiziario, con lui. Ebbene, la sua opera è esposta affiancata a quella dell’antico rivale-nemico.
La seconda opera di Caravaggio destinata alla sala 25 è “Narciso”, sarà esposto dal mese di giugno 2020, la figura del giovane che si specchia nell’acqua è suggestiva per il rilievo scultoreo che fa sentire l’osservatore partecipe diretto della vicenda.
Il naturalismo caravaggesco assume qui un aspetto particolare, la rappresentazione va oltre la riproduzione fedele della realtà tipica del grande artista, evoca il rapporto tra realtà e apparenza che è al centro della leggenda ovidiana e provoca la tragedia quando cade il velo: la realtà della figura riflessa sull’acqua è anche apparenza.
In primo piano la percezione, che può differenziarsi dalla realtà, come scriveva Cartesio nell’affermare che l’efficacia delle immagini non dipende dalla somiglianza, anzi “per essere immagini più perfette e rappresentare meglio un oggetto esse non devono somigliargli”.
Le opere di Josepe de Ribera, Simon Vouet e Candlelight Master esposte possono essere viste in questa prospettiva intrigante.
“San Francesco in meditazione” è la 3^ opera di Caravaggio esposta nella sala 26, il santo è raffigurato nella povertà e nel sacrificio, con il saio logoro e rattoppato, il viso arrossato dal freddo nella grotta gelida, mentre guarda il teschio che ha nelle mani, inginocchiato in posizione di preghiera ma senza appoggiarsi, il crocifisso è fatto di due semplici assi sopra un tronco d’albero.
Gli artisti presenti nella sala con le loro opere sono particolarmente significativi, Orazio Gentileschi e la figlia Artemisia Gentileschi, Antonio Petrazzi, Bernardo Strozzi e ancora Bartolomeo Manfredi. E’ interessante per il visitatore ricercare i segni caravaggeschi nel loro stile, dal realismo figurativo alle luci che piovono più o meno violente e creano ombre più o meno nette.
Questo “gioco” per il visitatore è ancora più intrigante nella successiva sala 27. dedicata ai caravaggeschi come Valentin de Boulogne e Charles Mellin, Simon Vouet e Mattias Storn, Michael Sweerts e Trophime Bigot , Hendrick Terbruggen, e Gerrit Van Honthorst, Giovanni Serodine, Lionello Spada e Giovanni Caroselli.
Per impulso del mercato, che ricercava in modo particolare le opere in stile caravaggesco, gli artisti erano spinti a renderne gli effetti più evidenti, mantenendo nel contempo la propria impronta personale. Questo portò allo sviluppo della pittura “a lume di notte”, con gli effetti luministici e umbratili delle fonti di luce artificiali come candele e lanterne applicati alle rappresentazioni più diverse, dai temi biblici alle scene di taverna, dalle visioni religiose alle allegre brigate di musicanti.
Ma questo non sempre era limitato agli aspetti stilistici, per Valentin de Boulogne, in particolare – si legge nella presentazione – gli effetti del chiaroscuro caravaggesco riguardano “ la focalizzazione drammaturgica dell’azione, l’individuazione del suo culminate momento di forza e dei suoi effetti sullo spettatore”.
Guido Reni e la scuola bolognese, il mistero del ritratto di Beatrice Cenci
Nella sala 28, l’ultima dell’allestimento del ‘600, l’artista emiliano che in qualche modo può considerarsi il contraltare di Caravaggio, Guido Reni e altri grandi artisti, il Domenichino e il Guercino, Giovanni Lanfranco e Pier Francesco Nola, fino a Charles Mellin allievo di Simon Vouet che ritroviamo anche in questa sala dopo la seconda di Caravaggio.
Questo fatto ci introduce alla presenza, nel primo trentennio del ‘600, di una molteplicità di scuole ed espressioni stilistiche molto diverse per il crescente sviluppo del mercato che induceva gli artisti a rendersi riconoscibili con la propria impronta.
Un indirizzo visibilmente opposto al caravaggesco quello di Guido Reni della scuola bolognese e degli artisti di impronta classicista con “l’elegante disegno, l’eleganza compita e l’ideale aspirazione”. Ma questi aspetti del “divin Guido” pur contrapposto al Merisi “maledetto” – osserva la presentazione – “non sono necessariamente percepiti in insanabile conflitto con la ricerca di sensualità, di pathos e finanche di violenza da cui il pubblico del tempo è pure certamente attratto. Un tempo in cui in pittura, come in letteratura o a teatro, si cerca il ‘gradevole furore’, il ‘dolce terrore” e una ‘aggraziata pietà’” negli ossimori dell’”Arte poetica” di Nicolas Boilau, “pur convinto che ‘soltanto il vero è bello’ e solo ‘la natura è vera’”.
A conclusione della galleria seicentesca troviamo al centro della sala, in una “enclave” apposita, il celebre dipinto noto come “Ritratto di Beatrice Cenci”, attribuito sia pure con incertezze a Guido Reni, che viene intitolato invece “Donna con turbante (presunto ritratto di Beatrice Cenci”, circa 1650, e attribuito al posto di Guido Reni a Ginevra Cantofoli , bolognese, 1618-72.
Il quadro passò alla famiglia Barberini nel 1818 dalla collezione Colonna dove risulta dal 1783, ne circolavano molte copie perchè la storia tragica aveva suscitato forte emozione popolare con il tragico epilogo della decapitazione insieme ai familiari per l’uccisione del padre, che aveva oppresso la famiglia, aveva segregato la figlia e forse assoggettata alle sue “disordinate voglie”, secondo il Muratori, dopo un processo e la grazia negata da papa Clemente VIII.
Una storia dalle tinte violente, che ha ispirato scrittori e poeti romantici come Shelley e Stendhal, Dickens e Melville, fino ai più vicini Artaud e Moravia, con l’emozione già suscitata all’epoca divenuta vero culto cui ha contribuito l’immagine angelica del suo volto, che appariva nel dipinto, definito come “incapace di qualunque disegno malevole” nell’opera di Lavater del 1778 sui “frammenti fisognomici”. Guido Reni l’avrebbe ritratta poco prima della morte, cosa ritenuta altamente improbabile per una condannata, ed “oggi l’attribuzione a Guido Reni è generalmente respinta” si legge nella presentazione.
E’ un riconoscimento encomiabile per la galleria proprietaria del dipinto, come è apprezzabile peraltro che nella nuova intitolazione venga indicato “presunto ritratto di Beatrice Cenci”, mantenendo quindi quel riferimento. Ci lascia nella suggestione che quel volto ha suscitato perché legato alla triste storia di una delle eroine immortali e non potrà esserne dissociato: la “donna con turbante” della nuova intitolazione resterà per noi, e crediamo per tanti, sempre la dolcissima Beatrice Cenci.
Info
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e categorie particolari. comunicazione@barberinicorsini.org. www.barberinicorsini.org. Per mostre recenti, in particolare nelle sale riaperte, cfr. i nostri articoli: in questo sito, “”L’enigma del reale. Ritratti e nature morte alla Galleria Corsini” 24 maggio 2020, “Michelangelo a colori, confronti e scoperte a Palazzo Barberini” 23 maggio 2020, “Palazzo Barberini, il ‘700 nelle nuove sale recuperate all’arte” 21 giugno 2019; in www.arteculturaoggi.com “Eco e Narciso, 1. La mostra nelle sale recuperate: le prime 7, a Palazzo Barberini” 25 settembre, ed “Eco e Narciso, 2. Le altre 6 sale recuperate in mostra, a Palazzo Barberini” 30 settembre 2018, “Mattia e Gregorio Preti, i due fratelli insieme a Palazzo Barberini” 24 febbraio 2019. 23 maggio 2020, e, per gli artisti citati, su Ovidio 1, 6, 11 gennaio 2019, Caravaggio 27 maggio 2016, 6 giugno 2013, Caravaggeschi e Carracci 5, 7, 9 febbraio 2013, Tiziano 10, 15 maggio 2013, Tintoretto 25, 28 febbraio, 3 marzo 2013, Guercino 15 ottobre 2012; in cultura.inabruzzo.it, Caravaggio 8, 11 giugno, 23 febbraio, 21, 22, 23 gennaio 2010 (sito non più raggiungibile, gli articoli trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini alla presentazione della mostra, tranne l’ultima non ancora esposta tratta dal sito web carnetdevoyage.it, si ringrazia la direzione della Galleria, con i titolari dei diritti, oltre al titolare del sito citato, per l’opportunità offerta. Sono riportate nell’odine di citazione degli artisti nel testo – tranne le 3 di Caravggio poste in apertura e in chiusura – indicando nella 1^ immagine il numero della Sala e l’intitolazione (non ripetuta nelle immagini successive numerate con i nomi degli artisti autori delle opere riprodotte). In apertura, Caravaggio,“Giuditta e Oloferne” 1597; seguono, Sala 19, Manierismo: 1. Gerolamo Musiano e 2. Jacob De Backer; poi, Sala 20, Venezia: 1. Tiziano Vecellio, 2. Tintoretto, 3. El Greco; quindi, Sala 21, Pittura di Genere: Bartolomeo Passarotti, Sala 22, “Altarolo”: Annibale Carracci con Innocenzo Tassoni, e Sala 23, Paesaggio: Paul Brill; inoltre, Sala 24, Caravaggio 1: 1. Carlo Saraceni, 2. Orazio Borgianni, 3. Bartolomeo Manfredi, 4. Giovanni Baglione, Sala 25, Caravaggio 2.: 1. Josepe de Ribera, 2. Simon Vouet, Sala 26, Caravaggio 3: 1. Orazio Gentileschi, 2. Artemisia Gentileschi, 3. Bernardo Strozzi; Sala 27, Caravaggeschi: 1. Valentin de Boulogne, 2. Charles Mellin, 3. Mathias Storn, 4. Trophime Bigot, 5. Hendrick Terbruggen, 6. Gerrit Van Honthorst, 7. Giovanni Serodine, 8. Lionello Spada, 9. Giovanni Caroselli; continua, Sala 28, Reni: 1. Guido Reni, 2. Guercino, 3. Giovanni Lanfranco, 4. Guido Reni 2, 5. Guercino 2, 6. Giovanni Lanfranco 2, 7. Guercino 3, 8. Guercino 4, 9. Guercino 5; Enclave Beatrice Cenci: Ginevra Cantofoli, “Donna con turbante (presunto ritratto di Beatrice Cenci)”, (già attribuita a Guido Reni), circa 1650; infine, Caravaggio, “San Francesco in meditazione” 1605-06 e, in chiusura, Caravaggio, “Narciso” 1597-99.