di Romano Maria Levante
Promossa dall’associazione “in tempo” si è svolto il 10 dicembre 2019, presso “Plus on Plus” in Roma, l’incontro pubblico dei 25 artisti firmatari del “Manifesto per l’Arte – Pittura e scultura” in una mostra con un’opera per ciascun artista. E’ stato presentato il libro “Manifestarsi” che raccoglie il Manifesto e i Commenti, e sono state illustrate dai numerosi artisti intervenuti con in testa Ennio Calabria presidente onorario – introdotti da Danilo Maestosi anch’egli artista firmatario del Manifesto – le proprie convinzioni che li hanno indotti a convergere sull’appello comune. E’ stata una serata ricca di riflessioni sulla condizione attuale della società e sulle prospettive di superare gli effetti negativi della globalizzazione e dello spaesamento rilanciando alcuni valori fondanti attraverso l’arte, pittura e scultura in particolare.
Un altro “Manifesto” era stato protagonista di una recente mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma, che attraverso l’artista Julian Rosefeldt ha ridato voce ai manifesti delle avanguardie del secolo scorso attraverso una serie di 13 filmati espressivi del loro contenuto con un’unica artista interprete che assumeva personalità e funzioni molto diverse, fino a momenti di condivisione finale.
Abbiamo fatto questo accostamento non solo per il “Manifesto” al centro della serata ma anche perché parimenti voci molto diverse hanno trovato un’assonanza sia pure differente da quella creata nella mostra citata, in questa l’assonanza è stabile e proiettata nel futuro verso altre condivisioni; inoltre anche Rosefeldt ha definito la sua opera una “chiamata all’azione” per cambiare regole divenute deteriori facendo leva su una parola condivisa. E nel nuovo “Manifesto” sono molte le parole condivise.
Soprattutto viene condivisa l’azione che da un decennio impegna l’associazione promotrice, “in tempo”, nell’offrire una sede di confronto e dibattito a chi voglia approfondire la riflessione sulla condizione umana, sociale e civile del nostro tempo nel quale la tumultuosa evoluzione tecnologica e comunicativa ha fatto perdere ogni punto di riferimento creando uno “spaesamento” paralizzante.
Il Manifesto fondativo dell’Associazione “in tempo” e quello “per l’Arte- pittura e scultura”
E’ trascorso un decennio dal “Manifesto fondativo dell’Associazione culturale “in tempo” del 2009, in 25 capoversi delinea un percorso di riflessione che parte dall’esigenza di reagire contro “gli automatismi omologanti del sistema in cui viviamo che rendono “obsoleti i codici interpretativi” disponibili e creano mutazioni permanenti nel modello di sviluppo delle società occidentali.
Questa necessità è sentita a livello individuale, per recuperare la verità non più fornita dalla coscienza collettiva in cui non si può più distinguere il vero dal falso. Infatti, ogni pensiero che voglia rappresentare una certezza viene investito dalla relatività che dissolve qualunque orientamento condiviso: la fine delle ideologie si colloca in questo ambito. “Spaesamento e autoreferenzialità sono conseguenze della perdita di credibilità dei grandi riferimenti, oggi relativizzati”: non si conosce più il significato dei fenomeni, che comunque impongono la loro presenza nella vita concreta; e allora il singolo si ripiega su se stesso non trovando all’esterno l’orientamento che aveva in passato.
Ma un’esigenza condivisa, anche se nasce a livello individuale, può diventare reazione collettiva alla perdita di certezze e all’assenza di una base comune di valori che ne deriva. “Spaesati vogliamo confrontarci con lo spaesamento degli altri. Autoreferenti, vogliamo sperimentare strategie per costruire relazioni tra i autoreferenti”. Si cerca “una relazione tra esperienze oggi coesistenti ed estraniate”, non per omologarle, al contrario per “consentire di riconoscere nel diverso da sé la propria continuità.
Non è più il pensiero il motore dell’esistenza, ma è “il mutevole dinamismo della vita che diventa, nell’immediatezza dell’esperienza, motore dell’organizzazione del pensiero”. Questo si svolge a livello individuale, ma non si esaurisce tutto nel “foro interno”: “consideriamo parti sociali dell’individuo tanto la sua ragione consapevole quanto la sua inconsapevolezza”, quindi le attività “laterali” della psiche, e “consideriamo fondamentali queste parti nella ricostruzione della coscienza stessa, nella percezione dei valori…” in un processo “dove si pongono in nuce i presupposti del pensiero e dei concetti”.
In questa visione, un ruolo importante possono svolgerlo la cultura e l’arte come fonte dei processi creativi in grado di dar luogo a “un’ampia aggregazione di intellettuali, artisti e cittadini, che possano così porre in campo la propria visione introspettiva del mondo e le loro percezioni del reale, nel segno di un loro reciproco confronto e con la società stessa, in quanto tale”. Non è cosa da poco, perché “non può più esserci continuità praticabile con le culture del passato, anche prossimo, ma solo ‘reincontro’ necessario, per recuperarle a un livello di effettiva comunicazione e non solo quale pura informazione”.
Otto anni dopo, nel 2017, il “Manifesto per l’Arte – Pittura e scultura” , discusso nell’incontro pubblico associato alla mostra, ha declinato sul versante artistico e culturale questa visione. Nei suoi 25 capoversi vengono lanciati messaggi e segnali con l’intento di aggregare individualità che restano tali ma trovano nel percorso comune la rivendicazione di diversità e di valori condivisi.
Inizia con l’orgogliosa rivendicazione dei valori primari dell’umanità minacciati perché “l’attuale società si fonda sulla categoria della ‘convenienza’ che considera irrilevante l’identità umana”. Mentre la reclama la “soggettività dell’essere e i suoi impulsi” in cui si identifica “la coscienza individuale, la vera antitesi radicale nei confronti del pensiero unico dominante”. Rendendo protagonista “la soggettività” si può contrastare lo spaesamento e il disorientamento dell’omologazione.
Qui il messaggio entra nei rapporti tra l’individuo e la società, nel senso che mentre rivendica “l’unicità dell’umano” e della sua verità la considera “connaturata alla relazione con l’altro”. Più precisamente: “L’essere, capace di calarsi profondamente nella sua unicità soggettiva, può raggiungere gradi di verità universale e, in quanto tale, condivisibile”.
Non è un ossimoro la rivendicazione dell’individualità e insieme della possibilità che diventi universale; ma sancisce che non deve più essere il pensiero unico ed omologato a diventare universale, tanto più oggi che si fonda sulla “convenienza” e non sui veri valori; ma può diventarlo l’insieme di pensieri individuali all’insegna della libertà nei quali vi è il riconoscimento del “diverso da sé” come un valore da difendere. In tal modo il “pensiero creativo” nella sua originalità e unicità si pone “come antitesi in un’epoca che vive la norma della riproducibilità dei processi mentali”.
A questo punto nel Manifesto entrano in scena la pittura e la scultura perché in esse si può esemplificare “l’ipotesi di un processo creativo mosso dall’inedito ingresso della soggettività dell’essere nella storia” alla ricerca della verità in un’epoca in cui si sono perduti i punti di riferimento: “Pittura e scultura diventano strumenti necessari per riallacciare questo filo spezzato e dare forma a un pensiero che nasce dalla stessa vita in un inedito “sum ergo cogito”. Esse rappresentano l’espressione tangibile dell’”essere”, le immagini create con la mano sono “disegnate dal liquido biologico dell’artista e del suo essere mentre reagisce agli stimoli del mondo”.
L’inversione rispetto al “cogito ergo sum” è fondamentale, protagonista non è più il pensiero ma l’essere, dato che il “non sapere” si pone allo stesso livello del “sapere”, crediamo nella logica socratica che pone il “so di non sapere” come forma più elevata di conoscenza. “In questo processo generativo, il compito della ragione è solo quello di accogliere e aiutare il parto dal profondo divenendone, in tal senso, la ‘levatrice’”. Ecco la conclusione: “Per queste ragioni pittura e scultura devono ‘dire’ e non più ‘raccontare’, perché in un processo in divenire esse saranno l’impronta ‘autografa’ del nostro essere”.
Le riflessioni delle critiche d’arte e curatrici che hanno promosso e firmato il Manifesto
Approfondiscono i punti chiave del Manifesto che reca anche la loro firma Rita Pedonesi, Presidente dell’Associazione in tempo” , promotrice, e Ida Mitrano, con lei anche nel libro “Manifestarsi”. Due critiche d’arte e curatrici impegnate con la loro sperimentata cultura e passione civile: la prima intitola la propria nota “Soggettività e collettività. Quale relazione?”, la seconda “Un Manifesto per l’arte. Ragione e necessità”, tema al quale anche la Pedonesi non manca di dedicare parte delle sue considerazioni.
Per Rita Pedonesi la soggettività “se o in che modo si relaziona oggi con la collettività” è un punto centrale del Manifesto per l’arte, in quanto esprime la possibilità di reagire al disagio generato nell’individuo dal relativismo e al conseguente spaesamento in atto che lo portano a ripiegarsi su se stesso, ad ascoltare le proprie pulsioni interiori in un percorso, “tra sapere e non sapere, verso un cammino sconosciuto di cui, attimo per attimo, possiamo intuire la direzione”.
Si può contrastare così il disorientamento che ha fatto perdere i tradizionali punti di riferimento e rischia di far smarrire irrimediabilmente valori che sembravano consolidati: “Dominata dalla nuova ‘global class’ apolide delle tecnologie finanziarie, l’attuale società della ‘superficie’ plagia, omologa, appiattisce per svuotare gli individui di ogni valore e renderli meri oggetti di sfruttamento e di consumo”. Il rimedio a questa deriva che sembra inarrestabile va trovato nell’interiorità del soggetto, in questa “nuova forma della soggettività” o “processo dell’essere” che valorizza “l’unicità dell’umano” e della sua verità e ne salvaguardia l’ “identità antropomorfa”.
Il processo creativo che esprime l’essere raggiunge “l’unicità-verità” nell’opera dell’artista il quale attinge alle parti inconsapevoli della coscienza e utilizza quelle coscienti in modo del tutto peculiare. Risultato: “Quello di captare e catturare, nel ‘qui ed ora’, del gesto in cui la ‘materia’ accade, quanto dal profondo si genera”.
Tuttavia non si tratta di una “soggettività autoreferenziale, narcisistica, incapace di relazionarsi ”, tutt’altro. L’”unicità-verità” del singolo è “altresì capace di interagire, creando corti circuiti di senso, nel profondo di altre soggettività”, creando le condizioni, evocate dal Manifesto fondativo dell’Associazione di “creare una mini comunità in progress capace di ascolto”. In questo processo si colloca l’arte come “espressione stessa della vita, del senso dell’umano e difesa dell’identità della specie; come tale antitetica al pensiero unico dominante e alla riproducibilità dei processi mentali”.
La riflessione di Ida Mitrano parte dalla “volontà di condivisione” espressa nel Manifesto per “ricostituire un tessuto aggregativo sulle nuove ragioni fondanti dell’arte oggi”, con questa prospettiva: “Parole, pensieri, affermazioni di pochi devono diventare quelle dei tanti che credono nella funzione sociale dell’arte”.
Una funzione così declinata: “Non arte per la società, ma arte nella società. Non arte sociale, ma arte in relazione con la realtà e i suoi dinamismi… Arte che rifiuta il parametro dominante della convenienza”. La pittura e la scultura sono emblematiche nella ricerca dell’identità antropomorfa per la loro capacità di contrapporsi ai nuovi linguaggi dell’era digitale che portano all’omologazione e alla spersonalizzazione. Per questo sono “linguaggi scomodi. Scomodi perché richiedono presenza, tempo, ascolto. Una dimensione dove il gesto è portavoce di qualcosa che sfugge a qualunque codice artificiale, perché capace di discontinuità nella realtà del suo accadimento”.
L’opera d’arte viene evocata come espressione simbolica dell’unicità e dell’originalità che si deve recuperare per arrestare l’omologazione e la ripetitività: “Non c’è gesto pittorico o fare scultoreo che si possa riprodurre identico, perché questi linguaggi sono autonomi, in relazione solo alla soggettività dell’artista… l’arte, per sua natura, non potrà mai essere risolta in un software”.
Né la vera soggettività è quella dei social nella rete Internet, è una “soggettività controllata, soggettività falsata, soggettività espropriata”. La soggettività che le contrappone il Manifesto è la “voce dell’unicità dell’umano”, rispetto all’arte rappresenta “il solo riferimento per quell’artista che non riconosce la categoria della convenienza come aggregante sociale”. Non è una “torre d’avorio”, né un rifiuto della realtà del suo tempo: “Significa invece che solo nella soggettività oggi, in quel sum ergo cogito, può nascere una nuova possibilità aggregativa, una nuova condivisione fondata sull’essere che diviene originante”. L’essere torna al centro e l’arte, pittura e scultura in particolare, ne è la più autentica espressione.
Le riflessioni di due artisti in prima fila nell’impegno per il Manifesto
I due artisti di cui riportiamo alcune riflessioni sono per altro verso capofila anch’essi, Danilo Maestosi nella serata ha presentato gli altri intervenuti, Ennio Calabria è il prestigioso Maestro presidente onorario dell’iniziativa, con il quale chiuderemo i “flash” sulle riflessioni.
Danilo Maestosi motiva il suo assunto che “All’uomo bisogna tornare” osservando che a questo fine la pittura e la scultura sono le forme più adeguate per un ritorno alle origine archetipe della storia dell’umanità, come i graffiti delle caverne e i feticci in legno o in pietra. E ripercorre le fasi critiche attraversate dall’arte con le avanguardie e soprattutto con il dilatarsi oltre l’immaginabile dei codici espressivi innescato dalla “Fontana-orinatoio” e dagli altri “Ready made” di Duchamp. L’arte non corrisponde al processo creativo e “non risponde più a una necessità interiore, ma produce e ne impone una falsa, funzionale al suo vendersi come merce”; l’opposto di quanto prediligeva Duchamp che combatteva la sostituzione del “valore d’uso” con il “valore di scambio”, come evidenziato da Pablo Echaurren nel suo recentissimo “Duchamp politico” nel quale, quasi in analogia al Manifesto, si può trovare un invito all’azione, anzi alla mobilitazione contro la mercificazione dell’arte.
In questa situazione degradata, il “ritorno all’uomo” viene ritenuto necessario “per fare argine a una società sempre più frantumata, robotizzata, sempre più etero diretta, basata su scambi sempre più veloci, sul culto dell’apparenza e della superficie”. Pittura e scultura hanno un ruolo primario perché sono “il risultato di un parto che ha come levatrice la ragione e la sua gestazione nella profondità inconsapevole dell’inconscio, nell’imprevedibilità di un gesto che nasce dalla pancia e dalla testa, affonda le sue radici nel mistero e col mistero si misura, per fondare la sua verità”.
All’opposto di queste nobili origini, irrompe la mercificazione portata dalla nuova ideologia con “la bussola guida della convenienza”, spinta ”dalla rapacità del sistema e dalla velocità degli scambi”. Come combattere questa degenerazione che comporta pesanti guasti sociali, come l’aggravarsi delle disuguaglianze e l’abbandono della solidarietà e dei diritti civili su cui si basa la nostra civiltà?
Maestosi nella visione di “un uomo nuovo – l’essere – proiettato nel futuro”, mette in guardia dalla radicalizzazione di chi vuole “liquidare come irrilevanti conoscenza e cultura, non parliamo della Storia, che sembriamo immaginare finita col crollo delle ideologie, e dunque sostituibile, non più funzionale alla Specie”. Ci si deve chiedere invece “quale Storia riemergerà da queste mutazioni d’epoca che registriamo e come potremo da intellettuali quali siamo contribuire a disegnare direzioni e spiragli”. E per questo si deve operare, senza illudersi di poter coinvolgere altre forze intellettuali, nella consapevolezza della difficoltà di andare controcorrente.
Terminiamo le enunciazioni ideali con quelle della “star” della serata, il maestro Ennio Calabria, un vero antesignano la cui vita artistica è stata contrassegnata dal “tempo dell’essere” e si è espressa nelle opere tornate alla ribalta nella grande mostra del 2018 a Palazzo Cipolla, ideata e promossa da Emmanuele F. M. Emanuele. Il suo intervento orale è stato appassionato, le riflessioni scritte sono coinvolgenti.
Entrando nel recesso della “soggettività” rileva come siamo in un’epoca in cui “la dimensione collettiva non è più in grado di farsi carico della categoria del ‘valore’, ma è ormai diretta dalla ‘convenienza’ come unico valore orientativo”; pertanto la coscienza individuale “subisce un processo di involuzione verso l’istinto” nel quale “entrano come nuovi fondamentali soggetti causali lo spazio e il tempo”, che non hanno la “dimensione umana” della storia, ma “disumana”.
Non cita esplicitamente il “tempo dell’essere” che è stato il suo sigillo, ma afferma che nel “ritorno all’istinto”, per certi versi involutivo, c’è l’aspetto positivo della “difesa dei caratteri antropomorfi contro il serio rischio di robottizzazione dei processi mentali a causa dell’invasività tecnologica”, altro pericolo da combattere. “Viviamo in un assoluto presente nel quale si riversano il passato e il futuro”, l’inizio corrisponde alla fine, nella visione immateriale “in antitesi con la forma fisica del movimento futurista”, il movimento diventa “trasfigurazione” non verso il futuro, ma “su se stesso”.
Eccone le conseguenze: “La dimensione della soggettività è ormai l’unico soggetto capace di farsi carico di valori dei quali non può più farsi carico la dimensione collettiva persa nel pensiero unico”. Per raggiungere una visione universale non si deve più mediare tra mille posizioni in orizzontale, ma sfuggire dal “pensiero unico” calandosi in verticale all’interno, “sprofondando” nella propria unicità. “La verità siamo noi e non ciò che riteniamo vero”, vale a dire che “non è più il pensiero che garantisce il senso della vita, ma è la vita che si fa pensiero”, intendendo “la vita nel proprio essere quotidiano” che è “portatrice in sé del nuovo senso della stessa vita”.
Di qui il “sum ergo cogito”. “noi oggi ci identifichiamo con l’imprevedibilità della vita e con il suo agire in tempo reale e nell’odierno presente assoluto”. E la vita ci aggredisce senza darci tempo di cercare altrove le difese se non nel nostro essere: “Quindi è la realtà mentre accade che elegge la dimensione dell’intuizione a nuova epocale funzione, che eleva a nuova cultura ciò che abbiamo fisiologizzato”. Nel nostro essere e nel tempo, quindi torna il suo sigillo, ”il tempo dell’essere”.
La Mostra d’arte dei firmatari del Manifesto per l’arte
Abbiamo citato questi due artisti come espressione della comunità che si è formata intorno al Manifesto, altri si sono espressi sia nella serata del 10 dicembre sia nel libro “Manifestarsi”, ricordiamo soltanto i nomi dei firmatari e i titoli dei loro interventi scritti: Franco Ferrari “La pittura oggi” e Carlo Frisardi “Cos’è l’arte per noi”, Pietro Meogrossi “Introibo ad altare Dei (Ulysses, James Joice)” e Valeria Cademartori “Soggettività e liquido biologico”, Carla Mazzoni“L’arte come funzione sociale” e Tiziana Caroselli “Quale manifesto per gli artisti, e quali artisti per un manifesto?”, Duccio Tringali“Tra il dire e il fare” e Patrizia Borrelli “Gli artisti attraverso il Transumanesimo”. Nel libro sono inoltre riportati i Commenti di 29 personalità di cultura, in un dialogo aperto al confronto con punti di vista anche distanti.
Degli artisti vediamo le opere esposte nella mostra parallela alla manifestazione curata, come il libro “Manifestarsi”, da Ida Mitrano e Rita Pedonesi, sottolineando che si era già tenuta a Varsavia, dal 23 ottobre al 18 novembre 2019, nel quartiere di Saska Kepica presso il Prom Kultury, dal titolo evocativo “Gli artisti italiani e i tempi nuovi”, organizzata dall’Associazione “in tempo” con i polacchi e l’Istituto italiano di cultura; nel catalogo l’iconografia delle opere e la scheda degli artisti sono precedute significativamente dal “Manifesto per l’Arte – Pittura e Scultura” che apre anche la mostra italiana. E ne danno testimonianza le opere non riconducibili a tendenze artistiche comuni, come per i Manifesti delle correnti del ‘900, dal Futurismo in poi, nei quali venivano enunciate le linee direttrici di una nuova visione artistica, qui del tutto libera ed eterogenea, ma nello spirito dell’aggregarsi in nome della comune identità.
Tra le 29 opere esposte, 23 sono pitture in olio e acquerello, acrilico e tecnica mista su tela, tavola, carta; 6 sono sculture in diversi materiali, dal legno dipinto alla terracotta, dall’’acciaio al ferro, rame e al vetro; sono molto recenti, quasi la metà di esse del 2019, un terzo del 2018 e le restanti di anni precedenti.
Nei dipinti spicca lo splendido paesaggio figurativo “Il molo”, di Ennio Calabria, che a Varsavia aveva esposto un suggestivo “Autoritratto..: verità nell’enfasi”; gli accostiamo l’albero sul precipizio che segna “L’inizio della fine”.di Nicola Santarelli.
Figure umane molto diverse, in “Dove” di Marilisa Pizzorno, e “Contemplazione nel silenzio” di Nino Pollini, due immagini femminili pur molto dissimili con le braccia conserte e il volto verso l’alto; mentre “Il passo dell’oca” di Stefano Ciotti ed “Entropia” di Carlo Frisardi presentano due differenti siluette. “Pentimento” di Simonetta Gagliano mostra la sagoma di un corpo crocifisso e “L’infanzia del mago” di Duccio Tringali delinea un volto come nell’addensarsi di nuvole. “Dammi dolore cibo quotidiano” di Ernesto Lamagna e “Homo Homini Lupus – Homo Homini Deus” di Giuseppe Indaimo completano questa galleria umana, il primo con un viso da clown, il secondo con le teste umana e di lupo affiancate in una compresenza-contrapposizione.
La maggior parte delle altre opere pittoriche si colloca nell’astrazione e nell’informale, a parte “Proiettati al futuro” di Lina Passalacqua che nella rutilante esplosione di linee di forza oltre che nel titolo rimanda al Futurismo di cui l’artista è tuttora attiva protagonista, fa parte del gruppo dei “Futuristi calabresi”. Visioni oniriche in “I’ll be your mirror” di Alina Picazio e nella stampa fotografica “Ottomarzo” di “Alessandra Pedonesi”.
“Vento d’autunno” di “Ana Maria Laurent” è reso con il giallo e il rosso ruggine delle foglie che cadono, Forti tratti scuri percorrono “La musica di Aleppo” di Valeria Cademartori, “L’oltraggio” di Giovanbattista Cuocolo e “Vibrazioni di colore” di Antonio Di Donno, dominante scura in “Calendario” di Franco Mulas e rossa in ”Totipotenza” di Dino Masella. Il titolo“Primordio” di Dino Falasca ci fa ripensare a Corrado Cagli, che ne fece un sigillo, e “Impermanenza” di Antonella Catini a una visione altrettanto filosofica.
Gli ultimi due dipinti sono molto diversi, tra loro e da tutti gli altri: L’”Instabile presnte” è reso da Franco Ferrari in un azzurro abbagliante con una sagoma misteriosa, “La città che brucia” da Danilo Maestosi con dei tratti leggeri evocativi, chissà se si è ispirato alla canzone “Se bruciasse la città”, di Bigazzi, Polito e Savio, grande successo del cantante Massimo Ranieri, 3^ a Canzonissima 1969, compie mezzo secolo!
Delle 5 sculture, tre rappresentano figure umane, i due corpi avvinti in “Confronto”, la terracotta patinata di Stefano Piali e i volti di “Io e l’altro”, il legno dipinto di Anna Addamiano e “Mutante” , l’encausto e vetro di Stefania Lubrani. E’ chiamata “Senza titolo” la colonna-totem in ferro e rame di Ferruccio Maierna, e “Prisma Ottico/Riflessione della Luce” la vela triangolare in acciaio di Alfio Mongelli. L’intrigante “Mare nostrum” di Patrizia Borrelli chiude la nostra rassegna illustrata della mostra.
Quest’ultima opera, una barca in ferro, piombo e vetro con un intrico di fili che sembrano imprigionare figure era posta all’ingresso, come un “memento”: realizzata nel 2015, quando fu varata l’operazione di soccorso ai naufraghi del Mediterraneo, è un messaggio quanto mai attuale. E conferma con la sua forza evocativa, al termine della galleria degli artisti firmatari del Manifesto, le conclusioni delle due promotrici, Mitrano e Pedonesi: “Questo Manifesto vuole ‘dire’, vuole essere ‘vivente’ vuole essere ‘in tempo’ nel tempo. Siamo convinti che insieme possiamo essere una forza”.
Info
La manifestazione si è svolta presso “Plus on Plus” a Roma in viale Mazzini 1. E’ stato presentato il libro: Associazione culturale in tempo, “Manifestarsi. Manifesto per l’arte. Pittura e Scultura. Riflessioni e commenti”, a cura di Ida Mitrano e Rita Pendonesi, Bordeaux edizioni, ottobre 2019, pp, 182; dal libro sono tratte le citazioni del testo. Catalogo della mostra a Varsavia, Associazione culturale in tempo, “Artisti italiani e i nuovi tempi” , a cura di Ida Mitrano e Rita Pedolesi, Prom Kultury. Ottobre 2019, bilingue polacco-italiano, pp. 62, formato 21 x 21,5. Per gli artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: in questo sito, nel 2019, Cagli 5, 7, 9 dicembre, Rosefeldt 25 giugno, nel 2020 nei prossimi giorni, 6 e 9 aprile, 2 articoli, Echaurren su “Duchamp politico” ed Echaurren, “artista politico”; in www.arteculturaoggi.com, Calabria 31 dicembre 2018, 4, 10 gennaio 2019, Futuristi 7 marzo 2018, Passalacqua 10 gennaio 2018, 1° aprile 2015, 28 msggio 2014, 25 aprile 2013, Echaurren “Contropittura” 20, 27 febbraio 4 marzo 2016, “Crhomo sapiens” 23, 30 novembre, 14 dicembre 2012, Duchamp 16 gennaio 2014; cultura.inabruzzo.it, Maestosi 32 marzo 2010, Futuristi, 30 aprile, 1° settembre, 2 dicembre 2009 (quest’ultimo sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella serata al “Plus on Plus”, ad eccezione delle n. 13, 28, 29 tratte dal Catalogo della mostra di Varsavia, si ringraziano gli organizzatori e l’Editore, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta, un ringraziamento particolare all’artista Lina Passalacqua per aver accettato di farsi riprendere davanti al proprio dipinto nella foto posta al termine della galleria delle opere esposte. In apertura, la parte anteriore della Sala, al microfono Danilo Maestossi a sin, Ennio Calabria a dx; poi le immagini di tutte le opere in mostra inseite nell’ordine di citazione del testo: inizia Ennio Calabria, “Lo scoglio” , seguono, Nicola Santarelli, “L’inizio della fine” 2019, e Nicola Pizzorno, “Dove” 2018; poi, Nino Pollini, “Contemplazione nel silenzio” 2019, e Stefano Ciotti, “Il passo dell’oca” 2019; quindi, Carlo Frisardi, “Entropia” 2018, e Simonetta Gagliano, “Pentimento” 2014; inoltre, Duccio Tringali, “L’infanzia del mago” 2019, ed Erenesto Lamagna, “Dammi dolore cibo cotidiano” 2019; ancora, Giuseppe Indaimo, “Homo Homini Lupus – Homo Homini Deus” 2019, e Lina Passalacqua, “Proiettati al futuro” 2019; continua, Alina Picazio, “I’ll be your mirror” 2018 e Alessandra Pedonesi, “Ottomarzo” 2018; seguono, Ana Maria Laurent, “Vento d’autunno” 2019 e Valeria Cademartori, “La musica di Aleppo” 2018; poi, Giovambattista Cuocolo, “L’oltraggio” 2019, e Antonio Del Donno, “Vibrazioni di colore” 1980, quindi, Franco Mulas, “Calendario” 2018, e Dino Masella, “Totipotenza” 2918; inoltre, Dario Falasca, “Primordio” 2019, e Antonella Catini, “Impermanenza” 2019, ancora, Franco Ferrari, “Instabile presente” 2018, e Danilo Maestosi, “La città che brucia” 2019; continua, Stefano Piali, “Confronto” 2008, e Anna Addamiano, “Io e l’altra” ; seguono, Stefania Lubrani, “Mutante” 2016, e Ferruccio Maierna,“Senza titolo” 2019; poi, Alfio Mongelli, “Prisma Ottico/Riflessione della Luce” 1984, e Patrizia Borrelli, “Mare Nostrum” 2015; quindi, il “Manifesto per l’arte” e la “Dichiarazione” con le firme degli artisti; infine, la Copertina del libro con il Manifesto e i Commenti, e, in chiusura, la Sala ripresa dal fondo.
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